rassegna stampa: Ora anche gli americani boicottano la Coca Cola



a cura di AltrAgricoltura Nord Est
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tratto da "Liberazione" - 29-03-05
Ora anche gli americani boicottano la Coca Cola
Il circuito dei "college" Usa scende in campo nella lotta contro la
multinazionale
Sabina Morandi
Si prepara un anno durissimo per la bevanda più famosa del mondo. A dirlo è
Amit Srivastava, portavoce dell'India Resource Center, in partenza per una
tournée statunitense che lo condurrà in alcuni fra i campus più famosi del
paese. Nella campagna internazionale contro la Coca Cola si schiera infatti
un pezzo da novanta: il circuito degli studenti dei college americani che,
negli anni passati, ha impugnato l'arma del boicottaggio per riportare le
corporation a più miti consigli. Srivastava è chiamato a raccontare la
storia degli indiani per ricollegarla a quella degli impianti di
imbottigliamento situati in Colombia, dove i sindacalisti vengono fatti
fuori con il silenzio-assenzo dei padroni delle bollicine.
Pezzi da novanta, appunto. In testa c'è la mitica Università del Michigan:
39mila studenti con un notevole potere di influenzare le scelte commerciali
del senato accademico in materia di fornitori. Riuniti in assemblea, gli
studenti del campus diventato famoso per avere capeggiato il boicottaggio
contro la Nike negli anni Novanta, sono decisi oggi a imporre ai fornitori
un codice di condotta rispettoso dei diritti umani, sindacali e ambientali.
Come altri sei college statunitensi, anche l'Università del Michigan ha
risposto alla richiesta di aiuto proveniente dal sindacato colombiano
Sinaltrainal che ha già perso sul campo ben otto attivisti, giustiziati dai
gruppi paramilitari fin dentro gli impianti di imbottigliamento come è
accaduto a Isidro Gil nel 1996.

La campagna di boicottaggio, lanciata da organizzazioni come United Students
against Sweatshop (letteralmente, studenti uniti contro le fabbriche del
sudore) e dalla Killer Coke Campaign (www. killercoke. org), si sta
allargando: Hofstra University, Georgian Court University, Union Theological
Seminary, Smith College, Haverford College, Swarthmore College. Alla New
York University, dopo un accesissimo dibattito nel quale è intervenuta anche
Lori Gorge Billingsley in rappresentanza della compagnia di Atlanta, il
Comitato universitario studentesco ha finito con l'approvare il
boicottaggio. Il senato accademico ha ammorbidito la posizione
dell'università prendendo tempo fino al 20 aprile «affinché la compagnia
faccia chiarezza sulla situazione in Colombia» prima di accogliere la
richiesta degli studenti di cancellare la Coca Cola dai fornitori ufficiali.
Dall'altra parte dell'Hudson, gli studenti della meno prestigiosa Rutgers
University del New Jersey - che vanta comunque una popolazione di 51 mila
ragazzi - chiedono la cancellazione di un contratto da 10 milioni di
dollari. Anche qui il consiglio di facoltà prende tempo ma, visto che il
contratto scade a maggio, la decisione è imminente. Nel frattempo Javier
Correa, presidente del Sinaltrainal, gira i campus per raccontare un
decennio di violenze a danno dei sindacalisti impegnati a migliorare le
condizioni di lavoro all'interno degli stabilimenti colombiani.

Ma è nella già citata Università del Michigan che la campagna prende i
contorni di una mobilitazione davvero globale. Qui vengono raccolte tutte le
accuse a carico della compagnia: dalle violenze sui sindacalisti colombiani
alle denuncie di sfruttamento del lavoro minorile in El Salvador, dalla
mancata assistenza sanitaria per i lavoratori siero-positivi in Sudafrica
all'obesità infantile dei bambini americani, passando per una politica della
distribuzione che, solo nel Lazio, mette a rischio ben 75 aziende - come
denunciato dalla Federazione italiana dei grossisti e dei distributori di
bevande. Ed è qui che viene cucito il raccordo con l'altra grande campagna
internazionale, diffusa soprattutto in Asia e nel Nord-Europa, quella
lanciata dal movimento indiano.

In India la Coca Cola è rientrata nel 1993 dopo un bando durato 16 anni e si
è subito data da fare per recuperare il tempo perduto. I suoi impianti, che
lavorano a pieno ritmo captando acqua sempre più in profondità - sono
necessari nove litri per produrre un solo litro di Coca - hanno prosciugato
260 pozzi lasciando senz'acqua interi villaggi. In Kerala, nel sud
dell'India, la mobilitazione popolare ha costretto il governo dello stato a
chiudere uno stabilimento, dopo che le reiterate richieste di rimediare alla
catastrofe ambientale e sanitaria erano state disattese. In Rajastan, dove
le autorità sanitarie hanno trovato tracce di pesticidi nelle bevande
confezionate, la vendita della Coca Cola è stata sospesa di fronte al
rifiuto della corporation di fare chiarezza sui contenuti della bevanda,
come richiesto dalle autorità locali. A Mehdiganj, vicino Benares, le falde
si sono esaurite e i campi intorno allo stabilimento, definitivamente
inquinati, non sono più coltivabili. Stessa cosa è accaduta a Singhchancher,
nell'Utar Pradesh. La rivolta guidata dalle donne dei villaggi è stata
ripresa da giuristi, parlamentari, scienziati e scrittori indiani
scandalizzati dall'arroganza della multinazionale che si è sempre rifiutata
di prendere provvedimenti o anche soltanto di fornire spiegazioni alle
autorità.

Ecco quindi spiegato l'entusiasmo degli attivisti indiani nel constatare che
la loro lotta, inizialmente solitaria, si connette con quella colombiana per
articolarsi in una campagna globale. Il 19 aprile, nella riunione degli
azionisti della Coca Cola che si terrà a Wilmington, in Delaware, contadini
indiani e sindacalisti colombiani manifesteranno insieme agli studenti
americani con il sostegno di tutti quelli che, nel mondo, aderiscono alla
campagna: dalle università - come in Canada, Irlanda e Italia - ai
sindacati - come il britannico Unison, che lancia una settimana d'azione
diretta.

Come la prenderanno i fautori della crociata contro la Terza Università di
Roma che aveva osato accogliere la richiesta degli studenti di sostituire la
controversa bevanda con prodotti più sani e solidali? Le accuse di
anti-americanismo hanno spinto il rettore Guido Fabiani a fare marcia
indietro per garantire alle 42 mila persone che circolano nell'ateneo il
sacrosanto diritto di accedere alle famose macchinette distributrici -
quelle stesse che stanno provocando la crisi nel settore della
distribuzione - ma la mobilitazione italiana contro la Coca è tutt'altro che
sconfitta.

Secondo il sillogismo che va per la maggiore chiunque osi criticare uomini o
merci made in Usa è affetto da odio ideologico in odor di guerra fredda.
Proibito fare distinzioni: chi se la prende con Bush aborrisce l'America e
tutto ciò che di bello e di buono ha dato al mondo. E ora che il
boicottaggio contro la Coca Cola si allarga a macchia d'olio nei campus
statunitensi - quelli stessi che hanno buttato giù l'apartheid sudafricano e
costretto la Nike ad aumentare i salari - cosa diranno gli americanisti a
oltranza? Le accuse di anti-americanismo sono spuntate ma distinguere fra
loro - i cattivi studenti e i buoni che siedono alla Casa Bianca - è
vietato. Ricordate? O li si ama o li si odia in blocco, senza distinzioni.
Forse i pennivendoli nostrani saranno costretti a mostrare rispetto per una
forma di lotta politica non-violenta tipicamente americana: boicottare le
merci per costringere i produttori a riformare la politica industriali anche
in assenza di normative adeguate - come avviene in Colombia - o quando
agiscono in aperta violazione delle norme vigenti - come in India.
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