Minime. 780



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 780 del 4 aprile 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Anche il Consiglio superiore della magistratura contro le misure razziste
del "pacchetto sicurezza" governativo
2. Francesca Pilla: Nella baraccopoli
3. Adriana Pollice: Una donna
4. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
5. Adriano Prosperi ricorda Antonio Rotondo'
6. Giovanni Russo ricorda Mario Pannunzio
7. Carlo Capra presenta "Uno spettacolo non mai piu' veduto nel mondo" di
Luciano Guerci
8. Massimo L. Salvadori presenta "Uno spettacolo non mai piu' veduto nel
mondo" di Luciano Guerci
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. ANCHE IL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA CONTRO LE
MISURE RAZZISTE DEL "PACCHETTO SICUREZZA" GOVERNATIVO

Anche il Consiglio superiore della magistratura ha espresso rilevanti
obiezioni al cosiddetto "pacchetto sicurezza" attraverso cui il governo
golpista intende imporre in Italia il regime dell'apartheid e legittimare lo
squadrismo.
Al tentativo eversivo e razzista del governo del piduista Berlusconi e della
Lega Nord si sono opposte le voci piu' autorevoli delle istituzioni e della
societa': dal Consiglio superiore della magistratura alla Federazione degli
Ordini dei Medici, da tutte le Chiese a prestigiose associazioni
professionali di accademici e giuristi, dalle rappresentanze democratiche e
sindacali delle forze dell'ordine al volontariato; e si e' data finanche
l'esplicita opposizione della terza carica dello stato e la rivolta di oltre
cento parlamentari della stessa area governativa.
Ora occorre che questa vastissima insurrezione morale contro il razzismo
ottenga risultati netti e forti: che le scellerate proposte razziste e
squadriste del cosiddetto "pacchetto sicurezza" governativo siano
definitivamente rigettate dal parlamento. E che dopo aver respinto questo
tentativo di reintrodurre infami leggi razziali in Italia si sviluppi un
piu' ampio e persuaso impegno contro il razzismo, contro lo squadrismo,
contro il golpismo, in difesa della legalita', della democrazia, dei diritti
umani; un impegno che deve svolgersi anche in sede di Unione Europea, per
abolire subito i campi di concentramento e gli aspetti piu' crudeli e
vessatori degli accordi di Schengen; e un impegno altresi' per addivenire al
piu' presto al riconoscimento del diritto di voto per tutte le persone che
in un territorio vivono, lavorano, adempiono ai doveri sociali previsti
dall'ordinamento.

2. UNA SOLA UMANITA'. FRANCESCA PILLA: NELLA BARACCOPOLI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 aprile 2009 col titolo "L'Africa ferma
a Eboli" e il sommario "Altra Italia. Il lavoro nero di San Nicola Varco. La
sveglia all'alba per andare sulla statale 18 ad aspettare i camioncini dei
caporali. Poi a raccogliere finocchi per 17 euro al giorno. Alla sera, il
ritorno nella baraccopoli. Una vera e propria citta' fantasma. Ecco come
vivono 700 migranti nella Piana del Sele]

Sporchi, con il terriccio anche nelle mutande, le mani nere e callose, lo
sguardo perso nel vuoto. "Questa e' l'Italia, guardate che schifo".
Ha gli occhi azzurri M. S., e' marocchino ed e' irregolare, arriva dai
campi, ha lavorato sette ore chino e in un giorno di pioggia, insieme a
quattro compagni che si muovono come zombi. E' quasi l'una, significa che il
gruppo si e' svegliato alle quattro. E' uscito sulla statale 18, che collega
Eboli a Battipaglia, e ha aspettato che qualcuno arrivasse con il furgoncino
a cercare braccianti. I requisiti richiesti? Bastano forza, poverta' e
disperazione. Hanno raccolto finocchi, riempito un motocarro e mezzo: "Ci
hanno dato 17 euro". Almeno altri cinque se li e' messi in tasca un
caporale. Ma loro sono fortunati, ce ne sono centinaia che oggi sono rimasti
a spasso.
M. S. oltrepassa il cancello: "Salam aleikum". Si ferma e si accende una
sigaretta, getta la giacca per terra e gli da' un calcio. Decine di rane
gracchiano in uno stagnetto putrido, sono di un verde particolare, senza le
striature comuni alla specie del luogo, formano quasi un tappeto. Saltano su
una bottiglia di Peroni, su una spugna azzurra ammuffita, su un piatto di
plastica. Hanno trovato casa a San Nicola Varco per un caso, solo perche'
qui c'e' un'unica fontana che scarica direttamente nel terreno. E come per
il mistero della vita sulla terra, nessuno sa bene come ci sia finito, in
questo deserto, il primo girino che ha dato vita alla comunita'. Intorno
sono solo cumuli di immondizia rovesciata, casermoni in cemento, baracche,
pneumatici e polvere, ovunque. Questa e' la citta' fantasma dove da quasi
trent'anni si sono accampate generazioni di nordafricani schiavi della
fertile piana del Sele. Ora qui ci abitano in 700. Arrivano con i viaggi
della speranza, pagando ai contrabbandieri di anime anche 7.000 euro. Gli
viene promesso un lavoro regolare, il permesso di soggiorno, una vita
dignitosa. Poi una volta scaricati nei campi di Eboli devono solo faticare,
al nero per quattro lire, restare clandestini e pagare il debito.
La baraccopoli nasce sulle rovine del progetto pubblico di un mercato
ortofrutticolo, che negli anni '80 e' costato alle nostre tasche 30 miliardi
delle vecchie lire. Sul terreno di proprieta' della Regione Campania sono
state messe su solo delle strutture coperte, in cemento armato, poi i soldi
sono finiti altrove. Come per le rane, nessuno sa bene come ci sia capitato
qui il primo migrante, come loro ora sono una moltitudine di uomini
(esclusivamente giovani e maschi) che si muovono tra la monnezza.
M. S. entra in uno dei casermoni adibiti a cesso comune, orina e defeca per
terra, dove si svuotano tutti da anni, ed esce. Saluta Said ed entra nel bar
che si sono "inventati". Una baracca piena di fumo, con sedie sgangherate,
la televisione satellitare, Al Jazeera, il caffe' turco sempre pronto,
aranciata, succhi, uova, olio di semi, passata di pomodoro, zucchero e sale.
Oggi e' pieno, in pochi sono andati nei campi, quando piove non si lavora.
Tra l'odore del terriccio bagnato si sente il profumo del pane.
In un angolo, tra un biliardino portato dalla Cgil, uno scaffale di ferro
ricamato dalle ragnatele, c'e' un forno autoprodotto, incrostato e con due
bombole del gas a sicurezza zero. Ogni panella costa 50 centesimi, se ne
sfornano piu' di trecento ogni mattina. Said ha i denti neri per il fumo:
"Se ne vanno almeno due pacchetti di sigarette al giorno. La vita e'
brutta". E' qui da nove anni, e' riuscito a ottenere la carta d'identita'
con la sanatoria del 2001: nato in Marocco, residente in contrada San Nicola
Varco. Le istituzioni sono cosi', questo luogo non esiste, non c'e' acqua
corrente, niente elettricita', non e' provvisto nemmeno dei cassonetti per
l'immondizia, ma risulta ufficialmente che decine di persone lo abitano. Nel
2007 il comune di Eboli ha speso 50.000 euro per costruire un solo bagno
comune, con nove docce, che si e' intasato dopo appena un mese, mentre ha
installato un unico faro che pero' non e' mai stato allacciato alla corrente
elettrica.
Said sorride, ha una vistosa cicatrice sul labbro: "Un ricordo d'infanzia",
dice. Ma ora non ha importanza: "Invece non ho soldi, riesco a lavorare un
paio di settimane al mese, pago 800 euro di assicurazione per la macchina,
non mando niente a mia madre e mio fratello e loro vorrebbero che mi
sposassi a giugno. Ma non lo faro', non e' giusto, prendo una moglie la
lascio con la mia famiglia a fare le pulizie e io torno in questo posto. Che
garanzie do' a questa ragazza se qui vivo come un cane". In Marocco sono
tante le famiglie che cercano di accasare questi poveretti, soprattutto le
madri che voglio la dote e una donna a disposizione, ma qui sono altrettanti
i ragazzi che rifiutano, hanno paura delle responsabilita' e spesso non
raccontano a casa le condizioni di vita. Le famiglie non sanno che per
lavarsi si tuffano, anche con il freddo, nel canale di scolo per
l'irrigazione dei campi, che la loro pelle assorbe gli scarti dei concimi
chimici e degli insetticidi, che spesso hanno delle macchie strane e
problemi a respirare. In Marocco ignorano che dormono su brandine di
fortuna, indossano gli stessi panni per giorni, bruciano candele per vedere
nel buio. Che d'estate hanno la gola secca e la puzza del sudore toglie il
fiato, mentre d'inverno escono senza calzini e con le mani spaccate dal
gelo. Quando i regolari tornano a casa per un po' raccontano dell'Italia che
si vede in tv, portano qualche regalo e se ne rivanno con lo sguardo basso
rivolto al Mediterraneo.
Quelli che sono arrivati nell'accampamento da piu' tempo dormono nelle
palazzine che nel progetto iniziale sarebbero dovute servire per gli uffici
del mercato ortofrutticolo. In quattro per ogni stanza che ognuno ha la
dignita' di mantenere abbastanza pulita, viste le condizioni generali. Ci
sono tappeti, fornellini a gas, qualcuno ha la radio a batterie, qualche
altro il corano, anche se per pregare si sono organizzati con una moschea
"fai da te". Dentro una capanna di canne di bambu', coperta da un telone
azzurro, c'e' il barbiere del villaggio. Omar si e' appena sbarbato e
parlotta con gli amici: "Sono tornato in questo inferno da un mese, ero
riuscito ad andare a Modena - ci dice -, ho lavorato al macello, per
ottocento euro al mese. Poi sono arrivati i carabinieri, io non ho il
permesso e mi hanno detto di andare via". Omar ha lasciato una fidanzata a
Belluno e ora non sa come fare per rivederla, marocchina anche lei, entrambi
senza lavoro, si sentono ogni tanto al cellulare.
Questo e' il ghetto degli schiavi dei campi che sono indispensabili per
portare frutta e verdura in mezza Italia. Il Sele e' uno dei serbatoi della
regione in grado di sfornare prodotti agricoli per dieci mesi all'anno.
Piccoli e grandi proprietari terrieri se li contendono, sono un elemento
indispensabile all'economia del luogo. Gli ebolitani non si lamentano della
loro presenza, come succede per i campi rom, non si fanno vedere in giro e
vivono lontani dal centro abitato. Gli abitanti pero' insorgono ogni qual
volta le istituzioni programmino un intervento minimo e umanitario. I soldi
devono andare solo per i servizi agli italiani. Di cani a San Nicola ce ne
sono a dozzine, sporchissimi, ma ben pasciuti. Dicono che mangino monnezza e
rane, di sicuro stanno meglio degli uomini.

3. UNA SOLA UMANITA'. ADRIANA POLLICE: UNA DONNA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 aprile 2009 col titolo "Una spia in
ospedale" e il sommario "Migranti. Ha 24 anni, e' ivoriana, le hanno ucciso
il marito davanti agli occhi ed e' stata sequestrata per una settimana. E'
fuggita e ha chiesto asilo politico all'Italia. Ecco chi e' la prima donna
'clandestina' segnalata alla polizia dopo il parto al Fatebenefratelli di
Napoli"]

Kante Kadiatou ha ventiquattro anni, nel 2007 e' fuggita dalla guerra
civile. E' lei la prima, inconsapevole, vittima, di una legge che ancora non
c'e', quella che prevede la possibilita' per i medici di denunciare i
"clandestini". All'ospedale Fatebenefratelli di Napoli, quartiere "bene" di
Posillipo, evidentemente hanno risentito del clima securitario e hanno
chiamato la polizia per identificare la donna, andata in ospedale a
partorire. Senza conoscere per niente la sua storia. Che fa rabbrividire. In
Costa d'Avorio, quattro anni fa, le milizie le uccisero il marito,
poliziotto, davanti ai suoi occhi sulla porta di casa, ad Abidjan. Gli
assassini la portarono via legata, il figlio di pochi mesi solo in casa a
urlare. Rimase prigioniera in un'abitazione sconosciuta per piu' di una
settimana, subendo abusi e violenze senza ricevere alcuna spiegazione. Dopo
aver rischiato un nuovo rapimento, decise di lasciare il paese, una fuga
costata quattromila euro, circa trent'anni di stipendio medio in Costa
D'Avorio, pagati a un funzionario del governo. E' arrivata in Italia con una
delegazione in visita all'ambasciata ivoriana e, immediatamente, ha chiesto
asilo politico. Si e' stabilita a Napoli e ha provato a rifarsi una vita con
un nuovo compagno. Oggi rischia di perdere il secondo figlio, appena nato.
La norma che impone ai medici di denunciare i clandestini non e' ancora
legge, ma il messaggio e' gia' stato recepito e cosi' ci scopriamo un paese
di delatori dove la salute viene dopo gli accertamenti di polizia, persino a
Napoli.
Una brutta storia, quella che ha visto protagonista la donna ivoriana.
Comunque sia andata. "Una circolare della Regione sull'identificazione delle
donne straniere, in base all'articolo 250 del Codice Civile, dice che il
direttore sanitario e' tenuto, nell'interesse del minore, a garantire
l'identita' della madre o con documento o con due testimoni o facendo
ricorso alla polizia. Noi abbiamo quindi chiesto alla polizia
l'identificazione". Secondo Pietro Iacobelli, primario di ostetricia e
ginecologia dell'ospedale Fatebenefratelli, e' stato un atto dovuto da parte
della direzione amministrativa inviare un fax, il 5 marzo scorso alle ore
16,24, firmato dall'assistente sociale, al commissariato di Posillipo, con
la richiesta di "un urgente interessamento per l'identificazione di una
signora di Costa d'Avorio". Una pura formalita' far arrivare i carabinieri,
a poche ore dal parto, sottrarle il piccolo Abou per dieci giorni,
impedendole di allattarlo, portarla subito in questura per
l'identificazione.
"Ecco i primi frutti del clima ispirato dal pacchetto sicurezza" ribatte
Liana Nesta, avvocato di Kante fin dal suo arrivo in Italia, che spiega: "In
base alle normative, all'identificazione attraverso la questura si ricorre
in ultima analisi e in questo caso non c'era assolutamente bisogno, anche
perche' sui documenti che aveva con lei c'erano i recapiti dello studio
legale, potevano chiamarci e avremmo dato tutte le indicazioni richieste".
Non ci sarebbe alcuna giustificazione legale a tale atto, quindi, la donna
e' solo una migrante in lotta contro un sistema burocratico che prova in
tutti i modi a spingerla ai margini: "Per la legge italiana, in base
all'art. 19 del Testo unico, Kante ha diritto al permesso di soggiorno
provvisorio dall'inizio della gravidanza fino al compimento del sesto mese
del bambino - spiega Nesta - per questo e' andata tre volte in questura
senza ottenere nulla. E' una situazione ai limiti dell'assurdo, i migranti
non possono essere accompagnati dall'avvocato, che ha il permesso di entrare
solo una volta al mese e per esporre tre casi alla volta. Ridicolo".
Kante vive a Pianura, ultimo quartiere di Napoli prima che inizi la
provincia, una zona che marca un confine tra la citta' e chi la citta'
spinge un po' piu' in la'. Era una fertile terra agricola, oggi e' la zona
della rivolta contro la megadiscarica, mai bonificata, e delle ronde contro
i migranti, capeggiate da An, per accaparrarsi la gestione dei fondi del
contratto di quartiere, che dovrebbe rimettere a nuovo una terra di nessuno
senza fogne e servizi. Kante, pero', non vive tra le rovine degli edifici
popolari del lotto T1 e nemmeno nelle masserie disastrate di via Trencia.
Paga l'affitto per un appartamento di periferia dove coabitano in cinque,
adesso non lavora ma il suo compagno svolge lavori saltuari, anche nel
quartiere, dove tutti li conoscono. Fondamentale mettersi in regola con i
documenti, per ottenere il ricongiungimento familiare con il primo figlio,
lasciato in patria. Cosi' ha inoltrato subito la richiesta di asilo
politico. Negata due volte, per generiche "perplessita' in ordine alla
veridicita' e credibilita' di quanto asserito ed alla fondatezza della
domanda", ha fatto ancora ricorso al Tribunale di Roma contro la bocciatura.
Una nuova famiglia e un figlio in arrivo, la gravidanza difficile, la donna
si fa seguire durante i nove mesi di gravidanza dai medici dell'ospedale San
Paolo, nel vicino quartiere di Fuorigrotta. Poi, pero', arrivano le doglie e
li' non c'e' posto, e allora decide di correre al nosocomio di via Manzoni,
gestito dall'ordine religioso dei Fatebenefratelli. "Proprio in previsione
del parto - prosegue il suo avvocato - aveva con se' alcuni documenti, tra
cui la copia del ricorso contro il rigetto della domanda di asilo politico,
con tanto di numero di protocollo, nonche' i recapiti dello studio legale.
Il passaporto, poi, era ovviamente in fotocopia perche' la questura ha
trattenuto l'originale, in attesa che si risolva la controversia. Eravamo
tranquilli e invece mi arriva una telefonata in cui mi dicono che ci sono i
carabinieri. Nell'attesa dell'identificazione, non le e' stato possibile
allattare il bambino, che ha potuto abbracciare solo al momento della
dimissione. Probabilmente l'ospedale ne aspettava l'espulsione per dare in
adozione il bimbo".
Perche' e' questo che puo' succedere, finire nelle maglie della legge
perdendo i figli e anche la propria vita. Kante si puo' considerare
fortunata, ha riavuto il suo Abou e il passaporto quando la questura ha
confermato che esisteva un fascicolo a suo nome, fortunata perche' ha chi
difende i suoi diritti, ma la paura di perdere il piccolo e' forte anche per
lei, magari finendo di nuovo nello stesso incubo al primo controllo medico.
Cosi', per adesso, provano a guadagnare un po' di tranquillita'
allontanandosi da casa. L'ospedale, intanto, grida all'equivoco e invoca
circolari e regolamenti come foglia di fico. La Cgil annuncia che denuncera'
il Fatebenefratelli.

4. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il
seguente appello]

Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile
sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di
promozione sociale).
Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente
soldi gia' destinati allo Stato.
Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e'
facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il
numero di codice fiscale dell'associazione.
Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235.
Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille.
Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non
fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola
quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato,
la gratuita', le donazioni.
I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del
Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la
Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la
generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la
promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi
estivi, eccetera).
Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre
quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della
nonviolenza. Grazie.
Il Movimento Nonviolento
*
Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del
commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite
chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.
Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261
(corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle
Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a
tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno.
*
Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

5. MEMORIA. ADRIANO PROSPERI RICORDA ANTONIO ROTONDO'
[Dal quotidiano "La Repubblica" dell'11 aprile 2007 col titolo "Frugando tra
le carte degli eretici" e il sommario "La scomparsa dello storico Antonio
Rotondo'. Grande conoscitore della critica dei dogmi religiosi tra
Rinascimento, Riforma e Illuminismo"]

E' scomparso nei giorni scorsi all'eta' di 77 anni Antonio Rotondo'. Per chi
lo ha conosciuto e stimato e' difficile parlarne al passato: proprio di
recente avevo letto in un bollettino editoriale del suo editore l'annuncio
della prossima pubblicazione non solo delle opere che alimentavano
regolarmente la collana da lui diretta ma anche di nuovi volumi di studi
suoi.
Li aspettavo non solo con la certezza che ne avremmo imparato molto su
libri, uomini e idee del passato ma anche col senso di sollievo per il
ritorno di una misura severa e alta di indagine storica degna dei grandi
maestri a cui Rotondo' amava richiamarsi. Si era formato a Firenze, alla
scuola di Delio Cantimori e di altri celebrati maestri di quella Facolta' di
Lettere e Filosofia che all'inizio della seconda meta' del secolo scorso
dominava per l'alta qualita' della sua offerta il panorama degli studi
universitari italiani: in seguito, dopo un periodo di insegnamento liceale a
Modena fecondo di studi e di amicizie, con l'avvio torinese del suo
insegnamento aveva trovato in Franco Venturi e in Luigi Firpo i modelli
intellettuali a cui rifarsi. Credeva nella trasmissione di valori
intellettuali e di civile moralita' attraverso l'insegnamento dalla
cattedra: e lo stile con cui lo praticava e lo illustrava gli assicurava
l'affetto e la stima degli allievi almeno in misura uguale a quella delle
facili ironie di colleghi.
Antonio Rotondo' era un grande conoscitore dei percorsi e dei protagonisti
della cultura italiana ed europea della prima eta' moderna, specialmente
delle vicende intellettuali di umanisti, di riformatori e di eretici e del
modo in cui si erano passati la fiaccola della critica razionale dei dogmi
religiosi tra Rinascimento, Riforma e Illuminismo. Era anche un attento
studioso di vicende intellettuali del nostro tempo, come mostra l'ampio
saggio che aveva di recente dedicato alla figura e all'opera di Sebastiano
Timpanaro. Ci sara' tempo per parlarne perche' l'opera sua lascia un segno
che non si cancellera' facilmente: sappiamo bene che questo e' uno di quei
giudizi che si spendono di frequente al momento della scomparsa di
professori e studiosi ma che poi raramente si realizzano. Ebbene nel caso di
Rotondo' si potrebbe dire che e' la stessa inattualita' della sua opera nel
contesto attuale della storiografia italiana a far pensare che vi si dovra'
tornare sopra se e quando verranno tempi migliori. Inattuale, ad esempio,
almeno per un costume o malcostume oggi corrente, era la sua dedizione
all'edizione filologicamente accurata delle fonti: ci si chiede in quante
monografie, saggi e noterelle si potrebbero spicciolare i tesori di
conoscenze e gli anni di ricerca concentrati negli apparati delle edizioni
di testi curate in anni ormai lontani da Rotondo' per due capiscuola
dell'eresia radicale del '500 italiano, Camillo Renato e Lelio Sozzini. Da
quella severa scuola di studi su eretici e riformatori italiani del '500,
scelta per influsso del suo primo maestro - Delio Cantimori - Rotondo' era
passato a indagare i percorsi dell'idea di tolleranza lungo la pista che dai
sociniani portava all'Olanda del '600.
La sua dedizione alla ricerca storica condotta in proprio e a quella che
sotto la sua guida veniva portata avanti dai suoi allievi avevano fatto di
lui una presenza di rilievo in Italia e un convinto protagonista degli studi
sulla storia intellettuale italiana ed europea della prima eta' moderna. Un
tratto personale di pedagogica severita' unito a una straordinaria
competenza specifica nelle aree a cui dedicava le sue ricerche, lo rendevano
un esempio raro di maestro da cui si poteva imparare l'artigianato della
ricerca storica nel senso migliore della parola: il taglio classicamente
sobrio e controllato e il robusto apparato erudito di saggi e libri, non
solo dei suoi ma anche di quelli di suoi allievi e collaboratori filtrati al
vaglio della sua incontentabile passione di lettore, era il segno di
riconoscimento della scuola e la garanzia di indagini solitamente
ineccepibili. L'augurio che si deve fare oggi all'universita' italiana e'
quello di avere altri uomini del suo stampo.

6. MEMORIA. GIOVANNI RUSSO RICORDA MARIO PANNUNZIO
[Dal "Corriere della sera" del 7 febbraio 2008 col titolo "L'intellettuale
che fondo' 'Il Mondo'. Pannunzio, maestro di impegno civile" e il sommario
"Dai crociani ai socialisti, il suo giornale esprimeva le vette della
laicita'"]

Sono trascorsi quarant'anni dalla sua morte prematura, avvenuta il 10
febbraio 1968, ma ancora si sente il vuoto che Mario Pannunzio e "Il Mondo",
il settimanale da lui fondato, hanno lasciato. Fu un centro di vita politica
e culturale, uno strumento di battaglie democratiche, intorno al quale si
coagularono, in molte occasioni, le forze piu' avanzate del Paese. Mario
Pannunzio aveva grande sensibilita' per la notizia, curiosita' per i
meccanismi della vita politica, fiducia nella verita', rispetto per le idee
degli altri, purche' non fossero negatrici del principio della liberta'.
L'identita' tra pensiero e azione era in Pannunzio perfettamente realizzata.
Appassionato di letteratura e di cinema, apparteneva a una generazione che
era cresciuta facendo la fronda al fascismo. Con Arrigo Benedetti, nato come
lui a Lucca, altro grande protagonista del giornalismo, aveva partecipato
alle esperienze piu' brillanti di rinnovamento della stampa italiana, dal
settimanale "Omnibus" fino alla direzione di "Oggi", soppresso da Mussolini
durante la guerra.
Dopo aver diretto "Risorgimento liberale", il quotidiano del Pli durante il
periodo clandestino e nel dopoguerra, Pannunzio fondo' "Il Mondo" nel marzo
1949 quando, con le elezioni del 18 aprile del 1948, si profilo' il pericolo
di un dominio della maggioranza democristiana. La creazione di una
alternativa, capace di svincolarsi dal ricatto costituito dalla
contrapposizione tra le due "chiese", la cattolica e la comunista, fu lo
scopo essenziale cui Pannunzio dedico' i suoi sforzi con "Il Mondo" e le
altre iniziative, dai convegni degli "Amici del Mondo" alla fondazione del
Partito radicale di democrazia liberale nel 1956.
Fu accusato di astrattezza e snobismo intellettuale, ma basta scorrere le
pagine del settimanale per rendersi conto che non c'era niente di astratto,
e che anzi rispecchiava la realta' politica e sociale del Paese. Quanto
all'accusa di snobismo, essa nascondeva il disagio per la superiorita'
morale che Pannunzio incarnava. Amava l'umorismo: non a caso sul "Mondo"
ebbero spazio le vignette di Mino Maccari e di Arrigo Bartoli, e fu legato
da intensa amicizia con Ennio Flaiano, che era stato redattore capo nei
primi quattro anni. I suoi interessi culturali e umani erano vasti e
profondi. Al giornalista politico, bisogna infatti unire la figura di
Pannunzio uomo di cultura, critico estetico, raffinato interprete
letterario, che esercitava concretamente queste sue doti sia nel vagliare i
testi dei maggiori studiosi e scrittori italiani che si onoravano di
collaborare alla rivista, sia nello scoprire capacita' e qualita' di giovani
sconosciuti. E' grazie a lui se poterono incontrarsi sulle stesse pagine
personalita' cosi' diverse come Benedetto Croce e Gaetano Salvemini, Luigi
Einaudi e Alessandro Galante Garrone, Ernesto Rossi e Panfilo Gentile,
Ignazio Silone e Ugo La Malfa, Aldo Garosci e Leo Valiani, Nicolo'
Carandini, Nicola Chiaromonte, Mario Ferrara, e Riccardo Lombardi, cioe'
tutta la cultura laica che contava.
Con gli articoli di Altiero Spinelli, "Il Mondo" fu anticipatore
dell'ingresso dell'Italia nella moneta unica europea, e con gli interventi
di Ernesto Rossi denuncio' il sottogoverno e il malcostume e sostenne
l'esigenza di un'economia libera dai monopoli privati e da uno Stato
falsamente pianificatore. Con le sue inchieste, fece conoscere i problemi
della realta' italiana. Un'altra delle iniziative di Pannunzio furono i
"Convegni degli amici del Mondo", con i quali, a partire dal 1955, vennero
affrontati nodi della societa' italiana ancora oggi irrisolti: la
speculazione edilizia, la liberta' di stampa, la riforma della scuola, il
finanziamento dei partiti, il rapporto tra Stato e Chiesa, la lotta ai
monopoli, la necessita' di una legge antitrust, la riforma della pubblica
amministrazione e la tutela del paesaggio.
"Il Mondo" doveva cessare le pubblicazioni nel 1966 e due anni dopo
Pannunzio moriva. "Mai come ora - scriveva Pannunzio nel suo ultimo
articolo - abbiamo sentito urgente il bisogno della partecipazione attiva
alla vita pubblica e alla civilta' morale del Paese, di uomini appassionati,
indipendenti, intransigenti e risoluti". E' un invito che vorremmo
raccogliessero tutti coloro che credono nei valori della liberta' e della
democrazia.

7. LIBRI. CARLO CAPRA PRESENTA "UNO SPETTACOLO NON MAI PIU' VEDUTO NEL
MONDO" DI LUCIANO GUERCI
[Dal "Corriere della sera" del 16 luglio 2008 col titolo "La rivoluzione
alla rovescia" e il sommario "La letteratura contro il 1789 in Italia.
Luciano Guerci approfondisce i temi della pubblicistica reazionaria"]

Negli ultimi decenni una crescente attenzione e' stata dedicata al pensiero
e all'azione della controrivoluzione, che alcuni autori vorrebbero
sottilmente distinguere dall'antirivoluzione. Nella maggior parte dei casi,
si tratta di studi ispirati da una certa simpatia per queste forme di
resistenza o addirittura da un esplicito rigetto della Rivoluzione francese
e dei mutamenti da essa prodotti in ambito politico, sociale e culturale. In
Italia, in particolare, l'affermazione di partiti e movimenti di destra ha
favorito una ripresa di motivi gia' presenti nella storiografia di matrice
nazionalista e fascista, quali l'esaltazione dei moti popolari a sfondo
legittimista e sanfedista che costellarono il triennio 1796-1799 e la loro
interpretazione in chiave patriottica o clericale o autonomistica. Sono
lavori per lo piu' privi di consistenti basi documentarie e di taglio
prevalentemente ideologico (lo stesso rimprovero da essi rivolto alla
storiografia "tradizionale"), che hanno avuto tuttavia il merito di
riproporre il rilievo e l'interesse di quella che e' stata certamente la
piu' estesa e prolungata jacquerie della storia italiana.
Da queste sollecitazioni nasce, probabilmente, la ricerca di uno storico di
razza, Luciano Guerci (Uno spettacolo non mai piu' veduto nel mondo. La
Rivoluzione francese come unicita' e rovesciamento negli scrittori
controrivoluzionari italiani (1789-1799), Utet, pagine VIII + 321, euro 26)
a cui dobbiamo fondamentali contributi sull'Illuminismo settecentesco e
sulla pubblicistica d'intonazione repubblicana in Italia. Il suo libro non
si occupa delle insorgenze antifrancesi in quanto tali, ma si propone di
esplorarne e cartografarne il retroterra culturale, costituito dalla
letteratura controrivoluzionaria che per un decennio a partire dal 1789
reagi' ai grandi avvenimenti parigini e poi alle loro ripercussioni fuori
dai confini francesi. Sono libri, opuscoli, articoli di giornale, fogli
volanti, componimenti in prosa e in verso, nella maggior parte provenienti
dallo Stato Pontificio e compilati da religiosi secolari o regolari (non
pochi gli ex-gesuiti): in toni violenti e a volte apocalittici i loro autori
denunciano le enormita' commesse dai rivoluzionari e, a monte, l'esistenza
di una vera e propria congiura contro il trono e l'altare variamente
addebitata ai filosofi atei e materialisti, ai massoni e ai giansenisti, i
quali ultimi non avevano esitato ad allearsi coi sovrani riformatori per
colpire i privilegi e le immunita' della Chiesa. Se all'inizio non manco'
qualche tentativo di coniugare la sovranita' popolare con la supremazia
della fede (il piu' noto e' il trattato dell'abate Spedalieri De' diritti
dell'uomo, pubblicato ad Assisi all'inizio del 1791), la decisa condanna
pronunciata da Pio VI nel marzo-aprile 1791 nei confronti della Costituzione
civile del clero e della Rivoluzione nel suo complesso pose fine a ogni
ambiguita' e diede il via a una martellante campagna di stampa che raggiunse
il parossismo nel periodo del Terrore e che la fine analisi di Guerci
riconduce a due motivi fondamentali, l'idea di unicita' e quella di
rovesciamento: "La Rivoluzione francese era un fenomeno unico nella storia
dell'umanita'... e dava vita a un mondo alla rovescia: un mondo alla
rovescia rispetto all'Ancien Regime, il solo ordine che i nostri scrittori
riuscissero a pensare e ad accettare".
Nessuno dei controrivoluzionari italiani raggiunge la grandezza visionaria
di un Burke, di un Bonald o di un De Maistre. Predomina una certa monotonia
e ripetitivita' (la stessa che caratterizzera' piu' tardi gli scrittori
antirisorgimentali) negli insulti, nelle espressioni di orrore e di scandalo
e nel rimpianto per la monarchia assoluta e per la Santa Inquisizione. Ma
non mancano le scoperte interessanti, come la verve satirica e
l'inventivita' linguistica dell'ecclesiastico piemontese Francesco Eugenio
Guasco, definito da Guerci "il Voltaire della controrivoluzione", artefice
di gustosi neologismi come "gerobebelosia" ("frammischianza di cose sacre
con le profane" spiega Guasco) e "giangiacobini" (un incrocio pestilenziale
di giansenisti e giacobini). Un libro, questo di Guerci, che colma una vera
lacuna negli studi sul periodo rivoluzionario e che appare utile e
necessario in tempi di rinnovate tentazioni integralistiche e
antimodernistiche.

8. LIBRI. MASSIMO L. SALVADORI PRESENTA "UNO SPETTACOLO NON MAI PIU' VEDUTO
NEL MONDO" DI LUCIANO GUERCI
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 26 luglio 2008 col titolo "La
controrivoluzione e i suoi paladini" e il sommario "Un libro di Luciano
Guerci sugli scrittori che avversarono i giacobini. Gli autori analizzati
sono in gran parte ecclesiastici: per loro la presa della Bastiglia e' una
punizione dei peccati umani, un inferno terreno voluto da Dio"]

A partire dal Seicento inglese "rivoluzione" e' stata una bella parola per
le forze politiche e sociali che invocavano il progresso. Le rivoluzioni
erano quei grandi sommovimenti che, spezzando le catene dell'oppressione
politica, sociale, nazionale, coloniale, allargavano le frontiere della
liberta' umana. E la rivoluzione francese costituiva l'icona delle grandi
rivoluzioni moderne, che le esecrazioni di reazionari e conservatori non
facevano che maggiormente risplendere. Poi gli esiti totalitari delle
rivoluzioni comuniste hanno scompaginato le carte: la rivoluzione si e'
presentata nelle vesti non gia' di amica della liberta' ma di un nuovo
dispotismo, fonte non gia' di rigenerazione ma di quel fanatismo e
astrattismo ideologico, di cui i giacobini erano stati i primi grandi
sacerdoti. L'antigiacobinismo e' diventato il leitmotiv di un revisionismo
storico che dal libro del 1952 di Jacob L. Talmon, Le origini della
democrazia totalitaria, ai saggi di Francois Furet, comunista disilluso, e'
andato ingrossandosi.
La rivoluzione francese: madre di una progressiva degenerazione. Tra i
contemporanei che si levarono contro di essa si distinsero sopra tutti un
liberale conservatore come Edmund Burke fin dal 1790 con le sue Riflessioni
sulla rivoluzione francese e un controrivoluzionario monarchico-papista come
Joseph de Maistre con le sue Considerazioni sulla Francia del 1796. De
Maistre osservava il fenomeno rivoluzionario convinto che rappresentasse uno
sconvolgimento unico, mai visto. Scriveva: "Quel che piu' colpisce nella
rivoluzione francese e' questa forza travolgente che piega tutti gli
ostacoli. Il suo turbine trasporta come fuscelli tutto cio' che la forza
umana ha saputo opporle". E continuava affermando di vedere in essa la mano
di Dio, che "punisce per rigenerare". L'anno di pubblicazione delle
Considerazioni era quello dell'inizio del triennio "giacobino" d'Italia,
che, aperto dalle conquiste di Bonaparte, si sarebbe concluso con le
vittorie di Suvorov nel Nord e lo spegnimento sanguinoso della Repubblica
partenopea.
A ricostruire l'atteggiamento degli intellettuali italiani odiatori del 1789
e dei suoi sviluppi, che nelle linee essenziali manifestarono, anche
anticipandoli, punti di vista analoghi a quelli di de Maistre, ha pensato
uno dei nostri piu' autorevoli storici del Settecento, Luciano Guerci, nel
volume Uno spettacolo non mai piu' veduto nel mondo. La Rivoluzione francese
come unicita' e rovesciamento negli scrittori controrivoluzionari italiani
(1789-1799), pubblicato dalla Utet (pp. 321, euro 26). Di questo autore la
Utet ha opportunamente ripubblicato nel 2006 la bella sintesi L'Europa del
Settecento. Permanenze e mutamenti, dapprima uscita nel 1988. Gli scrittori
analizzati da Guerci erano nella maggior parte ecclesiastici, che percio'
ragionavano in termini teologico-politici. Lo schema dominante e' che, nulla
potendo compiersi se non per volonta' di Dio, la rivoluzione francese ne
costituisce una necessaria manifestazione. Essa e' una punizione per i
peccati degli uomini, un inferno terreno voluto dall'Onnipotente per
ammonirli e ricondurli al bene, per far loro comprendere che la vera
liberta' e' quella assicurata dai legittimi sovrani, che ai popoli spetta
piena obbedienza alla monarchia, alla Chiesa e al Papa, che l'ordine solo da
questi puo' essere assicurato, che la rivoluzione altro non e' se non
anarchia, dissoluzione dei sacri tradizionali vincoli, ribellione empia
contro le giuste gerarchie volute dalla natura e dalla religione. Guerci
nota come si trattasse di "furibonde condanne" che presentavano un duplice
aspetto: da un lato erano del tutto incapaci di comprendere le radici e le
motivazioni della rivoluzione, dall'altro pero' rendevano gli scrittori
controrivoluzionari "assai penetranti in rapporto alla pars destruens" del
grande sommovimento.
Che cosa essi acutamente capirono? Capirono che "la peculiarita' della
rivoluzione-ribellione" consisteva nella sua "unicita'" in quanto evento
storico (elemento colto anche da Burke), nel "rovesciamento" totale che
stava provocando: insomma compresero il carattere di radicalita' senza
precedenti proprio del movimento messo in moto dal 1789. Nessun grande -
dice l'autore - tra questi scrittori, della statura di un Burke, di un de
Maistre, di un Bonald, ai quali si puo' forse accostare solo Nicola
Spedalieri.
Certo, l'analisi delle cause e ragioni della rivoluzione che essi conducono
e' povera e deformante. Campeggia l'idea della immane "cospirazione" messa
in atto dalle tre sette: massoni, filosofi illuministi, giansenisti falsi
rinnovatori della religione; la quale ha prodotto una "societa' di bestie"
(Mallio), fatto vedere dei soldati che muovono all'assalto senza le insegne
della religione (Marchetti), portato a una "abietta e vera schiavitu',
perche' dallo spirito del Signor separata" (Gazzera).
Gli scrittori controrivoluzionari italiani, si puo' capire, vissero il primo
decennio della rivoluzione come la marcia del male, per cui le vittorie, pur
provvisorie, delle armi delle potenze antifrancesi nel 1799 parvero -
conclude Guerci - "il risveglio da un incubo"; sennonche' "la loro 'memoria
implacabile' non sarebbe venuta meno, alimentando un filone interpretativo
che oggi e' ben lontano dall'essere esaurito".

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 780 del 4 aprile 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it