Intervista a Stedile sulla congiuntura politica brasiliana: Serra rappresenta la borghesia e il ritorno del neoliberismo



Title: Intervista a Stedile sulla congiuntura politica brasiliana: Serra rappresenta la borghesia e il ritorno del neoliberismo
www.comitatomst.it <http://www.comitatomst.it>  - Intervista a J.P.Stedile


 
Serra rappresenta la borghesia e il ritorno del neoliberismo

Intervista A João Pedro Stedile sulla congiuntura politica   brasiliana e le prossime elezioni, la politica  internazionale del governo Lula, il ruolo dello Stato in Brasile, la democrazia e i mass media, la lotta politica e quella sociale, il ruolo di partiti e sindacati,  le prospettive per i giovani delle città, le possibilità di realizzare la riforma agraria   (intervista di Nilton Viana)
Brasil de Fato – edição 389 – de12/18 agosto 2010
 
“La vittoria di Dilma (Pt) permetterà uno scenario e rapporti  di forze più favorevoli  per progredire nelle conquiste sociali, compresi cambiamenti nella politica agraria” dice Stedile.  La candidatura di José Serra (PSDB) rappresenta il nucleo centrale degli interessi della borghesia e il ritorno del neoliberismo. Questa è la valutazione di  João Pedro Stedile. Nella sua prima intervista a Brasil de Fato, il dirigente nazionale del MST e della Via Campesina constata che, nell’attuale scenario elettorale, i candidati non stanno discutendo programmi, progetti per la società. Ma, secondo lui, rappresentano chiaramente interessi diversi di forze sociali organizzate. In questo senso, Stedile afferma che Serra rappresenta gli interessi della borghesia internazionale, della borghesia finanziaria, degli industriali di São Paulo, del latifondo arretrato, con Katia Abreu coordinatrice delle finanze, e dei settori dell’agrobusiness dell’etanolo. E, di fronte a questo scenario, sostiene che “come militanti sociali e come movimenti sociali abbiamo l’obbligo politico di sconfiggere la candidatura di Serra”.

 
Brasil de Fato – Con l’instaurazione del modello neoliberista, le banche e il capitale finanziario hanno accresciuto i loro profitti e dirigono di fatto l’economia del Brasile, che si basa su una politica di alti interessi, contenimento dell’inflazione, stretta fiscale e  politica di esportazioni. Quali sono le conseguenze di questo modello?

João Pedro Stedile – Stiamo vivendo la tappa del capitalismo che si è internazionalizzato, domina tutta l’economia mondiale sotto l’egemonia del capitale finanziario e delle grandi corporation che operano a livello internazionale. Il mondo è dominato da 500 grandi imprese internazionalizzate che controllano il 52% del PIL mondiale e danno lavoro soltanto all’8% della classe lavoratrice. Le conseguenze, a livello mondiale, sono un disastro, poichè tutta la popolazione e i governi nazionali devono essere subordinati a questi interessi, i quali non rispettano più nulla pur di poter mantenere e accrescere i propri  tassi di interesse.
I loro metodi vanno dall’appropriazione delle ricchezze naturali, all’uso delle guerre per mantenere il controllo delle fonti di energia  e degli Stati e impadronirsi del plusvalore sociale o  risparmio collettivo, attraverso gli interessi che gli stati pagano alle banche.
In Brasile, la logica è la stessa, con una aggravante, essendo un’economia molto grande e dipendente dal capitale straniero. Qui, il processo di concentrazione di capitale e ricchezza è ancora più grande. Questa è la ragione strutturale del perchè – nonostante siamo l’ottava economia mondiale per volume di ricchezze – stiamo al 72° posto per le condizioni medie di vita della popolazione e siamo al quarto posto tra i paesi del mondo, rispetto alla disuguaglianza sociale.  Pertanto, questa fase del capitalismo, invece di svolgere un ruolo progressista nello sviluppo delle forze produttive e sociali, come è stato per la tappa del capitalismo industriale,  porta a livelli di concentrazione e disuguaglianza che non fanno che aggravare i problemi sociali.
 
Anche con l’elezione di governi più progressisti, lo Stato brasiliano conserva il suo carattere antipopolare, senza realizzare cambiamenti  profondi che risolvano i problemi strutturali del paese. Come valuta la democrazia e lo Stato in Brasile?

Prima di tutto, c’è una logica naturale del funzionamento dell’accumulazione e dello sfruttamento del capitale, che oltrepassa governi e leggi. Secondo, nel periodo neoliberista, quel che il capitale ha fatto è stato proprio questo, privatizzare lo Stato. Ossia, la borghesia ha trasformato lo Stato nel suo ostaggio, in modo tale che agisca soltanto in funzione dei suoi interessi economici. E lo ha mandato in malora nelle aree delle politiche pubbliche dei servizi che servono a tutta la popolazione, come l’educazione, la sanità, i trasporti pubblici, la casa ecc. Per esempio, abbiamo 16 milioni di analfabeti, alfabetizzarli costerebbe, al massimo, 10 miliardi di reais. Sembra molto – lo Stato, con tutto il suo apparato giuridico impedisce di spendere questo denaro – ma rappresenta due settimane di pagamento degli interessi dello Stato nei confronti delle banche.  Costruiamo viadotti e strade in settimane, ma  risolvere il deficit di abitazioni popolari è impossibile? Mancano ancora 10 milioni di case per il popolo.
Infine, la società brasiliana non è democratica. Noi ci illudiamo con le libertà democratiche di manifestazione, che abbiamo conquistato contro la dittatura, che sono state importanti. Ma la vera democrazia è garantire a ciascuno e a tutti i cittadini diritti e opportunità uguali, di lavoro, reddito, terra, educazione, abitazione e cultura. Anche quando eleggiamo governi progressisti, essi non hanno forza sufficiente per cambiare le leggi del mercato e la natura della Stato borghese.
 
In politica internazionale, il governo Lula ha investito nella relazione con paesi dell’emisfero Sud, con il rafforzamento del Mercosul e della Unasul, per esempio.  Come valuta questa politica e quali sono i suoi limiti?

Il governo Lula ha fatto una politica estera progressista, nell’ambito delle relazioni politiche di Stato. E una politica degli interessi delle imprese brasiliane, nei suoi aspetti economici. Facendo un confronto con le politiche neoliberiste di Cardoso, che erano totalmente assoggettate agli interessi dell’imperialismo, si è trattato di un enorme passo avanti, poichè abbiamo avuto una politica sovrana, decisa da noi. In politica, si sono rafforzati i legami con i governi latini e da qui è nata Unasul per l’America del Sud e la Comunità degli  Stati Latino-americani e Caraibici (CELAC) per l’intero continente, escludendo gli Stati Uniti e il Canada. Questi due organismi rappresentano la fine della OEA (Organizzazione degli Stati Americani), sempre troppo tardi. In economia si sono rafforzati i legami economici con i paesi del Sud. Ma dobbiamo ancora andare avanti nella costruzione di una integrazione continentale che sia a favore dei popoli e non solo delle imprese brasiliane o messicane e argentine. Una integrazione popolare latino-americana nell’ambito dell’economia sarà il rafforzamento della Banca del Sud, per sostituire il FMI, della Banca dell’ALBA per sostituire la Banca Mondiale e la costruzione di una moneta unica latino-americana, come è proposto dall’ALBA con il SUCRE, per uscire dalla dipendenza del dollaro. Se vogliamo indipendenza e sovranità economica, nelle relazioni internazionali e latino-americane, è fondamentale impegnare energie per sconfiggere il dollaro. Il dollaro è stato il frutto della vittoria USA nella seconda guerra mondiale ed è stato in questi decenni il principale meccanismo di spoliazione di tutti i popoli del mondo.  Rispetto a una questione più generale, il presidente Lula ha ragione: Le Nazioni Unite non rappresentano gli  interessi dei popoli e per questo è una sciocchezza che il Brasile sogni di averne la presidenza. Quello che dobbiamo fare è costruire nuovi e più rappresentativi organismi internazionali. Ma questo non dipende da proposte o volontà politica. Dipende da un nuovo rapporto di forze a livello mondiale. Dal fatto che i governi progressisti siano maggioranza e oggi non è così.
 
Il sistema di tv e radio è molto concentrato in Brasile, rispetto ad altri paesi dell’America Latina. Che conseguenze comporta questo nella lotta politica?

Durante il XX secolo, egemonizzato dalla democrazia repubblicana e dal capitalismo industriale, che ha prodotto una società di classi ben definita, la riproduzione ideologica della borghesia avveniva attraverso i partiti politici, le chiese, i sindacati e le associazioni di classe. Ora, nella fase del capitalismo internazionalizzato e finanziario, la riproduzione dell’ideologia dominante avviene attraverso i mezzi di comunicazione, specialmente reti di tv e agenzie internazionali di notizie. La borghesia ha messo da parte gli altri strumenti e privilegia questi, dei quali detiene il controllo totale. Per questo, in Brasile, in America Latina e in tutto il mondo, i mezzi di comunicazione sono sotto il controllo assoluto delle borghesie, che li usano come mezzo di riproduzione ideologica, come fonte di denaro e come forma di manipolazione politica. E poichè i padroni sono internazionalizzati, i loro programmi sono anch’essi centralizzati. Per questo, la costruzione di un regime politico più democratico, anche all’interno del sistema capitalistico, dipende fondamentalmente dalla democratizzazione dei mezzi di comunicazione. Questo è fondamentale per garantire il diritto di accesso a una informazione onesta e impedire la manipolazione delle masse. E i governi dovrebbero cominciare eliminando la pubblicità di stato, a qualsiasi livello, su qualsiasi mezzo di comunicazione. E’ una vergogna quel che si spende in pubblicità ufficiale. In   Paraná, per avere un’idea, in otto anni di governo Lerner [1995-2002], lo Stato ha speso più di un miliardo di reais in pubblicità con due o tre gruppi di comunicazione.
 
Le grandi città brasiliane affrontano problemi come mancanza di abitazioni, di fogne, scuole, ospedali, oltre ai problemi del traffico e della violenza. Come analizza la questione urbana?   
La maggior parte della popolazione si concentra nelle grandi città e lì sono concentrati anche i poveri e i maggiori problemi che derivano da questo modello capitalista e di uno Stato che agisce solo a favore dei ricchi. I poveri delle grandi città  si ammucchiano nelle periferie, non hanno diritto alla casa, alla scuola, a un trasporto pubblico decente, al lavoro, a un reddito, nè allo svago. In questo contesto, è evidente che il sistema genera un ambiente propizio al narcotraffico e alla violenza sociale.
 
E lo Stato, che cosa ha fatto attraverso governi di diverso orientamento?  

L’unica risposta è stata la repressione. Più polizia, più violenza, più prigione. Le prigioni sono piene di poveri, giovani, mulatti o negri. C’è una situazione insostenibile di tragedia sociale. Tutti i giorni assistiamo alle assurdità provocate dalla disuguaglianza sociale, dal disinteresse dello Stato e dalla truculenza del capitale. Le statistiche sono spaventose: 40.000 assassinati all’anno nelle grandi città, la gran parte dalla polizia. Per questo i movimenti sociali hanno appoggiato la campagna per il  disarmo. Ma la forza delle imprese produttrici di armi ha finanziato deputati, campagne ecc e il popolo è caduto nell’illusione che il problema della violenza urbana si risolva avendo il diritto di possedere armi. Credo che la povertà e la disuguaglianza nelle grandi città brasiliane siano i problemi sociali più gravi che abbiamo. Purtroppo, nessun candidato sta discutendo di questo, nemmeno quando l’argomento trattato è quello del promettere sicurezza! Sicurezza per chi? Le famiglie hanno bisogno di sucurezza del lavoro, del reddito, della scuola per i figli.
 
Nelle elezioni presidenziali, due candidature polarizzano la disputa, mentre le altre non hanno la forza per cambiare la situazione. In questa congiuntura, chi offre migliori prospettive per la classe lavoratrice e la riforma agraria?  

I candidati non stanno discutendo di programmi, progetti per la società. Ma le candidature rappresentano chiaramente interessi diversi di forze sociali organizzate. Serra rappresenta gli interessi della borghesia internazionale, della borghesia finanziaria, degli industriali di   São Paulo, del latifondo arretrato, con Katia Abreu coordinatrice delle finanaze e dei settori dell’agrobusiness dell’etanolo.  Dilma rappresenta settori della borghesia brasiliana che hanno deciso di allearsi con Lula, settori più  aperti dell’agrobusiness, la classe media più cosciente, e praticamente tutte le forze della classe lavoratrice organizzata. Nonostante tutta la popolarità di Lula, in questa campagna Dilma ha raccolto più forze della classe lavoratrice rispetto alle elezioni del 2006. La candidatura di Marina rappresenta solo settori ambientalisti e della classe media dei grandi centri e per questo il suo potenziale elettorale non decolla. Ci sono poi tre candidature di partiti di sinistra, con compagni con una biografia rispettabile di impegno con il popolo ma che non sono riusciti a riunire intorno a loro forze sociali e quindi il loro peso elettorale sarà piccolo. In questo scenario, noi pensiamo che la vittoria di Dilma creerà una situazione e un rapporto di forze più favorevole e avanzeremo rispetto alle conquiste sociali, compresi dei cambiamenti nella politica agricola e agraria. E’ chiaro che, in questo scenario, abbiamo previsto la possibilità di un ambiente propizio per una maggiore mobilitazione sociale della classe lavoratrice come un tutto, per ottenere conquiste. Come militanti sociali e come movimenti sociali abbiamo l’obbligo politico di sconfiggere la candidatura di Serra, che rappresenta il nucleo centrale degli interessi della borghesia e il ritorno del neoliberismo.
 
Il MST ha sempre sostenuto che la lotta elettorale non è sufficiente per la realizzazione dei cambiamenti sociali. D’altro lato, sostiene che si tratta di un momento importante nel dibattito politico. Come parteciperà il MST a queste elezioni ?

La sinistra brasiliana, i movimenti sociali e politici sono ancora storditi per la sconfitta politico-ideologica-elettorale che abbiamo subito nel 1989. Questo ha portato a grande confusione e anche ad alcuni errori di settori della classe. Viviamo un periodo della storia della lotta di classe del nostro paese – e potremmo dire a livello internazionale, nella maggioranza dei paesi – in cui la strategia per riuscire ad accumulare forze per i cambiamenti sociali è la combinazione della lotta istituzionale con la lotta sociale. Nella lotta istituzionale, comprendiamo la visione gramsciana, nella quale gli interessi della classe lavoratrice devono competere e conquistare l’egemonia nella lotta  per il governo, a tre livelli: municipale, statale e federale, negli spazi della conoscenza, dell’università, dei mezzi di comunicazione; nei sindacati, nelle chiese e nelle altre istituzioni della società di classe. La  lotta sociale sono tutte le forme di mobilitazione di massa, che rendono possibile lo sviluppo della coscienza di classe e la conquista di migliori condizioni di vita – sapendo che esse dipendono dalla sconfitta degli interessi del capitale.  Cosa è successo nell’ultimo periodo? Parte della sinistra e della classe lavoratrice ha messo al primo posto la lotta istituzionale per il governo e ha messo da parte la lotta sociale. E parte dei movimenti sociali, delusa dalla crisi ideologica, ha rifiutato la lotta istituzionale, come se la lotta diretta, di massa, fosse sufficiente. Solo la lotta sociale, senza lottare per un progetto politico nella società e senza lottare per la direzione istituzionale dello Stato, non riesce ad accumulare forze per la classe. Si possono,  probabilmente, risolvere problemi specifici della classe, ma non si modifica  la natura strutturale della società. Il MST comprende che dobbiamo agglutinare, combinare, stimolare le due forme di lotta, stabilmente. Perchè, in questo modo, possiamo accumulare forze, organizzate, di massa, in modo organico, per costruire un progetto politico della classe e allo stesso tempo condizioni per una nuova crescita del movimento delle masse, poichè questo è il periodo storico in cui la classe ha le condizioni di andare all’offensiva, di assumere l’iniziativa politica, di proporre i propri temi a tutto il popolo. Per questo, è chiaro che ogni militante del MST, come cittadino consapevole, deve rimboccarsi le maniche e aiutare a eleggere i candidati più progressisti a tutti i livelli. Questo è un dovere del nostro impegno con la classe.
 
Dai tempi del governo Cardoso, José Serra ha fatto dichiarazioni contro la riforma agraria e il MST. Ma nelle ultime settimane sta intensificando gli attacchi. Secondo lei, perchè sta agendo in questo modo?

Per due motivi. Prima di tutto, perchè le forze sociali che egli rappresenta ora, come maggior portavoce, sono le forze della classe dominante del campo e della città, che sono contro gli interessi dei contadini, della classe lavoratrice in generale e del popolo brasiliano. Pertanto egli è contrario alla riforma agraria non perchè non gli piaccia il MST ma per un problema di interesse di classe.
In secondo luogo, secondo me, è che il coordinamento tucano pensa che l’unica possibilità, per Serra, di crescere elettoralmente è adottare un discorso di destra, per polarizzare e quindi mostrarsi più affidabile di Dilma. Per questo ha deciso di colpire tutte le icone della sinistra. Se la prende con noi, con Fidel, con Cuba, con Chavez, Morales, perfino con il vescovo Lugo. Ha anche fatto cenno ad una relazione tra le FARC e il Pt, assurda. Sa bene che il partito è più vicino alla socialdemocrazia. Non è per ignoranza, è per tattica elettorale che lo fa. Io penso sia una tattica sbagliata e resterà ostaggio del suo discorso di destra, senza conquistare altri voti. Comunque penso sia una buona cosa che si presenti come uomo di destra. Aiuta a chiarire gli interessi di classe dei vari candidati. E per questo perderà con uno scarto maggiore rispetto a quello di Alckmin nei confronti di Lula nel 2006.
 
Attualmente, il movimento sindacale sta facendo una lotta per la riduzione della giornata lavorativa, ma è diviso in una serie di centrali sindacali. Quali sono i problemi e le sfide della lotta sindacale oggi?  
Non ho la pretesa di dare lezioni a nessuno. Ci sono valorosi compagni che operano nella lotta sindacale,  che possiedono molti elementi per analizzare la situzione dell’organizzazione di classe. I problemi e le sfide dell’organizzazione sindacale sono evidenti, ma non stanno nel numero dei sindacati o delle centrali. Questo, al contrario, si potrebbe anche vedere come segno di vitalità, giacchè correnti sindacali sono sempre esistite, sono importanti e agglutinano forze di varie correnti ideologiche. Le sfide dell’unità della classe nei sindacati passano dalla necessità di recuperare il lavoro di base, l’organizzazione, di tutta la classe, nel luogo di lavoro e in quello di vita. Nessuno vuol più fare riunioni ai cancelli delle fabbriche, o nelle fabbriche (anche in forma clandestina come succedeva ai tempi di Lula). Dobbiamo recuperare il senso della lotta di massa come unica espressione della forza della classe. Dobbiamo recuperare la discussione sui temi politici correlati con un programma per la società, che estrapoli le richieste salariali e corporative. Dobbiamo recuperare l’importanza del fatto che il movimento sindacale abbia i suoi mezzi di comunicazione di massa. Saluto l’arrivo della televisione dei lavoratori nell’ABC di San Paolo. Ma avremmo avuto necessità di averla prima e in tutte le regioni metropolitane. Dobbiamo recuperare la formazione di militanti della classe lavoratrice a tutti i livelli. Senza conoscenza, senza teoria, non ci saranno cambiamenti. E, con queste iniziative, certamente potremo costruire un processo di maggiore unità, visto che gli interessi della classe come un tutto saranno il denominatore comune e di risalita del movimento delle masse.
 
Un gruppo di dirigenti e studiosi valuta che la società brasiliana è passata per una trasformazione e sindacati e partiti politici non sono sufficienti ad organizzare il popolo brasiliano, in particolare con la crescita della informalità e che quindi sarebbe necessario costruire strumenti nuovi per la lotta politica. Come valuta le sfide organizzative della classe lavoratrice?  
Le forme di organizzazione della classe in partiti, sindacati e associazioni di quartiere sono state sviluppate dalla classe come risposte allo sviluppo dello sfruttamento da parte del capitalismo industriale, dai tempi di Marx ad oggi. Penso che il  problema non è mettersi ad analizzare se serve o no, buttare tutto via e pensare a strumenti nuovi. Ogni momento storico ha le sue forme di organizzazione, le sue forme di lotta di massa e produce i suoi leader. Stiamo vivendo un periodo di sconfitta politico-ideologica che ha generato crisi ideologica e organizzativa nella classe. Un periodo di riflusso del movimento di massa. Ma questo fa parte di un periodo, di un’onda. Presto entreremo in periodi nuovi. Penso che la cosa principale non sia discutere la forma, ma cercare di organizzare in tutti i modi possibili tutti i settori della classe lavoratrice. E, evidentemente,  la forma sindacale o partitica non sta riuscendo ad arrivare alla gioventù povera, della classe lavoratrice delle periferie. E dobbiamo scoprire nuovi metodi e nuove forme. Le forme possono avere etichette diverse, nomi diversi ma la cosa più importante è che la classe ha bisogno di avere una organizzazione politica  per lottare per dei progetti  per la società. E i problemi di organizzazione si risolvono organizzando. La pratica è la migliore consigliera, rispetto alle grandi tesi, in questo caso.
 
All’interno di un modello egemonizzato dalle banche e dal capitale finanziario, con l’indebolimento dell’industria, basato sul consumo di massa, quasi sono le prospettive di futuro per la gioventù?

La gioventù povera, della classe lavoratrice urbana, non ha spazio in questo modello di dominazione del capitale finanziario e internazionalizzato. Neanche nei paesi definiti  ricchi, come l’Europa, dove la disoccupazione raggiunge il 40% della gioventù. Il futuro della gioventù sta nello sviluppo di una coscienza come classe lavoratrice.  Se guardano a se stessi semplicemente come giovani e senza opportunità, non troveranno le risposte, diventeranno vecchi senza trovare risposte. Dobbiamo sviluppare la coscienza di classe e motivarli perchè si mobilitino, lottino. E siccome stanno fuori dalle fabbriche, dalla scuola, dobbiamo sviluppare nuove forme di lavoro politico con la gioventù, che la aiuti a discutere, a organizzarsi, perchè scoprano che il futuro è adesso. Ho speranze, c’è una massa enorme della gioventù urbana che sta in silenzio. O ancora alienata, illusa. Alcuni tentando di entrare nel mercato del consumo, come se fosse la felicità generale. Presto si renderanno contro che devono avere un attegiamento, una partecipazione attiva nella società.

Il MST sta valutando che la riforma agraria non è avanzata durante il governo Lula, perchè?

Bisogna aver chiaro il concetto e il significato della riforma agraria. Riforma agraria è una politica pubblica sviluppata dallo Stato, per democratizzare la proprietà della terra e garantire l’accesso a tutti i contadini che vogliano lavorare la terra. Dal punto di vista storico, è nata da una alleanza tra borghesia industriale al potere e i contadini che avevano bisogno di terra per uscire dallo sfruttamento dei latifondisti. E, così, la maggioranza delle società moderne ha fatto la riforma agraria a partire dal secolo XIX e lungo il secolo XX. Poi ci sono state le riforme agrarie popolari e socialiste, che sono state fatte da governi popolari o rivoluzionari, nell’ambito di altri mutamenti sociali. Qui in Brasile non c’è mai stata la riforma agraria. La borghesia brasiliana non ha mai voluto democratizzare la proprietà della terra, ha preferito mantenere l’alleanza con i latifondisti perchè continuassero a esportare materie-prime (e così avrebbe usato i dollari dell’esportazione per importare macchinari) e soprattutto ha preferito che i contadini fossero espulsi dal campo e andassero nelle città, per creare un ampio esercito industriale di riserva che ha mantenuto, per tutto il XX secolo, i salari industriali più bassi che in tutte le economie industriali del mondo. E i contadini brasiliani non hanno mai avuto le forze, nè da soli nè alleati con i lavoratori della città, per imporre una riforma agraria ai latifondisti.  Siamo arrivati vicino alla riforma agraria nel 1964 e avevamo un grande programma di riforma agraria in alleanza con il governo Goulart. La risposta della borghesia è stata allearsi con l’Impero e imporre la dittatura militare di classe. Le politiche dei governi in Brasile e del governo Lula sono state di insediamenti rurali, ossia qui e là, per la forza della pressione contadina si espropriano alcune fazendas per alleviare i problemi sociali, ma questo non è la riforma agraria, tanto che il censimento dell’IBGE del 2006 ha rivelato che, oggi, la concentrazione della proprietà della terra è maggiore che nel censimento del 1920, quando eravamo da poco usciti dalla schiavitù.  E nel governo Lula non abbiamo avuto spazio per discutere un vero processo di riforma agraria e non abbiamo avuto la forza delle masse per fare pressione su governo e società. Per questo, l’attuale politica di insediamenti è insufficiente da un lato, ma riflette il rapporto di forze politiche che esiste nella società. Ci dispiace solo che alcune forze all’interno del governo illudano se stesse facendo propaganda o ritenendo realmente che questa politica di insediamenti – insufficiente – sia la riforma agraria.
 
Alcuni studiosi e settori sociali, anche a sinistra, valutano che il tempo della riforma agraria è superato in Brasile. Qual è il ruolo della riforma agraria all’interno dell’attuale stadio di sviluppo?  

É vero, anche noi diciamo questo. Non c’è più spazio per una riforma agraria classica, che mirava solo a distribuire terre ai contadini e loro avrebbero prodotto con le loro forze e la loro famiglia, per il mercato interno. Questo modello era praticabile all’apogeo dello sviluppo nazionale e del capitalismo industriale. Ma non è oggi praticabile, non perchè il MST lo rifiuti ma perchè le forze politiche e sociali che avrebbero potuto essere interessate non lo sono più. Se ci fosse un rivolgimento nelle classi che dominano il Brasile e un nuovo progetto di sviluppo nazionale e industriale entrasse nel programma politico, allora la riforma agraria classica avrebbe un suo spazio. Ma non è questo che si vede all’orizzonte. Quindi qual’è l’alternativa oggi?  E’ lottare per un nuovo tipo di riforma agraria, una riforma agraria che chiamiamo popolare, che il movimento dei piccoli agricoltori chiama Piano Contadino, che la stessa Contag e la Fetraf chiamano agricoltura familiare. Sono etichette diverse per un contenuto simile. Ossia,  noi dobbiamo riorganizzare il modello di produzione agricola del paese. Noi vogliamo usare la nostra natura per una agricoltura diversificata, legando le persone all’ambiente rurale, migliorando le loro condizioni di vita, eliminando il latifondo (solo le proprietà superiori ai 1500 ettari), adottando tecniche di produzione biologica, rispettose dell’ambiente e, soprattutto, producendo alimenti sani per il mercato interno. La nostra proposta di riforma agraria popolare, quindi, dipende da un nuovo modello di sviluppo che comprenda la distribuzione del reddito, la sovranità nazionale, la rottura con il dominio del capitale straniero sull’agricoltura e sulla natura.
 
Come può la riforma agraria migliorare l’insieme della società, specialmente per la popolazione delle città?

La riforma agraria e la possibilità che le persone restino nelle campagne sono fondamentali per ridurre la disoccupazione nella città e elevare i livelli del salario minimo e la media salariale. La borghesia sa solo pagare salari bassi e aumenta il numero di impiegati domestici, perchè tutti i giorni arrivano migliaia di nuovi lavoratori che si offrono per essere sfruttati. La riforma agraria è l’unica che può produrre senza veleni. La grande proprietà dell’agrobusiness riesce a produrre solo con veleni, perchè non vuole manodopera, e i veleni vanno nello stomaco di tutti noi. Nell’ultima raccolta sono stati utilizzati un miliardo di litri di veleni, 6 litri a persona, 150 litri per ettaro. Una vergogna, un attentato. La riforma agraria aiuta a risolvere il problema delle abitazioni e dell’esplosione delle città. Porta anche un riequilibrio nell’ambiente e quindi avremo meno mutamenti climatici che stanno colpendo oggi con più forza le città. Basta vedere cosa è successo nel nordest. In un giorno 13 città sono state   spazzate via dalla mappa, dalle pioggie torrenziali.  Non è stata colpa della pioggia, ma piuttosto della monocultura della canna, che ha alterato l’equilibrio e ha spinto il popolo sulla riva del fiume. Ma questo solo il generale   Nelson Jobim l’ha visto e ha avuto il coraggio di dirlo. La Globo è stata tranquilla cercado di nascondere la cosa. Nessuna area di riforma agraria del Pernambuco e dell’Alagoas è stata colpita, come mai? E i nostri insediamenti sono stati i primi, prima del governo, a dare aiuto  alle persone coinvolte.
 
Perchè Via Campesina e il MST stanno realizzando proteste contro le grandi imprese dell’agrobusiness? Le occupazioni di terre non sono sufficienti o non servono più nella lotta per la riforma agraria?

Come ho già detto, ora lo scontro non è più soltanto tra i poveri senza-terra e i latifondisti. Ora, c’è uno scontro di modello per la produzione e l’uso dei beni della natura. Da un lato c’è l’agrobusiness, che rappresenta l’alleanza tra grandi proprietari, capitale finanziario, che li finanzia – rispetto a una produzione di 112 miliardi di reais, le banche ne anticipano 100 perchè possano produrre – le imprese transnazionali che controllano la produzione di fattori produttivi, sementi, il mercato nazionale e internazionale e le imprese dei media. E dall’altro lato, i senza-terra, i contadini con poca terra e l’agricoltura familiare in generale. E in questa disputa, il nostro nemico principale sono le banche e le imprese transnazionali. Quindi, facciamo lotta di classe contro i nostri nemici principali e allo stesso tempo dobbiamo continuare a lottare per migliorare le condizioni di vita, con nuovi insediamenti, abitazioni rurali, luce per tutti, programma di acquisto di alimenti da parte della Conab, nuovo credito rurale ecc. Queste misure, anche se settoriali, aiutano ad accumulare forza come classe.
 
Nei prossimi giorni, il MST realizzerà attività a favore della riforma agraria. Che tipo di mobilitazioni ci saranno e con quali obiettivi? Hanno qualche relazione con il periodo elettorale?

Il coordinamento nazionale del MST ha scelto da tempo questa settimana di metà agosto per realizzare una campagna nazionale di discussione intorno alla riforma agraria. E’ un momento di concentrazione di energie per sviluppare maniere diverse di  discussione e propaganda; per portare le nostre idee alla classe lavoratrice urbana, per denunciare i problemi e i danni che l’agrobusiness con i suoi veleni e la sua   furia concentratrice causa a tutta la società e, allo stesso tempo, mostrare i vantaggi di una riforma agraria popolare. Speriamo che i nostri militanti si impegnino in tutto il paese in queste giornate di coscientizzazione delle masse

(traduzione di Serena Romagnoli)