Chiediamo la chiusura della trasmissione PUNTO E A CAPO.



Con querele, denunce, e così via.

La commissione di vigilanza deve intervenire, l'ordine
dei giornalisti deve RADIARE i due conduttori.

Ecco un resoconto anche troppo pacato apparso su
L'Unità.

Francesco Lauria (non violento, insieme a tanti altri,
picchiato a Genova e non dai black block...)
htttp://europaplurale.org

25.02.2005
«Punto e a capo», squadrismo tv contro la sinistra
di Anna Tarquini

 Pensavamo di aver visto tutto, ma Punto a Capo di
giovedì sera ha superato qualsiasi immaginazione. È
andato in onda lo squadrismo in tv, è andato in onda
un processo postumo al G8, ma soprattutto alla
sinistra e senza contraddittorio possibile.
L’inchiesta, come l’ha chiamata Masotti, aveva un
titolo: «Genova G8, lezione di guerriglia urbana». 

Le prove: qualche filmato inedito sugli scontri, ma
soprattutto tre registrazioni di telefonate e una
e-mail, secretate dai magistrati di Cosenza che stanno
indagando su una decina di no global. Atti che non
potrebbero nemmeno esser pubblicati e che vengono
trasmessi in diretta tv nell’ora di massimo ascolto.
Non sono previsti filmati con le cariche della polizia
ai manifestanti, ai sessantenni scesi in piazza con i
giovani e alla gente comune. Non si dice che a Genova
è in corso un processo che vede decine di agenti di
polizia, compresi i vertici del Viminale, accusati di
falso e lesioni gravi.

Inizia così Masotti. Inizia con la faccia che sembra
uno smacco: «Abbiamo documenti scottanti, e-mail che
vi faremo vedere per dare un contributo alla verità.
Ma noi non siamo giudici, non siamo qui per questo».
Una pausa e precisa: «Avevamo invitato Agnoletto
insieme al ministro Gasparri che tra poco sarà coin
noi. Ma un’ora e mezzo prima dell’inizio della
trasmissione ha declinato l'invito». Legge la
motivazione: «Indipendentemente dal fatto che, come
lei ben sa, la legge italiana vieta la diffusione di
materiale depositato in sede di indagine prima che sia
giunto a conclusione il processo di appello - scrive
Agnoletto - per quanto mi riguarda non condivido e non
mi sono mai arreso all'idea che i processi, prima
ancora che in tribunale, si svolgano negli studi
televisivi». Non commenta oltre e passa a Caruso, il
leader dei no global napoletani che non ha invitato e
che non è nemmeno in collegamento telefonico. «Caruso
mi preannuncia querela. Ma anche noi staremo a vedere
cosa succederà».

Stacco, parte il filmato con una manifestazione di
piazza. Non è una manifestazione qualsiasi e non è il
G8. È il corteo di sabato scorso per la liberazione di
Giuliana Sgrena. La telecamera inquadra Caruso e un
gruppo di disobbedienti. In sottofondo si sentono le
loro voci scherzare con l’operatore «Ti ammazziamo, ti
ammazziamo, sei della Digos». E la risata di un
bambino. Poi l’obiettivo inquadra Caruso che sfila
pacificamente dietro uno striscione mentre viene
intervistato. Masotti commenta fuori scena: «Ecco
quali sono le frasi che usano, ecco come si comportano
alle manifestazioni». Poi ammicca al pubblico:
«Consigliamo questo programma ad un pubblico adulto».
È il momento, Masotti tira fuori lo scoop,
quell’intercettazione che nessuno dovrebbe avere. Per
loro è la prova. È il 18 luglio alle 17.46, Caruso
parla con un giornalista a proposito della zona rossa
posta a protezione dell'area del vertice e spiega: «ma
noi andremo oltre la zona rossa. Cioè, se ci saranno
altri muri che non saranno di ferro, saranno umani».
Quanto all'eventualità di «superare prima degli altri
muri, non è questo il problema, l'abbiamo
preventivato. Cioè che c'era prima un muro che è fatto
appunto... che costa 24 milioni al mese senza gli
straordinari, che è fatto coi manganelli, coi caschi».

La scena si apre sullo studio. Sono presenti Barbara
Palombelli, Marco Rizzo, Diaconale e il ministro
Gasparri. Non c’è Casarini, non c’è Caruso. «Ecco -
sorride Masotti - abbiamo visto la preparazione alla
guerriglia urbana, chiedo a Rizzo (Comunisti italiani)
un commento». «La prima cosa che mi viene da dire
della vostra trasmissione è che state violando il
segreto istruttorio e lo state facendo in televisione
- dice - Mi viene da rilevare la gravità della
modalità con cui avete usato le intercettazioni».
Interviene Palombelli: «Prendo le distanze dalla
trasmissione e da Rizzo, anche perché in questo
momento dovremmo pensare al Santo Padre». Masotti a
Diaconale: «Avresti pubblicato questo materiale?».
«Sì, l’avrei pubblicato».

È la volta di Gasparri: «Sentire le affermazioni di
Caruso e Cesarini nei filmati è come fare
un’intervista. Quello che dobbiamo rilevare è che c’è
una contiguità tra la sinistra e i movimenti. Vogliamo
ricordare il consigliere D’Erme che è stato arrestato
per una manifestazione non global?». Il ministro di An
non parla molto perché arriva la seconda prova,
l’altra intercettazione e gli altri filmati. La
telefonata è delle 23.48 del 16 luglio 2001, e a pochi
giorni dal G8 di Genova. Francesco Caruso parla con
Pietro: «C'è anche il Black Bloc qui con noi - dice
Caruso - allo stadio Carlini ci stanno i Black Bloc,
svedesi, inglesi che vogliono fare come Goteborg, cioè
vogliono fare una cosa assieme sul livello della
disobbedienza....». Il filmato riprende le
devastazioni di Genova e Caruso che parla: «La città è
grande - dice al megafono in piazza - ci sono mille
vie e ognuno è libero di manifestare come crede».
Parlano ancora la Palombelli, e Diaconale che dice:
«C’è una verità oggettiva, la violenza di Genova è
stata organizzata. E c’è una verità giudiziale che ha
colpito soprattutto o poliziotti». Masotti interrompe:
«C’è soprattutto un rapporto con i black bloc che è
stato sempre negato». Lo ferma Rizzo, l’unica
controparte: «A Genova è stato ucciso un ragazzo e
questo non è stato proprio detto in trasmissione. A
Genova ci sono delle indagini dei magistrati sui
pestaggi, quella banda vestita di nero che sembrava
uscita dalla Rinascente, quella che avete fatto vedere
adesso perché non l’ha fermata nessuno? E Fini, perché
Fini era nella caserma dei carabinieri quel giorno?».
La risposta non arriva. La trasmissione viene
interrotta per un collegamento sul Papa. Quando si
torna in studio c’è solo posto per Gasparri. L’ultimo
insulto: «Qui parliamo di violenza e toni di violenza
usati dall’Unità e dal suo direttore che dopo una vita
passata come dipendente della Fiat nei C.d.A. e nei
paradisi fiscali, quasi per farsi perdonare è
diventato estremista»
 






		
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