NIGRIZIA 4/2000 - PAROLA DI DONNA



Parola di donna

TOGLI I SANDALI…
di Silvia Regina da Lima

UN DETTO POPOLARE IN AMERICA DICE: "QUELLO CHE GLI OCCHI NON VEDONO, IL
CUORE NON SENTE". QUESTE PAROLE POSSONO AIUTARE A INDIVIDUARE E A SUPERARE
ALCUNE BARRIERE CHE SI PRESENTANO CON FREQUENZA NEL DIALOGO INTERRELIGIOSO.

In verita' le barriere sono molte, come molti e diversi sono anche i cammini
che ci avvicinano e che costruiscono la fraternita'.

Una prima barriera o difficolta' puo' venire dalla visione del mondo che ci
costruiamo a partire dallo spazio geografico nel quale ci muoviamo. "Quello
che gli occhi non vedono…". Ancora oggi ci sono persone e comunita' le cui
relazioni si riducono ai limiti geografici della citta' o provincia cui
appartengono. Il diverso, lo sconosciuto, rappresenta cosi' qualcosa di
distante, che non fa parte del proprio quotidiano e che percio' non arriva a
costituire una sfida.

I costanti movimenti migratori in tante regioni del mondo e i mezzi di
comunicazione sociale stanno modificando questo quadro. Eppure troviamo
gruppi che, anche stando in un mondo globalizzato dal punto di vista della
comunicazione, rimangono con la loro mentalita' di villaggio e riducono la
realta' alla propria esperienza personale.

Il non vedere, non riconoscere la diversita', diventa una prima difficolta'
per le relazioni, per il dialogo in generale e in particolare il dialogo
interreligioso. E vedere, molte volte, e' una questione di volere o non
volere vedere…

Succede anche, talvolta, che non vediamo ma agiamo come se avessimo visto.
L'idea che ci facciamo dell'altro, delle differenti espressioni religiose,
prende spesso le mosse dal sentito dire, da certe informazioni o da cose che
immaginiamo. E se domandiamo "ma lei conosce, ha visto, si e' avvicinato a
un membro di questa religione e ha parlato con lui?", la risposta sara', in
molti casi, negativa. Con dei preconcetti difficilmente perverremo a
un'autentica relazione con il diverso, a un dialogo.

Ma come conoscere? La conoscenza della realta' avviene anche, in generale,
per analogia: si confronta una situazione sconosciuta con una nota. Cosi'
applichiamo, di frequente, questa forma di conoscenza alla relazione
interreligiosa. Ma non in molte occasioni non sembra essere questa la strada
migliore.

Se cerco di conoscere l'altro, l'altra religione, comparandola con la mia
esperienza religiosa, con la mia chiesa, finisco per ridurre l'altro ai miei
valori, riscattando nell'altra religione cio' che assomiglia alla mia e,
facilmente, rifiutando cio' che se ne distacca. La comparazione non e'
sufficiente. Siamo sfidati a cercare altri cammini.

"NOI SIAMO MIGLIORI"

Nell'atteggiamento comparativo puo' nascondersi anche un'altra insidia.
Sappiamo, a partire dall'esperienza cristiana stessa, che ogni religione ha
il suo aspetto ideale, il suo progetto, principi, obiettivi e, dall'altra
parte, la realta' concreta, quello che e' possibile realizzare dell'ideale
ricercato. Una cosa fu, ad esempio, il progetto liberatore, il Regno vissuto
e annunciato da Gesu', altra cosa e' la vita cristiana quotidiana, le
realizzazioni storiche del cristianesimo. Per quanto ci sforziamo e
rinnoviamo il desiderio ardente di seguire Gesu', la vita restera' sempre
minacciata e attraversata da ambiguita'.

Ora, quanto accade con il cristianesimo avviene anche nelle altre
espressioni religiose. La difficolta' nel dialogo nasce quando confrontiamo
cio' che e' ideale nella nostra religione con la pratica delle altre
religioni. Raramente stabiliamo un paragone tra i progetti, le proposte
dell'una e dell'altra; prendiamo i limiti degli altri e li confrontiamo non
con i nostri limiti - che esistono - ma con l'ideale cristiano.

E la conclusione non potra' che essere sempre la stessa: "Noi siamo
migliori".

Qual e' la strada, allora? Ce ne sono molte. Alcune che gia' si e'
cominciato a percorrere e altre nuove che si apriranno grazie alle
esperienze di ciascuno e di ogni comunita'. La cosa piu' importante e' forse
il modo, l'atteggiamento interiore, la disposizione nella quale ci
presentiamo per dialogare. Vengono qui a proposito le parole di Dio a Mose',
sul Sinai: "Non avvicinarti, togliti i sandali perche' il luogo sul quale
stai e' suolo santo" (Esodo 3,5). Fu quello un momento molto speciale,
privilegiato, della rivelazione di Dio. Ma perche' non recuperare questo
atteggiamento di "togliere i sandali" e riconoscere il sacro che si rivela
anche nell'altro, nelle altre religioni?… Togliere i sandali e' un gesto di
rispetto. Ma significa anche spogliarsi, entrare in contatto con la terra,
con l'energia vitale che alimenta la vita e riconoscere il divino che abita
in lui, in lei.

L'inizio del dialogo sta nel riconoscere, senza negare quello che io sono,
che anche l'altro e'; senza negare che Dio si manifesta nella mia religione
o chiesa, riconoscere che Lui puo' nascondersi e manifestarsi in molte e
differenti parti.

Non basta vedere, e' fondamentale come si vede. "Come gli occhi vedono e nel
modo in cui vedono, cosi' il cuore sente".


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