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NIGRIZIA 11/2000 - CHIESE E MISSIONE




CHIESE E MISSIONE

Sentirsi discepoli / Un metodo per la missione
IL MAESTRO PRIMA CONQUISTA IL CUORE
Renato Kizito Sesana

PERCHE' PREDICHIAMO, CATECHIZZIAMO, INSEGNIAMO, E FACCIAMO POCHI DISCEPOLI?
PERCHE' ANTEPONIAMO DOTTRINE, PROGETTI E PROGRAMMI  ALL'AMORE PER LE
PERSONE. E NON C'E' CHIESA NE' RICERCA DI DIO, SE NON C'E' AMORE. COME
TESTIMONIANO TRE CATECHISTI NUBA.

Come sono riusciti i catechisti nuba, nelle sperdute montagne del centro del
Sudan, a mantenere viva la fede a far crescere la chiesa durante i lunghi
anni, 10 o 15 a seconda delle zone, di completo isolamento? Quale
"metodologia missionaria" hanno usato i tre catechisti anziani - Jibril
Tutu, Musa Arat e Paul Chalu - autentici "padri della chiesa" fra i nuba?

Ho intuito la risposta durante la mia piu' recente visita sulle loro
montagne, a Kujur Shabia, dove ho tenuto un corso per maestri. Ho visto
arrivare Paul da lontano, stanco per le oltre sei ore di cammino,
accompagnato da tre giovani catechisti che lui ha formato. Si e' seduto per
raccontarmi il motivo della sua visita e gli altri tre hanno dialogato e lo
hanno anche contraddetto, con l'attento, affettuoso rispetto che in Africa
si usa per gli anziani. Guardando i quattro che, seduti sulle rocce, al
tramonto, sorseggiando l'acqua fresca da un grande guscio di zucca
essiccato, parlavano della vita della comunita' cristiana, mi e' parso di
vedere un'illustrazione del Vangelo, e ho improvvisamente trovato la
risposta alle mie domande.

I catechisti nuba, senz'altra formazione se non la lettura continua del
Vangelo, hanno istintivamente seguito la "metodologia" di Gesu' e degli
apostoli, formando dei discepoli. Come Gesu', hanno annunciato la buona
novella e raccolto intorno a se' i giovani piu' aperti, hanno continuato a
camminare con loro, in comunione di vita, insegnando e guidando insieme la
comunita'. Hanno cioe' praticato il metodo del discepolato, in cui il
"maestro" condivide la vita dei discepoli, li istruisce e li esorta sulla
strada della ricerca del Regno, e con loro risolve i problemi della
comunita' che cresce. Senza mai dimenticare che di Maestro ce n'e' uno solo,
e gli altri ne sono solo una debole immagine, sono sempre discepoli-maestri.

Matteo ha scritto che Gesu' dopo la resurrezione ha inviato i discepoli
dicendo loro: "Andate, fate discepoli di tutte le nazioni, battezzateli. e
ammaestrateli". Come mai questo fate discepoli non e' stato considerato,
almeno nel recente passato missionario, un'indicazione di metodo? Eppure
sarebbe la conclusione piu' logica, Gesu' che durante la sua vita pubblica
ha insegnato facendo discepoli, lascia ai discepoli la consegna di
continuare l'annuncio del Regno facendo altri discepoli. Come mai in alcune
traduzioni in lingue moderne il "fate discepoli" diventa "ammaestrate", che
e' una ripetizione dell'indicazione che viene poco dopo?

CHIAMATA GRATUITA

Tornato a Nairobi ho cercato nelle biblioteche teologiche tutto cio' che e'
stato scritto sul "discepolato". Non ho trovato niente sul discepolato come
metodo. L'unico riferimento, ma di passaggio, in molte pagine dedicate al
discepolato come sequela di Gesu', e' di un autore che si chiede perche',
secondo Matteo, Gesu' abbia detto, nell'ordine, "fate discepoli. battezzate.
e ammaestrate", mentre invece negli ultimi secoli la chiesa missionaria ha
seguito l'ordine opposto, cioe' ha prima ammaestrato e poi battezzato. La
risposta e' che Matteo mettendo il battesimo prima dell'ammaestrare vuole
fare una dichiarazione teologica, sottolineando che il battesimo e' una
chiamata gratuita, un dono di grazia. Non e' per caso che l'autore voglia
rimettere in discussione la prassi missionaria degli ultimi secoli? Forse la
chiesa missionaria era prigioniera di una ecclesiologia un po' burocratica,
che accentuava l'appartenenza alla chiesa come "societa' perfetta" e aveva
come priorita' acquisire nuovi membri, mentre Gesu' era piu' interessato a
mantenere viva la tensione verso il Regno di Dio, il senso della vita come
cammino verso il Padre.

Gesu' prima conquista il cuore, chiama i pescatori che stanno rammendando le
reti, la samaritana che attinge acqua al pozzo, il funzionario delle tasse,
il ricco curioso che si arrampica sull'albero per poterlo vedere almeno per
un attimo, e poi li ammaestra. Chi si e' innamorato apre il cuore alla
verita' che viene dall'Altro. Il Vangelo ci presenta l'avvicinarsi a Gesu'
non come una ricerca guidata dalla ragione, ma come un'esperienza di amore,
spesso come un colpo di fulmine.

La sequenza dei verbi in Matteo diventa logica se si considera il diventare
discepoli come la decisione irrevocabile di mettersi alla ricerca di Dio e
al servizio del prossimo seguendo l'insegnamento di Gesu'. E' l'inizio di un
sentiero difficile, l'aprirsi di una nuova visione del mondo, tutta
orientata alla scoperta della presenza e dell'amore di Dio nella vita del
discepolo e nella storia umana. L'insegnamento viene dopo, poco a poco,
quando la realta' dell'amore e' stata accettata.

Anche oggi chi in Africa (e nel mondo intero) si avvicina a Gesu' lo fa
perche' vuole conoscere il maestro, lo vuole sentire come persona viva e
risorta che cammina per le strade del proprio villaggio o quartiere, vuole
sperimentare il suo amore, per poi capire e vivere la sua verita'. Cosi i
catechisti nuba hanno fatto conoscere il Maestro, l'hanno reso presente nei
sentieri impervi fra le rocce e nelle valli disseminate di palme. Spesso
invece la chiesa insegna una dottrina codificata e definita, dimenticando di
far gustare ai chiamati un'esperienza d'amore. A chi cerca una persona che
dia un senso pieno al mistero della vita, noi presentiamo il libro del
catechismo.

Cosi' non dobbiamo meravigliarci se il giovane che ci avvicina non domanda
"cosa devo fare per avere la vita eterna?" ma piuttosto, come e' capitato a
tutti i missionari in Africa, "come posso diventare membro della vostra
associazione?". Se l'appartenenza alla chiesa, i documenti, i certificati di
battesimo, vengono percepiti piu' importanti di un genuino rapporto d'amore
col Maestro, la comunita' nasce gia' sclerotica.

Mi pare, e parlo da missionario della foresta e degli slum, che cio' che
contraddistingue il discepolato come metodo sono due elementi: la continua
ricerca di Dio e la comunione di vita con il maestro. Ed e' il maestro che
guida il cammino nella comune ricerca di Dio.

Ricordo con disappunto gli anni della formazione quando mi insegnavano a non
"attaccarmi" agli altri, perche' era negativo per un prete mantenere un
rapporto con le persone che si formavano. Ma come si puo' comunicare e
insegnare l'amore se non si ama? Tre preti italiani come Zeno Saltini, Primo
Mazzolari e Lorenzo Milani hanno amato intensamente le persone affidate alle
loro cure, i loro discepoli, coloro che li avevano riconosciuti come maestri
capaci di condurre al Maestro.

Non c'e' chiesa se non c'e' amore. Amore, perdono, riconciliazione, servizio
si insegnano solo amando, perdonando, riconciliandosi, servendo. Non sono
ne' gli anni di studio ne' l'ordinazione sacerdotale che fanno di una
persona un testimone, un maestro; e' la sua comunione di vita con Dio. Il
Vangelo lo si impara praticandolo, non studiando.

Basta rileggere le espressioni di tenero affetto che san Paolo indirizza ai
suoi discepoli per capire che la trasmissione delle fede avviene solo la'
dove c'e' un contesto di affetto, tenerezza, amore. Il mezzo e il fine sono
inscindibili. Non si puo' parlare di Dio che e' amore senza praticare l'
amore.

I PICCOLI GESTI DI PADRE SILVANO

Nella mia prima missione, Chadiza, in Zambia, i cristiani venivano a vivere
nella missione per un intero mese prima di ricevere il battesimo e poi la
cresima. In questo periodo facevano un corso intensivo di catechismo. Ma
cio' che lasciava una traccia profonda nei cristiani era la convivenza coi
missionari. Li vedevano alzarsi presto al mattino e andare in chiesa a
pregare, li vedevano insegnare e mettersi al loro servizio se qualcuno si
ammalava. Mangiavano insieme, intingendo tutti la polenta nello stesso
piatto. Vedevano concretamente che la vita al seguito di Gesu' era possibile
e tornavano a casa raccontando episodi di fraterna attenzione ricevuta dai
missionari. Tutto questo contesto incideva nella loro vita piu' delle
lezioni.

I nuba apprezzano una lezione sapiente e ricca di citazioni bibliche, ma
apprezzano ancor di piu' l'ascolto attento, la parola rispettosa, il piccolo
gesto di affettuosa attenzione. Un anziano nuba mi ha detto di essere
diventato cristiano perche' padre Silvano, uno dei primi comboniani che li
ha evangelizzati, si interessava a tutto cio' che lo riguardava. "E io mi
domandavo: ma perche' questo bianco si interessa a me, e alla mia famiglia,
si preoccupa se mia figlia si ammala? Che cosa lo fa diverso dai
commercianti e viaggiatori che passano di qua? Ed ho scoperto che padre
Silvano viveva il Vangelo". Molti nuba, ancora oggi, dopo decenni che non lo
vedono, considerano padre Silvano il maestro che li ha avviati sulla strada
del cristianesimo, perche' ha fatto sperimentare loro l'amore che trascende
ogni divisione di lingua, cultura, popolo.

Diventare discepoli significa mettersi in cammino insieme, gli occhi fissi
su di lui, mettendo i piedi dove li mette lui. Perche' lui, o lei, ci vuol
portare a Lui. Diventare discepolo e' giocare tutta la vita su Gesu' prima
di aver capito e analizzato tutte le sue parole, e' una scelta senza
ritorno. "Prendi la croce e seguimi", dice Lui, cioe' accetta che la tua
vita non sia piu' centrata su di te, ma su di me, definitivamente. Allora
sei pronto a camminare con me. Sei pronto ad accettare, e amare, l'
incomprensibile.

Quella sera Paul e i suoi discepoli sono stati svegli a lungo, alla luce
della luna, per raccontarmi la storia della loro comunita', per parlare di
come ridare speranza e recuperare alla vita cristiana la ragazza che era
stata violentata in prigionia, come nutrire la fede di un piccolissimo
gruppo di cristiani che vivono a sei giorni di cammino dalla comunita' piu'
vicina. Poi, sulle stuoie offerte dai cristiani del villaggio e stese per
terra, hanno passato la notte all'aperto.

Al mattino, mentre si allontanavano dopo aver condiviso un piatto di durra
bollita con un po' di miele, ho guardato a lungo le loro figure che adagio
adagio si confondevano fra le rocce. Erano quattro o cinque? Certamente con
loro c'era anche il Maestro. Avrei dovuto avere il coraggio di seguirli.

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