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CON LE MANI NELLA MARMELLATA



Missione Oggi - n°9 nov. 2000

AFRO-PESSIMISTI: CON LE MANI NELLA MARMELLATA

Le ragioni degli afro-pessimisti sono tante: dagli investimenti privati nei
paesi in via di sviluppo ad un "realismo etico" fortemente razzista.
Vediamole.

    Cos'hanno in comune Sergio Romano, Carlo Pelanda, William Pfaff, Ali
Mazrui, Rodolfo Casadei? Sostengono tutti una medesima folle tesi: e cioè la
necessità di una ricolonizzazione dell'Africa, stavolta magari tramite le
ong - bracci esecutivi dei governi - e i missionari (v. l'articolo di
Pelanda sulla rivista di Cl, Tempi, 1/7 giugno 2000). Eppure, nessuno di
questi editorialisti può dire di avere una profonda conoscenza del
continente africano. Prendiamo il caso di Pelanda. Fonti di ambiente
accademico sostengono che il co-direttore di Globis negli Usa ed
editorialista del Foglio e del Giornale in Italia "è stato poco più di un
paio di volte in paesi dell'Africa occidentale, e per turismo". Eppure uno
degli scopi di Globis è quello di fare diplomazia parallela. Due dei casi
attualmente seguiti sono, appunto, africani. Non è dato di sapere il paese.
    Lo stesso dicasi per William Pfaff, editorialista del Los Angeles Times,
che recentemente è stato molto contestato non tanto per la sua posizione
interventista durante la guerra del Kosovo, quanto piuttosto per la sua
capacità di modificarla continuamente. Ovvero, di "mentire spudoratamente",
come ha scritto lo scorso 11 maggio la giornalista Srdja Trifkovic. E che
dire di Ali Mazrui? È un kenyota. Dunque, l'Africa dovrebbe conoscerla. Ma
vive da così tanto tempo negli Stati Uniti - attualmente, insegna
all'Università di Binghamton, nello stato di New York - che pare ne abbia
assorbito totalmente la forma mentis. Anche lui è uno di quelli, i cui
scritti fanno imbestialire. Ultimamente ad andare su tutte le furie è stato
Wole Soyinka, il premio Nobel nigeriano.
    Tutti gli editorialisti chiamati in causa dimostrano dunque di non avere
la benché minima idea di che cosa funzioni e di che cosa invece non funzioni
nel continente africano. Contano sull'ignoranza altrui e parlano con
arroganza. Ma è solo ignoranza o c'è dell'altro? Per quale ragione, ad
esempio, Limes - "la" rivista italiana di geopolitica per eccellenza che,
grazie alla copertura informativa Nato, si è assicurata una sua nicchia di
mercato nel nostro paese - riguardo all'Africa è su questa stessa linea?
Come lo è del resto, con ancora maggiore autorevolezza, il Centro studi
strategici ed internazionali (Csis) di Washington, che ha una stretta
collaborazione con Limes ed è presieduto da Edward Luttwak, tuttora
richiestissimo dalla Rai e dal settimanale L'Espresso per i suoi commenti in
materia di geostrategia.
    In generale, si può dire che esistano molteplici strutture parallele e
sovrapposte, il cui principale obiettivo è la tutela degli interessi
americani. Come? Rivendendo informazioni di seconda mano, che arrivano
direttamente dal Pentagono attraverso il Csis di Washington e quello di
Roma. La vendita di informazioni di seconda mano frutta parecchio. E avviene
sia su testate specializzate, che su quotidiani come Il Sole 24 Ore. Ed è a
questo punto che entrano in scena gli "editorialisti", autentici "piazzisti"
di informazioni destinate ad inquinare. Fra loro c'è chi si firma (in gergo,
i cosiddetti "pesci piccoli") e chi invece preferisce optare per uno
speudonimo ("i pesci grandi", appunto).
    Oltre alla rivendita di informazioni, ciò che li accomuna sono gli
investimenti personali nei paesi in via di sviluppo, come ad esempio la
Bolivia. Insomma, ai loro occhi lo sviluppo torna ad essere - o forse non ha
mai smesso di essere - un terreno fertile per avventurieri. Chi ci lavora,
sa benissimo che lì "c'è un enorme spazio per 'operazioni private'". Pelanda
assicura.
    E spiega: "Tutta l'Africa nera sta dimostrando di non saper gestire la
sovranità politica ottenuta dalla fine degli anni '50 in poi a seguito della
decolonizzazione. L'esito è: centinaia di milioni di persone alla fame, in
preda alle malattie ed esposte alla violenza. Anche dieci anni fa era così.
Ma c'era la speranza che il disordine fosse a termine, una sorta di periodo
di apprendimento dopo il quale si sarebbero formate classi politiche
modernizzanti e dotate di capacità ordinatrici. Ora è chiaro ed evidente che
gli africani, se lasciati soli e senza guida, sono solo capaci di
suicidarsi. In conclusione, l'Africa non sa gestirsi ed è ingestibile
dall'esterno con metodi morbidi, cioè rispettosi della sovranità degli
stati" (v. Tempi 1/7 giugno 2000). Mere speculazioni, sulla pelle degli
africani, in odore di forte razzismo. Altro che strategie di "realismo
etico".
Dunque, l'Africa sta andando realmente verso il suicidio? C'è da credere a
queste tante Cassandre e alle loro fosche previsioni? Nel 1994, Pelanda
sosteneva che "le mine, in quanto arma non letale, saranno l'arma del
futuro". Soltanto tre anni dopo, il 3 dicembre '97, veniva firmato ad Ottawa
(Canada) il "Trattato per la messa al bando dell'uso, lo stoccaggio e la
produzione e il trasferimento delle mine antipersona e per la loro
distribuzione". 139 paesi l'hanno già sottoscritto e 105 l'hanno ratificato.
La domanda, allora, è questa: Carlo Pelanda aveva investimenti tali in
questo settore da augurarsi questo? o la sua era una semplice sparata? In
ogni caso, le cose sono andate diversamente.



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