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NIGRIZIA 6/2000 - L'AVVENIMENTO
- Subject: NIGRIZIA 6/2000 - L'AVVENIMENTO
- From: "Redazione Nigrizia" <redazione at nigrizia.it>
- Date: Wed, 31 May 2000 17:05:41 +0200
L'AVVENIMENTO Dighe e ambiente / I conti non tornano MOZAMBICO, CATACLISMA ANNUNCIATO Anna Maria Gentili Docente di Storia e Istituzioni dei paesi afroasiatici alla facolta' di Scienze Politiche, Universita' di Bologna MANUTENZIONE CARENTE, INFRASTRUTTURE INADEGUATE, AZIONE REGIONALE SCOORDINATA RENDONO PERICOLOSI E INEFFICACI I GRANDI SBARRAMENTI. SE A CIO' SI UNISCE IL DEGRADO AMBIENTALE A MONTE E IL SOVRAFFOLLAMENTO URBANO, SI COMPRENDE PERCHE' I DISASTRI DELLA SCORSA PRIMAVERA NON SONO DEL TUTTO "NATURALI". Le cause del disastro che ha colpito la regione meridionale del Mozambico, oltre che nell’imprevedibilita' delle precipitazioni, stanno a monte, vale a dire nella gestione di fiumi e terre umide nella regione. Certo e' che il 25 febbraio sulla vallata del Limpopo e affluenti, cosi' come lungo il fiume Save, si e' riversata un’ondata degna del Vaiont. La regione colpita e' una pianura, i cui rari punti piu' alti non superano i 100 metri sopra il livello del mare, attraversata da grandi fiumi - Save, Limpopo, Incomati, Umbeluzi e Maputo, che nascono in Sudafrica, Zimbabwe, Swaziland. La maggior parte del sud del Mozambico e' semiarida con presenza di vaste aree paludose: la scarsissima pendenza del terreno fa si' che sia considerato uno dei dieci paesi al mondo piu' vulnerabili all’aumento dei livelli del mare. Gia' negli anni ’60 e ’70 si era notato che le dighe, sia quelle interne sia quelle controllate dai paesi vicini, avevano avuto un impatto piu' negativo che positivo sull’ecologia delle valli fluviali. Non avevano mitigato la siccita', anzi probabilmente avevano aumentato l’intrusione d’acqua salata dal mare, ne' erano state utili per alleviare le ondate di piena di occasionali alluvioni. La guerra (iniziata nel 1976) ha riempito le citta' di rifugiati che solo in piccola parte sono poi tornati stabilmente nelle aree rurali di provenienza. Dunque le periferie delle citta' sono cresciute a dismisura: aree fatte di alloggi precari, senza servizi, particolarmente vulnerabili all’erosione e alle alluvioni, anche a quelle di piccole dimensioni. Ogni anno alcune zone suburbane di Maputo finiscono sott’acqua, con gravi conseguenze per gli abitanti. Nella capitale mozambicana si e' aperta alcuni anni fa una voragine che ha travolto parte del caniço (abitazioni fatte di materiali precari) che e' andato crescendo nella parte bassa dell’Avenida Julius Nyerere. Qui la fragilita' delle dune costiere e' stata messa a repentaglio dal proliferare del caniço, ma anche dalla costruzione selvaggia di case di lusso e dalla faraonica ambasciata cinese. Sembra paradossale rilevarlo ora, il problema del Mozambico in questi ultimi decenni e' stata soprattutto la siccita'. Prendiamo il caso di Chokwe, cittadina agroindustriale lungo il Limpopo, distrutta dall’alluvione. In periodo coloniale, la popolazione locale fu rimossa dalle proprie terre per far posto ai portoghesi. Il sistema d’irrigazione, ancora oggi il piu' esteso del paese, data dagli anni ’50 e venne completato negli anni ’70 con la costruzione della diga di Massingir che doveva regolare il flusso delle acque e ovviare alle siccita' o alle alluvioni, ma che non ha mai funzionato a dovere a causa di difetti di costruzione e di scarse capacita' di gestione e manutenzione. Nel 1977, poco dopo l’indipendenza e una parziale rioccupazione delle terre da parte di mozambicani, un’alluvione costrinse a spostare di forza la popolazione rivierasca sulle alture. L’area irrigata venne nazionalizzata e organizzata in un’impresa industriale, il Complexo Agro-Industrial do Vale do Limpopo, successivamente suddivisa in sette aziende statali. Il totale fallimento della gestione statale, la guerra e poi la svolta politica dell’ inizio degli anni ’90 (la guerra termina nel ’92) portarono ad una ristrutturazione con la cessione di terreni a privati e in parte all’ agricoltura familiare. Tuttavia il sistema d’irrigazione non ha ripreso a funzionare a piena capacita'. Il recupero produttivo della zona e' stato coartato da un’inefficiente o inesistente manutenzione dei canali di drenaggio, dall’aumento della salinita' e quindi da un generale impoverimento delle terre. Tutto questo con conseguenze gravi, perche' la regione e' il vero e proprio granaio del Mozambico. L’alluvione dei mesi scorsi ha distrutto tutto, sistema d’irrigazione, ogni tipo di impresa agricola, bestiame. CHI PAGA? I POVERI La polemica sulla regolamentazione del deflusso delle acque dalle dighe non e' dunque accademica, ma centrale ai problemi della sopravvivenza, crescita e sviluppo dell’agricoltura contadina e impresariale. Troppa poca acqua arriva quando, nei lunghi periodi di siccita', ve ne sarebbe bisogno; troppa acqua viene evacuata all’improvviso quando gli invasi sono oltre il limite consentito. Questo senza che la popolazione che vive e produce in quelle vallate abbia alcun controllo sulle decisioni "tecniche" e senza che vi siano sistemi efficienti di preavviso tali da consentire alle popolazioni di mettersi in salvo. Questo e' accaduto negli anni passati regolarmente e il problema e' ben noto. Pare che in Mozambico la popolazione lungo il Limpopo sia stata avvertita, ma solo in parte abbia accolto l’esortazione a spostarsi. Ci troviamo in una regione vastissima in cui le informazioni arrivano con difficolta' e poi appare chiaro che non e' stato calcolato l’enorme impatto dell’ondata di piena. E qui torna la questione del coordinamento regionale e la revisione necessaria del regime di regolamento del deflusso delle acque. In Sudafrica e' sorta una polemica sull’inadeguatezza delle previsioni meteorologiche e quindi sulla capacita' delle autorita' preposte al controllo delle dighe di programmare deflussi graduali quindi meno devastanti. E invece ci sono stati morti - il numero esatto non si sapra' mai - e per la maggior parte dei sopravvissuti la speranza di ricostruire la propria vita e' molto precaria e lontana. Superata l’emergenza, la comunita' internazionale, i governi della regione e le organizzazioni preposte al coordinamento regionale devono prendere coscienza che si devono affrontare i problemi di fondo. Le vittime di queste "calamita' naturali" sono sempre quasi solo le popolazioni piu' povere nelle aree sia rurali sia urbane, le stesse che pur vivendo in stati formalmente democratici non hanno accesso ne' all’informazione ne' al processo decisionale. Infine ambientalisti e ecologi mettono in evidenza come le eccezionali alluvioni che hanno devastato il Mozambico e fatto guasti notevoli in Zambia, Zimbabwe, Swaziland, nel Transvaal sudafricano e in Botswana sono in parte dovute al crescente, esteso danno ambientale in tutti i paesi delle regione, esacerbato dalla distruzione di aree umide e paludose. David Lindley, ecologista del Rennies Wetland Project, sostiene che l’erosione delle zone umide e l’eccessivo sfruttamento delle praterie nelle alture dello spartiacque dei fiumi, in Botswana, Zimbabwe e Sudafrica, e' fra le principali cause di ondate di piena incontrollabili. Si calcola che negli ultimi decenni circa il 50% delle aree paludose sudafricane sono andate distrutte per favorire l’agricoltura e per l’allargarsi delle citta'. Ora, le terre umide sono come spugne che assorbono l’acqua in eccesso per poi restituirla lentamente ai corsi d’acqua. La degradazione di questo sistema ecologico ha rimosso la valvola di salvezza e certamente favorito il ripetersi di alluvioni devastanti. La questione ambientale, come dimostra questo disastro, e' un problema politico e di accesso alle risorse. Questa e' la vera sfida della ricostruzione e dello sviluppo. DONATORI NON AFFATICATI "Success story" e' stato il leitmotiv degli interventi alla Conferenza internazionale per la ricostruzione del Mozambico, ospitata a Roma dal ministero degli esteri il 3 e 4 maggio. Una storia di successi lunga sette anni - con la pagina della guerra definitivamente girata, performance economiche da 10% di crescita annua, un’ormai consolidata proiezione internazionale e immagine di "buon governo" - ha fatto del Mozambico l’ enfant che'ri della comunita' internazionale. Alla Farnesina ha poi impressionato i rappresentanti di 20 paesi donatori – questa volta non colpiti da sindrome di "affaticamento" – nonche' istituzioni internazionali e osservatori, l’articolato Programma di ricostruzione post-emergenza presentato dal ministro delle finanze, Luísa Dias Diogo, mentre la Conferenza veniva presieduta dal ministro degli esteri Leonardo Simão congiuntamente con Mark Malloch Brown, amministratore del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp). Cosi' che, venuto per domandare 450 milioni di dollari, il governo se n’e' tornato a Maputo con quasi 453, dei quali 28,2 italiani. Il bilancio umano delle alluvioni, non va dimenticato, e' ufficialmente di 700 morti piu' un centinaio di scomparsi, 544.000 persone in situazione di assoluta emergenza e oltre un quarto della popolazione del paese colpita in misura varia dal disastro. Dal punto di vista economico, 10% delle coltivazioni distrutte, 20mila capi di bestiame morti, 90% degli impianti di irrigazione inservibili. E scuole, dispensari, ospedali, ponti, strade, edifici pubblici… scomparsi o inutilizzabili. Molta enfasi i delegati hanno dato, in vista della ricostruzione, alla promozione del microcredito. Ancor di piu' all’investimento privato. Un po’ meno al ruolo della societa' civile… Si e' anche parlato di condono del debito. Mentre alcuni paesi (Canada, Finlandia, Germania, Danimarca, Belgio, Francia) hanno potuto vantare la gia' avvenuta cancellazione, il sottosegretario agli esteri Rino Serri ha ribadito, per l’Italia, l’impegno a estinguere anche i crediti commerciali (i crediti d’aiuto sono stati azzerati qualche anno fa) e ad adoperarsi in seno al G-7 e alle istituzioni finanziarie internazionali perche' tutti i creditori, bilaterali e multilaterali, facciano lo stesso. Alla Conferenza si e' parlato anche di vulnerabilita', ambientale oltreche' umana. Dunque di prevenzione: dalla necessaria modernizzazione delle rilevazioni meteorologiche e idrometriche alla circolazione delle informazioni a livello nazionale e regionale, al riassetto del territorio. Ma a tutto questo capitolo e' dedicata una parte minima del budget. Ne' si e' osato un po’ di dibattito sulle cause del disastro: fino a che punto sia stato "naturale", e poi il problema dell’apertura delle dighe… Nel Programma scopriamo anzi un piano di almeno quattro nuove dighe per il prossimo quinquennio, oltre alla riabilitazione di quelle di Massingir e Macarretane. MORATORIA Una moratoria sui progetti di grandi dighe. La richiesta e' del marzo dello scorso anno, l’hanno sottoscritta una cinquantina di organizzazioni non governative italiane, e' rivolta alla Commissione mondiale sulle Grandi Dighe che dovrebbe esprimersi nell’ottobre di quest’anno. Nel documento-dichiarazione, elaborato dalla Campagna per la riforma della Banca Mondiale, si chiede tra l’altro alla Commissione di adottare "criteri di analisi che includano le problematiche sociali e un processo decisionale partecipativo e trasparente, che veda coinvolti tutti gli attori, i possibili beneficiari e fruitori". Favorevole ad una moratoria di almeno dieci anni nella costruzione delle grandi dighe "cosi' da poter fare una valutazione chiara" e' Riccardo Petrella, promotore del comitato internazionale per un "Contratto mondiale dell’acqua" basato sul principio della gratuita' (per saperne di piu': Cipsi, tel. 06 5414894; web.tin.it/cipsi/acqua. "Perche' e' stato ampiamente dimostrato - spiega Petrella, professore all’Universita' Cattolica di Lovanio (Belgio) - che le dighe sono controproducenti per l’ecosistema e per l’approvvigionamento idrico. Chi ci ha guadagnato finora sono i costruttori e le industrie delle turbine". ************************************ NIGRIZIA redazione at nigrizia.it Vicolo Pozzo, 1 - I-37129 Verona tel. +39 045 596238 fax +39 045 8001737 www.nigrizia.it
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