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globalizzazione e futuro umano



CARISSIMI,
nel suo numero di domenica 15 ottobre "la repubblica" ci ha proposto una lunga
meditazione di Eugenio Scalfari sugli effetti "antropologici" della
globalizzazione. Non ritengo Scalfari il quinto evangelista, spesso le sue
previsioni in campo politico si sono rivelate errate, ma la riflessione mi pare
meriti un po' di considerazione.
ecco perche' ho deciso di metterla in circolazione.


BUONA LETTURA
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Il sogno segreto dei corvi d'Orvieto
e mettere a morte di corvi di Orte
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    "LA REPUBBLICA"
Domenica, 15 Ottobre 2000"
//COMMENTI:
Pagina 1
IL LATO OSCURO DELLA NEW ECONOMY
di EUGENIO SCALFARI
GLI scossoni delle Borse mondiali - quella italiana ovviamente compresa - hanno
messo fine già da alcuni mesi alla lunga stagione rialzista durante la quale il
Toro, come si dice in gergo borsistico, dominò incontrastatamente. La fase
dell'Orso, cioè del ribasso o quanto meno di vistose oscillazioni nel corso
dei titoli, ha penalizzato quasi tutti i valori ma ha concentrato i suoi
effetti soprattutto sui titoli della "new economy", quelli direttamente legati
alla rete Internet e alle sue varie applicazioni.
Questo comparto era quello che nella fase del grande rialzo aveva realizzato
plusvalenze da capogiro puntando più su una scommessa di futuro che sulla
valutazione attuale degli asset di quelle società . Non stupisce perciò il
fatto che sia proprio questo settore ad aver registrato fin dalla scorsa
primavera un andamento più negativo e perdite di valore più alte rispetto a
tutti gli altri del mercato finanziario. E tuttavia operatori, grandi e piccoli
azionisti, risparmiatori, economisti, banchieri, hanno capito che qualche cosa
di più profondo è accaduto, qualche cosa che va molto al di là delle consuete
inversioni del ciclo borsistico, molto al di là di un semplice e salutare
ridimensionamento di valori e di capitalizzazioni cresciute troppo in fretta e
senza alcun rapporto con le reali prospettive dell'economia informatica.
Gli operatori più attenti, sull'una e sull'altra sponda dell'Atlantico,
avevano da tempo avvertito il pubblico che la "fiesta on line" non poteva
durare a lungo e che le severe leggi del mercato avrebbero duramente falcidiato
la massa delle iniziative che si erano avventurate senza prudenza sulle libere
praterie di Internet. "Fate attenzione a rischiare avventatamente capitali e
risorse umane alla conquista di supposti Eldoradi - avevano detto - perchè la
delusione sarà dura, pochi sopravviveranno alla selezione, i profitti verranno
tra quattro o cinque anni e premieranno soltanto chi avrà avuto la capacità di
lanciare prodotti validi e la possibilità di investire ingenti risorse in
attesa che i frutti maturino". Ma questi avvertimenti erano rimasti
inascoltati.
Adesso finalmente il terreno reale sul quale va piantato l'albero della "new
economy" risulta chiaro a tutti: la sola vera aspettativa di profitto è
costituita dalla pubblicità commerciale, tutte le altre ipotesi sono cadute.
LA PUBBLICITA'commerciale a sua volta compra spazi nei siti che garantiscono
l'affluenza e la duratura presenza di utenti attratti da prodotti capaci di
soddisfare bisogni reali: informazioni, archivi di dati, analisi e commenti di
sicura attendibilità , programmi di intrattenimento mirati a settori di utenza
qualificata, programmi di educazione e d'istruzione.
Miscelare questi vari elementi in proporzioni appropriate e nel frattempo
disporre di richiami efficaci per incrementare un'utenza fidelizzata: questo è
il percorso da seguire, che dev'esser costruito da imprenditori-editori senza
lasciar nulla all'improvvisazione e alla faciloneria. Vincerà la gara chi
riuscirà a individuare con maggior precisione il suo pubblico e saprà
confezionare con sagacia i prodotti che esso richiede tenendo presente che le
informazioni "on line" non possono rivolgersi ad un pubblico generico e senza
volto bensì a pubblici specifici che interessano una specifica pubblicità .
Siamo ancora lontani da tutto questo, specie in Europa e specie in Italia. Gran
parte del percorso è ancora da costruire. Se volete, la vera sfida della "new
economy" è appena cominciata o forse non è ancora cominciata. La Borsa l'ha
capito, dopo una prima e sconsiderata euforia, ed ha riportato i concorrenti in
prossimità dei nastri di partenza.
* * *
Eppure, neanche queste considerazioni esauriscono il tema perchè il tema non
riguarda soltanto la novità qualitativa e tecnologica della nuova economia
informatica anche se essa ne rappresenta il segnale più visibile. Il tema
riguarda la globalizzazione dell'economia e della società . La nuova economia
on line
globalizzazione, ma non è la sola.
Gli scossoni delle Borse mondiali hanno rappresentato un avvertimento anche per
quanto riguarda gli effetti sociali della globalizzazione. Il popolo di
Seattle, come ormai abbiamo deciso di definirlo, aveva già a suo modo messo in
scena una contestazione di tipo antagonistico e folklorico obbligando politici
esperti filosofi ad alcune riflessioni critiche. Ma sappiamo per antica
esperienza che le contestazioni antagonistiche (e folkloriche per di più)
provocano nei sacerdoti del capitalismo radicali ripulse. Se concedono qualche
attenzione alle tesi degli avversari lo fanno soltanto per guadagnar tempo,
spegnere il radicalismo contestativo, metabolizzare la protesta. E procedono
per la loro strada.
Ma quando gli effetti della globalizzazione arrivano fino a scuotere i mercati,
i valori dei titoli e delle valute, i prezzi delle materie prime fondamentali,
i prezzi comparati delle merci e dei servizi e quindi la divisione
internazionale del lavoro che è l'asse portante del capitalismo, allora la
questione cambia natura. Il popolo di Seattle si può disperdere con gli idranti
e i lacrimogeni, ma il brontolio, la turbolenza e la sfiducia dei mercati è
un'altra e ben più allarmante faccenda, bisogna rifletterci su con molta
serietà e ponderazione. Che cos'è che non va nell'economia globalizzata? Quale
specie di società ne può venir fuori? E quali sono le istituzioni acconce,
politiche ed economiche, capaci di gestirla?
* * *
Non provo nemmeno a dare risposta a domande di questo peso. Mi limito qui a
porre il problema. Del resto non sono certo il solo nè il primo anche se - per
quanto mi riguarda - cominciai molti mesi fa su questo nostro giornale ad
osservare criticamente il palloncino della "fiesta on line" che sembrava in
quel momento il grande giocattolo dei "media" e dei "mercati". Giorgio Bocca
faceva altrettanto e questa consonanza su un tema così essenziale mi fece molto
piacere.
Ma ora il ventaglio delle riflessioni critiche si è di gran lunga allargato e
mi piace qui richiamare il limpido articolo di Jean-Paul Fitoussi che
Repubblica
lettori è questo: l'economia globale e il suo settore qualificante che è quello
della comunicazione e quindi del sapere, produrranno - tra gli altri positivi
risultati - quello negativo di accrescere di molti gradi le disuguaglianze
conoscitive, sociali ed economiche. Questo fenomeno è indubbio, anzi non va
neppure coniugato al futuro: sta già avvenendo qui e ora sotto i nostri occhi.
è vero che le classi sociali, quella dei proprietari-imprenditori, quella dei
contadini, quella del proletariato operaio, sono in avanzata liquidazione, ma
questo non è necessariamente un risultato positivo. O per lo meno contiene
anche forti elementi negativi di sradicamento culturale, territoriale e vorrei
dire antropologico.
L'economia globale sta creando l'uomo-itinerante, l'uomo-folla,
l'uomo-solitudine, l'uomo tecnologico; sta anche creando l'operaio-capitalista
e, all'estremo opposto, il disoccupato strutturale e il servo- manovale.
L'itinerante, l'uomo-folla, l'uomo-solitudine e l'uomo tecnologico determinano
un salto antropologico rispetto all'umanità che ha popolato gli ultimi due
secoli. Il disoccupato strutturale e il servo-manovale determinano a loro volta
un salto economico-sociale. Quanto al solco della disuguaglianza, siamo anche
qui in presenza di un salto qualitativo (all'indietro): la distanza tra chi
detiene il sapere e partecipa alla distribuzione del profitto e chi vende la
propria forza lavoro di manovale in condizioni di drammatica inferiorità
negoziale ha stravolto e più ancora stravolgerà il mercato del lavoro.
Il benessere assoluto è sicuramente aumentato, ma il rapporto tra chi può
vendere il proprio sapere e chi offre soltanto manovalanza è drammaticamente
cresciuto e tende ad avvicinarsi alla fase più dura del capitalismo nascente e
delle leggi bronzee del salario e dello sfruttamento dei minori di due secoli
fa. La differenza - in peggio - consiste nel fatto che la piramide sociale
somiglia sempre più alla Mole Antonelliana (una guglia lunga e alta e una base
larga e schiacciata) che non alla piramide dei faraoni. Ai vari livelli della
guglia ci sono i proprietari del capitale, i managers, i tecnici, gli
operai-imprenditori, tutti coloro che in varie forme di "stock option"
partecipano alla ripartizione del profitto; alla base c'è il servo-manovale per
di più itinerante e precariamente occupato, de-sindacalizzato e quindi in
totale balia della controparte.
Una società di questo tipo è tipicamente de-strutturalizzata. Ovviamente è
anche de-politicizzata e comunque altamente dominata dagli strumenti che
producono immagini e sono in grado di manipolare il consenso. Io non dico che
questa deriva sia inevitabile e senza rimedio, ma sono convinto che siamo sulla
soglia (forse già oltrepassata) di luoghi sociali e mentali irti di pericoli.
Il potere sarà sempre più impersonale e spietato; i privilegi sempre più
personalizzati e trasmissibili; la condizione di servitù sempre più estesa
anche a causa del rimescolio etnico e di quanto ne deriva.
Può sembrare un paradosso, ma una società sempre più mobile finirà col
rivelarsi sempre meno aperta. Insomma: si tratta di contenere e possibilmente
impedire il medioevo prossimo venturo. Questo s che Š un bel programma. Se
qualcuno lo portasse avanti con concreta e moderna efficacia meriterebbe il
voto delle persone responsabili, poche o tante che siano. Se c'Š , si faccia
riconoscere.
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PIER LUIGI GIACOMONI
TEL. 0516331739 CELL. 03332269988 EMAIL rhenus@libero.it

Net-Tamer V 1.11.2 - In Prova

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