Lavoratori dell'"Ethical Coffee" pagati meno del salario minimo



Lavoratori dell'"Ethical Coffee" pagati meno del salario minimo
di Hal Weitzman per il Financial Times (8 settembre 2006)
l'inchiesta integrale su www.faircoop.it/fairwatch.htm cliccando su "ultime
notizie"

Il caffè etico è prodotto in Perù, il più grande esportatore al mondo di
caffè Fairtrade, da lavoratori pagati meno del salario minimo legale.
Fonti interne all'industria hanno dichiarato al Financial Times che partite
di caffè non certificato sono state contrassegnate ed esportate come
Fairtrade, e che del caffè certificato è stato illegalmente piantato in una
foresta pluviale protetta. Tutto ciò pone dubbi sul processo di
certificazione utilizzato da Fairtrade e da altri marchi simili che
richiedono ai produttori di pagare un salario minimo.
Questo pone questioni sulle assicurazioni che i certificatori danno su come
il caffè fairtrade è prodotto.
Un membro del direttivo di una delle organizzazioni di produttori di caffè
fairtrade peruviano ha detto al FT: "Se nessun certificatore può garantire
che coprirà il 100% della produzione di una cooperativa, così come possono
garantire che ogni pacco verrà prodotto in coerenza con i loro standard?"
Sebbene il caffè certificato copra meno del 2% del mercato globale del
caffè, ma si è ampliato nel momento in cui grandi rivenditori come Starbucks
e Mc Donald lo hanno adottato. Il FT ha visitato cinque piccole piantagioni
peruviane, ognuna delle quali presenta una certificazione Fairtrade. Ognuna
assume 15-20 lavoratori stagionali durante il periodo della raccolta. Tutte
danno vitto ed alloggio ai loro lavoratori, che permette loro di dedurre il
30% dai loro salari. Dopo tale riduzione dal salario minimo legale per i
lavoratori agricoli stagionali di 16 soles (circa 5 Us$), i produttori sono
ancora obbligati a pagare almeno 11.20 soles al giorno. In quattro delle
cinque piantagioni visitate dal FT, i raccoglitori ricevevano 10 soles al
giorno, mentre la quinta pagava i lavoratori 12 soles al giorno.
Luuk Zonneveld, direttore della Fairtrade Labelling Organizations
International (FLO), l'organismo con sede a Bonn che gestisce gli standard
del Commercio equo, ha dichiarato al FT che il sistema di certificazione
"non è a prova di errore e di debolezza", ma ha precisato che il problema
dovrebbe essere contestualizzato.
"I contadini poveri spesso arrancano per pagare i loro lavoratori in maniera
equa", ha detto. "Perchè ci sono lavoratori stagionali? Ci sono problemi più
ampi, dietro. Abbiamo la necessità di chiedere perchè questa situazione va
avanti e cosa possiamo fare per risolverla".
Un certo numero di insiders dell'industria hanno dichiarato al FT di essere
stati testimoni di frodi all'interno del sistema di certificazione che
sarebbero risultate nel caffè esportato come certificato, sebbene
proveniente da piantagioni non certificate. Così come di caffè Fairtrade
piantato in riserve forestali protette nella giungla del nord del Perù.
Usando la mappatura satellitare, un'Organizzazione non governativa canadese
ha trovato che circa un quinto di tutta la produzione di caffè di
un'associazione di Fairtrade è piantata illegalmente in una zona di foresta
pluviale protetta.