Negata dal presidente polacco la cattedra a un ricercatore per i suoi studi sull'Olocausto. In Polonia chi indaga sulle complicità storiche filonaziste e antisemite è passibile di processo



Andrzej Duda, presidente polacco molto vicino al partito conservatore Diritto e Giustizia (PiS), attualmente al governo, si è rifiutato di firmare il documento che avrebbe concesso la piena abilitazione all’insegnamento al ricercatore Michał Bilewicz.

Bilewicz, a capo del Centro per lo Studio del Pregiudizio dell’Università di Varsavia, si è occupato del secondo conflitto mondiale in Polonia. In particolare, gli ultimi lavori di Bilewicz analizzano la psicologia sottesa all’Olocausto, inserendo nella sua ricerca, oltre agli occupanti tedeschi, anche cittadini polacchi appartenenti alla “zona grigia”. Altri studi indagano invece la tendenza di alcuni paesi ad eliminare in toto i secoli più bui della loro storia.

L’iter per l’accesso all’insegnamento in Polonia è molto preciso: oltre alla laurea e al dottorato è richiesto un attestato che viene rilasciato da un comitato centrale sulla base di revisioni esterne. Tutto ciò in seguito al dottorato di ricerca. Infine, la firma del Presidente.

Questo ultimo sigillo permette al capo dello stato polacco di interferire nella vita accademica del paese, riservandosi il diritto di limitare la carriera di studiosi lontani dalla narrazione governativa sugli avvenimenti del secolo scorso. Il caso di Bilewicz non è il solo: anche Walter Żelazny, sociologo e attivista, critico della presidenza Duda, si è visto rifiutare la firma per quattro anni.

Le motivazioni del presidente sono abbastanza deboli: la mancata approvazione sarebbe giustificata dal fatto che molti altri professori provengano dalla stessa università di Bilewicz. Ad intervenire nel dibattito è stato, poi, anche il Centro per lo Studio della Giustizia Sociale di Oxford, che in una lettera aperta chiedeva a Duda di firmare l’abilitazione.

Anche se gli interventi governativi sulla questione si limitano a provvedimenti più o meno velati, una legge del 2018 prevede un periodo di carcerazione per i ricercatori che ammettono la compartecipazione delle autorità o dello stato polacco all’Olocausto – per quanto poi la legge sia stata modificata e sia stata esclusa la componente carceraria. Di recente, la corte polacca ha chiesto le scuse formali di due ricercatori che avevano approfondito il caso di un sindaco di un villaggio polacco, reo di aver consegnato la comunità ebraica della sua giurisdizione all’invasore nazista.

L’intero periodo del conflitto mondiale e del primo dopoguerra rimane un argomento tabù per molti studiosi, che temono ripercussioni in ambito accademico e lavorativo.
È ormai evidente che nel paese si voglia rafforzare la narrazione che vede la Polonia esclusivamente come vittima innocente della deportazione della popolazione ebraica, ignorando di fatto un problema – l’antisemitismo – comune a molti paesi dell’Europa Orientale.

Fonte: https://www.eastjournal.net/archives/126163