(Fwd) via l'ENI dall'Iraq



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Date sent:	Tue, 2 May 2006 17:23:53 +0100 (GMT+01:00)
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alla c.a. di Piero Bernocchi - in forma di lettera aperta
da parte di 
Alfonso Navarra 



Ritiriamo truppe ed ENI dall'Iraq!
Fermiamo la 
guerra contro l'Iran!


Caro Piero,
Leggo oggi un tuo intervento sul 
quotidiano "Liberazione" e la risposta del giornale, 

firmata Pi.sa. 
(sta naturalmente per Piero Sansonetti).
Gia' il titolo: "La pietas per 
i soldati italiani morti a Nassyria" mi induce ad un 

giudizio - ti 
confesso - irritato: avete tutte'e due impostato veramente male la 

discussione, mi viene da sbottare di primo acchitto.
E' possibile che 
il problema da focalizzare sia piangere o meno i militari italiani
uccisi? Vediamo qual'e' il succo del tuo discorso, al di la' delle
inutili e, dal tuo stesso punto 

di vista,  controproducenti 
considerazioni sulle "litanie patriottarde" e su quanto devono 

pesare 
certi morti, se come macigni o come piume.
A te, come al sottoscritto, 
interessano le seguenti cose, che condivido:
1- che sia riconosciuta la 
corresponsabilita' italiana di una guerra sbagliata, 

imperialistica 
ed aggressiva, sempre piu' cruenta
2- il ritiro di TUTTE le truppe 
dall'Iraq senza sostituirle con presunti "ricostruttori".
Questi sono i 
tuoi (ed i miei) punti principali.
Qui veramente c'e' da fare un 
discorso molto serio, perche' rischiamo di andare incontro, 

per opera 
del nuovo governo "pacifista" di Romano Prodi (con Mastella che ha
conquistato la 

Difesa grazie ai giochetti ricattatori delle schede 
bianche durante l'elezione di Marini al 

Senato), ad una nuova, 
colossale, clamorosa presa per il culo.
Vuoi vedere che "piangeremo" 
piu' militari morti in Iraq DOPO il ritiro formale delle 

truppe 
deciso, forse, da Prodi (il forse dipende dai dubbi sulla durata del
governo) che 

non PRIMA?

Mi spiego. Subito dopo l'attentato di 
Nassyria del 27 aprile ho sentito in TV il diessino 

Minniti 
confermare - a nome dell'Unione - che il ritiro delle truppe italiane
dall'Iraq 

sara' un impegno mantenuto. "- La nostra posizione non muta 
rispetto a quanto indicato nel 

Programma: non e' nemmeno lontana da 
quella che sta esprimendo il governo Berlusconi quando 

dichiara di 
volersi disimpegnare entro il 2006. La presenza italiana in Iraq
resta, perche' 

siamo interessati, con l'ONU e gli alleati, alla democrazia e 
alla ricostruzione di quel 

Paese. Solo che la missione da 
prevalentemente militare diventera' prevalentemente civile. 

Manterremo solo 600 soldati per garantire le operazioni civili di
sostegno alla 

ricostruzione economica e di assistenza alla 
popolazione-".

600 militari, ragazzi, non sono mica una bazzecola. 
Saranno cosi' tanti i soldati che 

resteranno a vigilare sulla 
missione civile? Ma non e' questo l'unico interrogativo che 

pesa sul 
futuro. Questi soldati dipenderanno ancora dal Comando britannico? Ci
sara' una 

nuova risoluzione ONU per definire compiti e obiettivi? Ed 
i tempi?
Sul piano strettamente tecnico una-due settimane, a quanto ho 
capito, potrebbero bastare 

per l'imbarco sulle navi.
Ma il 
contingente dovra' effettuare il "passaggio delle consegne": lo
scambio informativo 

con le truppe (inglesi?) che sostituiranno gli italiani. 
Aspetteremo mesi?
Ma le questioni di inquadramento giuridico della 
prospettata missione civile mi sembrano 

piu' importanti di tante 
altre questioni di date e di immagine che andremo a discutere.
Immagino 
gia' i politici polemizzare su settimana piu', settimana meno, 
ignorando, ad 

esempio, se entreremo o meno a far parte dei 15 PRT 
(team di ricostruzione provinciale) che 

gli americani intendono 
costituire per definire con le autorita' locali (si fa per dire) i 

piani della ricostruzione.
A dire il vero la polemica sulla stampa e' 
gia' divampata: ogni leader di partito ha detto 

la sua, compreso 
quello dell'Udeur, Clemente Mastella, a quanto pare Ministro della
Difesa 

in pectore: "- Sara' il nuovo governo, dopo la piena 
investitura ed il premier Prodi a 

discutere di un eventuale ritiro 
dei nostri soldati-".
Discutere l'eventualita': siamo proprio a posto!

Infine la domanda delle domande: quale sara' il vero contenuto 
"pacifico" di questa 

missione "prevalentemente civile"?  Prendere 
parte alla rapina del petrolio iraqeno,  di 

quel giacimento sul quale 
l'ENI ha messo gli occhi addosso, come "rivelato"  nel maggio 

2005 da 
"RaiNews24", in una inchiesta curata da Sigfrido Ranucci?

Si parlava, 
nel servizio, di un vecchio accordo tra Saddam Hussein e l´Eni,
risalente a 

metà degli anni Novanta, per lo sfruttamento "del 
giacimento di Nassiriya", il cui 

potenziale di estrazione secondo la 
stessa inchiesta è stimato in 2,5-3 miliardi di barili. 

Valore 
dell'affare: 300 miliardi di dollari. 
Una conferma e' venuta da uno 
studio della ricercatrice Valerie Marcel - "Il futuro del 

petrolio in 
Iraq: scenari ed implicazioni", pubblicato nel dicembre 2002 dal
prestigioso 

Royal Institute of international affairs di Londra. Nella 
sua pubblicazione, Marcel 

testimonia di un accordo per l´estrazione 
nel "giacimento di Nassiriya" firmato con la 

South Oil Company da un 
consorzio temporaneo d´impresa costituito dall´italiana Eni e
dalla 

spagnola Repsol. "Talks with both firms" scrive la specialista dell´
Istituto britannico: un 

accordo già potenzialmente operativo, con 
tanto di contratto firmato. Un´ulteriore conferma 

viene da una 
tabella delle risorse petrolifere del Paese pubblicata anche sul web
dal 

"Petroleum Economist", con l´aggiunta che il negoziato di 
Eni/Repsol con il "rais" ebbe 

inizio nel ´98.
Dopo l'invasione del 
2003 e' probabile che Bush abbia promesso al governo italiano, per 

ricompensarne l'appoggio,
il sostanziale rispetto di quel vecchio 
contratto stipulato dall'ENI con Saddam.
Enrico Mattei, se venisse a 
sapere del contratto vessatorio stipulato dall'ENI con la Somo, 

si 
rivolterebbe nella tomba. Egli, da presidente dell'ENI, offriva ai
Paesi produttori il 

75% (contro il 50 delle Sette Sorelle) ed in piu' 
si faceva carico degli investimenti per 

la realizzazione degli 
impianti estrattivi. 
I rischi dell'impresa erano tutti a suo carico. 
Offriva inoltre tecnologia e formazione di 

personale e manager, 
nonche' partecipazione nei riguardi delle aspirazioni di riscatto di 

questi Paesi ritenuti da altri arretrati e poco civilizzati.
Praticava, 
insomma, una specie di commercio equo e solidale, mentre oggi l'ENI e'
diventata 

una Grande Sorella!

Se tanto mi da' tanto, fare gli 
"zapateri" oggi significa che dobbiamo non solo chiedere, 

come un 
disco rotto, il ritiro delle truppe dall'Iraq, ma anche il ritiro
dell'ENI 

dall'Iraq:  non dobbiamo partecipare al saccheggio 
petrolifero del popolo iraqeno se, 

ammesso e non concesso, vogliamo 
adempiere in quel Paese ad una missione pacifica e 

civilizzatrice.

Ed abbiamo anche due altri compiti collegati: togliere le tende 
dall'Afghanistan e non 

piantarle in Iran.
La missione in Afghanistan 
non si puo' considerare certamente di pace: i militari italiani 

si 
sono uniti al carro USA
per portare, in quel paese, un segno di guerra 
che non ha sicuramente raggiunto l'obiettivo 

conclamato che si 
prefiggeva: "la definitiva pacificazione e stabilizzazione del Paese,
la 

definizione d'intesa con gli altri paesi della coalizione degli 
strumenti per prevenire il 

riemergere del terrorismo". 
Si vocifera 
di un raddoppiamento della presenza militare italiana dalle parti di
Kabul. A 

me pare chiaro che questa decisione servirebbe soltanto per 
liberare truppe americane in 

funzione della prossima guerra all'Iran. 
La quale mi sembra ormai inevitabile.

Ho parlato con l'avv. Piergiulio 
Sodano, di Soccorso Verde, di redigere, ai sensi di legge, 

una 
diffida al governo italiano affinche' non si accinga a collaborare,
anche solo fungendo 

da retrovia, ad un attacco nucleare contro 
l'Iran, violando la Costituzione ed ogni regola 

di diritto 
internazionale ed interno.
Questa iniziativa potrebbe fare da motorino 
di avviamento per una mobilitazione preventiva 

che occorrebbe 
promuovere e diffondere secondo la strategia della pace preventiva:
non mi 

pare molto serio agitarsi per "fermare la guerra" solo quando la
decisione e' gia' stata 

annunciata ufficialmente da Bush.
Solo il 
fatto che oggi, da parte degli USA, non si escluda - sono
dichiarazioni ufficiali - 

 l'uso della forza non costituisce, per il "popolo della 
pace", motivo sufficiente di 

protesta?


Alfonso Navarra




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