acqua rubinetti sicuri, ecco la mappa



da il saivagente/8-15 settembre 2005

ACQUA POTABILE: CHI PUÒ BERE TRANQUILLO

Rubinetti sicuri Ecco la mappa

pamela de pasquale

Le acque del Belpaese sono ancora "chiare, fresche et dolci" come le cantava Petrarca nel 1300, un'epoca che conosceva gli stenti ma non l'inquinamento? Complessivamente si può dire di sì, e le conforme arrivano dalla V Indagine nazionale sui servizio idrico appena realizzata dalla Federconsumatori in collaborazione con l'Arpa (l'Agenzia regionale prevenzione e ambiente) dell'Emilia Roma-gna. Una notizia confortante, per nulla scontata per molti consumatori. Quando si tratta di decidere quale acqua mettere nei proprio bicchiere, infatti, l'italiano medio ha un approccio tutto suo al problema. Siamo infatti il maggiore produttore mondiale di acque minerali: 11 miliardi di litri imbottigliati con un mercato che raggiunge i 3 miliardi di euro. Se quindi, da una parte, possiamo vantarci rispetto agli altri popoli europei di bere più sano (meno bibite zuccherate o gassate, meno calorie ad appesantire la dieta mediterranea), dall'altra permane una diffusa diffidenza verso l'acqua del rubinetto. E questo nonostante il costo aggiuntivo delle bollicine per il bilancio familiare, la scomodità di dover trascinare pesi su pesi fuori dal supennercato e il pericolo di avvelenamento causato dalle sostanze tossi-che iniettate nelle confezioni in plastica da qualche squilibrato. Troppo dura, eccessivamente inquinata, con troppi salì, le accuse sussurate o alimentate ad arte (soprattutto da chi trae profitto dal vasto mercato di depuratori domestici) sono molte. Ma a guardare tra le righe delle analisi di laboratorio le conferme sono davvero pochine. Anzi.

Buoni e cattivi

I dati forniti da Federconsumatori e Arpa sono quanto mai preziosi per analizzare nel dettaglio la situazione e poter compiere una mappatura ragionata di quanto erogato dai nostri acquedotti.

A essere state prese in considerazione, infatti, sono 49 città (a cui "II Salvagente" ha aggiunto Roma, con dati richiesti all'acquedotto capitolino), per un'indagine qualitativa basala sui metodi previsti dalla legge. Una griglia di valutazione schematica ma per nulla "tenera". Tra i parametri considerati fondamentali per dare un voto alle acque ci sono tanto gli indici di inquinamento (nitrati e ammoniaca, sia pure sotto forma di ione ammonio), che quelli relativi ad alcuni elementi chimici da tenere sotto controllo (ferro, manganese, ma anche sali come i cloruri e i solfati). Una griglia abbastanza indicativa, anche se mancano sostanze che da qualche anno provocano fondati timori anche nel comparto concorrenti delle minerali (uno su tutti; l'arsenico)

Il criterio di classificazione complessivo utilizzato, tra l'altro, è assai severo: la migliore qualità, quella definita dalla classe I, si conquista solo se tutte le analisi rientrano nel livello ottimale. Ne basta una "debole" per far scendere di posizione l'acqua nella "classifica" di qualità.Con questa griglia si può valutare la hit degli acquedotti italiani, che vede uscire a testa alta Benevento, Bergamo, Campobasso, Mantova, Teramo e Gorizia e Roma, che rientrano in classe I. La buona notizia, però, è che la valutazione complessiva dei dati pone la quasi totalità dei Comuni in classe II, ossia in una fascia di qualità più che apprezzabile. E che in buona parte dei casi le rendono indicate per tutta la popolazione, anche per le categorie più deboli di consumatori. Basti prendere a riferimento i nitrati, sostanze che testimoniano abbastanza fedelmente il grado di inquinamento della falda e che giustamente subiscono severi lìmiti di legge. Uno di questi  è relativo ai neonati che non dovrebbero bere acque con contenuto di composti azotati sopra i 10 mg/l  per litro per evitare il rischio moglobinemia, una malattia che riduce la capacità di trasporto dell'ossigeno nel sangue e può essere letale. Se si prende a riferimento questo limite ( comprendendo, dunque, tanto gli acquedotti classificati in fascia I che si attestano sotto i 5 mg/1 che quelli di classe II ma con nitrati entro i 10 mg/1) le acque che potrebbero essere utilizzate anche per sciogliere il latte in polvere al neonato sono due su tre (in 16 oltre-ssano infatti tale tetto). E se dai barmbini si passa agli adulti, il rubinetto accontenta degnamente le esigenze di 9 italiani su dieci, tante sono le classi 2 assegnate nella classifica.

Fanalini di coda

Tutto tranquillo e "trasparente", dunque? Non proprio. Tocca a Iinola. Lecce,Livorno , Parma e Piacenza contendersi la coda deella classifica, la classe III che dovrebbe mettere in guardia i consumatori ( ma anche i gestori). In questi casi causa dello scadimento qualitativo è sopratutto l'elevata concentrazione di nìtrati (a linola, Lecce e Piacenza addirittura superiori a30mg/l).discorso a parte va fatto per Crema, che si  classifica in classe O per le elevate concentrazioni di manganese, riconducibili ad origini naturali. Lecce, invece, pur avendo i cloniri in classe O, viene classificata in classe III per la presenza di mirati. A integrazione dell'analisi qualitativa, nell'indagine Arpa si può trovare anche una classificazione delle acque in relazione al grado di durezza durezza, cioè alla concentrazione di sali di calcio e magnesio. La durezza di un'acqua si misura in gradi francesi (°F): 1 °F corrisponde a 10 milligrammi per litro di idrocarbonato di calcio; dai 12 ai IS °F l'acqua è "dolce", dai 18 ai 30 "F "medio-dura", dai 30 ai 40 °F "dura" e oltre i 40 °F "molto dura". E anche qui bisogna smontare la vecchia e persistente convinzione popolare che dal rubinetto esca acqua "dura". La maggioranza dei Comuni esaminati presenta acque con caratteristiche di media durezza. Lucca, Modena, Napoli, Palermo, Parma, Piacenza e Reggio Emilia hanno acque "dure"; Imola, Lecce e Livorno "molto dure". Ben un terzo dei comumi (13 su 49 e Gorizia e Tarante solo per il 2001) distribuiscono invece acque "dolci".

II boom dei depuratori

Tra gli affezionati alla cara, vecchia acqua del rubinetto e coloro che simpatizzano con le ormai famose particelle di sodio imbottigliate nelle minerali, c'è una terza via: è quella dell'acqua fai-da-te, scelta da chi acquista un impianto domestico di depurazione. Grazie a massicci investimenti pubblicitari, gli italiani si sono definitivamente convinti che l'acqua imbottigliata è più buona e più sicura, e dunque se proprio bisogna ricorrere al rubinetto tanto-vaie purificare l'acqua che ne esce, con uno degli impianti che il mercato offre in abbondanza. Ce n'è per tutti i gusti e prezzi: si va dalle brocche a cartucce contenenti una combinazione di resine a scambio ionico e carbone attivato, che costano solo poche decine di euro, a prodotti che sfruttano il processo di osmosi inversa e vanno ammortizzati in un paio di anni di "bevute". Per un profano orientarsi è particolarmente difficile tra filtri e addolcitori d'acqua: non tutti' sanno infatti che i primi, senza una corretta manutenzione, rischiano di inquinare l'acqua fino a renderla non più potabile mentre i secondi agiscono chimicamente sull'acqua aumentandone la quantità di sodio. A questo si aggiunge il pressappochismo di alcune società che si sono buttate sul mercato all'ultimo momento in cerca di facili guadagni, commercializzando prodoni di dubbia qualità; contro di loro si è quasi subito scatenata una massiccia campagna mediatica (con la benedizione dalla potente lobby delle minerali, grande cliente pubblicitario) che ha finito col danneggiare anche chi aveva sempre lavorato seriamente.

Resta quindi da una parte la mancata informazione sull'elevata qualità delle nostre acque potabili e dall'altra la tentazione di cedere alle lusinghe di chi promette perfino che l'acqua trattata con i propri apparecchi farà durare di più i fiori in vaso. A chi proprio non può resistere al desiderio di farsi in casa la propria acqua da tavola intervenendo in qualsiasi modo su quella del rubinetto, vale la pena ricordare che un acquisto di impulso - come quelli sempre più frequentemente fatti in un settore dove domina il porta a porta - non è un'ottima premessa per una scelta corretta.

IN BOLLETTA

Aumenti in vista per le reti "bucate'

In un mondo in cui l'acqua si avvia a diventare non solo vita, ma anche crescente fonte di ricchezza per quei Paesi che ne dispongono in abbondanza e ne fanno un corretto utilizzo, da noi si fa ancora fatica a quantificare quale possa essere il giusto prezzo per poterne avere di limpida e buona che esca comodamente dai rubinetti di casa. In Italia la situazione delle tariffe e della gestione (al di là dell'isolato caso dell'Acquedotto pugliese e di pochissimi altri) è particolarmente frammentata ed eterogenea: abbondano i gestori e perfino i tempi di fatturazione coprono tutte le diverse scansioni temporali, dal bimestrale all'annuale.In generale, l'unica certezza è che negli ultimi anni il prezzo dell'acqua è andato gradualmente crescendo. È la stessa indagine Federconsumatori a rilevare che, oltre alle spese derivanti dagli adeguamenti agli obblighi di legge, i fattori che hanno inciso ed incidono sulle tariffe sono diversi: l'assetto idrogeologico, il numero dì utenti serviti, i chilometri di rete, il volume di acqua distribuita ed eventualmente acquistata, la sua qualità e servizio, gli investimenti, le perdite nella rete, i costi e la tipologia di gestione.

Del resto, siamo in un importante periodo di transizione, nel quale si sta lavorando al servizio idrico integrato (ossia all'integrazione funzionale di tutto il ciclo dell'acqua: distribuzione, raccolta e depurazione delle acque reflue), attraverso la costituzione degli Ato (Ambito territoriale ottimale), che opereranno in regime di monopolio. Laddove finora i prezzi erano stati fissati dalle delibere Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica, sarà d'ora in avanti possibile avere localmente più ampi margini di autonomia. "Ci aspettiamo presto aumenti significativi per le famiglie - ha dichiarato al Salvagente Mauro Zanini, vicepresidente nazionale della Federconsumatori - che potrebbero superare il 5 per cento annuo. Questo perché, nell'ultimo decennio, ci sono stati pochi investimenti nella rete idrica e la situazione delle condutture è quindi gradualmente peggiorata". Prova ne è il 26,7 per cento dell'acqua che va perduta sull'intero territorio nazionale, con la punta record dell'80 per cento di Campobasso. Secondo Zanini crescerà anche il prezzo dell'acqua per l'agricoltura, che è poi l'attività produttiva a maggior consumo, con un aumento che andrà a gravare soprattutto sui produttori, già messi in ginocchio dalle bizzarrie del clima e dal caro-greggio. Ma c'è di più. Occorre vigilare con sempre maggior attenzione sui gestori, che spesso sono società partecipate dal Comune: con la quotazione in borsa delle più importanti, si rischia il venir meno della logica di servizio pubblico in favore di un più facile profitto, con danni per gli utenti e per l'ambiente. Per venire incontro ai consumatori, invece, le azioni da intraprendere sono di segno opposto: si va dalla omogeneizzazione delle tariffe (prevedendo agevolazioni per le fasce più deboli e per le famiglie numerose), alle iniziative per l'educazione a un consumo responsabile. Scorrendo le cifre dell'indagine si scopre che ciò che costa meno non necessariamente viene sprecato: basti per tutti l'esempio Milano dove le basse tariffe vanno a braccetto con i bassi consumi. Un'ennesima conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, che sono sempre più lontani i tempi della "Milano da bere" !

Una giungla di tariffe che divide la Penisola

Per i consumi essenziali (la cosiddetta fascia agevolata), dall'indagine emerge un enorme divano tra le varie città. A sorpresa, la tariffa più economica al metro cubo nella prima fascia è quella di Milano con 0,084 centesimi di euro per metro cubo, seguono Piacenza con 0,087 centesimi di euro/me e a Venezia con 0,089 centesimi di euro; la città più cara è invece Ferrara 0,670 centesimi di euro, seguita da Ravenna con 0,587 centesimi di euro, Forlì con 0,552 centesimi di euro e Cesena con 0,510, rispetto ad una media nazionale di 0,310 centesimi di euro/me. Nella seconda fascia (tariffa base), le variazioni vanno da un minima di 0,134 centesimi di euro/me registrati a Milano, seguita da Lecco con 0,163 centesimi di euro, ad un massimo di 0,956 centesimi di euro/me a Cesena, con una media di 0,506 centesimi/mc. mentre la Capitale - con 0,368 centesimi di euro/me - si colloca addirittura sotto la media nazionale. Nella terza fascia, Cesena si riconferma ta città con la tariffa più cara con 1,731 euro/me; a seguire c'è Bologna con 1,408 centesimi di euro/me, mentre la tariffa più economica si registra ancora a Milano con 0,232 centesimi di euro/me, poi a Crema con 0,263 e Lecco con 0,266 rispetto a una media nazionale di 0,770 centesimi di euro/me. Anche il noleggio dei contatori  ha subito, dal 2001 al 2004, degli aumenti notevoli e in qualche caso il prezzo è stato ritoccato perfino durante il medeasimo anno. La media nazionale è passata 6,471 euro/anno nel 2001 a 11,277 euro/anno nel 2004, e al costo base si deve agg sempre il 10 per cento di Iva. In questo quadro spiccano, inquietanti, i casi di Alessandria e Asti che soltanto nel 2003 hanno registrato degli aumenti pari rispettivamente al 769,57 per cento e al 688,85 per cento.

Il consumo medio annuo di acqua in Italia per unità abitativa risulta tra le città campione di 163,5 mc di acqua; ma è Verona a consumarne di più (429 mc) seguita da Monza con i suoi 250-300 mc e Bergamo con 250 mc/anno. Nel 2004 la media nazionale di spesa per il medesimo consumo - considerando la quota fissa, l'Iva, il costo del servizio di depurazione e fognatura - si è attestata sui 214,22 euro con un aumento dello 0,03 per cento. La quota fissa, cioè quel forfait annuale che l'utente doveva pagare ogni anno indipendentemente dal consumo, e che quindi lo portava a consumare anche oltre il necessario, è stata eliminata quasi in tutte le città esaminate.