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HO UDITO IL GRIDO
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- Subject: HO UDITO IL GRIDO
- From: "Nadia & Giovanni" <nadia.joe@tiscalinet.it>
- Date: Thu, 2 Nov 2000 23:21:01 +0100
Lezioni da una cultura superiore, molto superiore.
Joe
Missione Oggi n°4 1999
HO UDITO IL GRIDO
LEZIONI DI RESISTENZA
DAI MONTI NUBA
ALESSANDRA GARUSI
A margine della conferenza Sudan: un popolo negato (Roma, 25 febbraio '99),
organizzata fra gli altri da Pax Christi, Nigrizia, Mani Tese, Cuore Amico,
Amani, ecc. abbiamo intervistato il governatore dei monti Nuba, Yusuf Kuwa.
Kuwa, musulmano, è arrivato ad abbracciare la lotta armata solo dopo aver
tentato inutilmente di promuovere cambiamenti con mezzi nonviolenti.
Ecco dunque la testimonianza di un "resistente" d'eccezione.
Noi nuba non vogliamo spaccare il paese. La nostra opzione è un Sudan unito,
ma nel rispetto dei diritti di tutte le etnie e culture, senza mescolanze
fra religione e stato.
In questi anni di lotta ho perso molte, moltissime persone. Risponde così -
con gli occhi a fessura e una voce carica di dolore, che poi scivola nel
silenzio - Yusuf Kuwa, governatore dei monti Nuba e leader del Consiglio
nazionale di liberazione Splm (Movimento di liberazione del popolo
sudanese). Fu proprio seguendo questo abile politico che, nell'84, i nuba
entrarono a far parte dell'Spla (Esercito di liberazione del popolo
sudanese) di John Garang e scesero quindi sul piede di guerra. Kuwa,
musulmano, è arrivato ad abbracciare la lotta armata soltanto dopo aver
tentato inutilmente di promuovere cambiamenti sociali e politici con mezzi
nonviolenti. Per tutta risposta l'allora primo ministro, Sadiq al Mahdi,
aveva scatenato una reazione furibonda. In seguito il governo golpista di
Omar al Bashir - che prese il potere nel 1989 ed è ideologicamente
controllato dal fanatico musulmano Hassan al Turabi - ha intensificato l'
offensiva contro i nuba, servendosi di tutti i mezzi a disposizione. Che ne
è oggi di questo popolo, dei loro lottatori resi famosissimi dalle foto di
George Rogers e Leni Riefenstahl?
Che ne è della loro società sorprendentemente variegata e tollerante? Fra
loro - è noto - prevalgono i musulmani, ma non mancano i cristiani
appartenenti a varie denominazioni e gli aderenti alla religione
tradizionale. Ci sono 52 tribù e lingue. Gli adulti in genere parlano
diverse lingue, compreso l'arabo, e sono abituati a muoversi con
disinvoltura nel labirinto delle differenze culturali: un patrimonio che è
destinato a scomparire? Questo "resistente" d'eccezione - uomo di pace,
temporaneamente costretto dalle circostanze ad imbracciare un kalashnikov -
dice di no. E ci racconta di come si lotta per sopravvivere in uno degli
angoli più isolati della terra, i monti Nuba.
Governatore Kuwa, potrebbe darci un quadro della situazione sui monti Nuba
oggi?
È dal lontano 1984 che qui vige lo stato di guerra. Da allora il "nemico", e
cioè il governo di Khartum, sta tentando di piegare - senza peraltro
riuscirci - la ribellione. Nessuno ne parla, naturalmente. Ma si cerca in
tutti i modi di eliminare per sempre il problema: attraverso arresti,
detenzioni senza processo in "case fantasma" in cui si pratica ogni genere
di tortura, o tramite l'islamizzazione forzata, la ripresa della pratica
della schiavitù nei confronti di giovani e donne appartenenti alle etnie non
islamizzate. E mentre si sa, si scrive, si parla - anche se mai abbastanza -
della guerra del Nord nei confronti del Sud animista e cristiano, il
genocidio in atto sui monti Nuba sembra non "bucare" gli schermi televisivi:
le mandrie razziate, i raccolti bruciati, le bombe al plastico, le mine
antiuomo disseminate nei villaggi, ecc. altrove farebbero scattare subito l'
emergenza, ma qui no. Qui le organizzazioni umanitarie si vedono tuttora
negare l'accesso1 ("perché l'emergenza, appunto, non c'è") e la gente muore
come mosche. Di malattie e di fame.
Cosa pensa che succederà nei prossimi mesi?
Non lo so. So solo che solitamente ci attaccavano in marzo, aprile e maggio.
Quest'anno gli attacchi sono invece cominciati a novembre. Gli obiettivi
erano le piste di atterraggio attraverso le quali arrivano i pochissimi
aiuti umanitari. Volevano cancellarle definitivamente, in modo che niente e
nessuno entri o esca dall'area. Penso che sia a causa dell'Igad2 (Autorità
regionale per lo sviluppo), dell'idea di concedere l'autodeterminazione al
Sud del dopo-indipendenza (1956) e cioè non ai monti Nuba e al Blue Nile che
hanno combattuto questi ultimi 15 anni di guerra. Il Blue Nile, in
particolare, è stato attaccato pesantemente a partire dal 5 gennaio: hanno
colpito tre convogli, da tre direzioni diverse. Siccome l'Igad doveva
tenersi nel mese di febbraio, loro intendevano arrivarci con le piste d'
atterraggio chiuse sui monti Nuba e con il Blue Nile sotto chiave. Ma ai
prossimi colloqui di pace, qualsiasi sia la loro agenda, noi metteremo sul
piatto proprio la guerra in queste due zone. Se esiste una soluzione, dev'
essere applicata a tutte le aree coinvolte nel conflitto e non soltanto ad
alcune. Sarebbe stupido non farlo, come curare una piccola parte di un'
enorme ferita.
A suo parere, dunque, i monti Nuba e il Blue Nile fanno parte a tutti gli
effetti del Sud?
Sì. E se proprio vogliamo tornare alla storia, penso sia più corretto
rifarsi al suddivisione stabilita durante l'impero britannico nel 1922
piuttosto che a quella del dopo-indipendenza (1956). Il cosiddetto "closed
district" comprendeva per i coloni inglesi appunto tutto il Sud, i monti
Nuba e il Blue Nile. Il fatto che il generale Omar al Bashir insista sul
'56, è strumentale: la secessione del Sud - escludendo Blue Nile e monti
Nuba - gli consentirebbe di rimettere in sesto le sue truppe e di
concentrarle nelle due zone rimaste escluse dall'accordo. Non dimentichiamo
che il governo di Khartum è sempre intenzionato ad espandere l'islam in
tutto il mondo. E quindi qualsiasi sua dichiarazione all'apparenza
distensiva va inserita in questo contesto. Ecco perché ci opponiamo a
separare la "questione Sud" dalla "questione Nuba e Blue Nile".
Che soluzione politica lei propone per la guerra in corso sui monti Nuba?
Una soluzione che non riguardi soltanto i monti Nuba, ma l'intero Sudan. La
miglior soluzione resta infatti quella di un paese unito, che poggi però su
basi nuove. In passato siamo stati marginalizzati e trattati come cittadini
di serie B dal nostro stesso governo. In futuro, Khartum dovrà riconoscere
la multietnicità, multiculturalità, multireligiosità, il multilinguismo. All
'interno di questa unità chiederemo poi un nostro stato. Se tutto ciò non si
verifica e se il Sud si stacca dal Nord, ritengo che abbiamo il diritto di
scegliere con chi stare: se con il Nord, o con il Sud, o se per conto
nostro, perché no? Vogliamo comunque vivere da uomini liberi. Nessuno di noi
vuole cioè tornare alla condizione di prima, allo stato di schiavitù.
Prossimamente lei incontrerà il sottosegretario agli Esteri Rino Serri,
copresidente dell'Igad Partners Forum. Che cosa gli chiederà?
Gli chiederò di capire a fondo la situazione e, soprattutto, di non prendere
la posizione del governo di Khartum. Sicuramente l'Italia - proprio per il
ruolo che Serri oggi ricopre - può fare moltissimo: il primo passo, sulla
via della pacificazione, è quello di ottenere nuovamente l'accesso dei
convogli umanitari, delle Nazioni Unite e non, ai monti Nuba. Laggiù si
continua a morire ogni giorno di fame e di malattie.
Che cosa sogna per le sua gente, per i suoi figli?
Il mio sogno è di vedere un Sudan unito, libero da tutti i mali e in
particolare dalla guerra. Un Sudan forte, perché abbiamo moltissime risorse
che possono essere utilizzate a vantaggio di ciascuno. Certo, l'ottusità di
alcuni politici ci ha portato sull'orlo di un baratro. Ma sono sempre più
convinto che se la gente avesse la possibilità di riunirsi di nuovo, ne
verrebbe fuori un paese di cui andare fieri. Riguardo alla mia gente, ai
nuba, vorrei che avessero un vero stato. Uno stato che dipenda
essenzialmente dalla gente: solo ora stiamo riprendendoci le responsabilità,
di cui eravamo stati privati in passato; se ci verrà data l'opportunità di
essere artefici del nostro futuro, sono sicuro che faremo un buon lavoro.
Quanto ai miei figli, desidero che possano studiare e vivere felici in un
paese libero e pacifico.
a cura di ALESSANDRA GARUSI
DOVE VIGE LA TOLLERANZA
Sono musulmano e i miei figli sono cristiani: che c'è di strano? Sui monti
Nuba vige questo spirito di tolleranza, per cui in una stessa famiglia
possono coesistere tre religioni diverse.
È stato soltanto quando il governo di Khartum ha cercato di usare la
religione per metterci gli uni contro gli altri, che ci siamo resi conto
dell'eccezionalità della nostra condizione.
Personalmente ho sempre creduto che la religione sia una relazione fra Dio e
l'essere umano. Dio non ti chiederà mai di tuo figlio, del perché sia
musulmano e non cristiano o viceversa? Questo lo dicono tutti i testi sacri:
il Vangelo, come il Corano o la Torah. Le religioni non sono forse strade
diverse che conducono ad un unico Dio?
YUSUF KUWA
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"Call to me
and I will answer you and will tell you great and hidden things
which you
have not known." - Jeremiah 33:3