Commercio Equo e Solidale sul Financial Times: un commento.



Commercio Equo e Solidale sul Financial Times: un commento. Un’inchiesta in
seconda pagina con richiamo in prima sul Financial Times, ripresa da Il Sole
24 Ore del 9 settembre, mette sul tavolo degli imputati il processo di
certificazione equa ed apre una serie di inquietanti interrogativi.
L’inchiesta di Weitzman riguarda il caffè certificato da Fairtrade (e non
solo) e prova come la certificazione possa mostrare falle e contraddizioni
alle quali è necessario dare una riposta adeguata: lavoratori stagionali
assunti ad un salario sotto il minimo legale (che spesso rischia di essere
più basso del salario minimo vitale), alcune partite di caffè venduto come
certificato proveniente da piantagioni non certificate. Poco ci deve
consolare se gli stagionali erano pagati comunque di più rispetto al
contesto del paese (10-12 soles all’ora contro gli 8 normalmente
riconosciuti nella filiera convenzionale). Le risposte di Luuk Zonneveld,
direttore di FLO (l’organismo con sede a Bonn che detta gli standard per la
certificazione equa dei prodotti), sono largamente insufficienti.
E’ vero, è necessario contestualizzare. I certificatori non coprono tutto il
mercato equo e solidale: ne esiste un’altra fetta rappresentata dalle
organizzazioni che sta lavorando per regole chiare e condivise, anche
assieme a vari parlamenti (come la proposta di legge italiana o la direttiva
dell’Unione Europea) e che cerca di monitorare tutta la filiera dal
produttore fino al rivenditore più che limitarsi alla certificazione dei
soli prodotti. I criteri riconosciuti dalle singole organizzazioni sono
molto articolati, così come lo sono i rapporti con i produttori, e
l’obiettivo che si sta perseguendo porterà ad una migliore definizione delle
procedura di verifica e alla messa in campo di monitoraggi indipendenti.
E se la contestualizzazione è necessaria, va ricordato il confronto serrato
all’interno del movimento equo sulle strategie per lo sviluppo del mercato.
Sono proprio le organizzazioni italiane riunite in AGICES, assieme al
certificatore italiano Fairtrade/Transfair e a diverse realtà francesi e
spagnole, che spingono per un ragionamento sulla sostenibilità futura
dell’equo: l’entrata di grandi gruppi della distribuzione agroalimentare
nella filiera (il Financial Times cita Kraft, sostenuta da Rainforest
Alliance, Ong che non fa parte del sistema dell’equo e solidale, ma non è
difficile dimenticare Nestlé o Starbucks o alcune catene della grande
distribuzione) impone ai contadini ritmi di produzione ai limiti della
sostenibilità, quantitativi sempre crescenti, sollecitazioni a cui i
produttori, a volte, rispondono con le pratiche classiche del mercato:
diminuzione dei costi, fornitura di stock di bassa qualità se non
addirittura non certificati. Una realtà che stimola domande a cui FLO e lo
stesso Zonneveld dovranno dare risposta.
E la questione, molto concreta e poco ideologica, sembra trovare alcune
risposte nella strada italiana: partenariati tra piccoli produttori e
organizzazioni del nord basati su una calibratura delle capacità produttive
e dello sviluppo dei progetti. La stessa Transfair/Fairtrade Italia, in una
recente dichiarazione del suo presidente Poletti sulla partecipazione alla
fiera di Eurochocolate, ha chiarito una sua non disponibilità a collaborare
con le multinazionali, aprendo invece alle piccole imprese.
Ma queste sono le questioni a monte e le possibili risposte a valle. A mezzo
versante rimane una certificazione non a prova di errore. Comprensibile,
vista la fallacia di ogni sistema umano, ma preoccupante se non si procede
in maniera spedita verso una correzione dei problemi.
Rimane curioso come il Financial Times riesca a fare una buona inchiesta
sugli elementi di crisi, ma non contestualizzi rispetto agli elementi di
eccellenza che pure ci sono, basterebbe sfogliarsi le recenti ricerche di
autorevoli Università a livello internazionale (in Italia ricordiamo la
Cattolica, la Bicocca di Milano e Tor Vergata di Roma) e come riesca a fare
confusione tra Commercio equo e Commercio etico, quest'ultimo meno rigoroso
sugli standard del primo (che c'entra la Rainforest Alliance con FLO?).
Non va dimenticato che il mercato equo rappresenta un tentativo di modifica
di un’economia che ci propone Enron o Parmalat, il lavoro schiavo nonostante
Lincoln sia mummificato, la sicurezza alimentare come una chimera, basti
pensare alla presunta contaminazione da pesticidi in India in partite di
Coca Cola e Pepsi Cola.
Ogni tentativo porta con sé avanzamenti e problemi e a questi limiti di
sistema si dovrà mettere mano in maniera efficace, tenendo in considerazione
tutte le cause che li determinano a cominciare dall’insostenibilità di
alcune strategie commerciali per uno sviluppo armonico e coerente del
mercato, per arrivare alla definizione oramai necessaria di un controllo
indipendente (percorso già intrapreso, ma come si può intuire i processi per
essere sostenibili hanno bisogno di tempo).
Non sarà tutto oro quello che luccica. Ma tra l’oro e l’ottone esistono una
miriade di altri metalli preziosi che hanno un loro valore intrinseco. Sta
noi presentarli in maniera adeguata, sta agli altri leggerli in maniera non
partigiana.
Alberto Zoratti