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NIGRIZIA LUGLIO/AGOSTO 2000 - Osservatorio Internazionale



OSSERVATORIO INTERNAZIONALE

Etiopia, Eritrea, Sierra Leone / Analisi
LE GUERRE CHE NESSUNO VINCE
Angelo Turco

CORNO D’AFRICA E SIERRA LEONE: ECCO LE LOGICHE, TALORA ASSURDE, E GLI
INTERESSI, PIUTTOSTO NITIDI, CHE MUOVONO I DUE CONFLITTI.

La guerra e' quel gioco crudele in cui vince chi fa piu' male all'altro. Ma
vi sono conflitti piu' crudeli di altri, dove il male, si direbbe, fa piu'
male: sono le guerre cosiddette "civili"; poi quelle che provocano disastri
ambientali ben al di la' delle distruzioni immediate dei bombardamenti;
quelle che creano moltitudini di profughi; quelle che, grazie alle mine
antiuomo, uccidono e amputano braccia e gambe per decenni dopo che sono
terminate; quelle che creano le condizioni per altri scontri a catena;
quelle di cui non si ricorda piu' la ragione per la quale sono iniziate. E'
il triste catalogo delle guerre che tutti perdono.

Ve ne sono due in corso attualmente, che suscitano sgomento per l’
ingranaggio assurdo di cui sono prigioniere. La prima investe ancora una
volta il Corno d’Africa. Etiopia ed Eritrea sono (erano, speriamo) in guerra
da due anni. Perche'? Ecco il punto: i belligeranti si sparano addosso con i
cannoni e con le parole, rivendicando ciascuno le proprie ragioni. I termini
giuridici del conflitto non sono facili nel geographerís nightmare in cui,
per motivi storici legati alle vicende del colonialismo, e' immersa la
questione frontaliera tra i due paesi. Probabilmente, essi danno ragione all
’Eritrea. Ma che senso ha una ragione che per affermarsi scatena delle
conseguenze cosI' terribili? Quale volonta' cieca, per poche zolle rocciose
di frontiera che non implicano nessun interesse vitale per l’Eritrea, puo'
esigere il sacrificio in combattimento di migliaia di giovani, la fuga in
Sudan di decine di migliaia di profughi, la dislocazione interna di un
quinto della popolazione del paese?


SOMMA DI DEBOLEZZE

Proprio chi ha difeso i diritti dell’Eritrea, ne ha ammirato la
determinazione e ne ha sostenuto la lunga lotta per l’indipendenza, ha oggi
il dovere di chiedere che fine ha fatto la lucidita' politica dei dirigenti
eritrei. Come hanno potuto essi ignorare l’altissima probabilita' di una
risposta bellica massiccia dell’Etiopia all’occupazione militare eritrea
delle terre contese nel triangolo di Badme? Come hanno potuto essi
sottovalutare il rischio di esplosione generalizzata di un contenzioso gia'
carico di tensioni gravi? Ricordiamone i tre elementi cruciali: l’estremismo
tigrino, sviluppatosi nel quadro del "federalismo etnico" istituito dalla
costituzione etiopica del 1995; l’introduzione nel 1997 del nakfa, la moneta
nazionale eritrea, che assesta un colpo durissimo ai progetti di una zona di
libero scambio; la questione di Assab, porto sul mar Rosso
incontestabilmente eritreo dal punto di vista geografico e giuridico, ma
polmone storico dell’economia etiopica, priva di altri sbocchi al mare.

L’Etiopia stato aggressore, con i Mig che bombardano Asmara e truppe che,
sui diversi fronti, occupano Zalambessa, Senafe', Barentu' e riescono ad
arrivare a 100 chilometri dalla capitale? Certo. L’Etiopia vuole umiliare il
suo vicino, vuole sfruttare la sua incrollabile fierezza per perderlo, vuole
affermare una volta per tutte la sua egemonia regionale, vuole riaffacciarsi
al mare a spese dell’Eritrea? Ognuna di queste ipotesi e' plausibile. Ma non
dimentichiamo il detto cinico "a' la guerre comme a' la guerre": e l’Etiopia
agisce ormai nel quadro di una logica di guerra. E neppure dimentichiamo le
responsabilita' eritree per questo stato di cose. Responsabilita' talmente
macroscopiche da rendere forte il sospetto, da piu' parti avanzato, che il
conflitto sarebbe insieme il prodotto di una cultura di guerra di cui l’
Eritrea non e' riuscita a liberarsi dai tempi della lunghissima lotta di
liberazione, e un tassello decisivo della strategia di Iasais Afwerki di
ricreare attorno al suo potere, grazie alla mobilitazione di guerra, quel
consenso che il popolo eritreo cominciava a lesinargli.

Intanto ad Algeri i negoziati sono arrivati con estrema fatica: nonostante l
’impegno dell’Oua e personalmente del presidente Abdelaziz Bouteflika;
nonostante l’impegno dell’Ue e personalmente di Rino Serri. Intanto gli Usa
sono completamente latitanti in questa storia, benche' avessero fatto di
Afewerki e Meles Zenawi due campioni assai "pragmatici" di quel
"rinascimento africano" che si e' rivelato infine per cio' che e': un
espediente retorico e non gia' lo strumento vincente della politica
clintoniana in Africa.

CosI', mentre la cultura di guerra produce trionfali bollettini su chi ha
ucciso chi, su chi ha colpito che, su chi ha conquistato o riconquistato
cosa, come se cio' fosse l’essenziale, le ultime allarmate stime dell’Onu
dicono che 30 milioni di persone, dall’una e dall’altra parte, rischiano di
essere stritolate nella morsa della carestia e della fame.


RETI MAFIOSE

Dalla parte opposta, affacciate sull’oceano Atlantico, altre ragioni infami
si affrontano in Sierra Leone. Qui, ci raccontano giornali e radio e
televisioni, sono saltati gli accordi di Lome' del luglio 1999: siamo nel
pieno di una guerra civile che dura da 9 anni, con tanto di "ribelli" da una
parte e di "governativi" dall’altra. Diciamo nel modo piu' netto possibile
che le cose non stanno affatto cosI'. La carneficina della Sierra Leone, che
considerando i periodi a "bassa intensita'" dura dal giorno stesso dell’
indipendenza, possiamo dire, e' il prezzo che due reti mafiose in conflitto
tra loro impongono a quattro milioni e mezzo di innocenti per stabilire le
loro proprie regole, che sono poi quelle dell’economia criminale. Posta in
gioco, le risorse minerarie: bauxite, oro, rutilo, ma soprattutto diamanti.

Attori di questa atroce rappresentazione? Molti. Da una parte, coloro che
controllano, come si dice, il Taylorland, e cioe' i campi diamantiferi che
alimentano il circuito "liberiano": sono i "ribelli" del Ruf guidati fino al
suo arresto di meta' maggio da Foday Sankoh, vecchio compagno d’armi e di
brigantaggio di Charles Taylor, appunto, divenuto nel frattempo presidente
della Liberia. Si tratta di contrabbando, un affare di circa 200 milioni di
dollari l’anno, i cui profitti tengono ben oliata una catena eteroclita: gli
intermediari tradizionali mandingo e soprattutto libanesi; la Liberia di
Taylor; il Burkina Faso, che svolge un importante ruolo di mediazione per l’
approvvigionamento in armi e materiale bellico del Ruf, spesso provenienti
dalle repubbliche ex sovietiche e specialmente dall’Ucraina; infine i
mercanti che operano sulle piazze diamantifere, Anversa in primo luogo. Il
ruolo della mafia russa, in questa prima filiera, si intravede sia a livello
delle forniture belliche che a quello del piazzamento delle pietre preziose.


ATTIVISMO DI LONDRA

Dall’altra parte sta il governo per cosI' dire "legale" che, tramontato il
tempo della posizione quasi monopolistica della De Beers, sfrutta il resto
del paese e dei diamanti facendo affari a tutto campo con compagnie
concessionarie tra le quali spiccano Rex Diamonds (Anversa), AmCan Minerals
(Toronto) e Diamond Works (Londra). Queste compagnie, dal loro canto, sono
organicamente legate a societa' incaricate di garantire la sicurezza dei
campi diamantiferi, tanto sudafricane che inglesi: ArmSec International, la
ben nota Executives Outcomes, e l’ambigua Sandlines, di cui si ipotizzano
legami con i servizi segreti britannici. D’altronde, il governo si trova
ormai in una situazione di tipo congolese giacche' si affida per la propria
sopravvivenza non solo e non tanto alla Sla (Sierra Leonean Army), quanto
alle ben piu' agguerrite milizie di Koroma, il generale golpista che depose
nel 1997 il presidente Tejan Kabbah, e ai kamajors di Norman, il
viceministro della difesa.

Anche qui, la comunita' internazionale celebra la propria impotenza. L’Onu
e' presente con i 9.000 uomini della Minusil. Si tratta della principale
operazione in corso dell’Onu, con soldati per lo piu' asiatici e africani
che non hanno alcuna esperienza in questo genere di operazioni e non sono
affatto abituati a cooperare tra di loro sotto un comando unico. Sicche', i
caschi blu non solo non riescono a svolgere nessuna operazione di pace, ma
non sono in grado di difendere neppure se' stessi, come dimostra la presa a
meta' maggio da parte della ribellione di circa 500 ostaggi, in parte poi
rilasciati. Insomma, tocca rimpiangere l’Ecomog operante qui in passato e la
tanto vituperata Nigeria che forniva il grosso degli effettivi. La Russia,
dal suo canto, e' forse disposta a mandare un contingente, ma a patto che
sia interamente spesata.

Intanto, la Gran Bretagna mette a segno uno dei piu' clamorosi colpi
neocoloniali degli ultimi anni e si mostra rassegnata a portare, come ai
tempi di Rudyard Kipling, il pesante "fardello dell’uomo bianco": prima con
"consiglieri" a profusione, quindi via Sandlines, mentre ora mantiene a
Freetown un corpo di spedizione di 1.000 uomini, al di fuori di ogni
concertazione internazionale. CosI', tra orrori e mistificazioni, si e'
persa ormai la conta delle vittime di questa guerra e nessuno fa piu' molto
caso ai soldati bambini che la combattono.


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