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Morire di lavoro
Infortuni sul lavoro: La nostra guerra quotidiana
(da Liberazione, 14 luglio 2000)
1. I dati dell'INAIL alla Camera dei Deputati
2. Un milione di incidenti nel 1999, 220.000
coinvolgono le donne
3. Parlamento alla prova: Aspettiamo i fatti
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1. Il presidente dell’Inail Billia presenta alla
Camera dei Deputati i dati del 1999 relativi ai morti
sul lavoro, agli invalidi e alle malattie
professionali (Gemma Contin)
Va in scena la nostra catastrofe quotidiana: quella
degli incidenti mortali, degli infortuni sul lavoro e
delle malattie professionali. In tutto 5.470 morti,
oltre 3.882. 673 infortunati, 109.532 malati, nel
quadriennio 1996-1999. Con un costo sociale di 55mila
miliardi, spesi ogni anno per far fronte
all’assistenza ospedaliera, alle lunghissime
riabilitazioni e per dare corso alle pensioni di
invalidità o ai sussidi alle famiglie. Dietro i
numeri, il nome e il cognome di ciascuno di quei
morti, dei 14.000 infortunati gravi e delle 25.000
persone che solo l’anno scorso hanno contratto
malattie professionali vecchie e nuove. Dietro le
cifre, donne e uomini in carne ed ossa. Le statistiche
raccontano le storie delle loro vite perse, spesso
all’inizio dell’età di lavoro, e delle famiglie che ne
porteranno il segno per sempre: il futuro sconvolto,
annullato. Le speranze, i sogni, i progetti devastati.
E ci sono anche i nomi dei responsabili e le
localizzazioni precise delle aziende che hanno evaso
denunce e contributi assicurativi. Che hanno
interpretato la flessibilità come se si trattasse di
regole da non rispettare, norme di sicurezza da non
applicare, lavoratori da spremere, senza tutele. La
sala della Lupa è piena come un uovo, così la stampa
sciama verso le laterali, dov’è installato uno schermo
e dove arriva debole il senso del discorso. Nella
saletta antistante, una “Ultima cena” guarda triste i
giornalisti appollaiati a prendere appunti su sediole
dorate e bordò. Dal soffitto a crociera pende un
rutilante lampadario di Murano. Prima di Billia
interviene il presidente della Camera, Luciano
Violante. Dice: «Le politiche della crescita e la
competitività delle imprese non devono essere
contrapposte alla tutela della qualità della vita e
delle condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro».
Ma quali sono le condizioni - la cornice legislativa,
per rimanere nelle competenze del Parlamento - perché
la competitività, la flessibilità e la deregulation
che accompagna le liberalizzazioni selvagge non venga
pagata dai lavoratori sulla loro pelle? Il presidente
dell’Anmil (Associazione nazionale dei mutilati e
degli invalidi del lavoro), Pietro Mercandelli,
evidenzia che «il ricorso alla flessibilità significa
sempre più frequentemente contratti a tempo
determinato e lavoratori “improvvisati”, che non
conoscono i rischi e le misure di sicurezza. E,
inoltre, la esternalizzazione dei processi produttivi
non fa che provocare una più feroce concorrenza
soprattutto nelle piccole e medie imprese, dove si
verifica il maggior numero di incidenti». Quando
comincia a parlare nella sala dorata il presidente
dell’Inail, Gianni Billia, ha la voce dura. Racconta
senza il minimo velo di rassegnazione il massacro di
quegli uomini, il disastro del lavoro e la follia
economica che si consuma nelle imprese dove non si
rispettano le norme sulla sicurezza. Parla
dell’esperienza italiana e di quella tedesca: di un
rapporto oneri-salari dell’1,42 in Germania e del
2,13% in Italia; ma anche di 4.500 ispettori tedeschi
contro gli 800 italiani. Parla di regole e di rispetto
dell’individuo; di meccanismi e passaggi che vanno
dall’inizio alla fine della filiera produttiva, nel
gioco degli appalti e subappalti, fino alla perdita
dei confini della responsabilità diretta, dal momento
in cui un lavoratore viene “preso in carico” fino alla
denuncia nominativa degli infortuni, compresi i dati
dell’azienda e dei responsabili, dei contesti
ambientali e delle condizioni operative che hanno
portato all’incidente. Dice che «la flessibilità
lasciata al mercato senza controllo manda i lavoratori
allo sbaraglio, anche per quanto riguarda la cultura
della sicurezza». Prefigura, Billia, un welfare attivo
e la lotta al lavoro nero, che si porta sempre dietro
lavoro insicuro. «Il problema del sommerso è “il
problema” - dice - condiviso anche dalla
Confindustria». Riguarda soprattutto gli
extracomunitari e vale 1.600-1.800 miliardi di
evasione assicurativa antinfortunistica e 500 miliardi
di elusione l’anno. Un onere che le aziende si
scrollano di dosso, assieme ai 55mila miliardi di
costo dei danni; ma che rappresenta una perdita di
ricchezza, per eventi lesivi, pari al 3% del Pil. Una
grave “diseconomia” nazionale, se non bastassero quei
1.300 “morti ammazzati”.
Gemma Contin
2. Un milione di incidenti nel 1999, 220.000
coinvolgono le donne (Castalda Musacchio)
1300 morti per lavoro
In Italia si verificano circa un milione di infortuni
all'anno, di questi 1.300 sono mortali ed oltre 30.000
determinano un’invalidità permanente. Ci sono state
872mila denunce d’infortuni nel 1999 nel settore
industriale e dei servizi. Al 25 marzo 2000 si è
arrivati a 560mila casi indennizzati con un incremento
percentuale del 4,5% rispetto al ’99. Non solo, questi
dati vanno letti anche in riferimento al “sommerso”
che, nel nostro Paese, riguarda dai 3 milioni e mezzo
ai 5 milioni di lavoratori ed è pari al 15-25% della
popolazione attiva. I “costi umani” del lavoro sono
ancora troppo alti, una «realtà inaccettabile» anche
per il presidente dell'Inail, Gianni Billia, che ieri,
a Roma, ha presentato il primo rapporto annuale
dell'istituto di assicurazione contro gli infortuni
sul lavoro. Nel 1999, l’evasione Inail ammonta a 1600-
1800 miliardi a cui -sottolinea lo stesso Billia -
vanno aggiunti 300-400 miliardi annui per il settore
agricolo, mentre, è ancora più difficile da valutare
la parte relativa all’elusione, stimata in non meno di
500 miliardi annui. Ed in questo primo bollettino di
guerra non consola certo sapere che i dati
infortunistici italiani appaiono in linea con le medie
europee (4.179 casi superiori a tre giorni di assenza
dal lavoro per 100.000 addetti contro 4.229 per
l'intera Unione Europea), anzi, i dati italiani, ad
uno sguardo più attento, sono addirittura più
“consolanti” se si restringe l’analisi alla sola area
dell’Euro; ma ciò vuol solo dire che in tutta Europa
la sicurezza sul lavoro è una vera e propria
emergenza. E l’Italia, non diversamente dagli altri
paesi Europei, perde, per eventi lesivi legati
all’attività professionale, una quantità di ricchezza
pari al 3% del suo Pil. Il dato infortunistico è
ancora più impressionante se lo si analizza nelle sue
componenti: su un totale di 1.001.120 infortuni
verificatisi nel corso del 1999, 220.465 colpiscono le
donne e, di questi, 108 sono casi mortali. Se si
analizzano ancora i dati con uno sguardo al femminile
si nota ancora che le donne tra i 18 ed i 34 anni sono
quelle più colpite nel settore industriale e dei
servizi (88.636 eventi infortunistici verificatisi nel
1999 e 4.020 in Agricoltura), ed oltre 4mila sono le
minorenni che vengono segnate da eventi
infortunistici. Anche tra gli uomini il dato che
colpisce di più è quello della popolazione minorile
che è così tanto esposta ad incidenti sul lavoro: sono
oltre17mila i minori infortunati in fabbrica e 421 nel
settore agricolo. Fra gli apprendisti, in genere, si
sono contati oltre 27mila infortuni, 537 dei quali
hanno comportato un’inabilità permanente. Fra i
macrosettori, quello più esposto ad incidenti sul
lavoro è quello industriale e dei servizi (893.523
sono gli incidenti sul lavoro segnalati) anche se il
minor numero di infortuni sul lavoro agricolo (90.872)
è direttamente collegato alla costante diminuzione del
numero degli addetti. Il settore che è il più
rischioso è ancora quello industriale se si analizza
il dato della mortalità (sono 1.150 i casi mortali
verificatisi nel corso del 1999) ma anche il settore
agricolo non ha basse percentuali di morti sul lavoro:
sono 150, infatti, gli incidenti mortali verificatisi
in questo settore. Se, ancora, nelle aziende non
artigiane accadono circa mezzo milione di infortuni
ogni anno (479.713), in quelle artigiane se ne
verificano più di 150.000. Percentualmente sono le
aziende di piccole dimensioni quelle a maggior
rischio. Da un punto di vista territoriale - si legge
ancora nella relazione del presidente Billia - «è il
Mezzogiorno che mostra il maggior numero di incidenti
mortali o aventi per effetto una disabilità
permanente», anche se tra le Regioni per casi mortali
sul luogo di lavoro spicca la Lombardia (con 84
incidenti), seguita dall'Emilia Romagna (49) e dalla
Toscana (43). Per quanto riguarda l’analisi per area
geografica di provenienza sulla popolazione totale, su
469.609 eventi infortunistici verificatisi nel 1999 in
Italia e che riguardano lavoratori regolarmente
assunti, 17.689 incidenti infortunistici sono a carico
di extracomunitari. Il rapporto delinea anche le nuove
tendenze del mondo del lavoro. Se si analizzano i dati
relativi alle assunzioni, quello che sorprende è che
su un totale di 2.177.442 iscritti all’Inail, 125.134
sono lavoratori extracomunitari, una cifra che più di
ogni altra sottolinea l'importanza che nell’“azienda
Italia” vanno sempre più assumendo gli immigrati. Di
grande importanza ancora è l’attenzione verso il
fenomeno delle malattie professionali. «Un fenomeno -
sottolinea Billia - in apparente riduzione, ma che, in
realtà, esprime una grande difficoltà di analisi
statistica». Sono 24.262 le malattie professionali
denunciate nel corso del 1999 in Italia nel settore
industria e servizi e 907 in agricoltura. Per quanto
concerne la ripartizione territoriale 6.596 riguardano
il Nordovest, 5.878 il Nordest, 5.294 il Centro, 4.744
il Sud e 1.750 le isole.
Castalda Musacchio
3. Parlamento alla prova: aspettiamo i fatti (A. Curzi)
Per una volta quella che noi abbiamo chiamato la
“Guerra del Lavoro” ha avuto l’onore che si riserva
alle grandi notizie, e non per una nuova strage o per
un nuovo confronto europeo che vede l’Italia in
cattiva posizione. Per una volta i dati agghiaccianti
degli infortuni, delle invalidità permanenti, delle
morti non sono serviti all’ennesima denuncia. C’è
stata anche questa, e forte. Ma hanno fatto da base di
lancio per una strategia ed un impegno volti a
ricondurre il fenomeno infortunistico entro limiti
accettabili, per quanto possa essere accettabile una
negatività, quando almeno si è tentato con
responsabilità di contrastarla. Il fatto che l’Inail
sia stata invitata a presentare il suo primo Rapporto
a Montecitorio, sponsor il presidente della Camera
Luciano Violante e il ministro del Lavoro Cesare
Salvi, non rappresenta una pura formalità. Si è scelta
una sede alta e il Rapporto, illustrato dal presidente
dell’Inail Gianni Billia dovrebbe essere, e noi
speriamo sarà, di quelli che lasciano il segno. Siamo
abituati alle molte parole della politica alle quali
non seguono i fatti; agli impegni che per una solida
ragione o per cinica incoerenza non vengono mantenuti.
Ma la tensione, che abbiamo colto in tutti coloro che
hanno parlato e nell’uditorio, ci fa sperare che
stavolta i fatti seguiranno. Almeno se è stata
sincera, e ci pareva di sì, la vergogna di
ricapitolare il lavoro umano in cifre che sanno di
sangue e di lunghe sofferenze, e se altrettanto
sincera è stata, e ci pareva di sì, la presa di
coscienza che nessun obiettivo di crescita economica
può comportare uno sfruttamento della risorsa uomo che
ne contempli la rovina o l’annientamento. I
lavoratori, il sindacato, il nostro partito, tutte le
sinistre terranno gli occhi aperti. “Liberazione” che
ha alzato la bandiera della lotta agli infortuni sul
lavoro la terrà bene in mostra. Con ogni mezzo, anche
con il suo piccolo “osservatorio” quotidiano, che
(così ci piace credere) ha ispirato lo stesso Inail a
fare altrettanto.
Alessandro Curzi