E' ora di rileggere Salman Rushdie, la sua
vicenda umana e i suoi libri. Secondo Salil Tripathi il romanzo del 1988
Versetti satanici è infatti il luogo dove tutto è stato per la prima volta
esposto, e dove tutto è cominciato. Tripathi, di origine indiana,
scrittore ed editorialista per il Wall Street Journal e varie Tv
internazionali, è uno degli intellettuali di maggiore impatto nella
moderna Londostan. La sua indicazione, apparsa ieri proprio sul WSJ, de
Versetti satanici di Rushdie come una delle pietre miliari di una lunga
relazione fra Est e Ovest nata con le migliori intenzioni e finita con il
terrorismo, riscopre una vicenda che sembrava sepolta e che oggi
effettivamente ci appare in una luce diversa. Il libro infatti «ha a che
fare con un Faustiano patto tra l'Inghilterra e gruppi radicali
all'estero, sulla base del quale viene permesso a questi estremisti di
predicare le loro incendiarie dottrine purché lascino in pace la Gran
Bretagna»: dentro questa trama c'e una intuizione apparsa visionaria
all'epoca, rivelatasi poi fin troppo realistica, dei «peccati» a specchio
tra un Occidente troppo soddisfatto di sé e della propria benevolenza, e
radicali fin troppo convinti della loro forza. Nel romanzo c'è già
anche la Londra che il vecchio Imam in esilio, «vive con odio», e c'è
soprattutto la vasta comunità di immigranti descritta da Rushdie, con una
attualissima definizione, come «una città visibile ma non vista». A
ripensarci oggi, anche la accoglienza che venne riservata a quel libro fu
una prova generale di vicende a venire: quando a Bradford un gruppo di
mussulmani bruciò copie di Versetti satanici il governo inglese fu molto
riluttante a difendere Rushdie per timore di far saltare la convivenza
civile.
Ma a parte la forza della intuizione letteraria, cosa
esattamente ci dice questa capacità anticipatoria di uno scrittore?
Rushdie è sicuramente parte di quel gruppo di intellettuali «ponte», con
il cuore in Asia e la testa in Occidente, che hanno sempre pensato che
le tensioni fra Est e Ovest non nascano dalla povertà, ma dalla
politica. La loro tesi è che il terrorismo sia frutto del «vuoto»
cui il modello di tolleranza civile dell'Occidente condanna le nuove
generazioni di immigrati. Questa malintesa tolleranza infatti è in
superficie la accettazione totale di tutta la cultura che gli immigrati
portano con sé, ma in sostanza è ne sancisce la totale
indifferenza: il mondo che li accoglie non ne ricava stimoli al
suo proprio cambiamento, ma si limita ad accettare, letteralmente a vivere
fianco a fianco con la diversità, di fatto sterilizzandola, di fatto
ricreando il ghetto.
Potremmo chiamarlo il paradosso del «Chicken
Tikka», divenuto secondo una indagine, proprio nel momento più alto della
lacerazione del vecchio modello di convivenza, il piatto favorito
dell'Inghilterra .
(p.s. il
"neretto" è nostro. Ass. Partenia http://utenti.lycos.it/partenia)
Ci
scusiamo se qualcuno di voi è finito per sbaglio nella rubrica
dell'Associazione Partenia.Se non avete gradito il messaggio e se non
volete più riceverne, potete inviare una mail con su
scritto"cancellami".Provvederemo immediatamente.Cordiali
saluti. ASSOCIAZIONE PARTENIA http://utenti.lycos.it/partenia |