R: CONAD - demonizzare la RSI o demonizzare l'impresa profit? (lunghetto)




> Siccome sono stato tirato in mezzo (mio malgrado), mi vedo costretto a
> rispondere.
>
> Non credo di avere mai detto che l'impresa profit è male per definizione,
> anzi secondo me questo è un modo sbagliato di porre la questione.
>
> A mio avviso è invece importante che non si faccia confusione tra
> responsabilità
> sociale d'impresa e la prospettiva dell'economia solidale, sono due cose
> molto diverse. A questo proposito trovo utile il libro di Razeto "Le
imprese
> alternative" (Ed. EMI). Razeto identifica quali sono i fattori necessari
ad
> un'impresa (forza lavoro, tecnologia, mezzi di lavoro, fattore
finanziario,
> fattore gestionale) e pone come questione principale per analizzare un
tipo
> di impresa quale sia il fattore che predomina, ovvero quello che orienta
le
> scelte. Il problema, per come lo vedo io, sorge quando il capitale
(fattore
> finanziario) è quello che predomina, quello in base al quale vengono prese
> le decisioni, come avviene normalmente nelle SpA che sono aziende create
per
> fornire utili agli azionisti.

Mi sembra di capire che il fattore capitale predomina quando si compiono
scelte che hanno come unico scopo quello di aumentare la remunerazione del
capitale, senza nessuna attenzione ad altri fattori (occupazione, ricadute
sociali nella comunità locale, ricadute ambientali, etc) e che tali altri
fattori sono invece geneticamente inseriti nel corredo cromosomico di
imprese dell'economia solidale.
La differenza c'è senza dubbio, intendo tra una cooperativa e una spa, ma
c'è anche tra dimensione di azienda e dimensione di azienda: a mio avviso è
forse più facile che sia vicina al concetto di economia solidale una piccola
impresa for profit che non una grande cooperativa di consumatori.........
Ma vorrei andare oltre: imprese profit e cooperative sono comunque parte
dello stesso modello di crescita economica: ovvero il modello che punta alla
crescita economica. Facciamo un esempio: in una impresa arriva una
innovazione tecnologica che consente di aumentare la produttività del
lavoro: questo significa che se prima nelle 8 ore di lavoro producevo 200
pezzi adesso ne produco 220. Se l'impresa è "profit" non vi è dubbio che
l'imprenditore utilizzerà tale innovazione per "crescere": per aumentare la
produzione e quindi il fatturato (se riesce a vendere quanto ha prodotto).
In realtà una impostazione di modello alternativo alla crescita potrebbe
utilizzare tale innovazione per lavorare meno ore, avere più tempo libero
per la famiglia e i figli, e produrre e guadagnare lo stesso di prima. Avete
esempio di cooperative che abbiamo compiuto una scelta simile? Quelle basche
citate da Saroldi sembra di no...visto che hanno aumentato del 15% il
fatturato in un solo anno.

Ecco allora che sempre di crescita economica si tratta....certo una crescita
con risvolti sociali ben diversi...ma sempre crescita......o mi sbaglio?
Insomma il modello alternativo trova al suo centro sempre la crescita? Ma se
è così allora si tratta solo di mettere dei vincoli alla crescita, al suo
modo di realizzarsi, al suo modo di fare meno danni possibile. Visto come
vanno le cose sarebbe già moltissimo, ma allora forse più strumenti possono
convergere: dalla genesi di imprese cooperative fondate sul lavoro, allo
schierarsi di imprese non cooperative verso una responsabilità nei confronti
della comunità (locale e mondiale)....

saluti

lele

> La cosa è sostanzialmente diversa quando è il fattore lavoro che
predomina.
> O ancora meglio, un insieme di fattori tra cui il lavoro, le esigenze
della
> comunità locale, i bisogni dei consumatori, etc. (approccio
> "multi-stakeholder"). Nel mio ideale l'impresa dell'economia solidale
nasce
> per soddisfare le esigenze di chi lavora e di chi utilizza i suoi prodotti
e
> servizi, ed il capitale è solo uno strumento. Esistono migliaia di
> cooperative, io non le conosco tutte, ci saranno anche un sacco di
> contraddizioni e di limiti, ma quando una cooperativa funziona si pone
> proprio in questa prospettiva.
>
> Quando ho scritto il libro "Costruire economie solidali" (Ed. EMI),
> l'esempio migliore che ho trovato per spiegare questo concetto è il gruppo
> basco di Mondragon: "un gruppo che oggi conta 160 cooperative, 60'000
> lavoratori e 23 impianti di produzione all'estero. Nel 2001 le vendite del
> gruppo corrispondono a 8'100 milioni di Euro, con una crescita del 15%
> rispetto all'anno precedente. Il gruppo opera nei campi della
distribuzione
> e dell'industria: componenti, edilizia, impianti ed elettrodomestici;
> comprende anche un centro di ricerca e sostiene l'università di Mondragón.
>    Le cooperative del gruppo MCC basano la loro attività su dieci
principi:
>   1. Ammissione aperta
>   2. Organizzazione democratica
>   3. Sovranità del lavoro
>   4. Natura strumentale e subordinata del capitale
>   5. Gestione partecipativa
>   6. Pagamento di solidarietà
>   7. Intercooperazione
>   8. Trasformazione sociale
>   9. Universalità
> 10. Educazione
> Considerare il capitale come un mezzo strumentale porta a fissare un
limite
> alla sua remunerazione. In questo modo gli utili della attività vengono
> utilizzati per finanziare un fondo di educazione e promozione sociale e
per
> sostenere gli investimenti della cooperativa e lo sviluppo del sistema;
una
> parte degli utili viene inoltre suddivisa tra i soci-lavoratori.  Anche se
> il caso andrebbe analizzato meglio, si tratta di un esempio di come la
> logica d'impresa possa contenere al suo interno principi di cooperazione,
> sviluppo locale, formazione, partecipazione ed utilizzo strumentale del
> capitale."
>
> Oppure si potrebbe parlare delle fabbriche "recuperate" argentine o di
molte
> altre cooperative. Mia moglie, ad esempio, lavora in una cooperativa
> impostata in questo modo.
>
> Insomma, credo che abbia senso chiedersi quali sono gli strumenti
> imprenditoriali che abbiamo a disposizione e preferire quelli più utili
> allo scopo che abbiamo in mente. In questo senso mi sembra più efficace
> un'impresa che abbia nel suo codice genetico la predominanza dei fattori
> lavoro, costruita su processi di democrazia interna e per soddisfare le
> esigenze della propria comunità, piuttosto che inserire dei "vincoli
> aggiuntivi" ad un meccanismo nato per produrre reddito.
>
> Penso che la responsabilità sociale di impresa possa essere utile, ma
credo
> anche che ci voglia ben altro. Benvengano quindi le imprese "for profit"
che
> adottano codici e regole aggiuntivi, ma per favore non facciamo un
calderone
> unico tra economia solidale e responsabilità sociale di impresa.
>
> Dico questo perché spesso ascolto dei discorsi che vanno proprio in questa
> direzione (non mi riferisco a Nicoletta). Sono discorsi che iniziano
dicendo
> che ci sono imprese for-profit che fanno delle belle cose e ci sono anche
> imprese non-profit che fanno delle cose cattive, per concludere che tra
> for-profit e non-profit non c'è nessuna differenza, basta fare delle cose
> buone. Secondo me invece il motivo per cui un'impresa nasce, il modo in
cui
> funziona e prende le sue decisioni sono fattori per nulla secondari.
>
> Ciao
>
> Andrea Saroldi
> www.retegas.org - www.retecosol.org
>
> ----- Original Message -----
> From: "Patrizio" <patsuppa at inwind.it>
> To: <consumocritico at peacelink.it>
> Sent: Saturday, February 12, 2005 10:37 PM
> Subject: Re: CONAD - demonizzare la RSI o deminizzare l'impresa profit?]
>
>
> > Il 12 Feb 2005, alle 18:58, Nicoletta Landi ha scritto:
> >
> > > Diciamo che e' da tempo che vlevo discutere su questo in lista RES.
> > > Gia' piu' volte Saroldi ha cercato di farmi entrare nella zucca il
> > > concetto che impresa profit e' male per definizione (che ne e' dei
> > > perdenti nella competizione, ecc). Ma io c'ho la zucca dura e vivo nel
> > > 2005. Riprovate, magari questa volta entra  :).
> >
> > forse è vero quello che ti dice andrea, o forse non lo è del tutto...
> > questo ragionamento mi interessa e mi piacerebbe sentire anche
> > altri punti di vista. Non ho risposte, ma vorrei sviluppare queste idee
> > in lista.
> >
> > faccio questo ragionamento: l'impresa profit "compete" nel
> > mercato. come nella legge della giungla (estremizzo), il più forte
> > (perchè ha prodotti migliori, o perchè li sa promuovere meglio, o
> > perchè qualcuno l'aiuta) vince. e il perdente? a casa: chiude o viene
> > "assorbito" da qualcun altro.
> >
> > ora, molti di noi, immagino, lavorano in imprese "profit". anche il
> > contadino da cui, per esempio, vado a prendere le carote, o la
> > cantina dove compro il vino sono, che lo vogliamo o no, imprese
> > profit. piccole ma profit.
> >
> > allora: c'è un limite in cui il "profit" è accettabile? e se c'è, qual'è
> il
> > limite? il fatturato? il numero dei dipendenti? o che altro?
> >
> > per la coop, credo, il discorso sia simile. se la coop decide di fare
> > un percorso "virtuoso", possiamo accettarlo come consumatori
> > critici? o diciamo che, nonostante tutto, non ci interessa?
> > io credo che occorrerebbe, in questo caso, vedere quali iniziative
> > costringe a prendere la SA8000. poi potremo decidere se ci basta.
> >
> > ciao
> > patrizio
> >
>
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> Mailing list Consumo Critico dell'associazione PeaceLink.
> Per CANCELLAZIONI: http://www.peacelink.it/mailing_admin.html
> Se non riesci, scrivi a nicoletta at peacelink.org
> inserendo "cancella" nel Soggetto.
> Si sottintende l'accettazione della Policy Generale:
> http://www.peacelink.it/associazione/html/policy_generale.html
>


 
 
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