Articolo



Un articolo che spero, vi faccia ingozzare mentre mangiate il vostro adorato panettone.

 

Il natale irakeno.

Se il natale per noi è da favola.

 

Tutti siamo bravi a criticare. Tutti siamo ottimi contestatori di scelte che poi si sono rivelate errate. L’invasione imperiale americana in Iraq necessita di esser vista sotto un’ottica più positiva. Se il suo fine era quello di liberare l’Iraq da un tiranno e garantire una migliore sicurezza nel mondo, allora solo metà degli impegni prefissati sono stati mantenuti. I latini dicevano “Si vis pacem, para bellum” cioè se vuoi la pace, prepara la guerra, armati. Questa classica frase da proverbi è stata applicata da Mr. White House, e ciò dimostra che anche le persone più strane hanno un pizzico di cultura. Strane per il modo in cui cammina s’intenda. C’è però una piccola falla in questa affermazione. Per quanto uno si premura per garantire la pace al suo popolo, o al mondo intero, non possiede certamente la palla di vetro, per capire se un determinato luogo o popolo può arrecar danno. La casa bianca americana ha invaso l’Iraq con la prerogativa di difendersi da minacce straniere, non sapendo di innescare l’effetto contrario. Infatti, credendo di sedare, come l’11 settembre, atti Kamikaze terroristici nel mondo, in realtà ha innescato una miccia di dimensioni ben più enormi e molto più pericolosa. L’ottica positiva quindi di tutta questa faccenda non c’è e le vittime irakene lo dimostrano. Certo, non c’è guerra senza vittime. Gli Americani direbbero “Non c’è pace senza guerra”. Il vero motivo per cui sono andati in Iraq era quello di liberare un popolo da un oppressore, oppure per garantirsi una probabile pace futura? Non è un caso che le risorse petrolifere americane si stiano esaurendo, e non è un caso che proprio gli americani siano andati nella patria del petrolio, che li potrebbe garantire greggio per altri anni. Congetture su congetture si possono fare su ciò che circola per la mente di Mr. White House e tra i corridoi del pentagono. Noi siamo stati relegati dietro il teleschermo a seguire una guerra live da videogioco. Non possiamo fare altro che criticare, purtroppo. Possiamo però certamente giudicare la faccenda in modo più obiettivo, non essendo coinvolti nella guerra. Un momento, noi siamo coinvolti nella guerra. Mr. Bandana ha inviato le sue truppe in irak, a fianco del suo inseparabile amico. L’amicizia è una gran cosa. I latini la chiamavano Captatio Benevolentiae. Oggi potremo dire che Silvio è un nome adatto per un cane fedele al suo padrone. Comunque, in questa guerra, bella o brutta che sia, dobbiamo sentirci tutti colpevoli. E’ facile per noi parlare, ma dobbiamo in ogni caso avere le orecchie aperte sul mondo. Perché le famiglie irakene, di fianco a case semidistrutte non passeranno un buon natale. Invece noi saremo come sempre sotto l’albero a gozzovigliarci di panettone e spumante. E’ la fortuna di essere nati in Italia. Un pensierino dobbiamo farcelo quando ci inginocchiamo davanti alla capanna del presepe. In irak ci sono persone che stanno peggio. Ma non sono lì. Dobbiamo sentirci colpevoli perché non sappiamo ma soprattutto, non sentiamo la necessità di informarci sulle altre guerre nel mondo e le loro vittime. I media filtrano troppo le informazioni perché possiamo venire a conoscenza di una visione globale della nostra realtà. La nostra colpa sta nel nostro passivismo tipicamente occidentale, coricati sul divano e incollati al tubo catodico. Ecco che le guerre nel mondo, le loro vittime, i senzatetto, i kamikaze appaiono come personaggi di favole lontane dove c’è il bene e dove c’è il male. Ma, a differenza delle favole, non siamo più in grado di capire chi è l’orco e chi Pollicino.

                                                                                                                                                                                                                                           Davide Marzorati