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Ebrei e Vaticano
Un riserbo sin troppo cortese -
La "soluzione finale" e le deboli giustificazioni
della chiesa cattolica
FILIPPO GENTILONI - Il Manifesto, 07 Luglio 2000
Quanto si sapeva in Vaticano delle atrocità della
Shoah e, in particolare, della "soluzione finale del
problema ebraico"? E perché il Vaticano non andò mai
al di là di generici appelli alla pace, senza parlare
apertamente di ebrei e di sterminio? Sono
interrogativi che da allora tormentano non soltanto
gli storici ma tutti noi.
La risposta di Giovanni Miccoli è un testo - I dilemmi
e i silenzi di Pio XII. Vaticano, seconda guerra
mondiale e Shoah, Rizzoli, pp. 570, L. . 38.000), la
cui ricchezza e precisione di documentazione sarà
difficilmente superabile in futuro. Miccoli rimane
fedele al testo di Marc Bloch che apre la prima pagina
del volume: "Una parola, per dire tutto, illumina i
nostri studi: 'comprendere'". Da decenni Miccoli si
dedica ai "dilemmi e silenzi" - i due termini vanno
sempre accostati - del Vaticano nel corso della II
guerra mondiale. Penso, fra gli altri interventi, a un
suo lungo e articolato saggio in Fra mito della
cristianità e secolarizzazione (Marietti, 1985).
Allora Miccoli concludeva, pacatamente: "Mentre la
guerra superava per la sua spietata violenza ogni
immaginazione, e gli orrori da elencare diventavano
senza fine, coinvolgendo indistintamente militari e
civili, i documenti della Santa Sede finiscono a volte
col dare l'impressione che sia sempre e solo la guerra
- come fatto mostruoso che supera il volere dei
singoli - o al più l'umanità nel suo complesso a
subire la chiamata di correo".
Nuovi documenti e ricerche confermano quella
conclusione. Confermano anche che in Vaticano si
sapeva, anche se non si conoscevano tutti i dettagli
(si parlava di due milioni di ebrei uccisi, invece dei
sei che in seguito si è stati costretti ad ammettere:
una differenza che non avrebbe dovuto cancellare il
grido di orrore). Fra gli altri documenti che
confermano come il Vaticano fosse a conoscenza della
Shoah, si può vedere un interessante rapporto di
Monsignor Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII, allora
delegato apostolico a Istanbul, inviato a Montini. Si
vedano anche gli stessi documenti nazisti inviati a
Roma e ricevuti dall'ambasciata di Roma. Miccoli
conclude: "Su questo punto, perciò, ogni osservazione
di segno opposto si rivela soltanto come un maldestro
tentativo di diversione".
Se è così, come spiegare un insieme di interventi
vaticani che si possono dire di livello "basso", o,
comunque, insufficienti data la tragica gravità della
situazione, non soltanto in Germania, ma in tutti i
territori occupati dall'esercito del Reich e anche in
Italia? Le risposte sono molteplici. Quella che
ricorre più spesso, soprattutto nelle analisi di area
cattolica, evoca il pericolo di rischi maggiori. La
strage sarebbe stata ancora peggiore e più estesa se
il Vaticano avesse elevato il tono della protesta. Si
sarebbe resa più difficile, inoltre, l'azione di
salvataggio che molti cattolici - sacerdoti,
religiosi, laici - intrapresero un po' dappertutto con
coraggio e molti rischi. E si cita il peggioramento
della situazione verificatosi in Olanda a seguito di
un duro intervento dei vescovi contro le persecuzioni
razziali. Una difesa certamente non priva di valore,
anche se Miccoli la giudica insufficiente, di fronte
alla gravità della situazione. Fra l'altro, i molti
documenti di fonte tedesca confermano quanto i nazisti
temessero un intervento vaticano più deciso,
prevedendone una indubbia efficacia. Accanto a questa
prima giustificazione, i documenti vaticani parlano,
più o meno esplicitamente, del pericolo comunista,
valutato per lo meno alla pari di quello nazista. Fra
i due possibili vincitori della terribile guerra che
insanguina l'Europa, in Vaticano si teme soprattutto
una vittoria dell'Urss. I documenti parlano chiaro in
questo senso, mentre la condanna del nazismo si
attenua: più europeo quest'ultimo, in fondo se non,
addirittura, più cristiano.
Fanno impressione i molti documenti a favore del
nazismo firmati, soprattutto nei primi anni, dai
vescovi tedeschi (con importanti eccezioni, come
quella, molto autorevole ma inascoltata, del cardinale
di Monaco Faulhaber). Scrive Miccoli: "Il 28 marzo
1933 i vescovi tedeschi ritirarono, con una pubblica
dichiarazione, i divieti e le riserve precedentemente
formulati nei confronti del movimento
nazionalsocialista". Poi venne il Concordato che le
tristi vicende degli anni seguenti non valsero a
cancellare. Gli anni di Pacelli nunzio a Berlino,
d'altronde, non mancarono di lasciare tracce di una
certa simpatia (si può rileggere con utilità il testo
di Emma Fattorini: Germania e Santa Sede: le
nunziature di Pacelli tra la Grande Guerra e la
Repubblica di Weimar. Si veda anche la sterminata
bibliografia del volume di Miccoli).
Da non dimenticare, fra le concause dei relativi
silenzi vaticani, l'antica e sempre confermata
diffidenza nei confronti dell'ebraismo. Diffidenza e
paura, che si univa in un abbraccio alla paura del
comunismo. Sull'altro versante, invece, nonostante
tutto, l'antica fiducia per la civiltà "occidentale".
Un atteggiamento che viene puntualmente confermato dai
documenti che Miccoli cita nei confronti degli
insediamenti ebraici in Palestina. "La deplorazione e
la critica per gli eccessi dell'antisemitismo fanatico
si accompagna così all'inalterata riproposizione delle
colpe storiche degli ebrei che spiegano, appunto,
anche se non giustificano, quelle violenze".
Molte altre questioni sono studiate accuratamente da
Miccoli e qui non è possibile analizzarle. Si vedano,
ad esempio, le pagine dedicate alla discussa figura di
Monsignor Stepinac in Croazia e anche alla decisa
condanna del nazismo che Pio XI aveva preparata e che
poi, dopo la sua morte, non vide la luce. Al fondo del
"riserbo" - un termine cortese che Miccoli adopera
spesso - di Pio XII nei confronti del nazismo, una
determinata "teologia" della chiesa e della storia.
Una chiesa che deve rimanere "super partes", "senza
sporcarsi le mani" con scelte e prese di posizione.
Pronta, sempre, in fondo, ad accogliere fra le sue
braccia vincitori e vinti. Lo confermano anche le
parole del Papa nella citatissima allocuzione del
Natale 1943, nel pieno della guerra e dei lager: "Ci
sembra in questo momento più che mai necessario
ribadire il riserbo, per evitare che l'opera della
Santa Sede, rivolta al bene delle anime, corra il
pericolo, per false o mal fondate interpretazioni, di
venire travolta ed esposta ai colpi del fuoco
incrociato dei contrasti politici". Necessario, ma
insufficiente, commenta Miccoli. La necessità di
preservare la possibilità di svolgere un ruolo di
mediazione nel futuro, reso più urgente dalla minaccia
sovietica, costituì un ulteriore condizionamento
all'incisività della linea di presenza e di intervento
della Santa Sede nel corso delle vicende belliche".
Oggi, a distanza di decenni dalla Shoah, dopo il
crollo del muro di Berlino, l'insieme di quei "dilemmi
e silenzi" ci appare ancora più drammatico e gravido
di conseguenze, anche se, forse, non siamo disposti ad
accettare il duro giudizio di un pensatore autorevole
come George Steiner: "Chi si rende conto che la stessa
chiesa ha benedetto l'assassino e la vittima, che le
chiese hanno rifiutato di parlare chiaramente e hanno
seguito, nei periodi di maggior terrore vissuto
dall'uomo civilizzato, una politica di silenzio
untuoso, chi sa queste cose non si sorprende del
fallimento di qualsiasi posizione teologica" (La
nostalgia dell'assoluto, Bruno Mondadori).