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Otpor, arancione a ... - Otpor, narancasto linijskozvjezdasti, (sa kritikom)
- Subject: Otpor, arancione a ... - Otpor, narancasto linijskozvjezdasti, (sa kritikom)
- From: "Jugoistrijan" <jugoistrijan at libero.it>
- Date: Tue, 4 Jan 2005 22:32:32 +0100
Stanko Lazendic su quel ponte non c'era. Otpor nemmeno ("Otpora" nije bilo) di Ivan Istrijan Aggiungo alcune righe a quelle di F. Grimaldi riguardo l'articolo "Otpor, arancione a stelle e strisce". "Grazie" a Remondino e al "Manifesto" per averci regalato, alla vigilia dell'Anno Nuovo, questo abominevole testo, sintesi dell'intervista a Stanko Lazendic di cui abbiamo visto un pezzo anche sulla RAI TV. Ci vuole veramente stomaco per leggere questo articolo! Sarebbe sufficiente una battuta per liquidarlo. Potremmo fare anche dell'ironia... Ma per amore di verità, voglio soffermarmi su due-tre cose, vere menzogne che però sfuggono sottilmente (ma anche volutamente) alla maggior parte dei lettori. Non mi risulta proprio che il cosiddetto "Otpor" (denominazione usurpata della Resistenza) abbia "organizzato e portato sui ponti (sic!) della Sava e sul Danubio la popolazione a fare da scudo umano". Sono stati invece i partiti della sinistra a farlo. Il sottoscritto è stato, con un gruppo di compagni italiani, varie volte a Belgrado e in varie parti della Jugoslavia federata: e per due volte, durante la barbara aggressione, sul Brankov Most (il Ponte di Branko), dove si sventolavano la bandiera serba e quella jugoslava! Stanko Lazendic, socio fondatore della ONG "Center of non violent resistence" (perbacco, mi sa tanto di radicale italiano!) su quel ponte non c'era. Otpor, "che rivoluziona la liturgia della politica multicolore delle bandiere" (sic), su quel ponte non c'era. Non abbiamo visto nemmeno a loro e all'Occidente caro Vuk Draskovic. Abbiamo invece intravisto Seselj su quel ponte -- ah si, dimenticavo: per Remondino e compagnia cantante, costui è "ultranazionalista". Ricordiamo invece le manifestazioni del famigerato "Otpor" sulle strade di Belgrado, le manifestazioni vere: quelle con le bandiere della Germania, della Gran Bretagna, persino della Nuova Zelanda, della Ferrari (sic)... La cosiddetta "politica multicolore delle bandiere" !?! Potevate sentire, negli autobus, sui tram di Belgrado, cosa ne pensasse la gente, e che cosa ricorda e significa la bandiera tedesca per quel popolo. Spesso Remondino lo vedo sorridere alle "tavole rotonde", anche quando parla di cose tragiche, come questa nostra tragedia jugoslava, come fa(ceva) un certo Solana, neanche si trattasse di "bruscolini"... Signor Remondino, lei scrive: "...Per loro (Otpor), quelle bombe sono insensate. Puntano al despota (sic!), ma colpiscono innanzitutto le sue vittime, primo fra questo il popolo serbo, e quello kosovaro (!)" Vorrebbe cortesemente lei spiegare, a degli ignoranti in materia quali siamo noi, di quale "popolo kosovaro" si va cianciando, se non TUTTA la popolazione della regione di Kosovo e Metohija, e non solo quello schipetaro (albanese in senso "etnico" e non per cittadinanza) che fa comodo a voi, squallidi falsificatori della storia? Signor Remondino, sono forse difensori del proprio popolo quelli che bruciano il proprio Parlamento? Sono forse democratici quelli che bruciano gli uffici elettorali? Per il resto non vale nemmeno la pena di sprecare più tempo e carta. La stessa disinformazione l'avete fatta con i "democratici" nazionalisti croati (è di questi giorni l'ennesima bravata degli ustascia croati, la distruzione del monumento a Tito, davanti alla casa natale), ieri, e la farete di sicuro con i secessionisti ungheresi, domani. L'avete sempre fatta con i "democratici" islamisti musulmano-bosniaci di Izetbegovic, con i secessionisti e terroristi dell'UCK, e con quella squallida figura di Rugova, "nonviolento di regime"... e poi "versate lacrime di coccodrillo" sulle distruzioni, sulle morti provocate dalle loro-vostre politiche! Remondino, mi dica: quando la sento parlare della tragedia jugoslava, la vedo spesso sorridere. Vale anche da queste parti, in Italia, il detto: "Chi ride a se stesso..." ? ---------------------------------------------------------------------------- ----------------------- Otpor, arancione a stelle e strisce OTPOR, NARANCASTO -LINIJSKOZVJEZDASTI Intervju Enia Remondina S. Lazendicu "Il Manifesto", 30.12.2004 1. L'intervista di E. Remondino a S. Lazendic 2. Il commento critico di F. Grimaldi === 1 === http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/30-Dicembre-2004/ art106.html il manifesto - 30 Dicembre 2004 STANKO LAZENDIC Otpor, arancione a stelle e strisce Serbo di Novi Sad, è uno degli «istruttori» che ha allenato la piazza di Kiev contro il regime. Per idealità, dice, ma anche per soldi. I committenti? I governi Usa ed europei E' il «consigliere speciale» per l'Ucraina dell'American Freedom House. Accrediti professionali, Milosevic in galera all'Aja, Shevardnadze deposto in Georgia, e ora Yanukovic rovesciato. Tante trasferte e tanti «seminari sulla non violenza» tenuti da un ex colonnello della Cia, per lui e gli altri «trainer». Chi paga? ENNIO REMONDINO Non deve essere stato particolarmente difficile per la polizia politica e i servizi segreti ucraini, eredi del mitico Kgb, stargli dietro. Stanko Lazendic non ha il fisico del cospiratore, dell'uomo anonimo che trama nell'ombra nascondendosi. Due metri e qualche centimetro di mancia, vestiti da 110 chili di muscoli, e si nota, soprattutto se a camminargli accanto è un giornalista per così dire, «concentrato». Abbiamo passeggiato e chiacchierato a lungo con Stanko, per le belle strade di Novi Sad, su in Voivodina, al nord della Serbia, quasi in Ungheria. Stanko è un giovane uomo di 31 anni che nella vita ne ha viste molte, a cominciare dalla galera, che ha iniziato a frequentare dall'imporsi del regime di Milosevic. Diciassette arresti non sono male per un semplice leader studentesco, se mai è stato vero che Stanko sia soltanto quello. Stanko non ha potuto essere presente ai festeggiamenti dell'opposizione filo occidentale ucraina sulla piazza di Kiev, che pure ha tanto contribuito a organizzare e a far vincere. Stanko Lazendic è stato uno degli «Istruttori», uno dei «Trainers», che ha allenato la piazza arancione ad opporsi e a rovesciare il regime. Un po' per idealità, sostiene Stanko, ma certo anche per soldi, da buon professionista. Socio fondatore della Ong, l'organizzazione non governativa serba «Center of not violent resistence», registrata a Belgrado. Per contatti e contratti, vedi il sito Internet. Accrediti professionali, oltre a quello di Slobodan Milosevic che attende in galera la sentenza del Tribunale internazionale dell'Aja per crimini di guerra, l'ex presidente georgiano Eduard Shevardnadze, e ora il premier ucraino filo russo Viktor Yanukovic. I committenti per queste singolari prestazioni professionali di destabilizzazione più o meno non violenta, sono altrettanto interessanti ma, contravvenendo a tutte le regole giornalistiche, le lasciamo al Gran Finale del Giallo. Stanko Lazendic è stato uno dei fondatori del movimento studentesco serbo «Otpor», che vuol dire Resistenza, ed è da lì che parte tutto. Resistenza popolare e non violenta al regime di Milosevic in quel lontano 1998, quando il despota di Belgrado era ancora equivocamente corteggiato da molte cancellerie occidentali incerte fra l'adottarlo e il fargli guerra. Otpor nasce allora, ed è probabilmente l'unico erede del vasto movimento democratico di piazza che negli anni precedenti aveva quasi dato la spallata decisiva al potere della famiglia Milosevic. Poi i partiti tradizionali, anche quelli democratici, si erano ingoiate sia la «Rivoluzione dei fischietti» (Inverno `96, `97), sia le speranze di cambiamento. Otpor rivoluziona la liturgia della politica, con i multicolori delle bandiere, nelle parole d'ordine, nella leadership collettiva, nella musica sparata in piazza a tutto volume, e nel costante sberleffo al potere. L'anima slava, sepolta sino allora nell'auto commiserazione, ne approfitta per ritirare fuori la prorompente carica d'ironia e auto ironia, dell'amara irriverenza. Ce l'avrebbero fatta da soli e prima e meglio, quelli di Otpor, con tutto il popolo serbo, se qualche stratega di Washington non avesse già deciso, in quella metà del 1998, che Milosevic serviva per collaudare la forza militare della Nato come guardiano del fronte Est dell'Impero. Quando, il 24 marzo del 1999, sulla Jugoslavia iniziano a piovere le bombe, Otpor si arruola, assieme a tutta la Serbia, non accanto a Milosevic, ma contro la Nato. Per loro quelle bombe sono insensate. Puntano al despota ma colpiscono innanzitutto le sue vittime, primo fra queste, il popolo serbo e quello kosovaro. A quasi sei anni di distanza dai bombardamenti, non c'è persona in Serbia, per «americana» e filo occidentale che sia, a non chiamare l'evento «Aggressione». Sono gli stessi giovani - molti dei quali poi diventeranno Otpor - a portare sui ponti sulla Sava e sul Danubio la popolazione a fare da scudo umano, a sbeffeggiare l'Iper potenza Nato. E' la loro ironia che ci fa indossare, tutti allora a Belgrado, le magliette con la scritta «Target». Tutti bersagli, salvo chiedere scusa quando la scalcinata contraerea serba riesce per sbaglio ad abbattere un cacciabombardiere F117: «Scusate, non sapevamo fosse Invisibile». Occorrono tre mesi al Golia-Nato per stendere - con tanti «effetti collaterali» civili - il nano militare di Belgrado. Tantini, viene da dire. Dopo di che Otpor riprende ad attaccare il suo storico bersaglio, il despota Slobodan Milosevic. Ricordo come allora fu possibile notare i segni di un'insospettata abbondanza. Sempre la fantasia al potere della protesta, ma anche qualche soldino in più per manifesti, striscioni, apparato legale di difesa, bandiere, radio libere e Internet pirata. Molti di quegli studenti ormai abbondantemente fuori corso sembrava avessero studiato molto durante il duro inverno della guerra, lezioni sul come scardinare un trucido apparato di potere per seppellirlo sotto il ridicolo della sua sostanziale impotenza. Anche Stanko Lazendic aveva studiato. In trasferta a Budapest, nella vicina Ungheria che ancora non chiedeva il visto per i serbi; altri suoi amici nel protettorato Nato della Bosnia o in quello statunitense del Montenegro. «Seminari» li chiamavano gli organizzatori, sulla «Resistenza non violenta». Due le cose interessanti che riesco ad ottenere dalla memoria di Stanko: il nome di almeno un «docente» e le molte sigle di chi pagava i conti di quelle trasferte di «studio». Nel marzo del 2000, uno dei docenti di Stanko all'Hilton di Budapest, fu un certo Robert Helvi, già colonnello della Cia, operativo a Rangoon e Burma. L'Ex colonnello Cia (esiste un «ex» in qualsiasi Servizio segreto?), aveva illustrato i 500 modi «non violenti» per destabilizzare un regime autoritario. In pratica una rilettura del libro di Gin Sharp, «Dalla dittatura alla democrazia», che resta dal lontano 1970 il testo base per ogni movimento anticomunista che si rispetti, tecnica del Colpo di Stato col Guanto di Velluto. «Che il conferenziere fosse uno della Cia», insiste Stanko, «nessuno di noi allora lo sospettava». Ma chi pagava quel seminario a Budapest? Chiedo. «Quel seminario fu promosso, mi sembra, dalla Us Aid». Lo sguardo che riceve in cambio, induce Stanko ad una giustificazione non richiesta. «Noi non siamo della Cia, né lavoriamo per la Cia. Se così fosse, guadagneremmo molto, molto di più dei pochi soldi che riceviamo. Una miseria per i rischi che corriamo». Quanti siano «pochi» i soldi che pagano le loro originali prestazioni professionali, Stanko Lazerdic non ce lo dice. In compenso ci racconta dei suoi committenti: ovviamente le organizzazioni giovanili dei diversi paesi coinvolti. Tutto indipendente e tutto trasparente, secondo lui. Ma chi paga il conto dei vostri «pochi soldi»? «A volte le organizzazioni studentesche, a volte direttamente i loro finanziatori». Risalendo lungo la catena della solidarietà anti despota ex comunista e anti occidentale, arriviamo finalmente ai nomi. La generosità democratica in Serbia, Ucraina, Georgia eccetera, ci dice Stanko Lazendic, esce dai conti correnti di Us Aid, l'organizzazione governativa statunitense, o dall'Iri, l'Istituto Internazionale Repubblicano (il partito di Bush), o dal suo gemello Democratico (Ndi), o dalla fondazione Soros, o dalla Freedom House, o dalle tedesche «Friedrich Ebert» e «Konrad Adenauer», o dalla britannica «Westminster». Le trasferte di Stanko in Ucraina, da agosto a settembre, per esempio, è stata pagata prima dalla Westminster britannica e poi dall'American Freedom House di cui è «consigliere speciale» per l'Ucraina. In Georgia, contro Shevarndnadze, pagava Soros. La serba Otpor in formato esportazione partorisce così «Kmara» (Basta) a Tbilisi, e «Pora» (E' ora) a Kiev. Prossimi impegni professionali, Stanko? «Vedremo. Dopo gli ottimi risultati ottenuti in Serbia, Georgia e Ucraina, spero che avremo altri contratti. Stiamo già lavorando un po' in Bielorussia e siamo in corrispondenza con l'Azerbaijan. Vedremo». Già. Anche noi sicuramente vedremo. === 2 === Remondino Ennio Remondino, noto mistificatore buonista delle vicende balcaniche, ha avuto dal non più sorpendente Manifesto di Mariuccia Ciotta e Gabriele Polo e dell'arancione Astrid Dakli il privilegio di imbrattare un'intera pagina di una cialtronesca diffamazione dei serbi e di Milosevic, infilata subdolamente in tardive pseudorivelazioni su Otpor e furbescamente collocata sotto il fuorviante titolo "Otpor, arancione a stelle e striscie", che poteva far ben sperare. Un titolo che indurrebbe lettori fiduciosi e consapevoli ad attendersi una, anche questa volta tardiva, ma benvenuta, rettifica agli scomposti e bugiardi inni alla "primavera ucraina" sciolti dal già citato slavofobo, anticomunista, integralista albanese Astrid Dakli. Raccontandoci cose che soltanto la complice subalternità dei giornalisti - e relativi ufficiali pagatori - della sedicente sinistra radicale ha taciuto e stravolto, ma che chiunque di noi si documenti in modo serio aveva capito, se non letto e imparato, nell'immediato espandersi della neoplasia Otpor in Europa Orientale e nel Caucaso, il Remondino coglie la palla al balzo, sotto il benevolo sguardo del propalatore di "contro"pulizie etniche Tommaso di Francesco, per rinnovare il suo lavoro di servo furbo dei cantastorie della Nato, di Washington e del Tribunale di Carla del Ponte. La tecnica è quella di un Bertinotti qualsiasi: la guerra è cattiva, la fanno i cattivi di Oltreatlantico, ma non meno cattivo è il "terrorismo" islamico, onde per cui... La conclusione la può trarre facilmente chiunque, visto che il "terrorismo" islamico non ha nessuna intenzione di sciogliersi nella nonviolenza e nelle liturgie New Age del neosanfedista al comando del PRC: una sostanziale vasellinata ai missili di Bush. Così Remondino. Coperto dalla finzione tecnica di un'intervista al mercenario prezzolato Stanko Lazendic, violentissimo nonviolento serbo della genìa che, dopo il golpe "nonviolento", ma pieno di teppisti armati e col parlamento messo a fuoco, del 2000, ha epurato, bastonando, uccidendo, buttando in mezzo a una strada, compagni, giornalisti, sindacalisti, semplici funzionari di Stato e, dunque, avviato la svendita del suo paese al proprio carnefice, Remondino esercita la solita funzione del cerchiobottista - un colpo al cerchio e duecento colpi alla botte - che lo ha incastonato quale "onesto giornalista" nel folgorante diadema di stupidità e dabbennaggini di tante persone "di sinistra". Il trucco consiste nell'inventarsi un Lazendic, giovane partecipe, con il "Centro di Resistenza non-violenta" di Belgrado, della rivolta democratica contro il "despota" Milosevic (la definizione "despota" ricorre incessantemente nelle cinque colonne di maleodorante piombo ed è dunque il messaggio centrale dello scritto) e, dunque, nell' assegnare a quell'ondata di manifestazioni guidate dai mercenari Djindjic e Draskovic, con le sorosiane donne in nero a sostenerne l'apparenza di autentica e giusta espressione di malcontento popolare, una patente di democratica spontaneità ed autonomia che, come sappiamo, non ha mai meritato. Quel Centro e quelle manifestazioni non differivano nè in qualità politica, nè in retroterra economico in nulla dal lavoro di destabilizzazione per conto dell'imperialismo che, in chiusura, Remondino identifica negli arancioni di Kiev. Anche noi, piccola delegazione di antimperialisti e pacifisti, incontrammo gli esponenti della coalizione dai vari nomi, tra cui quello di "Centro di Resistenza non violenta". Li incontrammo in piena guerra, cosa stupefacente per una dichiarata quinta colonna filo-americana, in una loro sala "sindacale", in piena Belgrado, sotto gli occhi di chiunque: tale era la "dittatura" di questo governo maniaco di elezioni, tanto da farne ogni sei mesi e di indiscutibili. Ci espressero tutta la loro foja capitalista, qualche remora per le bombe che, dopottutto, potevano cascare in testa anchea loro, ma una grande fiducia riservata alle spie Djndjic e Draskovic e, soprattutto, al malvivente e narcotrafficante Djukanovic del Montenegro. Si ritirarono inorriditi ad apprendere che alcuni di noi erano comunisti e, comunque, antimperialisti. Si soffermarono con loro e, anzi, intessero duraturi rapporti di fraterna collaborazione solo i "Berretti Bianchi", per chi non lo sapesse il ramo itinerante dei "Beati Costruttori di Pace", quelli che in questi giorni hanno dato il proprio contributo a un Tribunale sull'Iraq che raccoglievo il peggio del moderatismo equidistante della società "civile" italiana e irachena. Basta scorrere gli atti del Congresso USA per trovare le centinaia di milioni di dollari stanziati a favore di questa sua quinta colonna nella disintegrazione della Jugoslavia. Il losco giornalista, approfittando di quella che in effetti è una memoria molto labile dell'opinione pubblica, torna a parlare di "radio libere" che fiancheggiavano la sedizione delle masse narcotizzate dagli agenti della Nato e degli USA. Il riferimento non può che essere a Radio B-92, l'emittente finto-giovanilistico-democratica-di sinistra foraggiata dal criminale della finanza internazionale (filantropo per "Liberazione"), George Soros, e amministrata da Amsterdam dal circuito internazionale statunitense di Radio Liberty-Radio Free Europe, rete messa in piedi durante la guerra fredda per destabilizzare l'est europeo. Quindi, Remondino salva tutta l'operazione Cia-Bundesnachrichtendienst degli anni '95-'99 e avalla un' Otpor e un Lazendic - originaria invenzione entrambi dei cospiratori imperialisti - patrioti e combattenti contro la "dittatura", solo più tardi e solo per "scardinare un trucido apparato di potere per seppellirlo sotto il ridicolo della sua sostanziale impotenza", adattatasi a farsi dare "qualche soldino" e qualche lezione a Budapest (dei corsi di insurrezione a Sofia si scorda) da un colonello (Robert Helvi) di cui manco per niente sapevano che fosse della Cia (è ovvio che spia non denuncia spia). "Quel seminario, mi sembra (sic!), fu promosso da USAids", registra nel suo taccuino e non contesta, l'agevolatore delle diffamazioni umanitarie RAI, quando di questi finanziamenti in termini di dimensioni senza precedenti si vantano da anni (vedi BBC, vedi "Il diario") la NED (National Foundation for Democracy, vetrina della Cia, finanziatrice dei golpisti di Caracas), gli Istituti Democratico e Repubblicano degli USA, le fondazioni di destra Adenauer ed Ebert (statutariamente vocate alle infiltrazioni nell'area socialista) e numerose altre fondazioni, think-tank e lobby come la International Renaissance Foundation, filiale ucraina dell'Open Society di Soros, la Eurasia Foundation, pure finanziata da Soros, la Banca Mondiale, la Freedom House dell'ex-capo Cia James Woolsey, il National Democratic Institute diretto dalla iena sionista (con rispetto per le iene) Madeleine Albright, oltre alle ambasciate di USA, Regno Unito e Canada dei vari paesi interessati. Senza contare che USAid è l'agenzia "di aiuti allo sviluppo internazionale" che da sempre infiltra e corrompe nei paesi da ricondurre sotto lo stivale imperialista, oggi nazi-imperialista. Remondino lascia dire - e non obietta - a Lazendic: "Noi non siamo della Cia, nè lavoriamo per la Cia. Se così fosse, guadagneremmo molto, molto di più dei pochi soldi che riceviamo. Una miseria per i rischi che corriamo" (l'unico rischio che questi criminali di guerra e di pace hanno corso finora, in dissonanza con i riconoscimenti e gli osanna di "compagni" come Cannavò di "Liberazione" e Dakli e Karol del "Manifesto", sono stati i calci in culo ricevuti in Bielorussia, dove, comunque, Lazendic si ripromette di tornare a operare). Peccato che lo stesso Lazendic e un altro paio di ceffi dirigenti, intervistati da me quando erano installati belli belli nel cuore di Belgrado, nel settembre del 2000, ed erano così poveri da riempire di migliaia di enormi cartelloni e manifesti anti-Milosevic l'intero paese, mi abbiano invece detto (come poi confermato da tanti e anche da De Aglio nel "diario"): "Siamo orgogliosi di essere aiutati da un servizio di intelligence di un grande paese democratico". Remondino, sempre lisciando le chiappe a questo arnese della canea revanscista, lo inizia a sospettare cinque anni più tardi. Questi rifiuti della aggredita e martoriata società serba, al servizio da dieci anni del più bestiale imperialismo di ogni tempo, corresponsabili di carneficine e spaventosi degradi e impoverimenti, di dittature colonialiste e pulizie etniche, lanciati alla disintegrazione dello spazio euroasiatico ancora sottratto al dominio e alle rapine dell'imperialismo, si meritano da Remondino l'amichevole "Stanko" e la criminale complicità nelle falsificazioni politiche e umane che tengono rinchiusa un'eroica vittima all'Aja, insieme a tanti suoi compagni, e che forniscono gli strumenti per lo stupro sistematico della verità e della giustizia da parte di sedicenti sinistri radicali. A ulteriore accredito della loro genuina origine e condotta democratiche, questo velinaro delle centrali di diffamazione sottolinea come, insieme all'opposizione al "despota" Slobodan Milosevic, i bravi ragazzi di Otpor criticassero anche i bombardamenti Nato, bontà loro, rivendicando falsamente a loro il logo dell'antimperialismo serbo e mondiale "target", e quindi facendone dei veri patrioti. Posso solo opporre, insieme a tutti coloro che, diversamente da Casarini, Bettin e compagni disobbedienti precipitatisi a Belgrado per rendere onore all'emittente Cia "B-92", avendo sostato per abbastanza tempo sotto quelle bombe Nato in tutta la Serbia, e anche dopo, non mi sovviene di un solo manifesto, volantino, opuscolo, cartellone, programma radio o TV di paternità Otpor che esternasse anche un solo bisbiglio di disapprovazione nei confronti dei bombaroli. E se pure ci fosse stato, chi si crede di minchionare questo servo furbo? Se anche uno solo dei teppisti Otpor avesse osato in quei giorni applaudire in pubblico gli assassini di un popolo, non avrebbe avuto modo di uscire dalla sua tana a stelle e striscie per il resto dei suoi giorni. Nota personale che riguarda un bertinottismo non certo di recente origine. Quando nel 2000, documentatomi sui fatti e tra protagonisti, da Belgrado inviai al mio giornale, "Liberazione", reportages che dettagliatamente e provatamente riferivano, per primi, delle azioni e della natura di Otpor, il caporedattore Salvatore Cannavò, allievo di Sandro Curzi, capofila della lista civetta trotzkisteggiante "Un'altra Rifondazione è possibile" per il prossimo congresso nazionale del PRC, cestinò tutti i miei pezzi e scrisse invece di suo pugno un benvenuto ai "compagni di Otpor" e un invito a partecipare alla prossima sessione del movimento no-global a Nizza, o in qualunque altra istanza, nientemeno! Invito accolto con entusiasmo dai mercenari serbi ai microfoni di Radio Sherwood, radio ufficiale a Padova delle allora "Tute Bianche". Oggi Cannavò è vicedirettore, io sono un licenziato di "Liberazione" e un condannato di Rifondazione, per aver detto, scritto e manifestato "Bertinot-in-my-name". Cosa c'entra Bertinotti con le vergogne di Remondino? Al ritorno dalla Jugoslavia distrutta e frantumata e dal suo presidente violentato, consegnai nelle mani del sovrano del PRC un dossier con tutte le informazioni su Otpor che altri avrebbero convalidato anni più tardi e gliene feci a voce una breve sintesi. Mi rispose:"Cosa vuoi, in ogni movimento rivoluzionario (sic!) ci sono frange strane..." Sorrise e si voltò sui tacchi. Uomo di grande fascino. Caro "Manifesto", hai provato a rimediare alle bassezze dei tuoi interventi arancioni sull'Ucraina fagocitata dal moloch anti-umanità. Ti ci hanno costretto le verità che fiottavano a valanga dalla stessa pancia del mostro, come Ramsey Clark - oggi ufficialmente avvocato difensore del presidente Saddam Hussein, come sempre coraggioso combattente, impermeabile a ogni intimidazione e conformismo - chiama il suo paese. Ma il tuo salto della quaglia, una volta di più, è stato troppo corto: sei di nuovo finito nella merda. Di queste cose lascia scrivere un Manlio Dinucci, o uno Stefano Chiarini. Eviteresti lo sgretolamento finale di quel logo sotto la testata: "quotidiano comunista". Fulvio Grimaldi bassottovic at libero.it
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