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a rischio della vita per allevare il bestiame..in Africa
- Subject: a rischio della vita per allevare il bestiame..in Africa
- From: "Altragricoltura" <altragrico at italytrading.com>
- Date: Fri, 9 Jul 2004 16:28:35 +0200
I rischi degli allevatori di bestiame Nella Repubblica Centrafricana sopportano il peso maggiore del conflitto. Secondo il sindacato il 40-50% del bestiame è stato ucciso tra il 2002 ed il 2003 SETTE ANNI DI crisi continue nella Repubblica Centrafricana, una nazione in cui su un totale di 3,5 milioni di abitanti l'80 per cento è costituito da agricoltori, hanno influenzato negativamente tutti i settori dell'economia, esponendo la maggior parte della popolazione alla minaccia della carestia nei mesi a venire. Il settore dell'allevamento di bestiame, che costituisce il 35 per cento dei guadagni e contribuisce per l'11 per cento al prodotto interno lordo del paese, è tra quelli che hanno subito in misura maggiore gli effetti negativi dei conflitti. Sebbene il ministero dell'Allevamento non abbia a disposizione statistiche complete sull'estensione del danno patito da questo settore, l'associazione che raggruppa gli allevatori, ovvero la Federazione Nazionale degli Allevatori Centrafricani, offre qualche spunto di riflessione. Ousmane Shehou, funzionario responsabile delle cooperative di allevatori per conto della federazione, ha spiegato che tra il 40 e il 50 per cento del bestiame posseduto dagli iscritti è stato ucciso durante gli scontri tra le forze favorevoli e quelle contrarie al governo, scoppiati tra l'ottobre 2002 e il marzo 2003 negli allevamenti del nord. Shehou ha aggiunto che "i combattenti di entrambe le fazioni hanno ucciso animali a piacimento". Una versione confermata anche Mamadou Mbouladji, un mandriano fulani ora diventato venditore di bestiame al mercato di Ngola, che dista 13 chilometri dal centro di Bangui. "Hanno sparato indiscriminatamente - spiega - uccidendo molti animali e provocando la fuga di quelli sopravvissuti". Il 54enne Ousman Amadou è il presidente di Kautal Felobe, una delle sei associazioni presenti al mercato di Ngola, e ha raccontato che almeno 700 vacche sono state uccise a Ngola nel novembre 2002, quando i combattenti del Movimento di Liberazione del Congo (Mlc) e le truppe governative della Repubblica Centrafricana hanno cacciato i ribelli dai sobborghi settentrionali di Bangui. In quel periodo 120 allevatori sarebbero stati assassinati e seppelliti in fosse comuni nei pressi del mercato. Dopo essere scampati a questa ondata di terrore, molti mandriani sono diventati venditori di bestiame nei mercati. La maggior parte provengono dalle province di Ouham, Ouham Pende, Nana Grebizi, Kemo e Nana Mambere, e sono fuggiti dalle proprie case nell'ottobre del 2002, quando l'ex comandante dell'esercito, Francois Bozze, ha lanciato per la prima volta i suoi attacchi contro il governo del presidente Ange-Felix Patasse. "Tutti i mandriani hanno lasciato il nord per cercare rifugio a sud, nella provincia di Ombella Mpoko", ha spiegato Shehou, che ha riferito anche che a Boali, una località che si trova 80 chilometri a nord di Bangui, e nei villaggi circostanti c'erano circa 700 famiglie, con il loro bestiame, che non avevano ancora ricevuto alcuna forma di aiuto. Nonostante gli sforzi dell'esercito e delle forze di pace della Cemac, la Comunità Economica e Monetaria degli Stati dell'Africa Centrale, l'insicurezza persiste nel nord, specialmente negli accampamenti dei mandriani, che sono inaccessibili a causa della mancanza di strade o delle loro cattive condizioni di percorribilità. Dopo avere recuperato armi più moderne e munizioni, i razziatori di bestiame hanno abbandonato il business pericoloso dell'uccisione dei mandriani per diventare loro stessi proprietari di bestiame. In alcuni casi, comunque, hanno anche preso in ostaggio i figli degli allevatori per ottenere somme enormi di riscatto. Il risultato del combinarsi di tutti questi fattori è stato che alcuni mandriani hanno deciso di formare unità di autodifesa, ciascuna composta da una ventina di uomini armati di archi e di frecce, che si sono però rivelate del tutto inefficaci per contrastare le armi automatiche. "Se non verrà fatto qualcosa al più presto - ha spiegato Shehou - c'è il rischio che tutti gli allevatori possano decidere di emigrare nei paesi vicini". Molti mandriani, infatti, se ne sono già andati in Cameroon, Chad e Sudan. E se le cose dovessero continuare così potrebbero trasformare la Repubblica Centrafricana da paese esportatore di carne, con 3,2 milioni di capi nel 2001, in un paese importatore. Inoltre, se i mandriani dovessero emigrare in massa i prezzi della carne crescerebbero, e ciò si tradurrebbe per molte persone in un minore accesso a questa fonte di proteine, con probabili ripercussioni sui livelli di malnutrizione. Nel frattempo, per cercare di rimediare a questa difficile situazione, la federazione degli allevatori ha fatto appello ai donatori per aiutare i mandriani che hanno perso il loro bestiame, che a loro volta chiedono alla Fao lo stesso tipo di considerazione che sta dando agli allevatori di maiali, polli e conigli. La Fao, infatti, ha avviato un progetto da 322mila dollari per fornire a questi allevatori delle attrezzature agricole. Anche i pescatori e gli allevamenti ittici beneficiano dello stesso progetto, destinato a concludersi il prossimo novembre. "Abbiamo l'impressione di essere stati abbandonati - si lamenta Amadou - sebbene il settore dell'allevamento di bestiame sia stato quello più danneggiato". Poiché i donatori non hanno risposto alla richiesta di aiuto lanciata dalla federazione, l'organizzazione ha provato a convincere i mandriani a trasformarsi in coltivatori, ma la proposta ha ottenuto solo una tiepida risposta. Il 24enne Boubakar Bobo, che nel 2002 ha perso le sue 23 mucche a causa del banditismo, ha detto per esempio di preferire la sua attuale occupazione come venditore di bestiame, che gli frutta circa seimila franchi (pari a 10 dollari) al giorno, alla coltivazione. Del resto, il funzionario della Fao Etienne Ngounio-Gabia nel novembre scorso ha spiegato che costringere i mandriani a diventare coltivatori sedentari potrebbe essere controproducente: "Non potremo mai incoraggiare un cambiamento simile". La cosa migliore da fare, ha aggiunto, sarebbe aiutare i mandriani a riprendere le loro attività nella propria area di specializzazione, ma questo aiuto, ha detto, non potrà essere fornito dalla Fao in tempi brevi. "La Fao assiste la popolazione più povera e vulnerabile, e chi possiede dai cinquanta ai cento capi di bestiame non può essere considerato tale". (Traduzione di Simone Ramella) N.B. se volete essere cancellati da questa lista scrivete a altragricoltura at italytrading.com
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