[Nonviolenza] Telegrammi. 2169



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2169 del 16 novembre 2015

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

 

Sommario di questo numero:

1. Peppe Sini: Tre cose che non possiamo tacere

2. Movimento Nonviolento: Nonviolenza o barbarie

3. Mario Giro: Parigi: il branco di lupi, lo Stato Islamico e quello che possiamo fare

4. Hic et nunc, quid agendum

5. Verso la "Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne" del 25 novembre

6. In memoria di Chinua Achebe, di Giovanna Bemporad, di Jean Baptiste Le Rond d'Alembert, di Ignacio Ellacuria e delle altre vittime della strage di San Salvador del 16 novembre 1989, di Antonio Giannangeli, di Margherita Isnardi Parente, di Sergio Liberovici, di Serge Moscovici, di Raymond Peynet, di Carlo Rosselli, di Jose' Saramago, di Cesare Scurati, di Maurizio Valenzi

7. Segnalazioni librarie

8. La "Carta" del Movimento Nonviolento

9. Per saperne di piu'

 

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: TRE COSE CHE NON POSSIAMO TACERE

 

A tutte le stragi occorre opporsi, e quindi a tutte le guerre che sempre e solo di stragi consistono.

Per fermare le stragi occorre il disarmo e la smilitarizzazione dei conflitti.

Occorre impedire agli assassini di continuare a uccidere: a tutti gli assassini; ai gruppi terroristi, alle organizzazioni mafiose, ai regimi totalitari, ai governi belligeranti, ai poteri economici che si arricchiscono grazie ai massacri.

*

E' la nonviolenza la politica necessaria.

Una politica che proibisca la produzione, il commercio e quindi l'uso delle armi; che legiferi e realizzi il sequestro e la distruzione di tutte le armi in circolazione; che smantelli tutti gli arsenali.

Una politica che abolisca gli eserciti e li sostituisca con i corpi civili di pace, con la difesa popolare nonviolenta, con una polizia formata alla nonviolenza, con l'aiuto umanitario agli esseri umani bisognosi di aiuto.

Una politica che salvi le vite invece di sopprimerle.

Una politica sollecita della vita, della dignita' e dei diritti di ogni essere umano, del bene comune, della biosfera casa comune dell'umanita'.

*

Nessuna illusione. Nessun attendismo. Nessuna subalternita'. Lottiamo ogni giorno contro tutti i poteri assassini, con la forza della verita', con la scelta della nonviolenza, per la liberazione dell'umanita' da ogni violenza, da ogni menzogna, da ogni oppressione. Lottiamo ogni giorno contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni. Lottiamo ogni giorno per salvare le vite.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi.

La nonviolenza e' in cammino.

La nonviolenza e' il cammino.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

 

2. RIFLESSIONE. MOVIMENTO NONVIOLENTO: NONVIOLENZA O BARBARIE

[Dal Movimento Nonviolento (per contatti: www.nonviolenti.org, www.azionenonviolenta.it) riceviamo e diffondiamo]

 

Ed eccola qui la guerra: ora, nonviolenza o barbarie!

Ed eccola qui, la guerra. E' arrivata anche alla porta accanto. Con il suo orrore, il terrore, il sangue, i corpi morti. Quando la vedi con i tuoi occhi capisci davvero perche' e' "il piu' grande crimine contro l'umanita'".

E' un'unica guerra che si mimetizza  in varie forme, che si ciba dello stesso odio e defeca la stessa violenza. E' sempre la stessa cosa, compiuta da eserciti addestrati, ben armati, finanziati, le cui vittime sono soprattutto i civili innocenti.

Ormai e' una matassa ingarbugliata. Il bandolo non lo si trova piu'. Non serve sapere chi ha iniziato per primo, le ragioni sono scomparse e rimangono solo i torti.  E' una spirale perversa che si autoalimenta: guerra-terrorismo-violenza-odio-vendetta-terrorismo-guerra...

Ieri a Parigi abbiamo assistito in diretta ad un'operazione militare: un gruppo di soldati in armi che ha agito come un  plotone di esecuzione, attaccando civili inermi, sequestrandoli, decimandoli, come facevano i nazisti nella Francia del 1940, violando ogni convenzione internazionale, fuori da ogni regola... d'altronde la guerra non ha regole, se non quella di eliminare fisicamente il nemico.

Ed e' proprio questo che i mercenari dell'odio vogliono: che ognuno di noi si senta nemico all'altro, per innalzare il livello dello scontro, dove alla fine rimarra' solo chi e' piu' spietato, chi spara l'ultimo colpo.

Gia' troppe volte abbiamo detto "mai piu'!".  Dopo la guerra del Golfo, dopo le Torri Gemelle, dopo l'attacco in Iraq, dopo gli attentati di Londra e di Madrid, dopo la strage di "Charlie Hebdo", dopo quella del Bardo, dopo i bombardamenti su Libia e Siria, dopo il raid sull'ospedale di Kunduz in Afganistan, dopo il massacro all'Universita' di Garissa in Kenya, dopo le bombe sul corteo pacifista di Ankara - ed oggi dopo gli attentati suicidi di Beirut e di Parigi.

Piangere i morti ed esprimere solidarieta' e' importante, ma non basta se poi tutto continua come prima. Dobbiamo reagire. Non farci piegare dal dolore e dalla paura. Non accettare lo stato delle cose. Reagire. Reagire per spezzare la spirale, ed aprire una strada nuova. La violenza ha fallito e se perpetuata peggiorera' ulteriormente una situazione gia' tragica.

La via da seguire e' quella della nonviolenza. Sul piano personale e su quello politico. La via del diritto, della cooperazione, del dialogo, delle alleanze con chi in ogni luogo cerca la pace, della riduzione drastica della produzione e del traffico di armi, dei Corpi civili di pace per affrontare i conflitti prima che diventino guerre, della polizia internazionale per fermare chi si pone fuori dal contesto legale dell'Onu.

Il terrorismo e la guerra (che e' una forma di terrorismo su vasta scala) si contrastano con strumenti altrettanto forti, ma con spinta contraria. Siamo anche noi dentro il conflitto, e lo dobbiamo affrontare con soluzioni opposte a quelle perseguite finora. L'alternativa oggi e' secca: nonviolenza o barbarie.

Aldo Capitini, il fondatore del Movimento Nonviolento, lo aveva profetizzato gia' nel secolo scorso... non sappiamo se gia' prefigurava l'orrore dei tagliatori di teste, ma le sue parole sono rivolte a noi oggi: "Tanto dilagheranno violenza e materialismo, che ne verra' stanchezza e disgusto; e dalle gocce di sangue che colano dai ceppi della decapitazione salira' l'ansia di sottrarre l'anima ad ogni collaborazione con quell'errore, e di instaurare subito, a cominciare dal proprio animo (che e' il primo progresso), un nuovo modo di sentire la vita: il sentimento che il mondo ci e' estraneo se ci si deve stare senza amore, senza un'apertura infinita dell'uno verso l'altro, senza una unione di sopra a tante differenze e tanto soffrire. Questo e' il varco attuale della storia" (Aldo Capitini, 1936, Elementi di un'esperienza religiosa).

Movimento Nonviolento

Verona, 14 novembre 2015

 

3. DOCUMENTAZIONE. MARIO GIRO: PARIGI: IL BRANCO DI LUPI, LO STATO ISLAMICO E QUELLO CHE POSSIAMO FARE

[Dal sito di "Limes" (www.limesonline.com) riprendiamo il seguente intervento dal titolo "Parigi: il branco di lupi, lo Stato Islamico e quello che possiamo fare" e il sottotitolo "Dopo il lutto e la condanna della barbarie per gli attentati del 13 novembre, ricordiamoci che il vero protagonista del conflitto che stiamo vivendo non e' l'Occidente ma il mondo islamico. Le nostre priorita': rimanere in Medio Oriente e spegnere la guerra di Siria".

Mario Giro, impegnato dal 1975 nella Comunita' di Sant'Egidio, e' sottosegretario agli Esteri]

 

Di fronte alla strage di Parigi, il primo atteggiamento giusto e' dolore e lutto per le vittime assieme a tutta la nostra solidarieta' e commozione per un paese fratello e una citta' simbolo della convivenza e dei valori europei.

Subito dopo, e' opportuna la piu' totale e ferma condanna per tali barbari attentati che nulla puo' - nemmeno indirettamente - giustificare.

E' indispensabile essere uniti nel ripudio assoluto del jihadismo e del terrorismo islamico contemporanei, chiedendo a tutti, musulmani inclusi, di far propria una incondizionata e radicale riprovazione.

Infine occorre mettere in campo tutta l'intelligenza, la lucidita' e la calma possibili, al fine di capire cio' che sta accedendo per trovare le misure adeguate. E' da irresponsabili mettersi a gridare o agitarsi senza criterio: occorre prima pensare e comprendere bene. Se i barbari sono tra noi, c'e' un'origine di tale vicenda, una sua evoluzione e - speriamo presto - un rimedio.

Siamo in guerra? La guerra certo esiste, ma principalmente non e' la nostra. E' quella che i musulmani stanno facendosi tra loro, da molto tempo. Siamo davanti a una sfida sanguinosa che risale agli anni Ottanta tra concezioni radicalmente diverse dell'islam. Una sfida intrecciata agli interessi egemonici incarnati da varie potenze musulmane (Arabia Saudita, Turchia, Egitto, Iran, paesi del Golfo ecc.), nel quadro geopolitico della globalizzazione che ha rimesso la storia in movimento.

Si tratta di una guerra intra-islamica senza quartiere, che si svolge su terreni diversi e in cui sorgono ogni giorno nuovi e sempre piu' terribili mostri: dal Gia algerino degli anni Novanta alla Jihad islamica egiziana, fino ad al-Qaida e Daesh (Stato Islamico, Is). Igor Man li chiamava "la peste del nostro secolo".

In questa guerra, noi europei e occidentali non siamo i protagonisti primari; e' il nostro narcisismo che ci porta a pensarci sempre al centro di tutto. Sono altri i veri protagonisti.

L'obiettivo degli attentati di Parigi e' quello di terrorizzarci per spingerci fuori dal Medio Oriente, che rappresenta la vera posta in gioco. Si tratta di una sorta di "guerra dei Trent'anni islamica", in cui siamo coinvolti a causa della nostra (antica) presenza in quelle aree e dei nostri stessi interessi. L'ideologia di Daesh e' sempre stata chiara su questo punto: creare uno Stato laddove gli Stati precedenti sono stati creati dagli stranieri quindi sono "impuri".

L'Is sta combattendo un conflitto per il potere legittimandosi con l'arma della "vera religione". Concorre ad affermarsi presso la Umma musulmana (la "casa dell'islam", che include le comunita' musulmane all'estero) quale unico vero e legittimo rappresentante dell'Islam contemporaneo. Questo nel linguaggio islamico si chiama fitna: una scissione, uno scisma nel mondo islamico. Per capirci: una guerra politica nella religione, che manipola i segni della religione, cosi' come i nazisti usavano segni pagani mescolati a finzioni cristiane. Infatti l'Is, come al-Qaida, uccide soprattutto musulmani e attacca chiunque si intromette in tale conflitto.

Per chi ha la memoria corta: al-Qaida chiedeva la cacciata delle basi Usa dall'Arabia Saudita e puntava a prendersi quello Stato (o alternativamente il Sudan e poi l'Afghanistan in combutta coi talebani). Daesh pretende di piu': conquistare "cuori e menti" della Umma; esigere la fine di ogni coinvolgimento occidentale e russo in Siria e Iraq; creare un nuovo Stato laddove esisteva l'antico califfato: la Mesopotamia.

Geopoliticamente c'e' una novita': al-Qaida si muoveva in una situazione in cui gli Stati erano ancora relativamente forti; l'Is approfitta della loro fragilita' nel mondo liquido, in cui saltano le frontiere. In sintesi: non esiste lo scontro tra civilta' ma c'e' uno scontro dentro una civilta', in corso da molto tempo. Per utilizzare un linguaggio da web: oggi nella Umma il potere e' contendibile.

A partire da tale fatto incontestabile, due questioni si impongono all'Occidente e alla Russia.

La prima e' esterna e riguarda la presenza (politica, economica e militare) in Medio Oriente: se e come starci. La seconda e' interna: come difendere le nostre democrazie, basate sulla convivenza tra diversi, allorquando i musulmani qui residenti sono coinvolti in tale brutale contesa? Come preservare la nostra civilta' dai turbamenti violenti della civilta' vicina? Se ci limitiamo a perdere la testa, invocando vendetta senza capire il contesto, infilandoci senza riflessione sempre di piu' nel pantano mediorientale e utilizzando lo stesso linguaggio bellicoso dei terroristi, non facciamo niente di buono. Potremmo anzi concedere allo Stato Islamico la resa del "nostro" modello di convivenza, per entrare nel "loro" clima di guerra.

Occorre innanzitutto proteggere la nostra convivenza interna e la qualita' della nostra democrazia. Serve piu' intelligence e una maggiore opera di contrasto coordinata tra polizie, soprattutto nell'ambito delle collettivita' immigrate di origine arabo-islamiche, che rappresentano un'importante posta in gioco del terrorismo islamico. Da notare anche che tali attentati si moltiplicano proprio mentre lo Stato Islamico perde terreno in Siria. Contemporaneamente occorre conservare il nostro clima sociale il piu' sereno possibile. Mantenere la calma significa non cedere ai richiami dell'odio che bramerebbero vendetta, che per rancore trasformerebbero le nostre citta' in ghetti contrapposti, seminando cultura del disprezzo e inimicizia. Le immagini del britannico che spinge la ragazza velata sotto la metro di Londra fanno il gioco di Daesh.

Sarebbe da apprendisti stregoni incoscienti rendere incandescente il nostro clima sociale, provocare risentimenti eccetera. Cosi' regaliamo il controllo delle comunita' islamiche occidentali ai terroristi, cedendo alla loro logica dell'odio proprio in casa nostra. Per dirla col linguaggio politico italiano: mostrarci piu' forti del loro odio non e' buonismo complice, e' parte della sfida. Il "cattivismo" diventa invece oggettivamente complice perche' appunto fa il gioco dello Stato Islamico.

In secondo luogo, dobbiamo darci una politica comune sulla guerra di Siria, vero crogiuolo dove si formano i terroristi. Imporre la tregua e il negoziato e' una priorita' strategica. Solo la fine di quel conflitto potra' aiutarci. Aggiungere guerra a guerra produce solo effetti devastanti, come pensa papa Francesco sulla Siria. Finora abbiamo commesso molti errori: l'Occidente si e' diviso, alcuni governi si sono schierati, altri hanno silenziosamente fornito armi, altri ancora hanno avuto atteggiamenti ondivaghi, non si e' parlato con una sola voce agli Stati vicini a Siria e Iraq eccetera.

L'Italia ha dichiarato da oltre due anni che Iran (ricordate cio' che disse Emma Bonino prima di Ginevra II?) e Russia (ricordate le accuse a Federica Mogherini di essere filorussa?) andavano coinvolti nella soluzione. Matteo Renzi l'ha piu' volte ripetuto, facendone una politica. In parlamento se n'e' dibattuto. Non siamo stati ascoltati, almeno finora. Tuttavia (finalmente!) le riunioni di Vienna con Russia e Iran possono far ben sperare: oggi tutti ci danno ragione. Meglio tardi che mai: il governo italiano e' totalmente impegnato nella riuscita di un reale accordo.

Nel nostro paese ci sono stati anche paralleli sforzi di pace e dialogo: dalle riunioni di Sant'Egidio con l'opposizione siriana non violenta, all'appello per Aleppo di Andrea Riccardi, all'ascolto dei leader cristiani di quell'area. La fine della guerra in Siria (e nell'immediato il suo contenimento) e' il vero modo per togliere acqua al pesce terrorista. Senza zone fuori controllo ove prosperare, il jihadismo perderebbe la maschera.

In terzo luogo, dobbiamo occuparci con urgenza del resto del quadro geopolitico mediterraneo: la Libia, che e' per noi prioritaria (e in cui almeno si e' frenato il conflitto armato mediante l'embargo delle armi); lo Yemen; la stabilizzazione dell'Iraq; le fragilita' di Libano, Egitto e Tunisia...

Anche se tali crisi sono in parte legate, vanno assolutamente tenute distinte. L'Is vorrebbe invece saldarle in un unico enorme conflitto (la sua propaganda e' chiara), allo scopo di mostrarsi piu' potente di quello che e'. In tale impegno occorrono alleanze forti con gli Stati islamici cosiddetti moderati: un modo per trattenere anche loro dal cadere (o essere trascinati) nella trappola del jihadismo che li vuole portare sul proprio terreno. Ogni conflitto mediorientale e mediterraneo ha una propria via di composizione e occorre fare lo sforzo di compiere tale lavoro simultaneamente. In altre parole: restare in Medio Oriente comporta un impegno politico a vasto raggio e continuo.

E' prioritario entrare dentro la spirale dei foreign fighters per prosciugarne le fonti. Ho recentemente scritto un libro su tale fenomeno. Qui aggiungo solo che non sarei sorpreso che tra gli attentatori di Parigi ci fossero vecchie conoscenze della polizia francese. Esistono antiche filiere degli anni Novanta, mai del tutto distrutte, che si riattivano in appoggio a chi pare egemone sul campo. Qualcuno puo' essere un combattente straniero di ritorno: il problema e' capire la genesi del fenomeno. Ma non ce ne sarebbe nemmeno tanto bisogno: attentati di questo tipo possono essere compiuti da chiunque.

Si e' parlato di lupi solitari; qui siamo in presenza di un branco. Un ristorante, una trattoria, uno stadio, una sala di concerti non rappresentano reali obiettivi sensibili, segno che non occorre particolare addestramento. Sorprende piuttosto che dispongano di armi da guerra, non cosi' facili da reperire in Francia. In Italia sappiamo che le mafie ne sono provviste ma anche molto gelose. Combattere il fenomeno foreign fighters corrisponde a coinvolgere le comunita' islamiche e non spingerle verso l'uscita.

Tutto cio' va fatto contemporaneamente. Gridare "siamo in guerra!" senza capire quale sia questa guerra, invocando irresponsabili atti di vendetta e reazioni armate, ci fa cadere nell'imboscata jihadista. Proprio li' lo Stato Islamico vuole portarci, per mettere le mani sull'islam europeo ma soprattutto su quello mediorientale. Vuole dividere il terreno in due schieramenti contrapposti, giocando sul fatto che per riflesso i musulmani saranno fatalmente attirati dalla sua parte.

Per tale motivo la propaganda dell'Is (come quella di al-Qaeda prima) tira continuamente in ballo l'Occidente: in realta' sta parlando alla Umma islamica per farla reagire. Intraprendere tutto cio' non e' facile ma necessario.

Contenere e spegnere la guerra di Siria e' il solo modo per prosciugare il lago terrorista. Sara' operazione lunga e complessa, ci saranno altri attentati, ma e' una strada vincente alla lunga. Certo si tratta di far dialogare nemici acerrimi, di dare un posto a tavola a gente che non ci piace (Assad e i suoi) o a formazioni ribelli ambigue, ma e' l'unico modo.

Andare in Siria in ordine sparso e' al contrario la via per compiacere Daesh e i suoi strateghi: un Occidente e una Russia divisi su tutto favoriscono chi sta creando uno "Stato" alternativo. Si tratta di una vecchia lezione della storia.

L'operazione militare europea diretta, boots on the ground, e' dunque necessaria? Non sembra, e comunque non ora: sarebbe andare allo sbaraglio. Cio' di cui abbiamo urgente bisogno e' che ribelli siriani e milizie di Assad - assieme ai rispettivi alleati - capiscano che il nemico comune esiste, si siedano e parlino. Lo Stato Islamico furbescamente si presenta alla Umma come "diverso": non alleato con nessuno, patriottico, anti-neocolonialista, no-global, non inquinato da interessi stranieri e puramente islamico, duro ma nazionale (nel senso che patria e nazione hanno per l'islam politico). In questo modo mette a repentaglio la sopravvivenza e gli interessi di tutti: dell'Occidente, della Russia, di Assad, dei ribelli, dei curdi e delle altre minoranze. Gli unici ad averlo apparentemente capito sono i curdi: c'e' un solo nemico comune, sorto nel vuoto di potere. Il negoziato parte da questa consapevolezza e per questo deve coinvolgere anche russi e iraniani.

L'obiettivo minimo e' una tregua immediata; quello massimo un patto per il futuro della Siria. Solo a queste condizioni si potra' mettere in piedi un'operazione internazionale di terra, che miri a stabilizzare il paese e a mettere l'Is spalle al muro. Solo cosi' si potra' svelare cos'e' veramente l'Is: una cricca di ex militari iracheni e fanatici jihadisti che vengono dal passato e che hanno approfittato delle nostre divisioni.

Il vuoto della politica, si sa, genera mostri. A meno - sarebbe l'altra soluzione - di non lasciare tutto e ritirarsi. Andarcene totalmente dal Medio Oriente, rinunciare tutti a ogni interesse e presenza, abbandonare i mediorientali al loro dramma. Qualcuno lo pensa, qualcuno lo dice.

Se ce ne andassimo dal Medio Oriente, gli attentati in Europa smetterebbero subito, probabilmente. D'altro canto le vittime in quella regione sarebbero ancora maggiori.

Lasceremmo il lago jihadista diventare un mare. E questa non e' un'opzione.

 

4. REPETITA IUVANT. HIC ET NUNC, QUID AGENDUM

 

Occorre soccorrere, accogliere, assistere tutti gli esseri umani in fuga dalla fame e dalle guerre.

Occorre riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere in modo legale e sicuro nel nostro paese.

Occorre andare a soccorrere e prelevare con mezzi di trasporto pubblici e gratuiti tutti i migranti lungo gli itinerari della fuga, sottraendoli agli artigli dei trafficanti.

Occorre un immediato ponte aereo di soccorso internazionale che prelevi i profughi direttamente nei loro paesi d'origine e nei campi collocati nei paesi limitrofi e li porti in salvo qui in Europa.

Occorre cessare di fare, fomentare, favoreggiare, finanziare le guerre che sempre e solo consistono nell'uccisione di esseri umani.

Occorre proibire la produzione e il commercio delle armi.

Occorre promuovere la pace con mezzi di pace.

Occorre cessare di rapinare interi popoli, interi continenti.

In Italia occorre abolire i campi di concentramento, le deportazioni, e le altre misure e pratiche razziste e schiaviste, criminali e criminogene, che flagrantemente confliggono con la Costituzione, con lo stato di diritto, con la democrazia, con la civilta'.

In Italia occorre riconoscere immediatamente il diritto di voto nelle elezioni amministrative a tutte le persone residenti.

In Italia occorre contrastare i poteri criminali, razzisti, schiavisti e assassini.

L'Italia realizzi una politica della pace e dei diritti umani, del disarmo e della smilitarizzazione, della legalita' che salva le vite, della democrazia che salva le vite, della civilta' che salva le vite.

L'Italia avvii una politica nonviolenta: contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' e la biosfera.

Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.

Salvare le vite e' il primo dovere.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

 

5. INIZIATIVE. VERSO LA "GIORNATA INTERNAZIONALE PER L'ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE" DEL 25 NOVEMBRE

 

Si svolge il 25 novembre la "Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne".

Ovunque si realizzino iniziative.

Ovunque si contrasti la violenza maschilista e patriarcale.

Ovunque si sostengano i centri antiviolenza delle donne.

Ovunque si educhi e si lotti per sconfiggere la violenza maschilista e patriarcale, prima radice di tutte le altre violenze.

 

6. ANNIVERSARI. IN MEMORIA DI CHINUA ACHEBE, DI GIOVANNA BEMPORAD, DI JEAN BAPTISTE LE ROND D'ALEMBERT, DI IGNACIO ELLACURIA E DELLE ALTRE VITTIME DELLA STRAGE DI SAN SALVADOR DEL 16 NOVEMBRE 1989, DI ANTONIO GIANNANGELI, DI MARGHERITA ISNARDI PARENTE, DI SERGIO LIBEROVICI, DI SERGE MOSCOVICI, DI RAYMOND PEYNET, DI CARLO ROSSELLI, DI JOSE' SARAMAGO, DI CESARE SCURATI, DI MAURIZIO VALENZI

 

Ricorre oggi, 16 novembre, l'anniversario della nascita di Chinua Achebe, della nascita di Giovanna Bemporad, della nascita di Jean Baptiste Le Rond d'Alembert, della morte di Ignacio Ellacuria e delle altre vittime della strage di San Salvador del 16 novembre 1989, della nascita di Antonio Giannangeli, della morte di Margherita Isnardi Parente, della morte di Sergio Liberovici, della morte di Serge Moscovici, della nascita di Raymond Peynet, della nascita di Carlo Rosselli, della nascita di Jose' Saramago, della nascita di Cesare Scurati, della nascita di Maurizio Valenzi.

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Anche nel ricordo di Chinua Achebe, di Giovanna Bemporad, di Jean Baptiste Le Rond d'Alembert, di Ignacio Ellacuria e delle altre vittime della strage di San Salvador del 16 novembre 1989, di Antonio Giannangeli, di Margherita Isnardi Parente, di Sergio Liberovici, di Serge Moscovici, di Raymond Peynet, di Carlo Rosselli, di Jose' Saramago, di Cesare Scurati, di Maurizio Valenzi, proseguiamo nell'azione nonviolenta per la pace e i diritti umani; contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' e la biosfera.

 

7. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Carlo Dionisotti, Natalino Sapegno dalla Torino di Gobetti alla cattedra romana, Bollati Boringhieri, Torino 1994, pp. 88.

- Fernanda Pivano, Viaggio americano, Bompiani, Milano 1997, 2001, pp. 400.

*

Riedizioni

- Arthur Schnitzler, L'ultimo addio, Passigli, Firenze 2015, Il sole 24 ore, Milano 2015, pp. 80, euro 0,50 (in supplemento al quotidiano "Il sole 24 ore").

 

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

9. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2169 del 16 novembre 2015

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