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da Fidel a Chavez 1/2
- Subject: da Fidel a Chavez 1/2
- From: "Pierluigi Ferrara" <p.ferrara12 at virgilio.it>
- Date: Sun, 1 Feb 2004 04:55:27 +0100
Aggiungo un'ultima ora su altro tema. A tutti coloro che rischiano di farsi intossicare dalle fanfare di imperialisti e loro servi sulle magnifiche sorti e progressive scaturite dalla "enorme affluenza alle urne del popolo iracheno assetato di democrazia", serve ricordare: le "folle sterminate che a Baghdad inneggiarono alla caduta della statuta di Saddam Hussein", risultate poi composte da un centinaio di mercenari in parte importati dal Kuwait e pagati cinque dollari a testa; un criminale di guerra eletto due volte alla presidenza degli USA con brogli dimostrati; il milione di firme false raccolte dall'oligarchia golpista del Venezuela, sotto gli auspici USA, per un primo referendum consultivo e poi per il referendum revocatorio; le elezioni farsa in Afghanistan; le elezioni palestinesi con un milione e rotti di votanti su nove milioni di palestinesi lasciati quasi tutti al freddo; i colpi di Stato elettorali in Jugoslavia, in Georgia e in Ucraina organizzati dai fascisti serbi di Otpor con i quattrini e la supervisione della National Endowment for Democracy (istituto Cia per le guerre a bassa intensità). 125 operazioni guerrigliere al giorno da parte delle forze regolari irachene (che non sono gli ascari dello squadronista della morte John Negroponte e del premier-assassino Allaui) sono, quelle sì, l'espressione della volontà del popolo iracheno di farla finita con invasori e macellai travestiti da "democrazia". Da Fidel a Chavez, passando per piqueteros, Sem Terra, indios: il nuovo asse dell'antagonismo afro-indio-latinoamericano. Il ruolo di Lula. La minaccia Uribe e i piani USA. Fulvio Grimaldi Del mio lungo giro dalla prima rivoluzione latinoamericana dei tempi nostri, lungo le lancette dei sommovimenti sismici di questo continente in trapasso tra adolescenza e maturità, fino al ritorno all'isola caraibica che è, appunto, l'alfa e l'omega, la culla e il faro, di quanto si sta muovendo nell'emisfero, ricordo tre episodi particolarmente significativi sul ruolo che la vicenda cubana ha nel nuovo contesto. A Buenos Aires, in un'Argentina ancora groggy per la falcidie generazionale operata dai generali della dittatura filo-yankee (non si scordi mai il ruolo da protagonista di Vaticano e P2, oggi più che mai impazzanti da noi) e per il massacro sociale ed economico del ladrone Carlos Menem, quella festa di piqueteros che esplode in standing ovation al canto di una giovane compagna: "Que mueran los yankees - que viva Fidel!" Poi, in Brasile, un fazzoletto di terra sotto grandi sequoie, punteggiato da baracche e teli neri della spazzatura, dove Matheus, 20 anni, secondo anno di agraria all'università di Campo Grande (Mato Grosso do Sul), arrivato lì a cinque anni d'età con un'ottantina di acampados Sem Terra, che reclamano la terra improduttiva di un fazendero assenteista, per la mia telecamera si spoglia della maglietta lacera e infila quella della festa, con il volto del Che e la bandiera di Cuba: "Se Lula si arrende, noi, come il Che e Fidel, non lo faremo mai!" Infine, a Caracas, uno qualsiasi degli episodi di mescolanza del presidente Hugo Chavez con il suo popolo, nel quale il successore del Libertador Simon Bolìvar, non manca mai di raccontare la sua Cuba, il suo Fidel, fin dalla prima visita nel '94, appena liberato dal carcere di Rafael Caldera: "Mi disse Fidel: la giustizia sociale, l'uguaglianza, la libertà noi le chiamiamo socialismo, voialtri laggiù le chiamate bolivarismo. Va benissimo così. E io gli risposi: sono d'accordo" (con tanti saluti agli immarcescibili grilli parlanti dell' eurocentrismo che si dilettano nel fare le pulci a chi non rientra nei loro schemini perennemente decontestualizzati). E la folla che gli risponde con l'urlo: "Cuba sì, yankee no!" Negli anni '80, tenente colonnello dei paracadutisti, Hugo Chavez lavora al suo progetto rivoluzionario all'interno delle Forze Armate, ben sapendo che, in America Latina, o tiri dalla parte delle masse escluse l'apparato della società più forte e presente sul territorio, o finisci come con Videla, Pinochet e, in Venezuela, Jimenez. La sua ispirazione scaturisce, oltrechè dalla lezione indipendentista e antioligarchica di Bolìvar, da Gramsci e Mao Tse Tung, dall'esempio di Josè Martì e dall'esperimento consolidato di Fidel Castro. Un filo rosso che attraversa il processo rivoluzionario fin da quegli esordi del "Movimento Rivoluzionario Bolivariano 200", che spostò a sinistra l'asse dell'esercito, più tardi bonificato con l'immissione, al posto dei lividi creoli, di inediti quadri meticci e indios. Filo rosso che lega l'insurrezione fallita del 1992, nel nome di un popolo vampirizzato da Carlos Andres Perez, il Ciancimino del Venezuela, alla costituzione bolivariana del 1999, modellata in buona misura su quella cubana e alle centinaia di leggi che hanno fornito la base legale alla rivoluzione sociale: riforma agraria, pesca, infanzia, maternità, donne, scuola, adolescenti, anziani, lavoro, casa, ambiente, indios e loro territori, petrolio. Quanto al petrolio lasciatemi ricordare, insieme alla forniture a prezzo politico a Cuba, che hanno fatto inviperire l'oligarchia debellata, un tempo manomettitrice brigantesca di questa massima ricchezza del paese, una visita a El Palito, raffineria-cuore della PDVSA, la società riconquistata da Chavez allo Stato dopo che i golpisti della destra l'avevano utilizzata per il famigerato paro, la serrata padronale che doveva affamare il paese e s' illudeva di sollevarlo contro Chavez. Della nuova struttura "orizzontale" nel governo della compagnia petrolifera, con gli operai partecipi del processo decisionale (non sempre esente da tentativi restauraratori dell' immancabile residuo burocratico), erano un bel simbolo le tre mense separate - dirigenti, impiegati, operai - oggi riunite in una sola, aclassista. Antonio Serra, dirigente e riorganizzatore della raffineria, comunista, è sicuro che l'imperialismo e i suoi fantocci nella regione presto o tardi tenteranno il colpo di forza per impadronirsi della ricchezza energetica del paese e per bloccare il processo rivoluzionario, con i suoi effetti contagiosi sull'intero continente, ma ha anche piena fiducia in un popolo che si sta attrezzando, alla maniera cubana, vedi Plaja Giron, ad affrontare minacce del genere. (segue)
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