Minime. 720



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 720 del 3 febbraio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Un criterio infallibile
2. Il solito massacro
3. Vera Schiavazzi: Il Centro "Primo Levi" a Torino
4. Mauro Novelli: Lucio Mastronardi
5. Raffaello Saffioti: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
6. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta"
7. Riedizioni: Agostino, Dialoghi
8. Riedizioni: George Berkeley, Opere filosofiche
9. Riedizioni: Auguste Comte, Corso di filosofia positiva. Lezioni XLVI-LX
10. Riedizioni: Primo Levi, Opere (volume II)
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. UN CRITERIO INFALLIBILE

C'e' un criterio infallibile per valutare l'accettabilita' o
l'inaccettabilita' di un'ideologia, un'istituzione, un'organizzazione, una
prassi, un'esperienza storica, un sistema sociale, un progetto politico: ed
e' il rispetto dei diritti umani delle donne, il riconoscimento e
l'inveramento dell'eguale dignita' e degli eguali diritti di ogni persona
donna e di ogni persona uomo.
Ogni potere, ogni organizzazione, ogni teoria, ogni pratica che non rispetta
pienamente i diritti umani delle donne e' gia' il fascismo.
La nonviolenza, o e' la lotta che assume questo criterio come suo fondamento
decisivo e dirimente, o non e' nulla.

2. LE ULTIME COSE. IL SOLITO MASSACRO

In Afghanistan il solito massacro quotidiano.
Frutto della guerra terrorista e stragista, colonialista e razzista, mafiosa
e totalitaria cui anche l'Italia partecipa, e partecipa in violazione del
diritto internazionale e della legalita' costituzionale.
Quando ci decideremo a una lotta nonviolenta nitida e intransigente qui in
Italia affinche' il nostro paese cessi di esser complice di quella guerra
scellerata?
Quando ci decideremo a una lotta nonviolenta nitida e intransigente qui in
Italia affinche' il nostro paese assuma l'iniziativa della pace e di
interventi umanitari adeguati a promuovere vita, dignita' e diritti per
tutte e tutti in quel paese?
Quando ci decideremo a una lotta nonviolenta nitida e intransigente qui in
Italia affinche' il nostro paese finalmente inverando quanto e' scritto
nella nostra Costituzione, cosi' come nella Carta dell'Onu, cosi' come nella
Dichiarazione universale dei diritti umani, ripudi la guerra, le sue
logiche, le sue strutture, i suoi strumenti, e si adoperi per la pace e i
diritti umani di tutti gli esseri umani?
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

3. INIZIATIVE. VERA SCHIAVAZZI: IL CENTRO "PRIMO LEVI" A TORINO
[Dal "Corriere della sera" del 10 aprile 2008 col titolo "Un baluardo contro
revisionismi e razzismi" e il sommario "Memoria. E' nato ieri il Centro
Primo Levi. Amos Luzzatto nominato presidente"]

Ci sono voluti ventuno anni (l'anniversario della morte ricorre domani) ma
alla fine Torino e' riuscita a onorare degnamente il suo scrittore forse
piu' famoso, certamente piu' letto e tradotto nel mondo: Primo Levi. Il
Centro internazionale di studi che porta il suo nome e' nato ufficialmente
ieri, per volonta' di un primo gruppo di fondatori che raccoglie Comune,
Provincia, Comunita' ebraica, Fondazione per il libro, e i figli Lisa e
Renzo Levi. Amos Luzzatto, medico e saggista, a lungo alla guida dell'Unione
delle comunita' ebraiche italiane, e' stato scelto come presidente, incarico
che in veste onoraria e' stato conferito anche a Bianca Guidetti Serra.
E proprio Luzzatto, ieri pomeriggio, ha sottolineato l'importanza simbolica,
culturale e politica di un atto che arriva "proprio mentre i segnali di
revisionismo, negazionismo e razzismo si moltiplicano. Vogliamo che in
questo centro arrivino non solo gli studiosi e i conoscitori appassionati di
Primo Levi, ma i giovani delle universita' e dei licei che possono far
vivere i suoi insegnamenti. Levi non ha fatto soltanto memorialistica sui
lager, al contrario ci ha lasciato molte e diverse eredita', dalla cultura
scientifica alla tradizione ebraica". Luzzatto ha anche annunciato che sara'
presente alla Fiera del libro con un saggio-intervista sui temi della
laicita' da poco realizzato con Francesca Nadari: "Ci tengo a esserci -
spiega - proprio per l'assurdita' delle tesi espresse in favore del
boicottaggio. Chi le sostiene forse non sa che in questo modo si danneggiano
i fautori della pace tra Israele e Palestina e si sostiene nei fatti una
guerra all'ultimo sangue".
Direttore del centro sara' lo storico torinese Fabio Levi, mentre
vicepresidente e' Ernesto Ferrero, direttore della Fiera del libro, e del
consiglio di amministrazione fanno parte Fiorenzo Alfieri, Dario Disegni,
Valter Giuliano e il presidente della Comunita' ebraica di Torino Tullio
Levi. Il Centro vuole raccogliere nel tempo tutta la documentazione
esistente sullo scrittore, realizzando un censimento completo e la raccolta
di studi, tesi di laurea e testimonianze sull'autore di Se questo e' un
uomo, in un quadro di collaborazione internazionale. La sede sara' quella
del grande complesso juvarriano dei Quartieri militari, che gia' ospita
l'Istituto storico della Resistenza e il Museo della deportazione e che nel
prossimo futuro accogliera' anche l'Istituto per la memoria e la cultura del
lavoro, dell'impresa e dei diritti...

4. PROFILI. MAURO NOVELLI: LUCIO MASTRONARDI
[Dal mensile "Letture", n. 622, dicembre 2005, col titolo "Lucio
Mastronardi" e il sommario "Chi cerchi un'immagine degli anni del boom nella
provincia italiana deve senz'altro guardare ai romanzi di Mastronardi, che
volse tempestivamente in grottesco il mutamento dei costumi e gli sconquassi
subiti dalla famiglia"]

"Il treno si mosse e Mario vedeva operare ferme al passaggio a livello con
borsoni di tomere, operari in saia, garzoni con ceste; fabbriche fabbrichine
che lentamente si girano mostrandosi in tutte le parti, tricicli carichi di
scatole bianche, ciminiere fumare...". Non siamo in Romania, e neppure nella
Cina di questi anni: e' il panorama domestico che l'eroe del Calzolaio di
Vigevano - uno dei capolavori di Lucio Mastronardi - poteva osservare dal
finestrino nell'abbandonare la Lomellina per il fronte albanese. Purtroppo
gli italiani hanno la memoria corta: e non solo sul proprio passato di
emigranti, ma anche sui frenetici sacrifici che dagli anni Trenta, e poi con
la ricostruzione e il boom, li hanno catapultati in un orizzonte di
modernita' industriale spinta. Il crepuscolo di quest'ultima rende tanto
piu' grave l'oblio sceso da tempo sulle pagine in cui Mastronardi nei primi
anni Sessanta colse lo stravolgimento di un secolare tessuto contadino e
artigianale, sbaragliato dall'irruzione di nuove mentalita', con cui oggi
abbiamo quotidianamente a che fare. Paradossalmente, lo scrittore vigevanese
sembra essere stato vittima della sua lungimiranza, grazie alla quale fu tra
i primi a ritrarre comportamenti sociali ormai ben noti a chiunque, miniere
inesauribili di macchiette regionali. A valle, e' difficile rendersi conto
della forza di rottura con cui Mastronardi volle scartare dalle
rappresentazioni edulcorate e gratificanti dell'operosita' lombarda,
capitanate dall'inno ambrosiano, la' dove proclama che sotto la Madonnina
"se sta' mai cuj man in man". Tanto piu' se consideriamo che cinquant'anni
fa non esisteva in Italia una solida tradizione narrativa che avesse davvero
fatto i conti con la realta' moderna della produzione. A quest'ultima
Mastronardi si volse con un impeto e un'amarezza che da soli testimoniano il
definitivo addio alla fiducia e all'ottimismo propri della temperie
neorealista, nella quale si era formato. Di essa resta comunque la volonta'
di denuncia, che si legge in controluce nelle allucinate rappresentazioni di
una somma di individui posseduti dalla fregola di arricchirsi, nel totale
disprezzo di cio' che e' pubblico, senza una qualsivoglia idea di comunita'.
E' un'entropia inarrestabile, che penetra nel nucleo familiare, sfasciandone
gli equilibri sino a farne l'altare ove si celebrano le peggiori bassezze
della natura umana.
Tutto questo a Vigevano, del cui clima si imbeve pressoche' ogni pagina
scritta da Mastronardi, al di la' del trittico romanzesco costituito da Il
calzolaio, Il maestro e Il meridionale di Vigevano. Naturalmente, non si
tratta semplicemente di fornire uno spaccato credibile della cittadina, a
partire dalla celebre piazza Ducale, dal castello o dalla torre bramantesca,
evocati con sarcasmo gia' nel primo capitolo del Calzolaio insieme ai fatti
storici salienti, ai quartieri principali, alle manifatture, alle risaie dei
dintorni. Come noto' Calvino, le realta' locali - per quanto schizzate dal
vero - appaiono sistematicamente "trasfigurate da un umore caricaturale
implacabile", che fece divampare scandali, polemiche e risentimenti che
accompagnarono Mastronardi per tutta la vita. Fu questo il prezzo pagato per
avere restituito con acume e precocita' un piccolo mondo modernizzato, agli
antipodi del modello fogazzariano, emblematico dell'evolvere di una certa
provincia italiana. L'esplosione dell'industria calzaturiera, che fece di
Vigevano la capitale della scarpa, sembro' allora cancellare i vecchi
orgogli municipali, sostituendoli con una corsa cieca e sfrenata al
benessere, che certo non contemplava soste deputate alle provviste
culturali. Non per nulla, nel medesimo torno di tempo, Giorgio Bocca (senza
conoscere Mastronardi) poteva pubblicare sul "Giorno" un affilato reportage,
nel quale chiariva la sua opinione sin dalle prime righe: "Fare soldi, per
fare soldi, per fare soldi: se esistono altre prospettive, chiedo scusa, non
le ho viste. Di abitanti cinquantasettemila, di operai venticinquemila, di
milionari a battaglioni affiancati, di librerie neanche una". Si aggiunga
che in quegli anni di Vigevano si discuteva nelle cronache anche per lo
scandalo del benzolo, una colla usata con disinvoltura nella fabbricazione
delle calzature, senza riguardo agli effetti sulla salute, finanche letali.
Ne' il quadro sarebbe completo senza un accenno al lavoro nero e al dilagare
dell'immigrazione, specie dal Veneto e dal Mezzogiorno. Tutti fenomeni che
non sfuggirono al radar di Mastronardi, lesto a farne combustibile per un
incendio narrativo cui non si saprebbe trovare equivalenti.
*
Sull'incudine della vita
"Sono un giovane di 25 anni e da almeno dieci mi interesso di letteratura...
Da cinque anni scrivo e leggo, leggo e scrivo. Scrittori si nasce, ma
bisogna anche diventarlo, dicono". Ebbe un'ottima idea l'oscuro maestro
Lucio Mastronardi, che nel gennaio del 1956 indirizzava il suo messaggio
nella bottiglia a quell'inarrivabile talent scout che fu Elio Vittorini. Ne
nacque uno scambio epistolare, nel corso del quale lentamente prese forma Il
calzolaio di Vigevano, che a Vittorini e Calvino parve talmente all'altezza
dei tempi da volerlo inserire nel primo numero della loro nuova rivista, "Il
Menabo'". Al di la' dell'ampio spazio concesso al dialetto, di cui alla fine
degli anni Cinquanta si faceva un gran parlare e un gran scrivere (da Gadda
a Pasolini, da Testori a Rea), basta un accenno al canovaccio per
comprendere con quale piglio Mastronardi si facesse largo tra i molti
letterati che allora guardarono alle recenti, inusitate situazioni
lavorative. E' la storia di Mario Sala, detto Micca, lavoratore infaticabile
sin da ragazzo, nel ramo scarpe. Sposata una brava "giuntora", Luisa, riesce
ad aprire una fabbrichetta, quando viene richiamato in guerra. In sua
assenza, la moglie si mette in societa' - pubblica e privata - con un amico,
che muore durante un bombardamento, lasciandola sul lastrico. Al ritorno di
Mario i due si rimettono insieme, ma dopo una serie di traversie finiscono
protestati e tornano alla casella di partenza. Con ogni evidenza,
l'obiettivo non e' quello di denunciare le prepotenze padronali o dar voce
alle rivendicazioni operaie, ma registrare il diagramma ballerino di
un'ascesa sociale: che e' poi, in fin dei conti, il tema fondamentale
sotteso all'intera opera narrativa di Mastronardi. In luogo di approfondirne
i corollari, e' il caso di sottolineare subito il parossistico dispendio di
vitalita' che l'obbedienza al teorema dell'avere comporta. Eugenio Montale,
tra i primi a riconoscere il fascino del Calzolaio, resto' basito dinanzi a
quello che gli parve un "quotidiano brulicante trescone di branchi di
castori umani che lottano". Agli antipodi degli inetti novecenteschi, Mario
e' sconfitto dallo spregiudicato vigore con cui affronta la vita. Non una
norma d'onore resta valida per questi "castori", non una briciola di
trasporto e' spesa tra loro. Ne discende la riduzione del nucleo familiare a
mera cellula produttiva, nella quale Luisa non agisce come vittima, ma come
complice del marito, aggredita lei pure dai miasmi della colla, che le fanno
perdere magari un bambino, ma nemmeno un minuto di tempo. L'operosita',
fondamento irrinunciabile dell'identita' lombarda, precipita dunque in un
gorgo di frenesia insensata, in cui si perde anche la tradizionale
rappresentazione di una comunita' cittadina organica e solidale, stretta
"col coeur in man" attorno al medesimo nucleo di valori. Proprio qui, nel
dinamismo sfrenato di un ambiente che non conosce regole al di sopra
dell'interesse individuale, si apre la forbice tra il Micca e gli eroi
verghiani della "roba". Al narratore, in ultima analisi, non resta altro
compito che accostare le urla attraverso cui i personaggi, a colpi di
esclamativi, compongono la nerissima verita' della solitudine.
*
L'implosione della famiglia
Il maestro di Vigevano usci' nel 1962, con tempismo perfetto, vista la
coincidenza con l'introduzione della media unica, che schiudeva per una
volta agli argomenti scolastici i titoli dei giornali, suscitando una serie
di discussioni ravvivate dal malessere aleggiante nelle aule ritratte da
Mastronardi. Il romanzo da' voce a un maestro di provincia senza un'oncia
della grandezza delirante del Micca, ignavo e atterrito di fronte al
dinamismo che vede montare intorno a se': "Ho paura, mentre attorno a me
tutta un'umanita' nuota, cerca di raggiungere scogli piu' comodi" (inutile
sottolineare di nuovo il rimando a Verga). Antonio Mombelli stila una sorta
di diario delle mortificazioni che si trova a vivere. Il presente, con cui
si aprono quasi tutti i capitoli nell'intento di simulare la presa diretta,
e' spia dell'unica dimensione in cui si muove il mondo che circonda il
maestro, umiliato dalla scelta della moglie Ada di entrare in fabbrica, dove
riceve uno stipendio maggiore del suo. Si lascia allora convincere a
lasciare la scuola e versarle i soldi della liquidazione, perche' apra col
fratello una ditta di scarpe. Si inscena dunque un vero e proprio standard
sociologico, colto pero' con lo sguardo traballante di un personaggio
disturbato: "Saranno i miei occhi di sicuro che mi fanno vedere quello che
non e'; oppure quello che mi fa comodo vedere". Il cognome stesso, del
resto, ai lombardi evocava immediatamente il manicomio di Mombello, che gia'
in un poemetto di Delio Tessa, De la' del mur, era divenuto il "mondo bello"
dove follia e verita' si danno la mano. Sarebbe ingenuo, tuttavia, muovere
da qui per considerare (come spesso si e' fatto) questo maestro
cinquantenne, sposato con prole, una mera proiezione autobiografica
dell'autore, che pure nel racconto Il trasferimento volle dividere
provocatoriamente l'umanita' vigevanese in cinque categorie - matti,
cornuti, pederasti, furbi e "ciula" - riservando per se' la prima. Piu'
proficuo sembra rilevare l'impetuoso masochismo con cui il narratore
ripercorre le proprie disgrazie, quasi provando gusto nell'esporle al
lettore; e il sadismo dei rari momenti di ribellione, in cui sfoga le
proprie meschinerie sui piu' deboli, fossero pure studenti miserrimi. L'atto
del pensare si riduce sovente a fantasticherie stordite, o a fissazioni
ruminate senza costrutto. La mimesi della mediocrita' investe anzi la
scrittura medesima, nella quale la crisi del soggetto si fa lampante
attraverso il ricorso a uno stile davvero elementare, costellato di errori e
modi artificiosi (vedi i passati remoti usati a sproposito), che sembrano
voler rifare il verso alle banalita' e alle astrattezze della peggiore
pratica scolastica. Il punto d'arrivo di questa maniera sta in un
trattatello di dizione che occupa ben quindici pagine con proposte assurde e
tirate retoriche. Quando invece il maestro si riconverte al lavoro di
impiegato in fabbrica, non si da' pensiero di scrivere, tant'e' che in un
paio di facciate stipa dieci capitoletti (I, 24-33). E' questo, guarda caso,
l'unico momento in cui perde il "catrame" che di regola lo avviluppa,
facendolo sentire inadeguato al confronto col prossimo. Vita e scrittura si
elidono a vicenda. La seconda consiste nella traduzione su carta
dell'alienazione vissuta nelle 168 ore senza senso che compongono le
settimane, in buona parte trascorse nel mefitico ambiente scolastico, dove
gli insegnanti si contendono gli alunni ricchi, si imbarcano in ridicole
"lezioni attive" sulle tre caravelle, vengono giudicati dai direttori
didattici in base alla calligrafia. Peraltro, a grattare i colori vivaci con
cui Mastronardi dipinge la galleria di monomaniaci in servizio dietro la
cattedra, si scoprirebbero dappertutto le tinte funebri che ammantano
episodi quali il suicidio dell'eterno supplente Nanini, o il funerale di
Amiconi, senza un alunno a seguire la bara, dopo quarant'anni di carriera.
E' nella rappresentazione della famiglia, una volta ancora, che convergono
tutte le questioni gettate sul tavolo. Non ha piu' senso cercare un riparo
tra le pareti domestiche, nel momento in cui le nuove dinamiche produttive
hanno attecchito in casa, fino a sgretolare il rispetto reciproco. Nella
figura di Ada, nella sua apertura alle lusinghe del benessere, non agisce
tanto una presa di coscienza dei propri diritti, quanto l'assimilazione
inconsulta dei valori saliti in dominante: donde il disprezzo nei confronti
del marito che tarda a farli propri. Peraltro, a fronte della sua vitalita'
avida e volgare, il maestro non ha nulla da opporre, se non una polverosa
idea di decoro, incrostata di vilta' e pregiudizi. Il punto e' che ne' in
lui ne' in lei sopravvive una qualche etica del lavoro: al colmo dei litigi,
possono cosi' rinfacciarsi le rispettive professioni ("maestrucolo",
"operara"). Il cozzo tra due mentalita' inconciliabili - tra due Italie
inconciliabili - finisce cosi' col mettere a fuoco grettezze e mediocrita'
di entrambe. Tradito da tutti, ma in primo luogo da se stesso, non resta al
maestro che cadere preda delle proprie ossessioni (le dita dei piedi) o del
fiacco voyeurismo che lo porta sulle rive del Ticino a seguire le
occupazioni di una contadina, Eva, che pare serena e felice, salvo poi
rivelarsi disposta alla prostituzione. Ritorna cosi' la classica dialettica
tra natura e societa', in termini tutto sommato banali, scopertamente
debitori al Vittorini piu' allegorico.
Quando poi il maestro converge al caffe' in piazza, ad attenderlo non trova
solo le fuoriserie degli arricchiti (che la riducono a garage), ma anche
invidia e ipocrisia, seminate dai colleghi e da un giornalista, araldo
ulteriore - coi suoi articoli retorici, che tronfiamente declama - dello
svuotamento di senso subito dalla lingua, dell'impossibilita' di una
comunicazione ragionevole. Come sempre, chi narra partecipa del medesimo
"catrame": cosi', non appena per superbia confida certi maneggi illeciti che
avvengono nella sua fabbrica, di nascosto scatta il registratore che lo
inchiodera' di fronte alla Tributaria. Inevitabilmente, il maestro si
autodistrugge nel momento esatto in cui si fa portavoce dei nuovi valori.
Non importa seguirlo sulla china che ne fara' un vedovo disprezzato persino
dal proprio figlio. Basta coglierne la definitiva sconfitta nel finale, in
cui si accoda alle regole della convenienza, celebrando l'ennesimo trionfo
dell'interesse e dei numeri, che sostituiranno le parole, ridotte a gusci
vuoti: "Due stipendi del coefficiente 202 fanno uno stipendio di gruppo A.
Con uno stipendio una persona vive male; con due stipendi, due persone
vivono bene. Una pasta! Un cuore! Figlia unica, lo stipendio, il maiale.
Devota, morale, buona. Una pasta! Coefficiente 202! Come avere trenta
milioni in banca. Mentre mi addormento penso che finiro' per sposarmi!".
*
Le vergogne dell'avere
La critica e' solita affiancare al Maestro il terzo romanzo del ciclo, Il
meridionale di Vigevano (1964), in virtu' della comune attitudine a ritrarre
i vinti, le vittime dei meccanismi produttivi delineati nel Calzolaio.
Tuttavia Camillo, che narra in prima persona la sua storia di immigrato dal
Mezzogiorno in una camera ammobiliata di Vigevano, e' una figura che solo in
parte puo' ricordare Antonio Mombelli. Come il maestro e' anch'egli un
umiliato e offeso, nello specifico dai pregiudizi e dalla diffidenza dei
locali (ma anche dal furbo cinismo dei sopravvenuti), in una citta' che gli
appare ostile in ogni occasione socializzante: i pranzi all'osteria, le
discussioni nei negozi, le serate al caffe'. Anch'egli - come un po' tutti i
protagonisti di Mastronardi - non ha nulla da rimpiangere, ma molto da
recriminare. D'altra parte il ruolo di impiegato all'ufficio delle imposte
lo rende temuto e blandito, contribuendo a farne un uomo isolato, avulso
dalla Vigevano che sale. Questo, almeno, finche' non si fidanza con Olga,
una sarta indigena, grossolana e ambiziosa, che lo adocchia per coprire le
spalle al fratello, titolare della consueta fabbrichetta, in modo da
costituire un sodalizio a tre simile a quello messo in piedi nel Maestro. La
novita' non sta dunque nel binomio famiglia & affari, ma nel crescendo che
di romanzo in romanzo investe la figura della donna, la quale assume ora
caratteri di dominatrice, comandando apertamente chi avrebbe il dovere di
controllare soldi e merci (di passaggio andra' notata la centralita' anche
simbolica attribuita nel trittico alla pratica straripante dell'evasione
fiscale). Ancora una volta, inoltre, Mastronardi intreccia al tema della
scalata sociale quello della vergogna, sfruttando la differenza di ceto tra
un borghesotto frastornato e un'energica popolana per fare esplodere tra le
mura di casa la miccia dell'incomunicabilita'. Olga che nasconde l'esistenza
dei miserabili genitori a Camillo, e viceversa l'imbarazzo di questi nel
sentire nominato da una telefonista il proprio paese, che la fidanzata
decide di visitare per sfregio. Sono icone trasparenti di un'Italia che non
vuole piu' avere a che fare col proprio passato, sorda persino alle urla di
una madre cui recano il figlio annegato, coperte nell'ultimo capitolo dalle
risate di Sofia Loren, rimbombanti da un cinema all'aperto.
A un quadro simile, i racconti usciti negli anni Sessanta sull'"Unita'" non
possono aggiungere molto, sebbene introducano altre figure memorabili del
serraglio vigevanese, come L'assicuratore del pezzo chiamato nel 1975 a dare
il titolo a una raccolta. A quest'altezza, pero', era gia' finita da un
decennio quella che Mastronardi definiva la sua "epoca western". Chiusa la
trilogia aveva cercato di tenere conto di varie tecniche proposte nel
frattempo dalla neoavanguardia e dalla ecole du regard, innestandole sul suo
caratteristico sincopato. In quest'ottica va letta La ballata del vecchio
calzolaio (1969), referto della nevrosi di Giuseppe, scarparo arricchito e
deluso, che rievoca a strappi i suoi esordi, con sistematiche interferenze
di piani tra il passato e un presente angoscioso. Non diversamente, il
romanzo A casa tua ridono (1971) propone in termini vicini al delirio, con
ripetizioni allucinate, il sovrapporsi di ricordi nella mente di Pietro,
prima giovane sprovveduto, poi consorte della figlia di un industriale, ma
amaramente estraneo a lei e ai propri figli. Per l'ultima volta, lungo il
filo delle pagine si sciorina una serie di umiliazioni, che trova fatalmente
il culmine nella frase assunta in copertina e ribadita sino allo spasimo,
vano esorcismo sul luogo di nascita d'ogni male.
*
Vita e opere
1930-37 Lucio Mastronardi nasce a Vigevano da Luciano, ispettore scolastico
di origine abruzzese, e Maria Pistoja, maestra elementare vigevanese. La
coppia ha gia' una figlia, Letizia, alla quale e' dedicata la cartolibreria
aperta dal padre, posto a riposo forzato dai fascisti per la sua opposizione
al regime.
1938-44 In terza elementare e' costretto a ritirarsi, stante il rifiuto
paterno di iscriversi al Pnf. L'anno successivo sostiene gli esami da
privatista. Sprovvisto della tessera di balilla, in prima media viene
bocciato e la sua educazione affidata alla famiglia. Nel 1944 supera da
privatista gli esami di terza media.
1945-54 Si iscrive al ginnasio cittadino, ma gli scarsi risultati lo
convincono a ripiegare nuovamente sullo studio domestico. Nell'autunno del
1949 consegue a Pavia, ancora da privatista, il diploma magistrale. Lasciata
alle spalle una velleitaria iscrizione all'universita', inizia la carriera
di maestro elementare nelle vesti di supplente. Tiene lezione in corsi
serali, nel carcere di Vigevano, nelle scuole per contadini e operai.
1955-56 Vince il concorso pubblico ed entra finalmente in ruolo in una
scuola elementare. Pubblica alcuni racconti sul "Corriere di Vigevano". Nel
gennaio del 1956 scrive per la prima volta a Elio Vittorini, col quale si
instaura un importante scambio epistolare.
1957-59 Dalla corrispondenza con Vittorini nasce l'idea di lavorare a un
romanzo di ambientazione locale. Diverra' Il calzolaio di Vigevano, che nel
giugno del 1959 entra nel primo numero del "Menabo'". Tra i molti a restarne
colpiti si conta Eugenio Montale, che ne scrive sul "Corriere della sera".
1960-61 Collabora a "L'Unita'". Alterna alla scuola lunghe sessioni di
scrittura, dalle quali scaturisce in breve tempo Il maestro di Vigevano, che
non convince del tutto Calvino e Vittorini. Scosso, prostrato dalle
revisioni, il primo ottobre 1961 si presenta a casa di Vittorini, dove
consegna una pila di fogli zeppi di insulti. Al ritorno, in treno, litiga
violentemente con un ferroviere. Ne consegue un breve ricovero forzato
all'ospedale psichiatrico di Alessandria.
1962 A maggio il Maestro appare nella collana "I coralli" di Einaudi,
scatenando vaste polemiche giornalistiche, alimentate dalle proteste di
quanti si sentono feriti dall'impietosa rappresentazione dell'universo
scolastico. Il romanzo vince il Premio Prato. All'improvviso, il 14 ottobre
Mastronardi viene arrestato, in esecuzione di una condanna a due anni di
manicomio criminale subita nel processo per i fatti dell'anno precedente,
celebrato a sua insaputa. Viene rilasciato dopo alcuni giorni; in seguito
sara' amnistiato. A novembre Einaudi stampa in volume anche il Calzolaio,
che arriva a 30.000 copie.
1963 A meta' settembre muore il padre, per un attacco cardiaco. Proprio in
quei giorni Elio Petri gira a Vigevano un film tratto dal Maestro, con
Alberto Sordi e Claire Bloom. Le riprese si svolgono in un clima di grande
ostilita', mentre sui giornali colleghi furiosi chiedono l'allontanamento di
Mastronardi dall'insegnamento. A ottobre prende servizio presso la direzione
didattica di Abbiategrasso, dove lavora in biblioteca e presso la
segreteria; il trasferimento tuttavia era stato da lui stesso sollecitato in
primavera. A fine anno il film di Petri esce in citta' senza alcuna
cerimonia. Il libro vola intanto verso le 80.000 copie.
1964 A gennaio, sempre nei "Coralli" einaudiani, esce Il meridionale di
Vigevano, col quale si chiude il trittico iniziato con Il calzolaio e Il
maestro. Fatti salvi alcuni interventi prestigiosi (come quelli di Carlo
Salinari, Franco Antonicelli, Oreste del Buono) la critica e' concorde nel
considerare il romanzo spia di un'involuzione, dovuta al progressivo
esaurirsi della materia.
1965-67 Il crescente interesse per il cinema e la narrativa d'avanguardia si
traduce in svariati esperimenti di scrittura, che lasciano fredda la
controparte editoriale, in specie Calvino. Le tensioni ricorrenti aggravano
la nevrosi di Mastronardi, che si sente incompreso e perseguitato.
1968 Rompe irrevocabilmente con Einaudi e passa a Rizzoli, dove trova un
lettore attento e comprensivo in Sergio Pautasso. E' trasferito
all'ispettorato scolastico di Milano.
1969 Nel numero primaverile del trimestrale "L'approdo letterario" pubblica
il racconto La ballata del vecchio calzolaio, combinazione di vari pezzi
apparsi su "l'Unita'".
1970 A ottobre entra nell'organico della biblioteca Sormani di Milano.
1971 A marzo pubblica presso Rizzoli A casa tua ridono, gia' rifiutato da
Calvino ai tempi dell'Einaudi e oggetto per anni di sfibranti rifacimenti.
Il romanzo, fortemente sperimentale, non trova particolare eco ne' nel
pubblico ne' nella critica.
1972 In autunno, ad Abbiategrasso da' in escandescenze contro un preside che
gli vuole affidare una terza elementare. Oltraggia anche i carabinieri
accorsi e deve subire alcuni giorni di reclusione a San Vittore.
1973 A febbraio, dopo una lunga malattia, muore la madre. Due mesi piu'
tardi si sposa con una collega conosciuta ad Abbiategrasso, Lucia Lovati. In
estate la Rai trasmette uno sceneggiato ricavato dal Calzolaio, protagonisti
Maria Monti e Nanni Svampa, che anima i numerosi intermezzi musicali.
1974 In preda alla depressione, a novembre tenta il suicidio gettandosi dal
balcone di casa, al quinto piano. Precipita su un'auto, che smorza l'impatto
e limita le conseguenze del gesto.
1975 A febbraio e' reso padre dalla nascita di Maria. Per Rizzoli riunisce
dodici racconti vecchi e nuovi, pubblicati a marzo col titolo
L'assicuratore. Il volume consegue il Premio D'Annunzio.
1976 In autunno raggiunge i 25 anni di servizio, che gli consentono di
accedere alla pensione, agognata per dedicarsi a tempo pieno all'attivita'
letteraria.
1977 Rizzoli ripubblica la trilogia vigevanese col titolo Gente di Vigevano.
In calce, compaiono due racconti: Gli uomini sandwich e La ballata
dell'imprenditore, nuovo titolo della Ballata del vecchio calzolaio, che
verra' prescelta da Enzo Siciliano per il "Meridiano" che raccoglie i
Racconti italiani del Novecento (Mondadori 2001).
1978 Lavora a un romanzo incentrato sulle vicende di un adolescente: il
titolo provvisorio e' In mancanza di. Ma la salute non lo sorregge.
Ricoverato all'ospedale di Pavia, a dicembre, gli viene scoperto un tumore
ai polmoni, non operabile. Fugge a casa, dove trova conforto nei familiari e
nella scrittura.
1979 La mattina del 24 aprile, sotto la pioggia, esce dal proprio
appartamento per non farvi piu' ritorno. Viene notato, fradicio, nei pressi
del ponte sul Ticino. Dopo affannose ricerche, alcuni giorni piu' tardi il
corpo e' ritrovato da un pescatore sulla riva del fiume, qualche chilometro
a valle.
*
Per saperne di piu'
L'apprezzamento di lettori d'eccezione, quali Eugenio Montale, Elio
Vittorini, Gianfranco Contini, Italo Calvino, non e' valso a conservare nel
tempo l'attenzione della critica nei confronti di Mastronardi. All'indomani
della scomparsa aveva tentato di scongiurare il silenzio un convegno
organizzato su impulso di Maria Corti presso l'Universita' di Pavia. Gli
atti - pubblicati nel 1981 da La Nuova Italia, a cura di Maria Antonietta
Grignani, sotto il titolo Per Mastronardi - costituiscono a tutt'oggi il
contributo piu' significativo sullo scrittore vigevanese. In seguito non e'
dato incontrare monografie, se si eccettua l'agile Guida alla lettura di
Lucio Mastronardi di Carmelo Aliberti (Bastogi 1986). Utile e ben commentata
e' la raccolta di articoli e cronache messa insieme da Piersandro
Pallavicini e Antonella Ramazzina in Mastronardi e il suo mondo (Edizioni
Otto/Novecento, 1999), che include la ricordata ricognizione su Vigevano di
Giorgio Bocca. Tra i rari saggi recenti si ricordano A. Menetti, Al dio
sconosciuto: storia e confessione in Lucio Mastronardi, "Studi
novecenteschi", n. 60, dicembre 2000; M. Novelli, Lucio Mastronardi tra
verismo e grottesco, "Nuova Antologia", n. 2.233, gennaio-marzo 2005.
Sul versante delle edizioni, e' opportuno segnalare che pochi mesi fa
Einaudi ha ristampato un'ottima edizione tascabile della trilogia
vigevanese, corredata di scritti di Calvino, Gian Carlo Ferretti e Giovanni
Tesio, il quale nel 2002 ha firmato anche l'introduzione al volume Einaudi
che raccoglie A casa tua ridono, i racconti de L'assicuratore e
L'industrialotto, un graffiante bozzetto-ritratto comparso su "l'Unita'" nel
1962.
Notizie su Mastronardi e la Vigevano dei suoi tempi, unitamente a un
archivio fotografico, sono reperibili all'indirizzo elettronico
www.comune.vigevano.pv.it/culturali/mastronardi

5. VOCI. RAFFAELLO SAFFIOTI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'...
[Ringraziamo Raffaello Saffioti (per contatti: rsaffi at libero.it) per questo
intervento]

Ognuno ha suoi motivi per abbonarsi alla rivista "Azione nonviolenta" ed
essi variano da persona a persona. Quindi anche i miei sono diversi, anche
perche' provengono dalla profonda Calabria.
Il mio "perche'" passa attraverso il rapporto personale che ho avuto con il
filosofo Domenico Antonio Cardone e con Danilo Dolci.
Cardone (morto nel 1986) e' stato amico di Capitini e ha ospitato suoi
scritti nella rivista "Ricerche Filosofiche", da lui fondata e diretta.
Alcuni anni fa ho avuto la fortuna di scoprire il carteggio tra loro
intercorso, presso l'Archivio di Stato di Perugia.
Qui non e' il caso di dire del rapporto tra Capitini e Dolci. Per anni
Danilo nelle nostre conversazioni mi parlava frequentemente del suo Aldo.
Sono stato una persona fortunata per aver avuto rapporti personali con
questi grandi maestri.
Ora, lasciata la scuola per protesta contro il potere burocratico dieci anni
fa, cerco di essere un pensionato socialmente utile. E sono assorbito
completamente dall'Associazione Casa per la Pace "Domenico Antonio Cardone".
Ma vivere in questa mia regione, dove e' dominante la violenza mafiosa, e'
veramente duro!
L'esperienza associativa come "amico della nonviolenza" e' assolutamente
necessaria. Come e' pure necessario il collegamento con la rete della
nonviolenza.

6. STRUMENTI. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA"

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da
Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito
sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363
intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.
E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".
Per informazioni e contatti: redazione, direzione, amministrazione, via
Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e
15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

7. RIEDIZIONI. AGOSTINO: DIALOGHI
Agostino, Dialoghi, Rcs-Bompiani, Milano 2006, 2009, pp. 752, euro 14,90 (in
supplemento al "Corriere della sera"). Per le eccellenti cure di Giovanni
Capatano (e con il contributo di Maria Bettetini e Giovanni Reale) alcuni
dei dialoghi agostiniani estratti dalla pregevole edizione di Tutti i
dialoghi del 2006. In particolare: La vita felice, L'ordine, i Soliloqui,
L'immortalita' dell'anima, Il libero arbitrio, Il maestro. E' sempre l'ora
di rileggere Agostino.

8. RIEDIZIONI. GEORGE BERKELEY: OPERE FILOSOFICHE
George Berkeley, Opere filosofiche, Utet, Torino 1996, Mondadori, Milano
2009, pp. 708, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). A
cura di Silvia Parigi, il Saggio per una teoria della visione, il Trattato
sui principi della conoscenza umana, i Tre dialoghi tra Hylas e Philonous,
alcuni articoli pubblicati sul "Guardian" nel 1713, Sul movimento, la
corrispondenza filosofica del 1729-1730 col suo seguace americano Samuel
Johnson, la Teoria della visione difesa e chiarita, e dulcis in fundo la
sconcertante Siris (che si chiude con una citazione ciceroniana dalle
Filippiche che suona: "Cuiusvis est errare, nullius nisi insipientis in
errore perseverare"). Chi si rivede, il vescovo Berkeley: schiacciato nella
frettolosa manualistica scolastica tra Locke e Hume; non lievemente
bistrattato dal suo maggior studioso italiano Mario Manlio Rossi nelle cui
traduzioni e sulle cui monografie lo studiammo nella nostra lontana
gioventu'; recuperato borgesianamente da Mariapaola Fimiani... resta per
piu' aspetti un enigma, dai tratti non di rado imbarazzanti. E merita di
esser letto ancora.

9. RIEDIZIONI. AUGUSTE COMTE: CORSO DI FILOSOFIA POSITIVA. LEZIONI XLVI-LX
Auguste Comte, Corso di filosofia positiva. Lezioni XLVI-LX, Utet, Torino
1967, Mondadori, Milano 2009, pp. 1442, euro 12,90 (in supplemento a vari
periodici Mondadori). Curata da Franco Ferrarotti, la parte maggiore e
decisiva dell'opera fondamentale di Comte. So che non e' bello dirlo - amava
concionare Annibale Scarpone quando all'osteria di Iaiotto tra una trincata
e l'altra noi simposiasti si cercava di dare un tono ai nostri etilici
incontri e capitava a taglio del positivista l'opra - ma del povero Comte
non ho mai sopportato ne' la scrittura ne' la presunzione, che da lontano un
miglio sanno di lucida minuziosa follia e di anticipazione dei totalitarismi
che verranno il secolo dopo. Ma so di essere ingiusto, e forse dovrei
decidermi, dopo cosi' tanti anni, a rileggerlo finalmente, e dato che se ne
fe' garante Ferrarotti... (e qui corale lo interruppe un "prosit!", e tutti
i lieti calici levammo. Cosi' passiamo le nostre nottate, qui da Iaiotto,
mentre il mondo invecchia ed ogni nostro involucro si desquama e vanisce).

10. RIEDIZIONI. PRIMO LEVI: OPERE (VOLUME II)
Primo Levi, Opere (volume II), Einaudi, Torino 1997, Gruppo Editoriale
L'Espresso, Roma 2009, pp. LII + da 570 a 1336 (in supplemento a "La
Repubblica" e "L'espresso", a euro 9,90 oltre il costo del periodico). In
questo secondo tomo della riedizione della classica edizione curata da Marco
Belpoliti delle Opere di Primo Levi che meritoriamente "Repubblica" e
"L'Espresso" mandano in edicola, ci sono Vizio di forma, Il sistema
periodico, La chiave a stella e un'ampia scelta di pagine sparse dal 1946 al
1980. Una lettura indispensabile.

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 720 del 3 febbraio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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