Rassegna stampa: La guerra dei cereali Ora il mondo ha fame.



a cura di AltrAgricoltura Nord Est
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tratto da "Corriere.it" - 14 aprile 2008
La guerra dei cereali Ora il mondo ha fame.
Il raddoppio dei prezzi di mais, grano e riso ha scatenato rivolte in decine
di Paesi.

NEW YORK — In Egitto 12 mila persone sono state arrestate perché vendevano
farina al mercato nero. Nelle Filippine, in preda a una crisi alimentare
gravissima, il governo minaccia di condannare all'ergastolo chi si accaparra
il riso per rivenderlo, poi, a prezzi maggiorati. Ovunque — dall'Africa al
Pakistan, dalla Thailandia al Messico — i cereali, nuovo oro dei campi,
vengono protetti come un bene prezioso: nell'imminenza del raccolto, i
terreni sono sorvegliati da guardie armate. Fino a ieri nel nostro ricco
Occidente ci siamo occupati quasi solo degli alti prezzi petroliferi,
allarmati dal rincaro del pieno di benzina. Certo, continuavano ad aumentare
anche pane e pasta, ma il cibo incide solo per il 15-18 per cento sul
bilancio di una famiglia europea (10-14% per quelle Usa). Ora,
all'improvviso, scopriamo che il raddoppio dei prezzi di grano, mais, riso e
soia sta sconvolgendo il mondo: Stati che credevano di aver sconfitto la
fame ripiombano nella situazione di qualche decennio fa.

RISCHIO GUERRA CIVILE - La Fao, l'organizzazione alimentare dell'Onu,
denuncia che in Africa, Asia e America Latina, 36 Paesi rischiano la guerra
civile. Sono nazioni poverissime nelle quali la gente
(Afp)
spende più della metà del suo reddito (spesso i due terzi) per alimentarsi.
In molti casi — da Haiti al Kenia — sono già scoppiate gravi rivolte
sanguinose. I governi reagiscono con misure di polizia e con blocchi
dell'export che stanno sconvolgendo il commercio internazionale in un
periodo già reso tumultuoso dalla crisi del credito e dalle tempeste
valutarie: Cina e Vietnam, grandi produttori di riso, hanno deciso di
limitare le vendite all'estero. La Russia ha bloccato per 60 giorni l'export
di grano. L'Argentina tassa sempre più pesantemente le esportazioni dei suoi
agricoltori nel tentativo di bloccare la crescita dei prezzi sul mercato
interno. Credevamo di aver avviato a soluzione — se non quello della
povertà — almeno il problema della fame: certo, nel mondo ci sono ancora un
miliardo di persone malnutrite, ma nei 15 anni che vanno dal 1990 alla metà
di questo decennio il loro numero è calato di ben 278 milioni. Un trend
positivo che sembrava destinato a durare. La fame era ormai considerata la
conseguenza non della scarsità di cibo ma dell'incapacità di distribuirlo
correttamente e di aiutare i poveri in modo efficace: i depositi, infatti,
erano pieni, tanto che l'economista e premio Nobel Amartya Sen poteva
sostenere che, mettendoli uno vicino all'altro, i sacchi di grano e riso
della riserva strategica statale indiana avrebbero coperto la distanza fra
la Terra e la Luna e ritorno. Oggi, invece, quelle riserve sono decimate e
l'India, nuova potenza dell' industria e dei servizi informatici, osserva il
cielo col fiato sospeso: tra qualche settimana, col monsone, arriverà il
raccolto che deve sfamare un miliardo e cento milioni di persone.

MUTAMENTI CLIMATICI - Ma i mutamenti climatici stanno rendendo irregolare
questo ciclo. Se il monsone arriverà in forma attenuata, come nel 2002, il
raccolto potrebbe ridursi del 20 per cento: 30 milioni di tonnellate di
grano in meno. Sarebbe un disastro. Come detto, infatti, le scorte sono
all'osso e i mercati in questo momento sono disertati dai grandi produttori.
Le autorità indiane tremano e si pentono della loro scarsa lungimiranza. Non
sono le sole: dopo la «rivoluzione verde» degli anni '70 che raddoppiò il
rendimento dei campi in tutto il Terzo mondo, la produzione è rimasta
stazionaria. Colpa dei governi ma anche delle agenzie internazionali che
hanno smesso di promuovere gli investimenti nello sviluppo dell'agricoltura.
Quando i consumi hanno cominciato a salire per il maggior ricorso a
biocarburanti a base di mais e per l'aumento della domanda da parte di Paesi
emergenti come Cina e India, non è rimasta altra soluzione che ricorrere a
queste riserve. I governi che, scossi dalla crisi, reagiscono tutti con
misure repressive all'interno e bloccando l'export, danno una risposta miope
che elude il problema centrale: la necessità di aumentare la produzione. Per
di più, la loro azione impedisce al commercio internazionale di funzionare
da fattore di riequilibrio almeno parziale tra domanda e offerta. Risposta
miope ma comprensibile: per i governi che rischiano di saltare per il
malcontento delle popolazioni, quello della scarsità delle derrate è
soprattutto un problema politico. Più che di interventi strutturali, oggi
hanno bisogno di segnali visibili e di efficacia immediata. E' il caso
dell'Egitto: pressato da tempo dagli integralisti islamici, il reg ime di
Mubarak ha usato il pugno di ferro contro le speculazioni sulla farina e ha
bloccato l'export di riso. Nulla che serva a risolvere il problema nel lungo
periodo, ma intanto sul mercato domestico il prezzo del riso, che era
passato da 200 a 430 dollari la tonnel-lata, è sceso di 100 dollari.
L'effetto-calmiere di simili misure sarà, però, solo momentaneo, così come
momentaneo sarà l'effetto del versamento straordinario di 500 milioni di
dollari a favore del World Food Program che l'Onu ha richiesto ai Paesi
donatori: la Banca Mondiale avverte, infatti, che il fenomeno dell'impennata
dei prezzi ci accompagnerà per anni. Le quotazioni continueranno a salire
almeno fino al 2009 e poi si stabilizzeranno. L'eventuale contrazione non
arriverà prima del 2015.

ADDIO PREZZI BASSI - Ma possiamo dimenticarci i bassi prezzi degli ultimi
trent'anni. Nell'immediato, paradossalmente, si spera nella recessione Usa:
rallentando la crescita dell'intera economia mondiale, potrebbe alla fine
frenare anche il «boom» della domanda alimentare dell'Asia. Dove, però, per
ora, la rapida crescita di Cina e India sta spingendo i ceti benestanti di
quei popoli ad inseguire anche a tavola i modelli di consumo dei Paesi
ricchi. C'è, poi, la spinta ad assorbire volumi crescenti di mais per la
produzione di biocarburanti: un fenomeno che non si arresterà, anche se gli
americani si stanno rendendo conto che l'etanolo riduce sì la dipendenza
energetica degli Usa, ma ha un impatto negativo sull'ambiente, soprattutto
per il grande assorbimento di risorse idriche. Alla fine si torna sempre
alla necessità di aumentare la produzione cerealicola. Ma in giro per il
mondo di terreni coltivabili ce ne sono rimasti ben pochi. Per questo il
presidente della World Bank, Robert Zoellick, chiede ai Paesi più colpiti di
avviare una nuova «green revolution», capace di incrementare in misura
significativa le rese per ettaro coltivato. Musica per i sostenitori degli
Ogm: fin qui il mondo si è diviso in due, con l'Europa fermamente contraria
alla loro diffusione. Ma con la fame che si riaffaccia e l'industria chimica
che prepara molecole di seconda generazione, capaci di far crescere i
cereali anche in condizioni di siccità, tutto cambia. (di Massimo Gaggi)
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