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I: Lettera aperta sul PKK



Cari amici,
il testo che segue, che vi chiediamo di far circolare e rinviare in tutte
le possibili reti della solidarietà, può risultare poco comprensibile a chi
non abbia ricevuto in precedenza un altro messaggio, proveniente da Aldo
Canestrari, al quale questa lettera risponde.
Crediamo però che molti di voi l'vranno ricevuta, perchè Aldo l'aveva
inviata a quasi duemila indirizzi mail.
Vi chiadiamo comunque un po' di pazienza: anche chi non conosceva
l'antefatto, lo capirà leggendo.
Chiediamo ancora più pazienza a chi dovesse ricevere questo messaggio più
di una volta, perchè l'abbiamo inviato a Canestrari chiedendogli a sua
volta di trasmetterlo alla rete con cui Aldo è in contatto.
Inviamo questo messaggio non solo per polemizzare, ma anche e soprattutto
per far circolare notizie che richiedono un guizzo di mobilitazione, per
prevenire un possibile incendio di guerra...
Ciao a tutti
Dino Frisullo

----- Original Message -----
From:dino frisullo
To:k. canestrari to
Sent:Saturday, July 22, 2000 10:10 PM
Subject:Lettera aperta sul PKK



Come compagni di Azad e amici del popolo kurdo, siamo stupefatti della
superficialità con cui il 13 luglio scorso un documento tradotto
dall'agenzia Kurdish Media è stato inviato a migliaia di indirizzi mail,
senza alcuna verifica delle fonti e del merito, ma anzi accompagnato da un
messaggio dal titolo "Solidarietà ai guerriglieri kurdi vittime del PKK"
che dava per acquisito e condivisibile il contenuto del documento.

Abbiamo atteso per quasi dieci giorni una correzione da parte di Aldo
Canestrari, che certo in buona fede aveva diffuso il messaggio. Abbiamo
ricevuto soltanto un documento di smentita del PKK, diffuso seccamente
dallo stesso Canestrari.
Sappiamo che molti dei destinatari sono rimasti sconcertati. Da una fonte
italiana solitamente attendibile gli arriva un messaggio che dà per
scontata "la repressione che il PKK si accinge ad operare", poi ricevono
soltanto la presa di posizione del PKK, che suona come un atto dovuto: non
poteva non smentire...

Il dubbio resta, ed è un dubbio diffamante nei confronti del principale
partito kurdo e del suo presidente condannato a morte, cari entrambi a
tutto il mondo della solidarietà in Italia. Il dannod'immagine è
gravissimo, proprio nel momento in cui questo partito, fuorilegge e
represso non solo in Turchia ma anche in Germania ed altri paesi europei,
si batte perchè sia legittimato internazionalmente il suo sforzo di disarmo
unilaterale e di dialogo per la pace.
La materia è delicata.
Per questo chiediamo ad Aldo di rinviare a tutta la stessa lista di
indirizzi questa nostra presa di posizione.

Una premessa doverosa, e forse non scontata. Azad, per statuto e nella
pratica, non è cinghia di trasmissione di alcun partito kurdo, anche se
ovviamente ha un rapporto preferenziale con quelle forze che non
collaborano con i nemici del popolo kurdo  e che portano avanti istanze di
liberazione.
Diciamo di più: per noi i diritti umani, a partire dal diritto alla vita e
all'integrità della persona, hanno priorità assoluta. Non esiteremmo a
criticare il PKK (come chiunque altro prima, da Arafat a Fidel Castro), se
avessimo la certezza o anche il fondato sospetto che questo partito violi
questi valori nella sua pratica interna o esterna.
Del resto l'ha già fatto lo stesso Ocalan, quando nella sua autodifesa di
Imrali ha autocriticato severamente alcuni aspetti passati di una lotta di
liberazione che pure rimane fra le meno violente e le più umane al mondo.

I rapporti interkurdi sono materia estremamente delicata. E' grazie alle
divisioni e ai conflitti interni che i kurdi sono rimasti fino ad oggi
soggetti.
Per questo abbiamo sempre evitato, come singoli e come associazione, di
prendere posizione pro o contro questo o quel partito, ed abbiamo pesato
informazioni e parole persino quando, come è avvenuto e avviene purtroppo
nel Kurdistan irakeno, il PDK di Barzani si è schierato militarmente con
l'esercito turco o con l'esercito irakeno nella guerra contro altri kurdi.
L'episodio di cui si parla (la presunta prigionia e condanna a morte di una
parte di un gruppo di guerriglieri transfughi dal PKK ed intenzionati a
passare al PUK di Talabani) coinvolge sia aspetti interni al PKK, sia le
relazioni fra PKK e PUK:  dunque andava raddoppiata la cautela e la
verifica delle fonti.

Dunque parliamo delle fonti.
L'articolo diffuso da Canestrari è tradotto dall'agenzia kurda basata a
Londra "Kurdish Media", un'agenzia indipendente ma considerata in genere
vicina alle posizioni del PUK. Ma in realtà Kurdish Media l'avrebbe a sua
volta ripreso e tradotto dal turco da Intername, un sito Internet aperto e
diretto da Selim Curukkaya.
Una fonte assai tendenziosa: Curukkaya è noto al pubblico italiano per aver
occupato un anno fa tre pagine de L'Espresso (di cui tutti ricordiamo la
faziosità antikurda nei mesi di Ocalan in Italia) con un virulento attacco
al PKK e a Ocalan proprio all'indomani della cattura del leader kurdo in
Kenya.
Si tratta, ci dicono i compagni kurdi in Italia, di un ex militante del
PKK, personalmente graziato e scarcerato nei primi anni '90 dal presidente
turco Ozal, uscito dal partito nel '94 e da allora, in Germania, promotore
di continue campagne diffamatorie contro i suoi ex compagni.
Curukkaya proclama ora di voler proseguire la lotta armata, e attacca come
"tradimento" la scelta di pace del PKK, negli stessi termini in cui
attaccò, dal '93 in poi, i precedenti cessate il fuoco e le offerte di
dialogo di Ocalan.

Il fratello di Selim, Sait Curukkaya detto "Doktor Suleyman", già vice di
Semdin Sakik nel comando della guerriglia kurda nell'area di Diyarbakir, è
il leader del gruppo di guerriglieri che, in dissenso anch'essi con la
scelta di pace, avrebbero deciso, nel Kurdistan Sud (irakeno), di "cercare
aiuto presso l'Iran e il PUK".
Una scelta quantomeno contraddittoria, voler proseguire la guerra contro la
Turchia e passare dal lato di due forze che la Turchia sta cercando di
schierare al proprio fianco contro il PKK (con i recenti incontri con il
governo iraniano e con il PDK e il PUK ad Ankara). E' a lui e all'altro
leader del gruppo, Ayhan Ciftci detto "Kucuk Zeki", che Ocalan si riferisce
in termini di "traditori" nell'articolo citato della rivista teorica
Serxwebun: non ad altri, tantomeno a chiunque sia in dissenso.
Dietro la durezza di Ocalan c'è anche, esplicitamente richiamata,
l'esperienza amara di Semdin Sakik, il comandante guerrigliero che nel '93
con un deliberato massacro di soldati turchi fece saltare il primo cessate
il fuoco e il possibile dialogo con il governo turco e che, uscito poi dal
PKK e consegnatosi al PDK e da questo alla Turchia, oggi in prigione
collabora apertamente con il regime.

Qui bisogna conoscere il contesto in cui si svolgono i fatti, nel Kurdistan
irakeno.
E' noto che il PKK ha deciso, per togliere ogni alibi ed aprire
contraddizioni nel regime turco in direzione di un possibile dialogo di
pace, di cessare unilateralmente le ostilità e di ritirare le sue
formazioni partigiane dal territorio turco. I suoi guerriglieri si trovano
ora nel Kurdistan irakeno, il cui territorio è controllato in parte dal
PDK, in parte dal PUK, e si sono trincerati in posizione difensiva sulle
montagne della zona PUK, la più lontana dalla Turchia e dalle sue
quotidiane incursioni oltre confine.
Circa due mesi fa la Comunità kurda in Italia, in cui sono presenti
esponenti di tutti i partiti kurdi, dopo un incontro con Azad emise un
angosciato appello all'unità, contro ogni conflitto fra kurdi: infatti le
drammatiche notizie dal Kurdistan irakeno parlavano di un possibile attacco
congiunto contro i guerriglieri del PKK da parte dell'esercito turco e dei
peshmerga del PDK e del PUK.
Oggi giungono notizie assai simili: si parla già di settanta morti in
scontri fra PKK e PDK, e di uno schieramento in posizione d'attacco anche
delle forze del PUK, che avrebbe inoltre arrestato venti civili militanti
del PKK. Questo avviene all'indomani dell'ennesimo incontro a Washington
fra i due partiti kurdo-irakeni e il governo Usa.
E' vero che la fonte di queste notizie è il PKK, ma è anche vero che questo
partito non avrebbe alcun interesse ad inventarle, dopo un congresso in cui
al contrario ha proposto pace e dialogo non solo al governo turco ma a
tutti i partiti kurdi e in particolare al PDK e al PUK, unici partiti kurdi
assenti dall'organismo unitario del Congresso nazionale.

Dunque nel Kurdistan irakeno la situazione è di estrema tensione e di
guerra virtuale interkurda.
E' comprensibile che in questo contesto la scelta di una formazione del PKK
non semplicemente di uscire, ma di passare armi e bagagli dalla parte del
PUK, sia tacciata di "tradimento".
Misuriamo le parole, quando parliamo di "repressione" a proposito del PKK:
non stiamo parlando di un regime, nè di un partito che controlli un
territorio, ma di un partito che sta giocando una scommessa difficilissima,
sulla difensiva, sul crinale fra pace e guerra. Un partito la cui lotta per
la libertà e la democrazia non ha alleati al mondo, come dicono i suoi
militanti, se non le loro montagne e... noi.

Ma l'accusa che viene mossa al PKK è grave: del gruppo dissidente, valutato
in sessanta persone, trenta si sarebbero rifugiati presso il PUK o in Iran,
gli altri trenta sarebbero prigionieri del PKK e minacciati di morte. Di
questi ultimi vengono forniti i nomi, ed è in solidarietà con loro che il
messaggio di Aldo Canestrari chiama a mobilitarsi.
Ovviamente ne abbiamo chiesto conto ai compagni del PKK, ed essi ci dicono
che in realtà il gruppo passato al PUK non conta più di una ventina di
elementi. Quanto agli altri, i "prigionieri", si tratterebbe di una pura e
semplice invenzione. Alcuni di loro parleranno già domenica 23 luglio
all'emittente Media Tv per smentire, come hanno già fatto sulle colonne del
quotidiano della diaspora "Ozgur Politika" il 17 luglio Zubeyde Ersoz, nota
dirigente dell'organizzazione femminile PJKK, e il giorno dopo Bedriye Tepe
detta Veloz, che ha scritto che "la candela della menzogna ha lo stoppino
corto".

Non sta comunque a noi fare gli avvocati del PKK: abbiamo solo fatto ciò
che chiunque dovrebbe fare in questi casi, chiedere riscontro di notizie
così gravi, prima di diffonderle o commentarle.
I compagni del PKK, che anch'essi stanno verificando (parliamo di persone
da rintracciare in montagna o in clandestinità), ci dicono comunque che a
un primo sguardo la lista è di militanti attivi nei ranghi del PKK.
Aggiungono che la lista è fatta integralmente di membri di famiglie ben
note nella resistenza e nella società kurda, fra cui i figli di due sindaci
e il nipote di un parlamentare in esilio. Suppongono che ciò sia stato
fatto ad arte per gettare scompiglio nel movimento kurdo. Ed hanno invitato
pubblicamente chiunque a recarsi in Sud Kurdistan e verificare di persona.

Secondo i compagni del PKK, in sostanza, si tratterebbe di una provocazione
destinata a sgonfiarsi assai presto, ma adatta a indebolirli all'interno e
isolarli all'esterno in una fase cruciale di imminente possibile
precipitazione di una dinamica di guerra. Prendiamo atto che si tratta di
una versione possibile e plausibile: certo più plausibile di quella che
vede in veste di carcerieri e giustizieri i militanti di una formazione in
lotta contro la detenzione e la pena di morte.
Attendiamo e cercheremo altre conferme o smentite con mente aperta.
Siamo convinti che la verità è sempre rivoluzionaria, e comunque doverosa,
e non esiteremo ad esercitare pubblicamente il diritto-dovere di critica
nei confronti di chiunque violi, ovunque, i diritti umani.

Per ora però, alla luce di quanto sappiamo, ribadiamo la nostra totale e
affettuosa solidarietà ai compagni e al presidente del PKK.

Fra l'altro: due giorni fa è stato chiuso dalle autorità tedesche il Centro
Kurdistan di Berlino, dopo una catena di perquisizioni provocatorie agli
esponenti di questo centro e della Mezzaluna Rossa kurda (fra cui l'arresto
di un compagno mutilato di entrambe le gambe). Non crediamo di fare della
dietrologia se poniamo una domanda: è una coincidenza casuale quella fra
minacce di guerra in Kurdistan, repressione in Germania, e diffusione di
questa storia a partire proprio dalla Germania?


Alcuni compagni dell'associazione Azad:

Dino Frisullo, Juri Carlucci e Roberta Rezzara (Roma),
Angela Bellei (Modena), Paolo Limonta (Milano),
Erminia Rizzi (Bari),Antonio Olivieri (Alessandria),
Sandro Targetti (Firenze),Carmine Malinconico (Napoli),
Alfonso Di Stefano (Catania), Paolo Zammori (Filattiera)

22 luglio 2000