Re: (Fwd) N.E. Balcani #778 - Balcani




prima dell‚inizio dell'ultimo conflitto in Kosovo e della
mostruosa „pulizia etnica‰ messa in atto dalle milizie di Milo˚eviΩ

Le "milizie di Milosevic" - nome dispregiativo che Matvejevic usa per l'esercito jugoslavo - non hanno mai commesso alcuna "mostruosa pulizia etnica".

Tanto e' vero che l'accusa in tal senso mossa dal "Tribunale" dell'Aia non puo' essere provata in alcun modo: Milosevic ha ribattuto, a tutte le accuse, una per una.

Il fatto che su quel "processo" sia stata imposta una vera e propria censura mediatica non esime nessuno dal dovere etico di informarsi su che cosa stia succedendo, prima di lanciare accuse cosi' gravi. Predrag Matvejevic non ha nemmeno l'attenuante dell'ignoranza, visto che da erudito professore conosce benissimo i fatti.

L'esercito jugoslavo, a partire dal 1997, ha cercato di difendere i confini del proprio paese colpendo gli estremisti pan-albanesi ed il terrorismo stragista dell'UCK.

Il fatto che l'esercito jugoslavo abbia perso drammaticamente quella battaglia contro il neonazismo pan-albanese (finanziato, armato, addestrato, sostenuto, propagandato dalla NATO) non e' stata solo una sconfitta per la Jugoslavia multietnica e progressista, ma lo e' per qualsiasi ipotesi di Europa civilizzata.

Invito a consultare il sito nella formazione "contras", erede dell'UCK, che persegue il progetto della Grande Albania etnica non solo ai danni dei "serbi", ma persino contro la Grecia:

http://www.shqiperiaebashkuar.org/0/Anglisht/Anglisht.htm




Resent-From: balcani at peacelink.it
Da: "Davide Bertok" <davide at bertok.it>
Data: Ven 16 Apr 2004  14:48:35 Europe/Rome
A: balcani at peacelink.it
Oggetto: (Fwd) N.E. Balcani #778 - Balcani
Rispondere-A: balcani at peacelink.it


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N.E. BALCANI #778 - BALCANI
15 aprile 2004


L‚EUROPA PROMESSA: I BALCANI E L'ALLARGAMENTO DELL'UE
di Predrag Matvejevic

**‰Notizie Est‰ ringrazia l‚autore per avere messo gentilmente a
disposizione il suo testo**

[RIASSUNTO: Questo saggio contiene tre parti e tre vari approcci,
contigui e complementari. Inizia con una riflessione sui nuovi paesi
che stanno per entrare nell‚Unione europea nel maggio 2004, sui
problemi che pone la loro adesione: accettazioni, esitazioni,
reticenze, incompatibilità. In questo capitolo l‚autore cerca di
definire „una Europa auspicabile‰ e presenta allo stesso tempo le
alternative della Russia: „come una vera democrazia o come una
semplice democratura‰.

L‚altra parte „approda nei Balcani‰ seguendo un punto di vista
geopolitico e anche „geopoetico‰: rilievi della penisola, terremoti,
popolazioni, varie origini, storie diverse o opposte. Vi sono
accentuate le contraddizioni di uno spazio „disseminato dalle
vestigia degli imperi sovranazionali e dai resti dei nuovo Stati,
nati dalle idee di nazione del XIX secolo e dalle ideologie
internazionaliste del Œsocialismo reale‚ del XX secolo, eredità di
due guerre mondiali e di una guerra fredda, vicissitudini dell‚Europa
dell‚ Est e di quelle dell‚ Ovest‰.

Nella parte successiva l‚autore esamina „un caso emblematico: il
Kosovo‰: come questo territorio si presenta da un punto di vista
storico e nel contesto della situazione attuale. Il lavoro si
conclude con una riflessione sul futuro possibile dei Balcani in una
nuova Europa.]


ALCUNE CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE
Ultimamente ho visitato la gran parte dei nuovi candidati
all'adesione all'Unione europea, sia quelli che entreranno per primi
che quelli che ne faranno parte in una seconda fase.

Con l'avvicinarsi del «gran giorno», un certo realismo ha sostituito
le prime illusioni e, comunque, si puo osservare che le reazioni
decisamente antieuropee sono sempre più deboli o limitate. Esse
rimangono confinate solo in ciò che resta di una certa sinistra,
legata in qualche modo al passato, come pure negli ambienti
nazionalisti o ultraconservatori come, ad esempio, la «Lega delle
famiglie polacche» o altre organizzazioni decisamente minoritarie.

Nel grande calderone della marea proeuropea, d'altra parte, emergono
apprensioni tutto sommato auspicabili e positive. La volontà di
«uscirne a qualunque costo», di liberarsi del passato e del suo
fardello, si accompagna a quella di «entrarvi a qualunque costo» e di
diventare infine membri di un'Europa unita. Evidentemente vi è in
tale atteggiamento anche precipitazione, improvvisazione, mancanza di
riflessione e molto altro.
Il primo gruppo di candidati senza dubbio porrà meno problemi del
secondo, ma, molto probabilmente, sufficienti perche i ritardatari
vedano prolungata la loro attesa nel lungo termine.

D'altra parte, i tempi della riconversione e dello sviluppo,
necessari per liberarasi dalle conseguenze del "socialismo reale''
non sono stati e non saranno brevi, prova ne sia che un paese come la
Slovenia, che spesso si cita come buon modello di transizione, ha
avuto bisogno di più di sette anni per ritornare solo ad essere ∑ la
Slovenia del 1990. Anche gli ingenti aiuti erogati dalla Germania
occidentale alla sua sfortunata sorella dell'Est fanno emergere
perfettamente quale sia la dimensione dei mezzi necessari per queste
trasformazioni strutturali. Così sia i lavori preparatori che
l'adesione dei candidati, mostreranno probabilmente, lacune di
dimensione differente e in alcuni paesi e nei prossimi anni ci
troveremo forse di fronte a difficoltà impreviste e inattese, di cui
fin d'ora dovremmo essere consapevoli.

Nel complicato processo di adesione i problemi culturali sono stati
posti raramente in evidenza. D'altra parte, si vive in un'epoca in
cui l'intellighenzia dell'Europa occidentale, dopo gli errori che le
sono stati a torto o a ragione imputati, sembra cerchi di evitare
impegni troppo diretti o espliciti, mentre quella dell'Est non
sembrerebbe essersi ancora completamente ripresa da ciò che le è
successo.

Né l'una né l'altra appaiono, al momento, avere una presenza
importante in questo processo e, a dir il vero, non sembrano nemmeno
determinate ad averlo. Viaggiando nelle regioni dell'Europa orientale
ho potuto comunque raccogliere idee sui diversi modi in cui l'Unione
è vista dall'"altra Europa".
Il ventaglio delle opinioni spazia dalla convinzione che l'Europa del
futuro dovrebbe essere meno eurocentrica di quella del passato, più
aperta agli altri dell'Europa colonialista, meno egoista dell'Europa
delle nazioni, più consapevole di se stessa e meno incline
all'americanizzazione. Inoltre, si è convinti che sarebbe utopico
prevedere che essa divenga, in tempi ragionevoli, più culturale che
commerciale, meno comunitaria che cosmopolita, più comprensiva che
arrogante, meno orgogliosa che accogliente, più l'Europa dei
cittadini che si tendono la mano e meno l'"Europa delle patrie" che
si sono tanto combattute l'un l'altra e, in fin dei conti, più
socialista dal volto umano (secondo il senso che alcuni dissidenti
dell'ex Europa dell'Est davano in passato al termine) e meno
capitalista senza volto.

La sorte dell'Est Europeo non dipende più, come nel passato,
dal'influenza dell'Unione Sovietica. La Russia, nonostante cerchi
ancora di impersonare il ruolo di grande potenza (e riesca, entro
certi limiti, ad esserlo), non è evidentemente il colosso del passato
ma i legami sempre presenti, specialmente nell'area balcanica, ne
fanno un interlocutore da non sottovalutare.

Come potrebbe materializzarsi questo suo ruolo, molto dipende dalla
sua evoluzione interna. Si possono ipotizzare diverse Russie del
domani. Sarà essa una vera democrazia o una semplice "democratura"?
Tradizionale o moderna? "Santa" o profana? Ortodossa o scismatica?
Più bianca che "rossa" o viceversa? Meno slavofila che occidentalista
o viceversa? Tanto asiatica quanto europea o il contrario dell'una e
dell'altra? Una Russia che "la ragione non è in grado di comprendere
appieno e nella quale possiamo solamente credere" (come diceva
magnificamente il poeta Tjutchev nel XIX secolo), oppure quella
"robusta e dal grosso fondoschiena" (tolstozadaja) cantata da
Aleksander Blok durante la Rivoluzione? "Con Cristo" o "senza la
croce"? Semplicemente russa (russiskaja) o "di tutte le Russie"
(vserossiskaja)? Qualunque cosa diventi, dovrà fare i conti con tutto
ciò che l'ex Unione Sovietica le ha lasciato e tutto ciò di cui l'ha
privata.
Noi, nati all'Est e formati nell'altra Europa, dobbiamo dar voce a
questi ed altri interrogativi di fronte a tanti comportamenti
conservatori, atteggiamenti tradizionalisti, mancanza di trasparenza
o mentalità retrograda nella maniera di governare che riemergono in
tanti paesi allo tempo stesso europei eppure tagliati fuori
dall'Europa. E ciò soprattutto dove l'assenza di tradizioni
democratiche appare evidente, laddove i diritti dell'uomo continuano
ad essere violati e lo Stato di diritto è lungi dall'esser
instaurato.


I BALCANI IN CONTROLUCE

Chi approda nei Balcani non tarda a rendersi conto delle loro
contraddizioni. Sono una penisola vera e propria o un grosso blocco
del Continente immerso nel bacino mediterraneo? L‚una e l‚altra cosa
alternativamente o, a seconda del luogo, sia l‚una sia l‚altro? Sono
tanti i mari che lambiscono queste coste ˆ l‚Adriatico, lo Ionio,
l‚Egeo con, ai suoi confini, quello che viene chiamato il Mar Nero e
quello, più piccolo, il Mar di Marmara. Il litorale non è tutto
marittimo. L‚entroterra è per la maggior parte montagnoso. Nessuno
dei cinque mari che lo circondano aveva dato il nome a questi spazi,
ma piuttosto i rilievi del loro interno: per gli antichi geografi
erano Haemus e catena mundi, per gli Slavi «Vecchio Monte» (Stara
planina) che i Turchi hanno tradotto nella loro lingua con Balcani.

In passato, i Balcani si chiamavano anche Penisola Illirica, Greca,
Bizantina e, più di recente, «Turchia europea»: ciò rivela, fra
l‚altro, le diverse appropriazioni o appartenenze di questi
territori. A differenza delle cugine appenninica e iberica, separate
dal Continente da catene montuose, come le Alpi e i Pirenei, la
Penisola Balcanica non offre, di fronte all‚Europa centrale, una
barriera difficile da superare.

Per vari geografi e storici sarebbero i fiumi Danubio, Sava e Kupa a
delimitare la frontiera dei Balcani verso il Nord e l‚Ovest. Lungo la
costa, invece, i confini (soprattutto nei mappamondi più antichi)
vengono posti nel golfo del Quarnero o addirittura in quello di
Trieste. Dall‚altro lato, a Est, la linea che potremmo tracciare
passerebbe probabilmente attraverso la Dobrugia e si fermerebbe non
lontano dal misterioso delta denubiano. Del resto queste
delimitazioni sono relative e spesso arbitrarie e quelli che le
propongono o le ratificano raramente concordano gli uni con gli altri
ed il tracciato dei confini sulle antiche carte varia da un‚epoca
all'altra.

I Balcani vengono spesso identificati a oriente, nell‚Europa, in
funzione dell‚angolazione dalla quale li si osserva e dal punto di
vista che si adotta. E‚ stato detto e ripetuto più volte che, vista
dal centro del nostro Continente, questa „zona turbolenta‰ comincia
già a Monaco di Baviera o a Vienna (si riporta la famosa battuta di
Metternich che riguardava una Vienna più balcanica che
mitteleuropea); gli abitanti di queste due città spostano questa
„frontiera incerta‰ verso Lubiana e Zagabria (lo scrittore croato
Miroslav Krleıa la faceva partire dal prestigioso Hôtel de
l‚Esplanade al centro di questa città); mentre gli Sloveni o gli
stessi Croati la spingono ben più a est, verso Belgrado o Sarajevo.

La questione della molteplicità e della diversità demografica è tanto
vecchia quanto gli stessi Balcani. Ha suscitato l‚interesse e acceso
la passione sia di illustri saggi sia di ciarlatani. Si evoca spesso
una curiosa ricerca fatta dal canonico di Sebenico che si faceva
chiamare con un nome latino, Georgius Sisgoreus, e con un altro,
croato, Juraj …i˚goriΩ. Vissuto all‚epoca del Rinascimento, cantando
la gloria di Venezia e al tempo stesso raccogliendo le opere popolari
slave, questo erudito aveva tentato di fare il censimento delle
popolazioni o delle tribù balcaniche, richiamandosi alle
testimonianze degli antichi storici e geografi, enumerando strani ed
esotici predecessori: Encheli (Encheleae) Himani, Peuceci
(Peuceciae), secondo Callimaco; Soreti, Serapilli, Iasi, Andiseti o
Sandiseti (Sandisetes), Colaphiani (Calophani) e Breuci, secondo
Plinio; Norici, Antintani, Ardei (Ardiei), Pallarii e Giapodi
(Japodes), poi Tribali, Daysi (Daysii), Istriani (Histri), Liburni,
Dalmati (Dalmatae); Cureti o Croati (Curetes)», eccetera. A questa
nomenclatura si aggiungono altri popoli Slavi, come pure le antiche
popolazioni romaniche da loro cacciate. E si continua con gli Illiri
e i Traci, antenati degli Albanesi; i Sarmati e i Geti (Getae),
popolazioni „feroci e irsute‰, stando alla descrizione che ne fa
Ovidio durante il suo esilio in quei luoghi; ed in seguito i Goti, i
Celti ed anche anche i Franchi che vi fecero più di un‚incursione.
Ma, sopratutto, i Balcani furono abitati dagli antichi Greci, nostri
maestri, non dimenticando però i Pellasghi, che li precedettero, e
persino i Peceneghi, i Gheghi, i Manii, i Morlacchi o Valacchi Neri
(Mauri Volcae) e tanti altri che non sono citati in questo scritto
per mancanza di spazio o forse per una sorta di negligenza, voluta o
involontaria, atteggiamento non raro nei Balcani.

Lo spazio balcanico è disseminato dalle vestigia degli imperi
sovranazionali che vi dominarono e dai resti dei nuovi Stati, nati
dalle idee di nazione del XIX secolo e dalle ideologie
internazionaliste del „socialismo reale‰ del XX secolo; eredità di
due guerre mondiali e di una guerra fredda; vicissitudini dell‚Europa
dell‚Est e di quella dell‚Ovest. In definitiva, vi ritroviamo
relazioni ambivalenti fra Paesi sviluppati e in via di sviluppo;
tangenti e trasversali Est-Ovest e Nord-Sud; legami e fratture fra il
Mediterraneo e l‚Europa; l‚Unione europea e „l‚altra Europa‰. Tante
divisioni e faglie, linee di demarcazione o di frontiera, materiali e
spirituali, politiche, sociali, culturali e altre ancora. Alcune
parti di questo territorio recano marchi e ferite, inflitti sia dalla
storia che da un passato al quale non è stato dato di essere
realmente storico.

Ogni volontà di allargarsi a scapito dell‚altro si è rivelata in fin
dei conti illusoria, e nell'allargarsi della follia nazionalista non
c‚è stato alcun spazio per una «grande Serbia», un‚«Albania
allargata», una Croazia comprendente la Bosnia-Erzegovina o una
Bulgaria che si appropria della Macedonia. La penisola è troppo
ristretta per tali manie di grandezza e risulta essere molto scomoda
per simili ambizioni. Le sue frontiere sono già fissate, al suo
interno e all‚esterno. I giochi sono ormai fatti.

Alle differenze etniche e linguistiche vanno anche sommate diversità
immaginarie e mitologiche. Ognuno pretende di avere radici più
profonde dell‚altro, ragioni più convincenti per impadronirsi dei
territori vicini: fondate su stati e poteri che affondano nelle
nebbie del passato. Gli avvenimenti reali e le loro rappresentazioni
fittizie si sostituiscono così gli uni alle altre, la storia e il
mito si confondono, le rivendicazioni trovano fondamento tanto su
ambedue e, talvolta, contemporaneamente su entrambe. Gli argomenti
che si invocano e le „prove‰ che vengono fornite sono considerati
irrefutabili o addirittura ≥sacri„: si prevalica in nome del diritto
storico; oppure si rivendica in nome del diritto naturale, con la
pretesa degli uni di detenere la verità della storia e degli altri di
possedere il diritto assoluto. I Balcani ne sono stati vittime
innumeri volte, molto spesso per loro stessa colpa.

La storiografia tradizionale si è concentrata sopratutto sui popoli
che „arrivano‰ e „si installano‰ nell'area piuttosto che su quelli
che si sono amalgamati con le popolazioni autoctone. Le dispute o gli
scontri che ne derivano assumono maggiore intensità e anche maggiore
ambiguità proprio nel momento in cui questi popoli nazione
rivendicano l'attribuzione di entità statale (Stato nazionale), per
recuperare i ritardi passati e fare parte del consesso mondiale.

Altre divergenze, meno evidenti, si mescolano a questi processi di
lunga durata. Una delle fratture più profonde e ancora permanente
rimane quella provocata dallo scisma cristiano del 1054, che divise
Chiese e fedi religiose, imperi e poteri, stili e scritture.

Nel fossato che si è creato fra Bisanzio e la Latinità, all‚interno
del Cristianesimo cattolico e ortodosso, si è inserito l‚Islam.
L‚Europa e il Mediterraneo si sono staccati e sono esplosi in seno ai
Balcani. Nei conflitti, qui nati e ripetuti la fede risultava per lo
più assente , ma non lo era la discordia religiosa.

Nel corso dei secoli, questa specie di differenziazione ha creato una
divisione continua fra i credenti, la divisione si è trasformata in
opposizione, e l‚opposizione in intolleranza; generando ostilità e
odio, che sono diventati spesso la causa di violenze e di conflitti.
Così, da una fase all‚altra, si può seguire l‚evoluzione di questi
dissensi originari. Essi implicano contenuti reali, disseminati nel
tempo e nello spazio, separati dalla loro matrice religiosa.
Inscritti nell‚immaginario collettivo, si prestano a varie forme di
manipolazione. I „signori della guerra‰ ne hanno fatto abbondante
uso, in particolare nel corso degli ultimi conflitti in Bosnia, in
Kosovo, in Croazia, conflitti in gran parte non assimilabili alle
guerre di religione, nell‚accezione generale del termine.

La stessa balcanizzazione è legata a questi fatti che non sono sempre
visibili a occhio nudo. La maggior parte delle popolazioni di questa
regione non ha conosciuto autentiche tradizioni laiche. Ma non si
tratta unicamente di una mancanza di laicità rispetto alla fede; si
osserva un analogo atteggiamento anche nei confronti di un‚idea
nazionale concepita in senso religioso e, al tempo stesso, di
un‚ideologia (non solo nazionale) praticata in quanto religione. Si
può infine spesso osservare la trasformazione di alcuni aspetti della
cultura nazionale in un‚ideologia della nazione.

La letteratura, a sua volta, si riduce a una „letteratura nazionale‰
in senso stretto. Le energie, sia individuali che collettive, vengono
così assimilate al mero nazionalismo. Questi fenomeni sono
riscontrabili anche al di là dei Balcani, lungo tutte le coste
mediterranee e altrove.

Non soltanto nei Balcani la storia viene scritta per lo più come
storia nazionale e viene spesso osservata attraverso griglie di
lettura troppo particolari, folcloristiche o epiche. Anche una
sconfitta o una ferita possono essere promosse al rango di
«avvenimenti fondanti» o assumere proporzioni smisurate a livello di
coscienza o di immaginario, nel corso dei secoli.


UN CASO EMBLEMATICO: IL KOSOVO

Le vicende del Kosovo, al di là dell'attualità del problema, possono
costituire un «condensato» della interazione dei differenti elementi
cui abbiamo accennato. Le questioni riguardanti il suo passato, la
sua appartenenza o il suo status attuale vengono poste in termini
molto diversi dagli storici o dai politici che appartengono alle
nazioni che vi coabitano e da coloro la cui origine non è né serba né
albanese. Le loro argomentazioni, anche quando partono dagli stessi
dati, conducono generalmente a conclusioni diverse. Questo esempio, e
la lezione che se ne può trarre per la storia dei Balcani, meritano
un approfondimento.

Il passato geologico e la preistoria non pongono problemi:
anticamente il Kosovo era un grande lago di cui il paesaggio conserva
ancora tracce; il fiume Ibar ha portato le sue acque verso il Mar
Nero, l‚affluente Lepenac verso il Mar Egeo, lasciando attorno ai
loro letti rocce svettanti e, al centro, vallate verdeggianti.

Nel Medio Evo incontriamo il nome di Kosovo polje che significa
«campo dei merli» (campus turdorum). Gli antenati degli Albanesi,
Illiri o Traci, l'anno abitato dalla fine del terzo millennio a.C.
Nel II secolo della nostra era Tolomeo segnala, fra le montagne
dell‚antica Dardania e della Macedonia, la presenza degli Albanoi.
Nel VI-VII secolo d.C. gli Slavi (serbi) sono arrivati in questa
regione, allora percorsa anche dai Valacchi (in parte discendenti dei
coloni romani) e da altre popolazioni nomadi che attraversavano i
Balcani. Tra il XII e il XVI secolo questo spazio è diventato il
„cuore‰ del regno mediovevale serbo: lo Stato di Rascia (Ra˚ka ˆ
antico nome della Serbia) e, dopo aver conquistato alcune terre
bizantine, vi si insedia nel 1180 lo zar Du˚an, detto „Il Potente‰
(Silni), che stabilisce la sua residenza a Prizren; l‚arcivescovo e,
in seguito, il patriarca si insediano a PeΩ e vi costruiscono il
monastero di GraŸanica. Il re Stefano Uros II (1282-1321) si proclama
„Re della Serbia, di Dioclea (l‚odierno Montenegro), d‚Albania e
della costa‰ ˆ il che prova anche che gli Albanesi vivevano nella
stessa regione, mescolati agli altri sudditi del regno.

Questa é la situazione che precede la battaglia di Kosovo del 1389,
nella quale i Serbi, nonostante l‚aiuto offerto loro da alcuni vicini
balcanici (fra i quali figurava anche un certo numero di Albanesi),
subirono una grandiosa disfatta contro la potente armata ottomana.
„Non avendo davanti agli occhi il ricordo di un passato glorioso‰
(utilizzo, all‚occorrenza, le ricerche dello storico francese Georges
Castellan, esperto di questioni balcaniche ˆ e, fortunatamente, nato
lontano da questa zona ), gli albanesi abbracciarono più facilmente
la fede dei vincitori e „fornirono al Sultano un numero imponente di
servitori devoti‰. Quanto ai Serbi, furono costretti a effettuare una
„Grande migrazione‰ (Velika seoba) senza abbandonare affatto la
regione.

Nel 1690 l‚esercito austriaco penetrò fino a PeΩ, distribuendo un
proclama a „Serbi, Albanesi, Mesi, Bulgari, Illiri, Macedoni e Rasci‰
per invitarli a sollevarsi contro gli Ottomani. In questa vicenda i
Serbi ricoprirono un ruolo importante, trascinati dal patriarca
Arsenio III ‘rnojeviΩ. Gli insorti dovettero però ripiegare ed
emigrare (le fonti, che si possono ritenere obiettive, parlano
all‚incirca di 70-80 mila persone), beneficiando dell‚asilo concesso
loro da Leopoldo I nei suoi Stati. Così il loro numero nel Kosovo
diminuì una volta di più, e in maniera abbastanza consistente. Nel
1903, il Consolato austro-ungarico di Prizren effettuò ˆ non si sa
come ˆ il censimento della popolazione dal quale emergeva che essa
risulta composta per il 45% da Serbi e per il 55% da Albanesi. Si
trattava probabilmente di una cifra approssimativa.

Alla fine delle guerre balcaniche, lo Stato serbo occupò la regione
nel 1912 e, dopo la Prima guerra mondiale, attuò una riforma agraria
togliendo agli antichi proprietari turchi le loro terre,
distribuendole ai nuovi colonizzatori serbi e montenegrini a scapito
degli abitanti albanesi che vivevano lì poveri e indifesi.

Dopo la Seconda guerra mondiale la popolazione albanese registrò il
tasso di crescita più elevato in Europa e , arricchita dal lavoro
all‚estero dopo l‚apertura delle frontiere da parte della ex
Jugoslavia, spinse i Serbi del Kosovo a un lento e inesorabile esodo
cosicchè, prima dell‚inizio dell'ultimo conflitto in Kosovo e della
mostruosa „pulizia etnica‰ messa in atto dalle milizie di Milo˚eviΩ,
la regione annoverava il 90% di Albanesi contro il 10% di Serbi. Per
l'oggi non si dispone di dati affidabili riguardanti la composizione
etnica della regione.

La situazione si presta, come si vede, a interpretazioni molto
diverse, a seconda del punto di vista di chi la osserva e ne trae le
conclusioni. In questo contesto, un tema risulta particolarmente
penoso e difficile da affrontare: quello della crudeltà, di cui ci
hanno dato di recente una testimonianza le immagini riprese dal vivo.
Alcuni si rifiutano di parlarne per non offendere una popolazione la
cui maggioranza non ne è affatto responsabile; altri, originari di
questi Paesi, preferiscono tacere perché se ne vergognano. Vorrei
affrontare questo triste discorso partendo da una delle scene più
atroci della letteratura del nostro secolo.

Uno dei primi capitoli de „Il ponte sulla Drina‰ (1945), l‚opera di
Ivo AndriΩ (scrittore di origine croata e bosniaca, serbo di adozione
e iugoslavo di vocazione, premio Nobel per la Letteratura nel 1961),
descrive spietatamente l‚impalamento di un serbo ribelle sotto
l‚impero ottomano: «Un palo di quercia lungo circa tre metri,
ricoperto di ferro battuto, con una punta sottile e aguzza»; un uomo
vivo, «infilzato a questo palo come un agnello allo spiedo, solo che
la punta non gli usciva dalla bocca, ma dalla schiena, ˆ e non erano
stati lesi in modo grave né l‚intestino, né il cuore, né i polmoni».
Occorre un‚operazione grandemente professionale e sofisticata per
evitare le lesioni degli organi vitali; occorrono diversi strumenti ˆ
una decina di martelli e martelletti con cui spingere a poco a poco
il palo nel corpo. La vittima deve sopravvivere così alcuni giorni:
«gonfia, impettita e nuda fino alla cintola», «fissata tra due travi»
sputando «una schiuma bianca», gridando e ringhiando. È la sorte che
aspetta al ribelle.

Possiamo immaginare nel corso dei secoli migliaia di queste vittime
lungo le strade fangose dei Balcani. La sofferenza incarnata dalla
sorte, il male interiorizzato in questo modo e la rivolta o la
vendetta che suscitano, tutto ciò non è „conservato‰ o „decantato‰
solo all‚interno del corpo o nel fondo della memoria, ma anche da
qualche altra parte: non sappiamo esattamente né dove né come! Un
giorno le circostanze risvegliano questi stati torbidi e
traumatizzanti, li attivano sotto forma di resistenza o di
aggressione, di sacrificio o di crudeltà.

A scuola ci hanno insegnato che, proprio grazie ai supplizi subiti
dai nostri avi, Vienna non è mai stata conquistata dalle «orde
asiatiche», così come Venezia o Trieste e che senza questi sacrifici
non ci sarebbero stati il Rinascimento in Italia e nemmeno la
prosperità della Mitteleuropa. «L‚abbiamo pagata con il nostro
sangue». Abbiamo contribuito così a «salvare l‚Europa e la sua
civiltà».

Più a nord, sarebbero stati „i nostri fratelli russi‰ a frapporre uno
scudo analogo, ancora più resistente, alle crudeli invasioni dei
popoli delle steppe al di là degli Urali, proteggendo così i Paesi
che sarebbero diventati la parte più progredita del Continente. Mi
ricordo che quando ero adolescente seguivo questo insegnamento e
accettavo ˆ ahimè! ˆ con un certo orgoglio alcune delle sue
argomentazioni.


NUOVA EUROPA E BALCANI: QUALE FUTURO?

In questo quadro storico e politico vanno inserite le nuove
contraddizioni dei Balcani, area in cui un passato lontano e molti
avvenimenti recenti hanno inferto ferite che continuano a sanguinare.
Le esperienze acquisite sotto i regimi imposti dal „comunismo
staliniano‰ occultano un‚altra eredità dolorosa. Accanto ad alcuni
tentativi positivi di ‰edificazione socialista‰: industrializzazione,
aumento della produzione, sicurezza sociale diffusa, occupazione e
scolarità più accessibili, alfabetizzazione, eccetera, un alto numero
di fallimenti aggrava irrimediabilmente il bilancio: l‚Albania di
Enver Hoxha, la Romania di Nicolae Ceausescu, la Bulgaria di Todor
⁄ivkov, persino la Iugoslavia di Tito, ieri senz'altro più prospera
degli altri «Paesi dell‚Est», che non ha resistito ai regolamenti di
conti nazionalisti.... E il fenomeno va ben oltre, da un paese
all'altro: equivoci tra Serbia e Montenegro, conflitti tra kosovari
albanesi tesi tra Grecia e Turchia, rapporti ambigui tra Bulgaria e
Macedonia, questione ungherese in Transilvania, rumena in Moldavia,
greca e turca in Cipro, macedone in Grecia, serba in Croazia, turca
in Bulgaria, più di due milioni di esiliati o «sfollati». Mille
maniere diverse di assumere e vivere un'»identità post-comunista», di
porre e di risolvere l'eterna «questione nazionale» e quella delle
minoranze, oppure di rivedere frontiere considerate «ingiuste» e «mal
tracciate», di subire o rifiutare la famosa «balcanizzazione» che,
come il Destino nelle tragedie nate sotto i cieli di questa penisola,
continua a separare anche ciò che sembrava indiviso e indivisibile.

Si fanno divisioni senza che resti molto da dividere. Abbiamo creduto
di conquistare il presente e non riusciamo a gestire il passato. In
molti di questi paesi, è stato necessario difendere un patrimonio
nazionale. Oggi, in parecchi casi, occorre difendersi da questo
stesso patrimonio. Cosa che vale anche per la memoria: dovevamo
salvaguardarla, e adesso sembra punire gli stessi che l'hanno
salvata. Tanti eredi restano così senza eredità.

Al di fuori e al di là di questa panoplia è necessario però anche
rovesciare la medaglia e citare una ricchissima produzione letteraria
e artistica, autentici tesori che queste terre hanno dato all'Europa
nonostante le condizioni di cui si è parlato. Si possono fare i nomi
di AndriΩ e di Krleıa (quest‚ultimo, pur nato a Zagabria, non ha mai
perso di vista la realtà balcanica). Il romanziere serbo Milo˚
Crnjanski merita un posto accanto a loro, come pure lo scomparso
Danilo Ki˚, mio amico, „ibrido‰ ebreo e montenegrino, iugoslavo ed
europeo a tutti gli effetti. I greci Nikos Kazantzakis con la sua
prosa, Seféris o Rítsos con la loro poesia si rivelano degni della
grande eredità ellenica. L‚Albania ci ha dato un romanziere geniale,
Ismail Kadare, che figura fra i più importanti autori contemporanei
europei. Ivan Vazov e Georgi Karaslavov hanno aperto la strada
maestra al romanzo bulgaro che altri, prosatori e poeti, hanno saputo
percorrere dopo di loro. I poeti macedoni Aco …opov e Blaıe Koneski
hanno contribuito con le loro opere a codificare la lingua della loro
nazione. Grazie alla sua opera e al suo esempio, il „gigante turco‰
Jachar Kemal è letto e apprezzato in egual misura sulle due coste del
Bosforo. La letteratura rumena ha varcato le proprie frontiere,
consacrando, fra gli altri, alcuni grandi autori di lingua francese:
Panaït Istrati, „meteco‰ greco-rumeno, Tzara, Ionesco, Cioran...
Interrompo qui questo elenco che, nei limiti di questo scritto, non
può evitare di restare incompleto, di parte, se non addirittura
parziale.

Anche questo sono i Balcani, „questo spazio che produce più storia di
quanta possa consumarne‰ ( W. Churchill), per gli uni la „vetrina‰
del nostro Continente, per gli altri il suo „termometro‰: la „culla
d‚Europa‰ o la sua „polveriera‰.

L'allargamento dell'Unione Europea avviene in una situazione in cui
numerosi problemi della stessa Unione non riescono a risolversi.
Quest‚ultima stenta a formulare la sua propria Costituzione e a
renderla accettabile a tutti i suoi membri, attuali e futuri. I
Balcani rimangono ancora lontano dalle scelte europee, dai processi
di integrazione stabiliti sulla base di accordi in vigore.

Le nuove frontiere, talvolta implicite, continuano a crearsi: un
fossato fra l‚Europa continentale e il Sud euro-mediterraneo, un
abisso fra il Nord e il Sud del Mediterraneo, una posizione
indefinita dei Balcani - e nei confronti dei Balcani stessi. A tale
proposito ogni conclusione dovrebbe guardarsi delle ipotesi
congetturali o contingenti.

Si tratta di un lavoro che spetta alla storia.

(traduzione italiana di Giacomo Scotti)

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