NIGRIZIA 6/2000 - CHIESE E MISSIONE



CHIESE E MISSIONE

Dialogo / L’eredita' di Amadou Hampâte' Bâ
GESU' VISTO DA UN MUSULMANO
Marco Aime

UN’OPERA DELLO STUDIOSO MALIANO, ORA DISPONIBILE IN ITALIANO, INVITA EBREI,
CRISTIANI E MUSULMANI ALL’ASCOLTO RECIPROCO.

"Ogni volta che ho l’occasione d’incontrare un credente - si tratti del
fratello cristiano, del fratello ebreo, del fratello buddista o del fratello
delle religioni tradizionali - il mio ruolo e' innanzitutto quello di
ascoltarlo". Sono parole di Amadou Hampâte' Bâ (1900-1991), una delle figure
piu' belle della storia africana moderna. Un giorno disse: "Il sapere e' l’
unica fortuna che si puo' donare interamente senza che diminuisca" e lui, il
suo sapere lo ha davvero donato senza che diminuisse mai.

Nato a Bandiagara, un villaggio nella regione dogon, Amadou era discendente
di una nobile famiglia peul. Alunno brillante fin dalla piu' tenera eta',
studio' alla scuola coranica sotto gli insegnamenti di Tierno Bokar Tall, il
saggio di Bandiagara, suo maestro spirituale per tutta la vita. La sua
brillantezza negli studi venne ben presto notata dagli amministratori
coloniali francesi, che gli offrirono numerosi incarichi di prestigio,
nonostante il suo carattere intransigente e la fedelta' assoluta a certi
suoi principi. Dopo molti anni trascorsi nell'amministrazione entro' a fare
parte dell'Ifan (Istituto francese dell’Africa Nera) e inizio' la sua grande
carriera di ricercatore e studioso.

La sua opera si rivolse soprattutto alla ricerca delle fonti orali, di quel
sapere africano che lui stesso sentiva minacciato. E' diventata ormai
celebre la sua frase pronunciata all'assemblea dell'Unesco: "In Africa ogni
anziano che muore e' una biblioteca che brucia". Sostenitore della
tradizione, ma non in maniera bigotta: "La tradizione - diceva - e' come un
albero, c'e' il tronco, ma ci sono anche i rami. Un albero senza rami non
puo' dare ombra. E' per questo che occorre che le tradizioni stesse
sfrondino i rami che muoiono. Io sono contro la conservazione cieca delle
tradizioni, come sono contro la loro negazione totale, che significherebbe
la negazione, l'abdicazione della personalita' africana".

Tra le sue molte opere, Amadou Hampâte' Bâ ci ha lasciato un piccolo libro
(pubblicato la prima volta nel 1976) che ora appare in lingua italiana con
il titolo Gesu' visto da un musulmano (Bollati Boringhieri, pp 128, L.
18.000), e che testimonia una carica umana e spirituale grandissima e un
senso di tolleranza raro unito a una grande propensione per il dubbio.

SURA XXIX, VERSETTO 46

"Proporsi di presentare Gesu', il Messia e il diletto di Dio, e' voler
descrivere un oceano immenso come la distesa dei cieli (…) E tuttavia,
fiducioso in Dio e nella vostra indulgenza, tentero' l’impresa, cominciando
anzitutto a porre alcune domande decisive: Gesu' e' veramente esistito? E in
caso affermativo, chi era? Un uomo, un uomo-dio o Dio stesso? E chi ha
ragione, e chi torto? Coloro che considerano Gesu' un uomo o coloro che
riconoscono in lui Dio stesso?

Ardua la risposta, poiche' nel tempo e sotto tutte le latitudini ciascuna
delle tre tesi ha avuto numerosi sostenitori, che nel corso dei secoli si
sono dati battaglia, facendo scorrere fiumi d’inchiostro e, talvolta, di
sangue. E ancora oggi i contendenti in campo continuano a versare inchiostro
senza fine, e dei piu' diversi colori, e si fronteggiano pieni di stizza se
non di odio, irremovibilmente abbarbicati a quella che considerano "la
Verita'", oltre la quale vi sarebbero solo errore e menzogna".

Cosi' scrive Hampâte' Bâ che lancia anche un messaggio di pace ai suoi
fratelli islamici: "E spero che ogni capo musulmano mediti piu' a lungo e
piu' a fondo il versetto 46 della sura XXIX del Corano, dove e' tracciata la
via del dialogo per i fedeli dell’islam: "Con la gente del libro (ebrei e
cristiani) disputate sempre nel modo piu' affabile, salvo si tratti di
persone inique, e dite: Noi crediamo in cio' che e' stato rivelato a noi e
in cio' che e' stato rivelato a voi e il nostro e il vostro dio non sono che
unico Dio. A Lui siamo tutti sottomessi"".

Profeta del dialogo tra le religioni, nel 1961 prego' per la pace nel mondo,
lui musulmano, con un prete cattolico e un rabbino ebreo sul monte Sinai. Al
termine della preghiera fu questo il suo commento: "Non c’e' che una sola
cima in punta a una montagna, ma i sentieri per raggiungerla possono essere
diversi. Considero il cristianesimo, l'ebraismo e l'islam come tre fratelli
di una famiglia poligama, dove c'e' un solo padre, ma dove ogni madre ha
cresciuto suo figlio secondo i propri costumi. Ogni moglie parla del marito
e del proprio figlio secondo la propria concezione".

Una tolleranza che nasceva anche dalla piena coscienza della complessita'
interiore degli uomini: "Maa ka maaya ka ca a yere kono. In lingua bambara
significa: le persone di una persona, sono numerose in ogni persona. Mia
madre, quando voleva vedermi, aveva l’abitudine di chiedere a mia moglie:
"Quale delle persone di mio figlio abita qui oggi? Il toubab? L’uomo di
religione oppure mio figlio?". Se mia moglie rispondeva "Tuo figlio" allora
entrava in casa senza cerimonie e mi diceva cosa voleva. Se diceva "E' l’
uomo di Dio", mia madre si limitava a fare proposte, ma se mia moglie
rispondeva "Il toubab"(colui che frequenta il mondo dei bianchi, ndr),
allora mia madre ripartiva senza neppure provare a incontrarmi".

Lui stesso sapeva di essere piu' persone in una: "Ho una pelle di
coccodrillo - scrisse - per dormire ovunque, uno stomaco da struzzo per
mangiare qualunque cosa e un cuore di tortorella, per non combattere mai".
Pillole di saggezza, verrebbe da dire, ma lui, che conosceva la fragilita'
degli umani e che amava definirsi "una calebasse sul pelo dell’acqua", ci
smentirebbe: "Avete detto Amadou Hampâte' Bâ, il saggio, lasciatemi ridere.
Mi sono girato indietro per vedere se c'era un altro Hampâte' Bâ... Io vi
ringrazio moltissimo, mi piacerebbe esserlo, ma e' talmente difficile!".

Forse, a lui, uomo di studio e di religione, ma sempre capace di grande
leggerezza, sarebbero state piu' care le parole di Wangrin, uno dei suoi
piu' celebri personaggi, protagonista del libro, che poco prima di morire
dice: "Io, che ero tutto e vivevo ridendo, diventai niente, ma continuai a
ridere. Ridero' degli uomini e delle cose, ridero' di coloro che non sanno
ridere ne' far ridere, perche' chi non ride e' malato o malvagio".

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