Senzafamiglia. L'orgoglio della diversità



Senzafamiglia. L'orgoglio della diversità

Quest’anno il Pride di Torino, la giornata dell’orgoglio glbtq, aveva come tema la famiglia. Su questa questione si è aperto un dibattito che ha portato all’elaborazione dell’appello per lo spezzone “FAMoLO!”, quello dei “senza famiglia”. Il FAMoLo! ha raccolto numerose adesioni, riuscendo portare nel Pride una riflessione sull'ambivalenza insita nella richiesta di riconoscimento da parte dello Stato delle relazioni, degli affetti, della solidarietà, del mutuo appoggio tra persone, tra adulti e bambini. Il prezzo dei «diritti» rischia di essere la libertà di percorsi identitari che non vogliono adattarsi al modello «coppia con bambini».
Qui qualche foto

Di seguito il testo che abbiamo distribuito ieri al Pride.
Libertà, uguaglianza, solidarietà. I tre principi che costituiscono la modernità, rompendo con la gerarchia che modellava l’ordine formale del mondo hanno il loro lato oscuro, un’ombra lunga fatta di esclusione, discriminazione, violenza.
Principi cardine che alle origini mantenevano saldamente fuori tanta parte dell’umanità. Poveri, donne, omosessuali, bambini erano esclusi dall’accesso a questi diritti. La loro universalità, formalmente neutra, era modellata sul maschio adulto, benestante, eterosessuale. Il resto era margine. Chi non era pienamente umano non poteva certo aspirare alle libertà degli uomini.
Una libertà soggetta a norma, regolata, imbrigliata, incasellata. La cultura dominante ne determina le possibilità, le leggi dello Stato ne fissano limiti e condizioni. Per chi ne è escluso si tratta di privilegi, per chi vi è incasellato diviene una gabbia normativa.
Il matrimonio è stato a lungo un legame sancito dallo Stato (e dalla chiesa) che fissava la diseguaglianza e l'asservimento delle donne, sottomesse al marito alla cui tutela venivano affidate. Eterne minorenni passavano dalla potestà paterna a quella maritale.
Le lotte che hanno segnato le tante vie della libertà femminile hanno in buona parte cancellato quella servitù. Ma ne hanno pagato il prezzo. Il prezzo dell'emancipazione femminile è stato l'adeguamento all'universale, che resta saldamente maschile ed eterosessuale. Lo scarto, la differenza femminile, in tutta l'ambiguità di un percorso identitario segnato da una schiavitù anche volontaria, finisce frantumata, dispersa illeggibile, se non nel ri-adeguamento ad un ruolo di cura, sostitutivo dei servizi negati e cancellati negli anni.
Lo spazio della sperimentazione, della messa in gioco dei percorsi identitari, tanto radicati nella cultura, da parere quasi «naturali», tende ad estinguersi, polverizzato dalle tante cazzutissime donne in divisa, dalle manager in carriera, dalle femministe che inventano le gerarchie femminili per favorire operazioni di lobbing.
Lo scarto femminile non è iscritto nella natura ma nemmeno nella cultura, è solo una possibilità, la possibilità che ha sempre chi si libera: cogliere le radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi percorsi.
Percorsi possibili solo fuori e contro il reticolo normativo stabilito dallo Stato, che, non per caso, nega diritti e tutele alle persone che scelgono di non sposarsi.

La strada del movimento glbtq è stata ed è ancora in netta salita. Le discriminazioni, la violenza statale e culturale pongono pesanti limiti alle persone glbtq. Facile capire il desiderio di accedere alle stesse possibilità degli eterosessuali: adozioni, pensione di reversibilità, diritto alla cura del partner...
Tutto questo però passa dalle forche caudine del matrimonio, della legalizzazione dei sentimenti, delle passioni, della tenerezza. Dall'imposizione di un modello rigido di relazione, costruita sulla coppia e sui loro figli.
Chi sceglie di starne fuori, di fare altre strade, non può accedere a queste possibilità anche se eterosessuale.
Possibile che la strada della liberazione debba passare dal riconoscimento dello Stato? Non si finisce con lo scambiare la libertà con un pizzico di sicurezza in più?
Ne vale la pena?
Ben vengano per chi li desidera i matrimoni omosessuali: lasciamo a fascisti e preti le loro vergognose crociate per escludere dall'umanità una sua parte.

Riteniamo però che la lotta per l'accesso ad alcune libertà possa evitare di infilarsi
nella cruna dell'ago imposta dallo stato, separando l'accesso a queste libertà dal matrimonio.
La normalizzazione delle nostre identità erranti è il prezzo matrimonio, del legame sancito dallo Stato.
Vogliamo continuare ad attraversare le nostre vite con la leggerezza che ha solo chi si scioglie da vincoli e lacci.
Un percorso di autonomia che si costruisce nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo. La solidarietà ed il mutuo appoggio si possono praticare attraverso relazioni libere, plurali, egualitarie.
Una scommessa che spezza l'ordine. Morale, sociale, economico.

Federazione Anarchica Torinese
Riunioni ogni giovedì (tranne il prossimo quando la riunione si anticipa a mercoledì) alle 21 in corso Palermo 46

Per info e approfondimenti:
http://anarresinfo.noblogs.org