Minime. 721



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 721 del 4 febbraio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: Dove cominciano i diritti umani?
2. Gli ultimi giorni dell'umanita', in Italia
3. Alcuni estratti da "Primati e filosofi" di Frans de Waal
4. Claudio De Fiores presenta "L'appello ai diritti" di Stefano Anastasia
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: DOVE COMINCIANO I DIRITTI UMANI?
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento]

Palcoscenico aperto.
Tutti, da destra e sinistra, "condannano duramente". Dicono che: "l'episodio
getta una grave ombra, suscita rabbia e indignazione, e' criminale
intolleranza". Chiedono che: "i responsabili siano assicurati al piu' presto
alla giustizia".
Palcoscenico chiuso.
*
Grazie per la considerazione, ci sentiamo tutti piu' sollevati nel sapere
del vostro sdegno. Perche', tanto per dire, mica sara' colpa del sindaco se
cinque ragazzi decidono di alleviare la noia dando fuoco ad un essere umano.
Ma che nella sua citta' esseri umani, in inverno, dormano nell'atrio della
stazione ferroviaria, o sotto un ponte, o su un marciapiede, non fa venire
nessun dubbio, al sindaco, su quanto bene egli stia facendo il proprio
mestiere?
E suvvia, se le donne vengono assalite mica sara' colpa dell'innocente
leggerezza del nostrano primus inter pares (2 amnistie, 1 assoluzione
dubitativa, 8 archiviazioni, 6 prescrizioni, 3 processi ed un'indagine in
corso, per reati che vanno dal finanziamento illecito al concorso in reati
gravissimi con in mezzo tutti i "falsi" che riuscite ad immaginare:
testimonianze false, bilanci falsi eccetera). L'auto usata che comprereste
da un tizio cosi' perderebbe la carrozzeria per strada dopo i primi duecento
metri.
Poveretto, non ha fatto che ripetere quel che sente al bar di Montecitorio o
in consiglio d'amministrazione, che e' poi quel che si sente al bar sotto
casa o in autobus, che e' anche quel che si vede nei film e in televisione:
lo stupro, in fondo in fondo, e' un apprezzamento. Se le donne non fossero
belle gli uomini non le vorrebbero cosi' appassionatamente, no? Ancora un
po' di battage pubblicitario e alla prossima aggredita si chiedera' di
ringraziare l'assalitore per averle distrutto la vita per sempre.
E insomma, mica sara' colpa dei giornali se nella stessa data, primo
febbraio, si riportano due stupri e uno ha i titoli di testa e i pistolotti
degli "esperti" e l'altro no: nel primo caso i violentatori (e la vittima)
erano immigrati, nel secondo il violentatore era italiano (e la vittima
immigrata). E avete letto qualcosa dei tre quattordicenni che marinano la
scuola assieme ad una coetanea per poi violentarla a turno? Difficile, forse
un trafiletto di due righe, perche' il fatto e' accaduto a Trento ed erano
tutti italiani.
*
Durante l'ultimo fine settimana, a Milano, ci sono stati un accoltellamento,
tre risse, un'aggressione a scopo di rapina fra minorenni in metropolitana.
Il protagonista piu' vecchio di questo scenario pare abbia 21 anni, la
protagonista piu' vecchia ne ha 23. Tutti italiani tranne uno (una vittima).
Il piu' anziano dei tre immigrati che hanno picchiato a sangue un ragazzino
in quel di Lucca ha 24 anni.
E' successo che un tizio guardava insistentemente la mia ragazza, allora gli
ho tirato un bicchiere in testa ed e' cominciato il caos. E' successo che
quelli hanno fatto commenti sulla nostra macchina, allora siamo scesi e li
abbiamo pestati. Non mi invento niente, sapete, questo e' il tenore delle
dichiarazioni dei giovani coinvolti. E forse, come uno degli assassini di
Lorena l'anno scorso, avranno chiesto al termine dell'interrogatorio:
"Adesso che vi ho detto tutto posso andare a casa?". Traduzione: cosa ho
fatto di male, di sbagliato? Volete dirmi che nell'Italia del gratta (nel
senso di "ruba") e vinci non va bene picchiare qualcuno per farsi dare
telefonino e soldi?
*
In tema di discriminazione di genere, nell'analisi del World Economic Forum
(novembre 2008) la Norvegia e' il paese meno sessista al mondo (primo
posto), il piu' sessista e' lo Yemen. Gli autori del rapporto hanno
fotografato la condizione femminile in 130 paesi, alla luce di 14 criteri di
valutazione: dalla percentuale di donne occupate nella manodopera locale, al
tasso di quelle in ruoli di quadri, nelle alte professionalita' e in posti
di governo, alle differenze retributive, al livello di scolarita', alla
speranza di vita. L'Italia ha un orrendo sessantasettesimo posto.
Cosa fa quindi di male, di sbagliato, qualcuno che prenda una femmina se la
vuole, o che meni chi si permette di guardare la "sua" ragazza? Non gli
hanno reso forse chiaro a casa, a scuola, in ufficio, in fabbrica, in
ospedale, in chiesa, sui giornali, in televisione, che una donna vale
comunque meno di lui e che se serve a qualcosa serve a soddisfare i di lui
desideri? Non gli hanno forse reso chiaro che la vita e' competizione e che
bisogna tenersi la propria "roba" a costo di uccidere, e quindi oggi che
hanno vent'anni picchiano il coetaneo, e domani quando ne avranno trenta si
terranno in casa sei pistole, con le quali dopodomani, a quaranta,
ammazzeranno il vicino di casa perche' faceva rumore, o la moglie "per
sbaglio" (era buio, e credevano che fosse un ladro).
*
La classe politica italiana pensa di aver fatto il proprio dovere quando
rilascia una dichiarazione sull'ultimo fatto di cronaca; una dichiarazione
sempre autorevole e vibrante, soprattutto quando non dice nulla di concreto,
fatta ad un giornalista sempre prestigioso e corretto, anche quando costui
scrive idiozie immani in un italiano stentato.
Io dico che credero' al loro sdegno quando mi mostreranno leggi e bilanci.
Quando l'educazione al genere ed alla nonviolenza saranno materie
scolastiche. Quando la rete delle case antiviolenza ricevera' finanziamenti.
Quando il Ministero delle Pari Opportunita', e a cascata le Commissioni
correlate, faranno davvero il lavoro che devono fare. Quando si tuteleranno
le lavoratrici dalle dimissioni in bianco e dal mobbing post-maternita'.
*
Nel 1958, in occasione del decimo anniversario della Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani, Eleanor Roosevelt disse: "Dov'e', dopotutto,
che i diritti umani cominciano? In posti piccoli, vicini a casa, cosi'
vicini e cosi' piccoli che non si vedono sul mappamondo. Pure essi sono il
mondo concreto di ogni individuo: il borgo in cui la persona vive, la scuola
che frequenta, la fabbrica, la fattoria o l'ufficio in cui lavora. Questi
sono i luoghi in cui ogni uomo, ogni donna, ogni bambino chiede eguale
giustizia, eguale opportunita', eguale dignita' senza discriminazione".

2. LE ULTIME COSE. GLI ULTIMI GIORNI DELL'UMANITA', IN ITALIA

In alto: la guerra afgana.
In basso: tre giovani indigeni danno fuoco allo straniero che dorme sulla
panchina.
*
In alto: il "pacchetto sicurezza".
In basso: il poliziotto indigeno afferra il fucile e uccide il vicino di
casa straniero.
*
In alto: il ministro dichiara che occorre essere "cattivi" con i migranti.
In basso: l'ex-convivente indigeno attira in casa l'ex-convivente straniera,
armato dei pugni e di un martello la picchia e la violenta.
*
In alto: il fascismo.
In basso: il fascismo ancora.
*
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

3. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "PRIMATI E FILOSOFI" DI FRANS DE WAAL
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di
Frans de Waal, Primati e filosofi. Evoluzione e moralita', Garzanti, Milano
2008 (ed. orig. Primates and Philosophers, 2006). Non vi e' bisogno di dire
che alcune opinioni espresse in questo testo sono ovviamente ben
discutibili]

Indice del volume
Ringraziamenti; Introduzione, di Josiah Ober e Stephen Macedo; Prima parte.
Moralmente evoluti. Istinti sociali dei primati, moralita' umana e alterne
fortune della "teoria della patina", di Frans de Waal: La teoria della
patina; L'etica secondo Darwin; Edward Westermarck; Empatia animale; Cos'e'
l'empatia? Aneddoti sullo "scambio di posto nella fantasia"; Il
comportamento di consolazione; Il modello della matrioska; Reciprocita' e
giustizia; Gratitudine tra scimpanze'; La giustizia tra le scimmie; Mencio e
il predominio dell'affetto; L'interesse per la comunita'; Appendice A.
Antropomorfismo e antropodiniego; Appendice B. Le antropomorfe hanno una
teoria della mente? Appendice C. I diritti degli animali; Antropomorfe in
pensione. Seconda parte. Commenti. Usi dell'antropomorfismo, di Robert
Wright: I due generi di linguaggio antropomorfico; Cosa si prova a essere
uno scimpanze? Una considerazione extrascientifica; Moralita' e
particolarita' dell'azione umana, di Christine M. Korsgaard; Etica ed
evoluzione. Come si arriva da li' a qui, di Philip Kitcher; Moralita',
ragione, diritti degli animali, di Peter Singer: La critica di de Waal alla
moralita' come patina; Diritti e pari considerazione per gli animali; Terza
parte. Risposta ai commentatori. La torre della moralita', di Frans de Waal:
Inclusione morale e fedelta? Tre livelli di moralita': Livello 1: elementi
costitutivi; Livello 2: pressione sociale; Livello 3: giudizio e
ragionamento; Colpo di grazia; Facce dell'altruismo; Conclusione;
Bibliografia; Autori.
*
Da pagina 23
"Noi approviamo e disapproviamo perche' non possiamo fare altrimenti.
Possiamo fare a meno di provare dolore quando il fuoco ci brucia? Possiamo
fare a meno di provare compassione per i nostri amici?" (Edward Westermarck,
1908)
"Perche' la nostra cattiveria dovrebbe essere il retaggio del nostro passato
scimmiesco e la nostra bonta' qualcosa di unicamente umano? Perche' non
cercare anche nei nostri tratti 'nobili' una continuita' con gli altri
animali?" (Stephen Jay Gould, 1980)
Homo homini lupus, "l'uomo e' un lupo per l'uomo", e' un antico proverbio
latino reso celebre da Thomas Hobbes. Nonostante il principio di fondo che
lo ispira informi ampi settori del diritto, dell'economia e della scienza
della politica, questo proverbio contiene due gravi errori. Innanzitutto,
non rende giustizia ai canidi, che sono fra gli animali piu' gregari e
cooperativi del pianeta (Schleidt e Shalter 2003). Ma, cosa ancor peggiore,
il detto nega l'intrinseca natura sociale della nostra specie.
La teoria del contratto sociale, e con essa la civilta' occidentale,
sembrano impregnate fino alla saturazione dal presupposto che noi siamo
degli esseri asociali, addirittura delle creature malvagie e non lo zoon
politikon che Aristotele vedeva in noi. Hobbes rifiutava esplicitamente
l'idea aristotelica, sostenendo che alla loro apparizione i nostri
progenitori erano autonomi e bellicosi, e giunsero a stabilire forme di vita
comunitaria solo quando il prezzo della lotta era diventato insostenibile.
Secondo Hobbes noi non siamo pervenuti alla vita sociale in modo naturale,
ma abbiamo intrapreso questo passo con riluttanza e "solo per un patto, che
e' artificiale" (Hobbes 1991 [1651], p. 120). In tempi piu' recenti, Rawls
(1972) ha riproposto la stessa idea in una versione meno aspra, aggiungendo
che il passaggio alla socialita' compiuto dal genere umano prende le mosse
da una riconosciuta condizione di parita', vale a dire da una prospettiva di
cooperazione tra eguali reciprocamente vantaggiosa.
Queste idee su come abbia avuto origine la societa' ordinata sono tuttora in
auge, anche se il presupposto che le sostiene, quello di una decisione
razionale presa da creature intrinsecamente asociali, e' indifendibile alla
luce di cio' che sappiamo sull'evoluzione della nostra specie. Hobbes e
Rawls ci danno l'immagine illusoria che la societa' umana sia il frutto di
un accordo volontario fatto in base a regole autonomamente scelte e
accettate da soggetti liberi e pari tra loro. Eppure non c'e' mai stato un
momento in cui siamo diventati sociali: in quanto discendenti di antenati
estremamente sociali - una lunga progenie di scimmie e grandi scimmie -
viviamo da sempre in gruppo. Individui liberi e pari tra loro non sono mai
esistiti. Gli esseri umani hanno mosso i loro primi passi - sempre che si
possa individuare un primo passo - gia' da individui interdipendenti,
reciprocamente vincolati e diseguali tra loro. Siamo il risultato di una
lunga genealogia di animali gerarchici per i quali la vita di gruppo non e'
un'opzione, ma una strategia di sopravvivenza. Qualsiasi zoologo
classificherebbe la nostra specie come obbligatoriamente gregaria.
Poter contare su dei compagni procura enormi vantaggi nella ricerca di cibo
e nella difesa dai predatori (Wrangham 1980; van Schaik 1983). Poiche' gli
individui predisposti alla vita di gruppo lasciano una prole piu' numerosa
di quelli meno inclini alla vita sociale (per esempio Silk e altri 2003), la
socialita' si e' radicata sempre piu' profondamente nella biologia e nella
psicologia dei primati. Se mai decisione fu presa di costituire delle
societa', piuttosto che a noi il merito andrebbe attribuito a Madre Natura.
Questo non vuol dire liquidare il valore euristico della "situazione
originaria" di Rawls, proprio perche' e' un modo per farci riflettere su
qual e' il tipo di societa' in cui ci piacerebbe vivere. La sua idea di
situazione originaria si riferisce a "una situazione puramente ipotetica
caratterizzata in modo tale da portare a determinate concezioni della
giustizia" (Rawls 1972, p. 12). Ma anche se non prendiamo la situazione
originaria alla lettera e la teniamo presente solo per il gusto di
discutere, essa ci fa pur sempre deviare dal dibattito piu' pertinente che
dovremmo approfondire, vale a dire come siamo realmente giunti a essere cio'
che siamo oggi. Quali parti della natura umana ci hanno condotto lungo
questo cammino e in che modo l'evoluzione ha forgiato tali parti? Queste
domande, rivolte a un passato reale anziche' ipotetico, sono destinate a
portarci piu' vicino alla verita', ovvero al fatto che siamo esseri sociali
fin nell'essenza.
A titolo di illustrazione della natura profondamente sociale della nostra
specie basti pensare che, subito dopo la pena di morte, la punizione massima
che possiamo concepire e' la cella di isolamento. Funziona cosi' bene,
evidentemente, proprio perche' non siamo venuti al mondo per vivere da soli.
I nostri corpi e le nostre menti non sono stati progettati per vivere una
vita da cui gli altri siano assenti. Senza il sostegno della socialita'
cadiamo in una depressione disperata e la nostra salute peggiora. In un
esperimento fatto di recente, dei volontari sani intenzionalmente esposti al
virus del raffreddore e dell'influenza si ammalavano con maggior facilita'
se attorno a loro avevano meno amici e familiari (Cohen e altri 1997). Se le
donne colgono naturalmente l'importanza di un sistema di relazioni - forse
perche' per centottanta milioni di anni le femmine dei mammiferi con
tendenze all'accudimento si sono riprodotte di piu' rispetto a quelle che ne
erano carenti - la cosa riguarda ugualmente anche gli uomini. Nella societa'
moderna non c'e' modo migliore per gli uomini di allungare la prospettiva di
vita che quella di ammogliarsi e di rimanere sposati: la possibilita' di
vivere oltre i sessantacinque anni aumenta dal 65 al 90 per cento (Taylor
2002).
La nostra indole sociale e' talmente evidente che non dovrebbe esserci
bisogno di insistere su questo punto, se la sua assenza non balzasse agli
occhi nelle narrazioni che riguardano le nostre origini in discipline come
il diritto, l'economia e la scienza della politica. In Occidente la tendenza
a leggere le emozioni come qualcosa di labile, e i legami affettivi di tipo
sociale come qualcosa di confuso, ha fatto si' che i teorici si siano volti
alle facolta' cognitive come criterio-guida privilegiato del comportamento
umano. E' il trionfo della razionalita'. Tutto questo nonostante la ricerca
psicologica affermi il primato dell'affettivita': vale a dire che il
comportamento umano deriva soprattutto da giudizi immediati e automatici di
tipo emozionale e solo secondariamente da piu' lenti processi coscienti (per
esempio Zajonc 1980, 1984; Bargh e Chartrand 1999).
Il risalto dato all'autonomia individuale e alla razionalita', a cui
corrisponde una disattenzione nei confronti delle emozioni e dei legami
affettivi, purtroppo non e' circoscrivibile agli studi umanistici e alle
scienze sociali. Anche all'interno della biologia dell'evoluzione alcuni
hanno sposato l'idea che noi siamo una specie che si e' inventata da sola.
Parallelamente ha imperversato un dibattito che mette in competizione la
ragione con le emozioni e che ha come oggetto le origini della moralita',
marchio distintivo della societa' umana. Una scuola di pensiero vede la
moralita' come un'innovazione culturale raggiunta solo dalla nostra specie e
non riconosce le tendenze morali come parte integrante della natura umana. I
nostri progenitori, si sostiene, sarebbero diventati morali per scelta.
L'altra scuola, invece, concepisce la moralita' come conseguenza diretta
degli istinti sociali che abbiamo in comune con altri animali e, nella sua
visione, la moralita' non e' una nostra peculiarita', ne' l'effetto di una
decisione consapevole presa in un momento specifico della nostra storia, ma
il risultato dell'evoluzione della nostra socialita'.
Il primo di questi punti di vista presuppone che in fondo non siamo
veramente morali e considera la moralita' come un rivestimento culturale,
una patina sottile che cela al di sotto una natura per altri versi egoista e
brutale. Fino a poco tempo fa, era questo l'approccio alla moralita' che
prevaleva all'interno della biologia dell'evoluzione come tra gli scrittori
scientifici che fanno opera di divulgazione in questo campo. Faro' uso del
termine "teoria della patina" per indicare queste idee, delineandone le
origini nella riflessione di Thomas Henry Huxley, anche se evidentemente
nella filosofia e nella religione occidentali risalgono molto piu' indietro,
fino al concetto di peccato originale. Dopo aver discusso queste idee,
esaminero' il punto di vista completamente diverso di Charles Darwin
sull'evoluzione della moralita', da lui derivato dall'illuminismo scozzese.
Infine prendero' in esame le opinioni di Mencio e di Westermarck che
coincidono con quelle di Darwin.
Delineato questo contrasto di opinioni che vede la continuita' opporsi alla
discontinuita' con gli animali, ripercorrero' poi un mio testo precedente
(de Waal 1996) per prestare particolare attenzione al comportamento dei
primati non umani, al fine di spiegare perche' penso che dal punto di vista
evolutivo gli elementi costitutivi della moralita' siano molto piu' antichi.
*
Da pagina 77
L'interesse per la comunita'
In questo saggio ho delineato il netto contrasto tra due scuole di pensiero
riguardo alla bonta' umana. Una scuola considera gli uomini essenzialmente
cattivi ed egoisti, e di conseguenza la moralita' come un puro e semplice
rivestimento culturale. Questa scuola, rappresentata da T. H. Huxley, e'
tuttora molto in auge, anche se ho notato che a nessuno (neanche a quelli
che ne sostengono esplicitamente le posizioni) piace esser definito "teorico
della patina". Magari e' l'appellativo a non piacere o il fatto che, una
volta messi a nudo i presupposti su cui si appoggia la teoria della patina,
diventa chiaro che essa non fornisce nessuna spiegazione su come noi da
animali amorali siamo diventati degli esseri morali - a meno che non si sia
disposti a intraprendere la strada puramente razionalista dei moderni
seguaci di Hobbes, come per esempio Gauthier (1986). La teoria non si
accorda con le prove che dimostrano che l'elaborazione emozionale e' la
forza trainante del giudizio morale. Se la moralita' umana potesse veramente
essere ridotta a calcolo e ragionamento, saremmo piu' o meno tutti degli
psicopatici che, quando si comportano in modo gentile, in realta' non
intendono affatto esserlo. La maggioranza di noi spera di essere qualcosa di
meglio di questo, e da qui potrebbe nascere l'antipatia per la
contrapposizione senza compromessi che faccio tra la teoria della patina e
la scuola alternativa, che invece cerca di fondare la moralita' nella natura
umana.
Questa scuola pensa che nella nostra specie la moralita' si manifesti in
modo naturale e crede che per le capacita' che in essa sono in gioco ci
siano valide ragioni evolutive. Cio' non toglie che la struttura teorica che
serve a spiegare la transizione dall'animale sociale all'essere umano morale
e' del tutto frammentaria. Le sue fondamenta sono la teoria della selezione
di parentela e quella dell'altruismo reciproco, ma e' chiaro che bisognera'
aggiungervi altri elementi. A volersi documentare su temi come la
costruzione della reputazione, i principi di equita', l'empatia e la
risoluzione dei conflitti (in svariate pubblicazioni che qui non possono
essere esaminate), si scoprira' che esiste un orientamento che fa ben
sperare verso una teoria maggiormente integrata su come possa essersi
formata la moralita' (si veda Katz 2000).
Va inoltre osservato che le pressioni evolutive responsabili delle nostre
tendenze morali magari non sono state tutte gentili e positive. Dopo tutto
la moralita' e' in gran parte un fenomeno interno al gruppo. Sempre e
ovunque gli esseri umani si comportano con gli esterni al loro gruppo in
maniera molto peggiore di quanto facciano con i membri della loro stessa
comunita': le regole morali, in effetti, difficilmente sembrano valere
all'esterno del proprio gruppo. E' vero che nella modernita' esiste un
orientamento ad allargare il cerchio della moralita' e a includervi anche i
combattenti nemici - per esempio la convenzione di Ginevra adottata nel
1949 - ma tutti sappiamo quanto fragile sia un progetto come questo. Con
tutta probabilita' la moralita' si e' evoluta come un fenomeno interno al
gruppo insieme ad altre capacita' che di solito si sviluppano all'interno
del gruppo, come la risoluzione dei conflitti, la cooperazione e la
spartizione.
Ogni individuo pero' e' fedele per prima cosa non al gruppo, ma a se stesso
e ai propri familiari. Con l'aumento dell'integrazione sociale e della
dipendenza dalla cooperazione, gli interessi condivisi devono essere emersi
alla superficie, al punto che la comunits' nel suo complesso e' diventata il
punto di riferimento. Il piu' grande passo compiuto nell'evoluzione della
moralita' umana e' stato il passaggio dalle relazioni interpersonali
all'individuazione di un bene piu' grande. Possiamo vederne gli albori nelle
antropomorfe quando intervengono per appianare i rapporti tra gli altri. Le
femmine possono riunire i maschi dopo una lite tra loro, e quindi fanno da
intermediarie di una riconciliazione, mentre i maschi, quando di rango
superiore, mettono spesso fine alle lotte tra gli altri in maniera
imparziale, favorendo cosi' la pace all'interno del gruppo. Considero un
comportamento di questo genere il riflesso dell'interesse per la comunita'
(de Waal 1996), che a sua volta riflette la compartecipazione che ogni
membro del gruppo ha all'interno di un ambiente cooperativo. La maggioranza
degli individui avrebbe molto da perdere se la comunita' si sfasciasse, da
qui il loro interesse affinche' si preservi integra e armoniosa. Boehm
(1999), prendendo in esame questioni di questo tipo, ha aggiunto il ruolo
esercitato dalla pressione sociale, almeno per quanto riguarda gli esseri
umani: l'intera comunita' si impegna a gratificare un comportamento che
favorisce il gruppo e a punire quello che lo indebolisce.
Naturalmente, la forza piu' potente per sviluppare il senso di comunita' e'
l'ostilita' nei confronti degli esterni al gruppo, che costringe all'unita'
elementi che normalmente non sarebbero in armonia. Questo magari allo zoo
non si vede, ma e' sicuramente un elemento in atto tra gli scimpanze' allo
stato selvatico, in cui si manifesta una violenza letale tra una comunita' e
l'altra (Wrangham e Peterson 1996). Nella nostra specie non c'e' nulla di
piu' ovvio che unirsi contro gli avversari. Nel corso dell'evoluzione umana
l'ostilita' verso gli esterni ha rafforzato la solidarieta' tra gli interni
al gruppo fino a fare apparire la moralita'. Anziche' semplicemente
migliorare i rapporti che ci stanno intorno, come fanno le scimmie
antropomorfe, noi abbiamo espliciti precetti che riguardano il valore della
comunita' e la precedenza che le spetta, o dovrebbe spettarle, rispetto agli
interessi individuali. In questo campo gli uomini si spingono ben piu' in
la' delle scimmie antropomorfe (Alexander 1987), motivo per cui noi
possediamo sistemi morali e le grandi scimmie no.
E cosi' il culmine del paradosso e' che la nostra piu' alta acquisizione, la
moralita', ha dei legami sul piano evolutivo con il nostro comportamento
piu' basso, la guerra: il senso di comunita' che esige la prima e' stato
fornito dalla seconda. Quando abbiamo superato il punto di equilibrio tra
interessi individuali in conflitto e interessi condivisi, abbiamo aumentato
la pressione sociale per assicurarci che tutti contribuissero al bene
comune.
Se accettiamo quest'idea di una moralita' frutto dell'evoluzione e risultato
logico delle tendenze alla cooperazione, non andiamo contro la nostra natura
sviluppando un atteggiamento soccorrevole e morale, piu' di quanto non
faccia una societa' civile che e', come pensava Huxley (1989 [1894]), un
ingovernabile giardino tenuto a bada da un infaticabile giardiniere. I
comportamenti morali ci hanno accompagnato fin dalle origini e il
giardiniere, come ha notato giustamente Dewey, e' piuttosto un coltivatore
organico. Il giardiniere capace crea le condizioni per introdurre specie
vegetali che possono essere estranee a questo specifico appezzamento di
terra "ma che fanno parte dell'uso e costume della natura nel suo insieme"
(Dewey 1993 [1898], pp. 109-10). In altri termini, quando agiamo in nome di
un senso morale non stiamo ipocritamente ingannando tutti: prendiamo delle
decisioni che derivano da istinti sociali che sono piu' antichi della nostra
specie, anche se vi aggiungiamo la complessita' esclusivamente umana di un
interesse senza secondi fini nei confronti degli altri e della societa' nel
suo complesso.
Sulle tracce di Hume (1985 [1739]), che considerava la ragione schiava delle
passioni, Haidt (2001) ha invocato una revisione completa del ruolo giocato
dalla razionalita' nel giudizio morale, sostenendo che la giustificazione
umana sembra presentarsi alla mente per la quasi totalita' post hoc, ovvero
dopo che i giudizi morali sono stati conseguiti sulla base di intuizioni
rapide e automatiche. Mentre la teoria della patina, con la sua enfasi sulla
peculiarita' umana, presumeva che la risoluzione dei problemi morali fosse
da attribuire ad ampliamenti evolutivi recenti del nostro cervello come la
corteccia prefrontale, le tecniche di neuroimaging rivelano invece che il
giudizio morale coinvolge un'ampia varieta' di aree del cervello, di cui
alcune molto antiche (Greene e Haidt 2002). In poche parole, le neuroscienze
sembrano accreditare un'idea della moralita' umana come evolutivamente
ancorata alla socialita' dei mammiferi.
*
Da pagina 193
La torre della moralita'
Mentre l'attenzione dei miei stimati colleghi si concentra su cio' che
sembra mancare agli altri primati anziche' su cio' che e' presente in loro,
da parte mia ho cercato di porre in evidenza invece le caratteristiche che
abbiamo in comune con essi. Cio' riflette il mio desiderio di contrastare
l'idea che la moralita' umana per certi versi sia in contraddizione con le
nostre origini animali o addirittura con la natura in generale. Non manco di
apprezzare comunque l'appoggio di tutti a questa mia posizione e concordo
con le loro ripetute sollecitazioni a considerare anche gli aspetti di
discontinuita'. Quindi questo e' quanto intendo piu' o meno fare questa
volta, a cominciare dalla mia definizione di moralita'.
Tranne che io, naturalmente, non parlerei mai di "discontinuita'".
L'evoluzione non avviene mai per salti: le nuove caratteristiche sono
modificazioni delle vecchie, di modo che specie strettamente legate tra loro
pervengono a una differenziazione solo per gradi. Anche se la moralita'
umana rappresenta un significativo passo in avanti, difficilmente rompe con
il passato.
*
Inclusione morale e fedelta'
La moralita' e' un fenomeno che si rivolge al gruppo, sorto dal fatto che
noi per sopravvivere dipendiamo da un sistema di sostegno (MacIntyre 1999).
Una persona isolata non avrebbe alcun bisogno della moralita' e nemmeno una
persona che vive con gli altri senza avere dipendenze reciproche. In
circostanze di questo tipo ogni individuo puo' procedere per la propria
strada. Non ci sarebbe nessuna pressione per sviluppare costrizioni sociali
o tendenze morali.
Al fine di favorire la cooperazione e l'armonia all'interno della comunita',
la moralita' definisce limiti al comportamento, soprattutto quando gli
interessi entrano in collisione. Le regole morali danno luogo a un modus
vivendi tra ricchi e poveri, sani e malati, vecchi e giovani, sposati e non
sposati e cosi' via. Poiche' la moralita' contribuisce a far andar d'accordo
le persone e alla riuscita di sforzi congiunti, spesso pone il bene comune
al di sopra degli interessi individuali. Non li nega mai, ma insiste sul
fatto di trattare gli altri nel modo in cui noi stessi vorremmo essere
trattati. In maniera piu' specifica, il campo d'azione della moralita' e'
Aiutare o (non) Arrecare danno agli altri (de Waal 2006). Le due A sono
interconnesse. Se stai annegando e mi rifiuto di aiutarti, in effetti sto
arrecandoti un danno. La decisione di aiutare o meno e', a detta di tutti,
una decisione di tipo morale.
Qualsiasi cosa che non sia in rapporto con le due A esula dalla moralita'.
Coloro che si appellano alla moralita' in rapporto, per esempio, ai
matrimoni tra persone dello stesso sesso o alla visione di un seno nudo in
televisione in prima serata, stanno semplicemente cercando di occultare le
convenzioni sociali sotto un linguaggio morale. Poiche' le convenzioni
sociali non sono necessariamente ancorate ai bisogni degli altri o a quelli
della comunita', spesso il male che si compie trasgredendole e' opinabile.
Le convenzioni sociali possono variare enormemente: cio' che all'interno di
una cultura la gente trova scandaloso (come per esempio ruttare dopo un
pasto), magari e' auspicabile che accada in un'altra. Frenate dall'impatto
che hanno sul benessere degli altri, le regole morali invece sono di gran
lunga piu' costanti delle convenzioni sociali. La regola aurea e'
universale. Le questioni morali della nostra epoca - la pena capitale,
l'aborto, l'eutanasia e l'assistenza agli anziani, ai malati o ai poveri -
ruotano tutte intorno ai temi eterni della vita, della morte, delle risorse
e dell'accudimento.
Le risorse decisive in relazione con le due A sono il cibo e i partner
sessuali, entrambi soggetti alle regole del possesso, della spartizione e
dello scambio. Il cibo e' importantissimo per le femmine dei primati,
soprattutto quando sono incinte o allattano (cioe' in condizioni in cui si
trovano frequentemente), e le partner sessuali sono importantissime per i
maschi, il cui successo riproduttivo dipende dal numero di femmine
fecondate. Questo puo' forse spiegare il notorio "doppio standard" che
favorisce gli uomini nei casi delle infedelta' coniugali. Le donne, da parte
loro, tendono a essere favorite nei casi di affidamento dei figli, cosa che
rispecchia il primato attribuito al legame madre-figlio. Quindi, anche se ci
battiamo a favore di modelli morali senza connotazione di genere, i giudizi
che riguardano la vita reale non sono immuni dalla biologia dei mammiferi.
Di rado un sistema morale vitale lascia che le sue regole si distacchino
dagli imperativi biologici della sopravvivenza e della riproduzione.
Visto quanto il privilegio riservato al proprio gruppo ha servito
efficacemente l'umanita' per milioni di anni, e quanto efficacemente ancora
ci serve, e' impossibile che un sistema morale mostri pari considerazione
nei confronti di tutte le forme di vita sulla terra. Il sistema deve
stabilire delle priorita'. Come notava Pierre-Joseph Proudhon oltre un
secolo fa: "Se tutti sono miei fratelli, allora non ho fratelli" (Hardin
1982). Se a un certo livello Peter Singer ha ragione a dichiarare che tutto
il dolore del mondo ha la stessa importanza ("Se un animale prova dolore, il
dolore assume la stessa importanza di quando e' un essere umano a
provarlo"), a un altro livello questa affermazione si scontra frontalmente
con la distinzione tra interni ed esterni al gruppo che abbiamo nel sangue
(Berreby 2005). I sistemi morali per loro natura privilegiano gli interni al
gruppo.
La moralita' si e' evoluta innanzitutto per avere rapporti con la propria
comunita' e solo di recente ha cominciato a includere i membri di altri
gruppi, l'umanita' in generale e gli animali non umani. Nel momento in cui
si plaude all'espansione del cerchio, questa espansione risulta condizionata
dalla disponibilita' economica, vale a dire che i cerchi si possono
allargare in tempi di abbondanza, ma si restringeranno inevitabilmente nel
momento in cui le risorse si assottiglieranno. Questo accade perche' i
cerchi demarcano il livello di obbligo. Come ho gia' avuto modo di dire: "Il
cerchio della moralita' si amplia sempre piu' solo quando la buona salute e
la sopravvivenza dei cerchi piu' interni siano assicurate" (de Waal 1996, p.
213). Poiche' per il momento viviamo in circostanze di benessere, possiamo
(e dobbiamo) preoccuparci per coloro che sono al di fuori della nostra
stretta cerchia. Ciononostante, un rapporto ad armi pari, in cui tutti i
circoli contano allo stesso modo, va a cozzare con le antiche strategie di
sopravvivenza.
Non siamo solo parziali in favore dei circoli piu' interni (noi stessi, la
nostra famiglia, la nostra comunita', la nostra specie), noi sentiamo il
dovere di esserlo. La fedelta' e' un dovere morale. Se durante un periodo di
carestia diffusa, dopo un giorno passato alla ricerca di cibo, tornassi a
casa a mani vuote e dicessi a quelli della mia famiglia affamata che avevo
trovato del pane ma l'ho regalato, ne rimarrebbero completamente sconvolti.
La cosa verrebbe considerata come una catastrofe morale, come
un'ingiustizia, non perche' i beneficiari del mio comportamento non
meritassero sostentamento, ma in ragione del mio dovere nei confronti di
coloro che mi sono vicini. Il contrasto diventa ancora piu' evidente durante
una guerra, quando la solidarieta' con la propria tribu' o con la propria
nazione e' obbligatoria: da un punto di vista morale, il tradimento per noi
e' cosa riprovevole.
*
Da pagina 216
Conclusione
La questione se la moralita' umana operi su tendenze preesistenti e' senza
dubbio l'argomento centrale di questo libro. La discussione con i miei
colleghi mi ha fatto pensare a quel consiglio che Wilson (1975, p. 562) ci
ha dato trent'anni fa secondo il quale "e' venuta l'ora di strappare
temporaneamente l'etica dalle mani dei filosofi e di biologizzarla". Al
momento sembriamo essere a meta' di questo processo, non perche' abbiamo
messo i filosofi da parte, ma proprio perche' li abbiamo resi partecipi,
cosi' che i fondamenti evolutivi della moralita' umana possano essere
illuminati da diverse prospettive disciplinari.
Non prendere in considerazione le basi che abbiamo in comune con gli altri
primati e negare le radici evolutive della moralita' umana sarebbe come
arrivare in cima a una torre per dichiarare che il resto dell'edificio e'
irrilevante, che il prezioso concetto di "torre" debba essere riservato solo
alla sua sommita'. Mentre puo' servire a fare delle belle risse accademiche,
per il resto la semantica e' per lo piu' una perdita di tempo. Gli animali
sono esseri morali? Concludiamo semplicemente dicendo che occupano parecchi
piani della torre della moralita'. Rifiutare perfino questa modesta proposta
puo' portare solo a una visione ben piu' misera che non coglie l'edificio
nella sua interezza.

4. LIBRI. CLAUDIO DE FIORES PRESENTA "L'APPELLO AI DIRITTI" DI STEFANO
ANASTASIA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 31 gennaio 2009 col titolo "La spinta
propulsiva dei diritti rinnova lo spazio della politica"]

Stefano Anastasia, L'appello ai diritti. Diritti e ordinamenti nella
mdoernita' e dopo, Giappichelli, pp. 132, euro 12.
*
A sessant'anni dalla "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo", mai
come oggi la questione dei diritti e della loro effettiva tutela pare avere
assunto una valenza dirompente e, per alcuni tratti, emergenziale. Il
recente lavoro di Stefano Anastasia parte da questa premessa per
interrogarsi sull'effettiva natura dei diritti, indagandone la
soggettivita', svelandone i paradossi e le virtu' dell'universalismo,
ripensando in definitiva il modo in cui il rapporto tra diritto e diritti,
tra autorita' e soggetto, tra individuo e potere si e' sviluppato.
Un libro, quello di Anastasia, che vuole essere un viaggio intorno ai
"diritti della persona umana" e a quella che e' stata la loro multiforme
capacita' di emersione nello spazio e nel tempo (sotto forma di diritti
umani, diritti naturali, diritti inalienabili, diritti fondamentali). E in
questo ambizioso tentativo risiede anche il punto di forza di questo volume,
il cui principale merito e' quello di essere riuscito, con prosa scorrevole
e argomentazioni serrate, a delineare le travagliate sorti dei diritti,
ponendo alla base della propria ricostruzione teorica un unico, ma
risolutivo paradigma di riferimento: il rapporto fra "storicita' e
giuridicita'".
Attenendosi rigorosamente a questo approccio, l'autore ricostruisce, nel
corso di sette capitoli, l'intricata vicenda storica dei diritti: dalla
politeia alla Carta dei diritti dell'Unione, da Aristotele a Juergen
Habermas. Un excursus storico e teorico che enuclea le principali
trasformazioni giuridiche nelle diverse epoche storiche, delineando le
incessanti trasmutazioni delle dinamiche sociali e i loro riflessi sulla
sfera privata e politica degli individui. Fino a rintracciare - e a
ragione - il vero punto di svolta nell'articolo 16 della Dichiarazione dei
diritti dell'uomo e del cittadino ("ogni societa' in cui la garanzia dei
diritti non e' assicurata, ne' la separazione dei poteri determinata, non ha
costituzione"). E' a partire dalla stesura di questa disposizione normativa
che "l'appello ai diritti diventa momento costitutivo dell'ordine
giuridico-politico della modernita'".
I diritti non sono un prodotto della natura, ma della storia. Prima di
divenire norme giuridiche, i diritti si sono manifestati sotto forma di
bisogni sociali organizzati. Istanze che il potere giuridico, dopo averle
riconosciute meritevoli di tutela, ha poi provveduto a soddisfare. Gli
sviluppi storici dei diritti sono quindi inestricabilmente segnati dalle
dinamiche del conflitto e dalla progressiva emersione di nuove figure che,
nel corso del tempo, hanno contribuito a dare marxianamente concretezza
all'uomo astratto.
Ma la storicita' e' solo una delle facce dei diritti. Poi c'e' anche quella
rappresentata dalla loro naturale "ambizione universalistica" e
dall'istintiva inclinazione a superare le barriere ordinamentali. Ed e'
proprio in questa dicotomia che andrebbe oggi rintracciata la principale
causa dell'attuale impasse sulla questione dei diritti. Perche' i cataloghi
dei diritti reggono storicamente solo quando sono espressione di popoli
culturalmente omogenei. Nel momento in cui, invece, gli stessi diritti
dovessero essere riconosciuti, urbi et orbi, a tutti i popoli del pianeta,
tale simmetria sarebbe fatalmente destinata a venire meno, mentre il
particolarismo storico dei diritti esautora ogni astratta pretesa
universalistica.
E' in tale contraddizione, ricorda Anastasia, che risiede non solo
l'ambiguita', ma anche la forza dell'"appello ai diritti". Quell'appello che
ha avuto come destinatario esclusivo l'individuo di genere maschile e come
"culla" l'Occidente, ma che si e' dimostrato uno straordinario strumento di
mobilitazione anche per il movimento delle donne e per le lotte dei
movimenti di liberazione nazionale dal dominio coloniale occidentale. Di qui
la necessita' di avviare una nuova lotta per i diritti che sappia
riqualificarne i contenuti, fare i conti con il pluralismo normativo,
fronteggiare le sfide della globalizzazione e del multiculturalismo.
Solo cosi', forse, l'universalismo non sara' l'ampollosa retorica dei
"parlanti", l'universalita' dei diritti non restera' il miraggio degli
esclusi, il pluralismo non si risolvera' nel particolarismo delle culture,
degli ordinamenti, dei diritti.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 721 del 4 febbraio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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