[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
rassegna stampa: C'È UN INTRUSO NEL PIATTO
- Subject: rassegna stampa: C'È UN INTRUSO NEL PIATTO
- From: "Altragricoltura" <altragrico at italytrading.com>
- Date: Wed, 27 Apr 2005 21:27:30 +0200
a cura di AltrAgricoltura Nord Est ---------------------------------- tratto da "Green Planet" - 26/04/05 C'È UN INTRUSO NEL PIATTO Coloranti, conservanti, pesticidi... «Quando si parla di mercato globale l’ allarmismo è pienamente giustificato», dice Felicity Lawrence, autrice di un fresco libro-inchiesta. «Comprando da piccoli produttori si limita l’ agricoltura intensiva e il trasporto insensato di merci da tutto il mondo. E si mangia meglio». Il biologico? Sì, ma... C’è un intruso nel piatto. Coloranti, conservanti, pesticidi, zuccheri: servono a rendere più bello ciò che troviamo sugli scaffali. Ma l’etichetta spesso non lo dice Articolo di Raffaele Panizza Una volta arrivava la primavera, e dopo la primavera l’estate, che da giugno a settembre significava decine di albicocche e susine da mangiare fino a non poterne più. Adesso gli stessi frutti li vediamo tutto l’anno sugli scaffali dei supermercati. Albicocche gialle, dure come il pane secco, perfette a vedersi. Arrivano dal Sud Africa, via aerea, per poi essere preparate e confezionate in una catena infinita di intermediari e stabilimenti di imballaggio. È l’estate perenne a cui ci siamo ormai abituati, che ha portato con sé la rivoluzione dei consumi e dei costumi più grande dai tempi della macchina a vapore. Almeno secondo Felicity Lawrence, scrittrice e inviata del quotidiano inglese The Guardian sui problemi della grande distribuzione e del mercato globale dei generi alimentari, che ha scritto una sorta di No logo del mondo dell’alimentazione intitolato "Non c’è sull’etichetta. Quello che mangiamo senza saperlo", Einaudi. E in effetti si scopre che, decisamente senza saperlo, mangiamo tutti i giorni ogni tipo di veleno, alla faccia delle assicurazioni sui controlli e sulle norme relative alla tracciabilità dei prodotti entrate in vigore lo scorso gennaio: pesticidi che rischiano di modificare la struttura dell’ utero femminile; grassi, zuccheri, olii e amidi nascosti o super raffinati che aumentano l’incidenza di obesità e problemi cardiovascolari; coloranti cancerogeni come il Sudan 1 -messo al bando dall’UE nel 2003 e oggi al centro di uno scandalo nel Regno Unito -usato per adulterare la polvere di peperoncino contenuta nella salsa worcester. Ma Lawrence si spinge oltre. E denuncia i supermercati che vendono sottocosto molti prodotti per sbaragliare la concorrenza dei piccoli negozianti. E pagano prezzi sempre più bassi ai fornitori che, di fatto, finanziano con le proprie tasche le varie promozioni tipo 3x2 e si vedono continuamente ridotti i margini di guadagno. Tutto questo ha effetti rovinosi sul mercato del lavoro. I coltivatori non possono investire quanto è necessario per grantire la sicurezza, condizioni igienico sanitarie adeguate, e diritti minimi per i lavoratori stagionali. «Quando si parla di mercato globale dei prodotti», dice Lawrence con scarsa voglia di apparire rassicurante, «l’allarmismo è ampiamente giustificato». E poi continua: «Occorre essere in possesso di un dottorato per interpretare le etichette. Secondo la legge europea, se un ingrediente è presente per meno del 2 per cento in un prodotto non è obbligatorio indicare come è stato ottenuto. Si può leggere “salsa di pomodoro”, senza sapere con quali additivi, o amidi lavorati, o coloranti questa è stata davvero prodotta». Lattuga al cloro E giusto per non incorrere nel luogo comune del “ma chissà cosa mangiano questi inglesi”, facciamo il gioco di spedirle a Londra un fax con qualche etichetta nostrana: ragù alla bolognese, paella pronta, pane bianco a fette, formine di merluzzo impanate, lattuga già lavata e asciugata, brodo istantaneo vegetale. Ed ecco Felicity, chiamata a nozze, che risponde: «Di solito l’insalata in busta viene lavata dentro vasche con una percentuale di cloro dieci volte superiore a quella di una piscina olimpionica. Per essere conservata, viene posta in un’atmosfera protetta, con ossigeno al minimo e anidride carbonica al massimo. Secondo gli studi - tra cui quello condotto dall’Istituto per la nutrizione di Roma - questo procedimento ne distrugge gran parte delle proprietà nutritive. Per il pane industriale, posso dire che, letteralmente, i maiali mangiano meglio di noi: il loro mangime è ricavato dal germe del grano, che è ricco di olii sani e nutritivi, che invece viene scartato nella creazione di pane bianco. Nel brodo per bambini si parla di amidi: ma quali sono? Mentre nel sugo si dice “amido di mais”, uno dei prodotti più frequentemente utilizzati per adulterare i prodotti: si tratta di zuccheri raffinati, e fanno male. Idem nella paella: c’è amido di frumento e sciroppo di glucosio. Poi latte scremato reidratato, estratto di lievito. Non esattamente gli ingredienti di una paella fatta in casa». Mele truccate Ma anche per gli alimenti “freschi” le cose non vanno meglio. Mangiamo mele sottoposte a rigidi controlli di bellezza perché i supermercati non accettano frutta e verdura né più piccola né più grande né più opaca di come hanno stabilito nelle loro guide di prodotto. C’è un’azienda olandese, la Greefa, che vende in tutto il mondo calibratori per valutare la perfezione estetica della frutta. Ha una sede anche in Italia e non a caso in Trentino. I suoi macchinari scattano centinaia di fotografie alle mele mentre scorrono sui nastri, per verificare che la superficie sia liscia come una palla da biliardo. Per valutare poi la consistenza del frutto ci sono i penetrometri. Più è duro, più il supermercato si garantisce un tempo lungo di esposizione sugli scaffali, prima che si deteriori. «In alternativa i responsabili acquisti dei supermercati chiedono al produttore di cogliere il frutto ancora più acerbo. Poi ci si lamenta che, una volta a tavola, non sappia più di niente», chiosa la Lawrence. Ne abbiamo parlato con Lorenzo Bazzana, responsabile economico Coldiretti, ma a lui sentire queste storie non fa più nessun effetto: «Questo è il minimo. Alcuni si spingono anche a pretese assurde, pena la rescissione del rapporto di lavoro. Pretendono di decidere quali prodotti vadano usati per migliorare le colture, e persino se e ogni quanti metri debbano essere posti dei cestini di rifiuti nei campi di raccolta. Con l’allargamento del mercato e l’arrivo dei capitali stranieri queste politiche sono destinate a divenire ancora più aggressive». Esselunga, interrogata per fornire chiarimenti su queste pratiche da casting di bellezza, ha scelto di non dare spiegazioni. Schiavi moderni In sostanza, spiega Lawrence, i supermercati decidono il prezzo e, quasi liberi da ogni legge contrattuale, pretendono forniture a seconda delle proprie esigenze che possono cambiare in tempo reale. È direttamente col codice a barre utilizzato alla cassa che gli ordini vengono aggiornati. Se c ’è un picco di vendita nei pomodori, ecco che il fornitore deve essere in grado di fornirli. Se li ha finiti, li compra all’estero e li rivende al supermercato, e in gran parte dei casi il saldo della transazione sarà a suo sfavore. Per far fronte a questi capricci, c’è bisogno di manodopera flessibile e servizievole. Ossia straniera. Spesso e volentieri fornita dai caporali, personaggi dall’attitudine mafiosa che hanno in pugno migliaia di persone che fanno viaggiare per tutta Europa all’inseguimento delle stagioni. «Nel sud della Spagna, centinaia di immigrati irregolari aspettano tutto il giorno sul ciglio della strada, con la testa spaccata dal sole, in attesa che i furgoni dei produttori li carichino» racconta Lawrence, «Poi, finita l ’interminabile giornata di lavoro, vanno a dormire nelle bidonville costruite vicino ai campi». In Italia i consulenti della Flai (Federazione lavoratori agroindustria) - sindacato di categoria in seno alla Cgil - stanno conducendo in questi mesi un’inchiesta sui flussi di manodopera irregolare immigrata. I primi risultati mostrano che da noi la situazione è altrettanto grave, con situazioni di degrado inaccettabili. Nel comune di San Gervaso, in provincia di Potenza, da agosto a settembre arrivano più di mille lavoratori su un totale di seimila abitanti, impiegati nella raccolta dei pomodori (le quote d’ingresso previste per legge parlano di poche centinaia). Situazione a rischio anche verso la zona tra Battipaglia ed Eboli, dove oltre tremila persone sono impiegate a rotazione nella raccolta del tabacco e degli ortaggi. «Vivono quasi tutti in baraccopoli e tendopoli ai margini dei campi, sottoposti a violenze e ricatti, senza acqua ed elettricità, in condizioni igieniche disperate. Peggio delle bestie», racconta Gino Rotella, responsabile Flai per il mercato del lavoro. Colore tossico In Inghilterra il Sudan 1 ha provocato uno scandalo che ricorda quello della mucca pazza. Il numero dei prodotti con-taminati dal colorante illegale e poi ritirati dagli scaffali ha superato le 600 unità, e la lista sul sito della Food standards agency (www.food.gov.uk). In Italia, nonostante sia stato proprio un laboratorio torinese afferente all’Arpa (Agenzia regionale protezione ambientale) a far riesplodere il problema lo scorso gennaio, questa lista non esiste. I regolamenti Ue prevedono, invece, che in caso di pericolo per la salute (il Sudan 1 è considerato un colorante genotossico, in grado cioè di alterare la struttura cellulare) debbano essere pubblicate marche e lotti dei prodotti contaminati. Nel sito del ministero della Salute appare soltanto una lista generica, con indicazione tipo “peperoncino indiano” senza indicare dove sia stato impiegato. La lista finora più esaustiva è quella pubblicata sul sito de Il Salvagente (www.ilsalvagente.it), mentre iniziative di ritiro sono per ora affidate alla responsabilità delle singole aziende, coinvolte nei controlli promossi dalle Asl, o alle iniziative di singoli magistrati, come il procuratore Raffaele Guariniello, il magistrato del processo per doping nei confronti della Juventus. Quali sono i rischi reali per la salute? «In teoria non altissimi: il Sudan 1 è considerato un cancerogeno debole», dice Lawrence. «Certo dipende da quanti piatti pronti piccanti uno mangia al mese, e quante altre sostanze si assumono contemporaneamente. Ma il problema vero è l’ adulterazione: il colorante serve perché perchè prodotti scadenti possano essere venduti per buoni, e questo è nocivo da sé». Ce ne sono altri di cui non si parla proprio, ancora più allarmanti: l’ acrilamyde ad esempio, che si forma con cottura ad alta temperatura nei forni industriali per la produzione di biscotti, patatine, o cereali per la colazione. Una generazione crescente di scienziati ritiene che l’assunzione anche minima ma regolare di pesticidi alteri lo sviluppo ormonale femminile, tanto da addebitare a questo il fenomeno della pubescenza precoce di molte bambine. Attenti al bio E se mangiassimo bio risolve-emmo il problema? Anche su questo, Lawrence è piuttosto pragmatica. «Per quanto riguarda ad esempio gli allevamenti avicoli, bisogna capire che un conto è la crescita dell’animale e un conto la sua trasformazione. Ho visto polli allevati all’aperto e con mangimi naturali finire nelle stesse vasche di scottatura di quelli cresciuti ad antibiotici. Sono colme di acqua a 52 gradi, che somiglia a una brodaglia scu-a, contaminata con le feci, cambiata una volta al giorno. Una soluzione di coltura ideale per salmonella e campilobatteri. Quindi il bio è ok, ma attenti alla catena di lavorazione». Il pane sotto casa E la soluzione? Consumare prodotti locali e soprattutto di stagione, sempre che ci sia ancora qualcuno in grado di dire quali siano. Felicity Lawrence compra il pane in una piccola bottega del centro di Londra, e la verdura e la carne tramite una società che si rifornisce direttamente da piccoli produttori. E non spende, giura, una sterlina in più. «Cambiare piccole abitudini può determinare importanti effetti a catena», dice. «Per esempio si disincentiverebbe l’agricoltura intensiva che distrugge interi territori, in particolare in America Latina e in Africa. Si limiterebbe sempre più l’uso di manodopera illegale e mal pagata, così come il trasporto insensato di merci da un capo all’altro del mondo, in particolare per via aerea, che sta aggravando l’inquinamento globale. E infine si riavvicinerebbero gli strati più svantaggiati della popolazione ai prodotti freschi e non raffinati che di fatto, a causa della politica dei prezzi attuata dai megastore, stanno diventando inaccessibili allefasce di reddito più basse». E invece no. Vogliamo le patate novelle in tutti i periodi dell’anno, e compriamo quelle israeliane o egiziane, che in realtà sono state conservate in celle frigorifere anche per mesi. In fondo, chi diavolo sa quale sia il periodo delle patate in Egitto, o quello delle pere in Argentina? (fonte "Repubblica", 23 aprile 2005) ---------------------------- N.B. se volete essere cancellati da questa lista scrivete a altragricoltura at italytrading.com -- No virus found in this outgoing message. Checked by AVG Anti-Virus. Version: 7.0.308 / Virus Database: 266.10.2 - Release Date: 21/04/05
- Prev by Date: R: R: Sondaggio per consumatori critici di biscotti
- Next by Date: rassegna stampa: PADOVA, UN OCCHIO AL RISPARMIO, UNO ALLA QUALITA'
- Previous by thread: CHI C'E' NEL PIATTO? mercoledi' 27 Aprile - settimo appuntamento alla "Città dell'Utopia"
- Next by thread: rassegna stampa: PADOVA, UN OCCHIO AL RISPARMIO, UNO ALLA QUALITA'
- Indice: