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Re: (Fwd) N.E. Balcani #545 - Serbia/Montenegro (Fwd) Materiali per il 23-4-02 - (2 - sul tribunale dell'Aja)




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From:           	"most za Beograd" <most.za.beograd@libero.it>
To:             	<Undisclosed-Recipient:;>
Subject:        	Materiali per il 23-4-02  - (2 - sul tribunale dell'Aja) [mc 6]
Date sent:      	Mon, 22 Apr 2002 10:14:03 +0200


MOST ZA BEOGRAD, Associazione culturale di solidarietà con la popolazione
jugoslava (via Abbrescia 97 - 70121 - BARI - tel. 0805562663 - e-mail:
most.za.beograd@libero.it)

BARI, MARTEDI' 23 APRILE
ORE 16.30
presso l'AULA "ALDO MORO"
(FACOLTA' DI GIURISPRUDENZA, PIAZZA C. BATTISTI)

conferenza-dibattito sul tema

"Guerra, diritto internazionale, nuovo (dis)ordine mondiale
ONU, Tribunale dell'Aja, Tribunali speciali americani di Enduring Freedom"

Intervengono

        Vincenzo Starace, professore ordinario di diritto internazionale
presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Bari

        Aldo Bernardini, professore di diritto internazionale all'Università
di Teramo, di ritorno dall'Aja, dove ha assistito a diverse fasi del
processo in qualità di membro del "Comitato Internazionale di difesa di
Milosevic"

        Ugo Villani, Professore ordinario di Diritto dell'Unione Europea
presso l'Università "La Sapienza" di Roma, e membro del Comitato Scientifico
della Scuola di Politica Internazionale, Cooperazione e Sviluppo (SPICeS)
promossa da "Volontari nel mondo - FOCSIV"

        Fulvio Grimaldi, giornalista, membro del "Tribunale Clark per i
crimini della NATO in Jugoslavia", autore di numerosi servizi, inchieste e
video sulla situazione in Jugoslavia, Iraq, Palestina negli ultimi 10 anni

coordina
Andrea Catone, associazione Most za Beograd

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Materiali per la conferenza-dibattito su guerra, diritto internazionale,
nuovo (dis)ordine mondiale - sul tribunale dell'Aja

1. Christopher Black, Edward Herman, Il Tribunale ONU sulla Jugoslavia, un
docile strumento in mano alla NATO

2. "Una vendetta, per l'unico vero delitto che l'Occidente non può
perdonare, il delitto di aver resistito all'America"
Appello di Raniero La Valle, Giovanni Galloni, Antonia Sani, Vittorio
Tranquilli, Teresa Lanzetta, Salvatore Lumia, Ettore Zerbino, Paola Mutui,
Claudio Tosi, Bemardetta Forcella, Mariarosa Tinaburri

3. Michel Collon, Un tribunale orwelliano

4. Domenico Gallo, Diritto alla sbarra

5. Fulvio Grimaldi, Difendere Milosevic e' difendere la libertà e la
sovranità dei popoli

6. Danilo Zolo, Processo a Milosevic: un giudizio universale made in Usa

7. Michael Mandel, I non imputati dell'Aja


*****

1. Christopher Black (uno degli avvocati canadesi che hanno chiesto al
Tribunale ONU per la Jugoslavia di accusare i dirigenti della NATO di
crimini di guerra)
Edward Herman (canadese, autore di saggi sui mezzi di comunicazione di
massa).

Il Tribunale ONU sulla Jugoslavia: la vergogna internazionale di un
organismo che dovrebbe essere imparziale e che invece è un docile strumento
in mano alla NATO per colpire i nemici dell'alleanza  [Il manifesto, 27 e 28
maggio 2000]

Tra i molti paradossi della guerra della Nato contro la Jugoslavia c'è il
ruolo del Tribunale Penale Internazionale e della sua ex procuratrice
generale, Louise Arbour, elevata dal primo ministro canadese Jean Chretien
all'Alta Corte del Canada nel 1999. Come avremo modo di dimostrare, quel
premio si giustifica interamente per i servizi politici resi alle potenze
della Nato, ma è una monumentale presa in giro se si considera la questione
della corretta amministrazione della giustizia. In realtà, poiché la Arbour
e il suo Tribunale hanno giocato un ruolo chiave nel favorire crimini di
guerra, ci sono eccellenti motivi per sostenere che in un mondo giusto la
Arbour si dovrebbe trovare sul banco degli imputati piuttosto che nella
veste di giudice.

La Arbour corre in aiuto della NATO

Il momento della verità per la Arbour e il Tribunale è venuto nel bel mezzo
della campagna di bombardamenti della Nato contro la Jugoslavia durata 78
giorni, quando la Arbour è apparsa una prima volta in una conferenza stampa
del 20 aprile 1999 insieme al ministro degli esteri britannico Robin Cook
per ricevere da lui la documentazione sui crimini di guerra serbi.
Successivamente, il 27 maggio, la Arbour annunciava l'incriminazione del
presidente serbo Slobodan Milosevic e di quattro suoi collaboratori per
crimini di guerra. L'inappropriatezza di questo comportamento da parte di un
organo presumibilmente giudicante nel bel mezzo della guerra in Kosovo, e
mentre la Germania, la Russia ed altre potenze stavano cercando di trovare
una soluzione diplomatica al conflitto, è sconcertante.
Presentandosi pubblicamente il 20 aprile 1999 con Cook, la Arbour dichiarò
che "sarebbe inconcepibile... che noi di fatto accettassimo di essere
guidati dalla volontà politica di gente che può avere propri scopi da
perseguire". Ma la sua apparizione con Cook e le incriminazioni che l'hanno
seguita corrispondevano perfettamente ai bisogni politici dei dirigenti
della Nato. Le critiche ai bombardamenti Nato, sempre più intensi e mirati a
colpire le infrastrutture civili, stavano crescendo, e nei media britannici
Blair e Cook fustigavano i loro critici per il loro insufficiente entusiasmo
per la guerra.
L'intervento della Arbour e del Tribunale, che dichiarava la dirigenza serba
colpevole di crimini di guerra, era una mossa di relazioni pubbliche per
giustificare la politica della Nato e facilitare la continuazione e
l'escalation dei bombardamenti. I dirigenti e i propagandisti della Nato
l'hanno sottolineato spesso: Madeleine Albright rilevava subito che
l'incriminazione "chiarisce al mondo intero e all'opinione pubblica dei
nostri paesi che questa [politica della Nato] è giustificata dai crimini
commessi, e penso anche che ci consentirà di continuare a portare avanti
tutti questi processi [cioè i bombardamenti]" (Cnn, 27 maggio). Il portavoce
del Dipartimento di Stato James Rubin dichiarava da parte sua che "questo
passo senza precedenti... giustifica nel modo più chiaro possibile quanto
abbiamo fatto negli ultimi mesi" (Cnn Morning News, 27 maggio).
Benchè il Tribunale fosse insediato sin dal maggio 1993, e le atrocità più
gravi nelle guerre jugoslave fossero state commesse nel quadro della
disgregazione della vecchia Federazione, tra il giugno 1991 e i colloqui di
pace di Dayton alla fine del 1995, non c'era stata nessuna accusa contro
Milosevic per nessuna di quelle atrocità. L'incriminazione del 27 maggio si
riferisce esclusivamente a 241 morti di cui si avrebbe avuta notizia nei
primi mesi del 1999. L'incriminazione appare preparata frettolosamente in
risposta a qualche bisogno urgente. Il 20 aprile la Arbour aveva persino
dichiarato di avere "fatto visita alla Nato" per "dialogare con potenziali
fornitori di informazioni per creare un sostegno senza precedenti, di cui il
Tribunale ha bisogno se vuole ottemperare al suo mandato in una cornice
temporale che lo renda rilevante per la risoluzione di un conflitto... delle
dimensioni di quello attualmente in atto nel Kosovo". Ma la sua azione ha
impedito una soluzione negoziata, anche se ha contribuito ad accelerare una
soluzione attraverso l'intensificazione dei bombardamenti.
La Arbour stessa si diceva "preoccupata dell'impatto che questa
incriminazione può avere sul processo di pace", e dichiarava che, benchè le
persone incriminate abbiano "diritto alla presunzione di innocenza fino alla
condanna, le prove su cui l'incriminazione si fonda sollevano seri dubbi
sulla loro adeguatezza ad essere garanti di qualunque intesa, per non
parlare di un accordo di pace". (Cnn Live Event, Special, 27 maggio). In
questo modo la Arbour non solo ammetteva di essere assolutamente consapevole
del significato politico della incriminazione, ma insinuava anche che
l'interferenza con eventuali sforzi diplomatici era giustificata perché le
persone incriminate, sebbene non ancora dichiarate colpevoli, non sarebbero
state adeguate a negoziare. Questo giudizio politico largamente
extragiudiziale, insieme al momento scelto per le incriminazioni, indica il
ruolo altamente politico della Arbour e del Tribunale.

Cosa c'è dietro la politicizzazione del Tribunale

Il servizio reso dalla Arbour alla Nato con l'incriminazione di Milosevic è
stato il risultato logico del controllo di fatto sul Tribunale e sulle sue
finalità. Il Tribunale fu istituito dal Consiglio di Sicurezza all'inizio de
gli anni '90 per servire agli scopi della politica balcanica dei suoi membri
dominanti, specialmente degli Usa (Cina e Russia li hanno seguiti come
partner silenziosi e impotenti, forse in cambio di concessioni economiche).
Il finanziamento e la relazione di interdipendenza funzionale con le
principali potenze Nato ne hanno fatto uno strumento della Nato.
Sebbene, secondo l'art. 32 dello Statuto, le spese del Tribunale debbano
essere previste nel bilancio generale dell'Onu, questa clausola viene
regolarmente violata. Negli anni 1994-1995 il governo Usa ha elargito al
Tribunale 700.000 dollari in contanti e 2,3 milioni di dollari in
attrezzature (e ciò mentre si rifiutava di far fronte al suo debito con
l'ONU che avrebbe così potuto assicurarne il finanziamento). Il 12 maggio
1999 la giudice Gabrielle Kirk McDonald, presidente del Tribunale,
dichiarava che "il governo degli Stati Uniti ha accettato molto
generosamente di dare 500.000 dollari [per un progetto "Outreach"] e di
incoraggiare altri stati a contribuire". Molti altri enti governativi e non
governativi con sede negli Usa hanno fornito risorse al Tribunale.
L'articolo 16 dello Statuto del Tribunale stabilisce che il procuratore deve
agire in modo indipendente e non deve chiedere o ricevere istruzioni da
alcun governo. Anche questa disposizione è stata sistematicamente violata.
Le fonti Nato hanno regolarmente avanzato la pretesa di avere autorità sul
Tribunale: "Decideremo se le azioni della Jugoslavia contro le persone di
etnia albanese costituiscano un genocidio" dichiara un foglio informativo
dell'Usia (United States Information Agency), e nella conferenza stampa
tenuta insieme alla Arbour il 20 aprile Cook dichiara: "Concentreremo la
nostra attenzione sui crimini di guerra che vengono commessi in Kosovo e
siamo determinati a consegnare i responsabili alla giustizia", come se lui e
la Arbour fossero un organismo che decide collettivamente, e in
collaborazione, chi debba essere accusato dei crimini di guerra, ed
ovviamente escludendo se stesso dai potenziali accusati. In precedenza, il
31 marzo, due giorni dopo che Cook le aveva promesso informazioni utili a
sostenere le accuse, la Arbour aveva annunciato l'incriminazione di Arkan.
I funzionari del Tribunale si sono persino vantati del "forte sostegno da
parte dei governi interessati e di singoli individui come la segretaria di
stato Albright", citata poi come "madre del Tribunale" (da Gabrielle Kirk
McDonald). In una conferenza stampa del settembre 1999 la procuratrice
generale succeduta alla Arbour, Carla Del Ponte, ringraziava l'americana Fbi
per aver aiutato il Tribunale, ed esprimeva riconoscenza per "l'importante
sostegno fornito al Tribunale dal governo degli Stati Uniti". La stessa
Arbour aveva informato personalmente Clinton dell'imminente incriminazione
di Milosevic due giorni prima del resto del mondo, e nel 1996 la
procuratrice si era incontrata con il segretario generale della Nato e il
suo comandante supremo per "stabilire contatti e cominciare a discutere le
modalità di collaborazione e assistenza". Gli incontri tra il procuratore
del tribunale e la Nato, a cui è stata affidata la funzione di polizia, sono
stati numerosi. Anche nella raccolta dei dati, il procuratore è stato
fortemente dipendente dalla Nato e dai governi Nato, il che ancora una volta
rimanda alla relazione simbiotica fra il Tribunale e la Nato.

Nel mirino ci sono praticamente solo i serbi

Le potenze della Nato hanno concentrato la loro attenzione quasi
esclusivamente sulla condotta dei serbi nel quadro della disintegrazione
della Jugoslavia, e il Tribunale ha proseguito sulla scia della Nato. La
gran parte delle incriminazioni del Tribunale si riferisce a serbi, e
quelle, pochissime, dirette contro croati e musulmani hanno dato
l'impressione di arrivare al momento giusto per controbattere le accuse di
pregiudizio anti-serbo (ad esempio, la prima incriminazione non serba [Ivica
Rajic], annunciata durante i colloqui di pace a Ginevra e il bombardamento
della Nato nel settembre 1995).
La stessa Arbour affermava (20 aprile) che "il vero pericolo è quello di
cadervi [di perseguire gli scopi politici di qualcuno] inconsapevolmente,
dipendendo interamente da fornitori di informazioni che potrebbero avere
loro scopi che noi potremmo non essere in grado di riconoscere". Ma anche un
imbecille si sarebbe potuto accorgere che la Nato aveva i propri scopi e che
il solo fatto di accettare la marea di documenti offerti da Cook e Albright
significava proprio subordinarsi a quegli scopi. Arbour ha persino
riconosciuto la sua volontaria e quasi esclusiva "dipendenza... dalla buona
volontà degli stati" per fornire informazioni che "guideranno la nostra
analisi del contesto criminale". E il suo riferimento del 20 aprile alla
"moralità dell'impresa [della Nato]" e le sue osservazioni sulla possibile
mancanza di carattere di Milosevic, che lo renderebbe inidoneo a un
negoziato, così come la sua prontezza ad aiutare la Nato con
un'incriminazione, rimandano a un servigio politico del tutto consapevole.
Un drammatico esempio della non imparzialità della Arbour e del Tribunale,
viene da un rapporto del Tribunale stesso intitolato "The Indictment
Operation Storm: A Prima Facie Case", che descrive i crimini di guerra
commessi dalle forze armate croate con l'espulsione di più di 200.000 serbi
dalla Krajina nell'agosto 1995, durante la quale "almeno 150 serbi hanno
subìto esecuzioni sommarie, e molte centinaia di loro sono scomparsi". Il
rapporto, fatto trapelare al New York Times (con costernazione dei
funzionari del Tribunale), affermava che gli omicidi e gli altri atti
disumani commessi dai croati erano "diffusi e sistematici", e che era
disponibile "materiale sufficiente" per chiamare a risponderne in base al
diritto internazionale tre generali croati di cui veniva fatto il nome.
(Raymond Bonner, "War Crimes Panel Finds Croat Troops 'Cleansed' the Serbs",
New York Times, 21 marzo 1999). Ma l'articolo del Times riferisce anche che
gli Stati Uniti, che sostenevano la pulizia etnica condotta dai croati
contro i serbi in Krajina, non solo hanno difeso i croati presso il
Tribunale, ma si sono rifiutati di fornire le foto satellitari delle aree
della Krajina attaccate dai croati e altre informazioni che erano state loro
richieste. Il risultato è stato che generali croati nominati nel rapporto su
"Operation Storm" non sono mai stati incriminati dal Tribunale dell'Aja nel
momento in cui le rivelazioni avvenivano, e sebbene il numero dei serbi
uccisi e scomparsi in soli quattro giorni in quella pulizia etnica sia stato
almeno pari alle 241 vittime dei serbi menzionate nell'incriminazione di
Milosevic, nessuna incriminazione parallela del leader croato Tudjman è
stata mai emessa dal Tribunale. Ma non si è trattato di una mancata raccolta
di elementi di accusa: il fatto è che gli Stati Uniti si sono opposti
all'incriminazione dei loro alleati, per questo il Tribunale non li ha
accusati.

I processi farsa del Tribunale

La Arbour ha dichiarato che il Tribunale è "soggetto a regole estremamente
severe per le prove rispetto all'ammissibilità e alla credibilità del lavoro
che presenteremo alla corte" per cui sarebbe stata cauta rispetto a "accuse
non confermate, non verificabili, non provate" (20 aprile). Parole che non
rendono affatto la realtà di quella che John Laughland su The Times (Londra)
ha descritto come una "corte disonesta con regole truccate" (17 giugno
1999). Il Tribunale vìola virtualmente ogni standard di giusto processo:
esso non mantiene separata l'accusa dal giudizio; non accorda il diritto
alla libertà provvisoria o a un processo celere; non ha una definizione
chiara dell'onere della prova richiesto per una condanna; non ha un
organismo indipendente presso cui ricorrere in appello; vìola il principio
secondo cui un imputato non può essere processato due volte per lo stesso
reato (l'art. 25 dà diritto al procuratore di presentare appello contro
l'assoluzione); le persone sospette possono essere trattenute 90 giorni
senza processo; secondo la norma 92 le confessioni sono considerate libere e
volontarie a meno che il prigioniero non dimostri il contrario; i testimoni
possono testimoniare anonimamente e, come ha osservato John Laughland, "le
norme contro il 'sentito dire', profondamente radicate nella giurisprudenza,
non vengono osservate e l'ufficio del procuratore ha persino proposto di non
chiamare i testimoni per produrre le prove, ma soltanto gli investigatori
del Tribunale stesso".
Come abbiamo già osservato, la Arbour presuppone la colpevolezza prima del
processo; il concetto di "innocenza fino alla condanna" viene respinto, e la
Arbour può dichiarare che le persone collegate ad Arkan "saranno macchiate
dalla loro associazione con un personaggio imputato di crimini di guerra"
(31 marzo). Chiaramente la Arbour non crede nelle regole fondamentali della
giurisprudenza occidentale, e Laughland cita le sue parole: "La legge, per
me, dovrebbe essere creativa e usata per far funzionare le cose". E nel giro
di un mese dalla sua elezione alla Suprema Corte canadese, la Arbour faceva
parte della maggioranza di giudici che introduceva nella legge canadese la
pratica iniqua e pericolosa di consentire nei processi un uso più liberale
delle prove per sentito dire. La corruzione del sistema della giustizia
canadese, sia per la sua nomina che per il suo operato, rispecchia quella
del sistema politico, i cui rappresentanti hanno appoggiato senza problemi
la guerra della Nato.

I crimini della NATO

Bombardando la Jugoslavia dal 24 marzo al giugno 1999, la Nato si è resa
colpevole del grave crimine di violazione della disposizione della Carta
delle Nazioni Unite che vieta l'uso della forza senza l'approvazione del
Consiglio di Sicurezza. La Nato si è anche resa colpevole di un'aggressione
criminale attaccando uno stato sovrano che non stava travalicando i propri
confini. A propria difesa, la Nato ha sostenuto che preoccupazioni
"umanitarie" richiedevano tali azioni e giustificavano violazioni così gravi
del diritto. A prescindere dal fatto che questo argomento sancisce la
possibilità di violare la legge sulla base di un proprio giudizio,
contraddicendo la preminenza del diritto, essa è contraddetta anche dai
fatti sul suo stesso terreno. In primo luogo, i bombardamenti Nato hanno
"trasformato un problema umanitario interno in un disastro", secondo le
parole del canadese Rollie Keith, di ritorno dalla missione Osce per la
tutela dei diritti umani in Kosovo. In secondo luogo, è ormai provato, che
la Nato si è rifiutata di negoziare un accordo sul Kosovo ed ha insistito
per la soluzione violenta e che, per usare le parole di un funzionario del
Dipartimento di Stato, la Nato ha deliberatamente "fatto muro" e impedito
una soluzione di compromesso perché la Serbia "aveva bisogno di una buona
dose di bombardamenti". Questi fatti suggeriscono che la supposta base
umanitaria delle violazioni di legge ha fatto da copertura a obiettivi
meramente politici e geopolitici.
La Nato si è anche resa colpevole di crimini di guerra più tradizionali,
inclusi alcuni che il Tribunale aveva ritenuto tali quando commessi dai
serbi. Così l'8 marzo 1996, il leader serbo Milan Martic è stato incriminato
per aver lanciato nel maggio 1995 un razzo con bombe a grappolo su obiettivi
militari a Zagabria, con la motivazione che il missile "non era finalizzato
a colpire obiettivi militari ma a terrorizzare i civili di Zagabria". Il
rapporto del Tribunale sulla "Operation Storm" croata in Krajina ha fornito
anche prove concrete che nell'attacco croato di 48 ore contro la città di
Knin "furono lanciate granate soprattutto contro obiettivi civili" (meno di
250 granate su 3.000 hanno colpito obiettivi militari), ma a questa
risultanza - come del resto per tutti gli altri attacchi - non ha fatto
seguito nessuna incriminazione.
Lo stesso caso si è verificato in molti bombardamenti della Nato, in cui
sono stati colpiti obiettivi civili, come nel bombardamento di Nis il 7
maggio 1999 in cui un mercato e un ospedale distanti da qualunque obiettivo
militare sono stati colpiti separatamente - ma la Nato non ha subìto alcuna
incriminazione.
Ma la Nato si è resa colpevole del bombardamento di obiettivi non militari
anche come politica sistematica. Il 26 marzo 1999, il generale Wesley Clark
dichiarava: "Lavoreremo con molta sistematicità e in modo progressivo sulle
sue [di Milosevic] forze militari... [per vedere] quanti danni è disposto a
subire". Ma questa focalizzazione sulle "forze militari" non ha avuto
effetto e così la Nato si è rapidamente dedicata a "demolire... l'apparato
economico che sostiene" le forze militari serbe (parole di Clinton), e gli
obiettivi della Nato si sono gradualmente estesi a fabbriche di tutti i
tipi, centrali elettriche, infrastrutture idriche e fognarie, tutti i
trasporti, edifici pubblici, e molte scuole e ospedali. Di fatto, la
strategia della Nato è stata di mettere in ginocchio la Serbia con una
escalation graduale di attacchi contro la società civile.
Questa politica ha palesemente violato il diritto internazionale, di cui un
elemento fondamentale è che gli obiettivi civili siano "off limits". Il
diritto internazionale proibisce la "distruzione arbitraria di città o
villaggi o la devastazione non giustificate da necessità militari" (Sesto
principio di Norimberga, formulato nel 1950 da una commissione sul diritto
internazionale sotto l'egida delle Nazioni Unite). La "necessità militare"
non consente, evidentemente, la distruzione di una società civile al fine di
rendere più difficile, per un paese, appoggiare le sue forze armate, non più
di quanto non consenta l'uccisione diretta dei civili perché essi pagano le
tasse con cui si sostiene la macchina bellica, o perché un giorno potrebbero
diventare soldati. Tenere in ostaggio un'intera popolazione è una flagrante
violazione del diritto internazionale, e le azioni che mirano a questo
obiettivo sono crimini di guerra.
Il 29 settembre 1999, in risposta alla domanda se il Tribunale avrebbe
investigato sui crimini commessi in Kosovo dopo il 10 giugno, o su quelli
commessi dalla Nato in Jugoslavia, la procuratrice Carla Del Ponte
dichiarava che "l'ufficio del procuratore deve dedicarsi prioritariamente a
indagare e perseguire i cinque leader della Repubblica Federale di
Jugoslavia e della Serbia che sono già stati incriminati". Per quale motivo
questa "debba" essere la priorità, tanto più considerando la mole delle
prove già raccolte nella fase di preparazione delle incriminazioni, non è
stato spiegato. Alla fine di dicembre, è stato infine riferito che la Del
Ponte, su pressione della Russia e di molte altre "parti interessate", stava
prendendo in esame la condotta della Nato ("U.N. Court Examines Nato's
Yugoslavia War", New York Times, 29 dicembre 1999). Ma l'articolo stesso
indica che l'attenzione è concentrata sulla condotta dei piloti Nato e dei
loro comandanti, non sui capi della Nato che hanno operato la scelta
decisiva di colpire le infrastrutture civili. L'articolo lascia capire
inoltre la natura pubblicitaria delle dichiarazioni destinate a "smentire la
convinzione... che il tribunale sia uno strumento usato dai leader
occidentali per sfuggire alle proprie responsabilità". L'articolo infine
sottolinea la delicata questione che il tribunale "dipende dall'alleanza
militare per arrestare e consegnare i sospetti". In esso si citano anche le
seguenti parole della Del Ponte: "Non è la mia priorità, perché devo
occuparmi di indagini riguardanti un genocidio, e corpi in fosse comuni".
Possiamo essere sicuri che da questa indagine non scaturirà nessuna
incriminazione.
Un tribunale imparziale si sarebbe sforzato di bilanciare la marea di
documenti della Nato con ricerche sul posto e accogliendo la documentazione
rivale. Ma pur avendo ricevuto denunce sui crimini della Nato, sia dalla
Jugoslavia sia da una quantità di gruppi di giuristi occidentali, il
Tribunale non se ne è mai occupato fino a questa presa in considerazione
tardiva e sicuramente nominale che "non è la mia priorità", poiché il
Tribunale "deve" perseguire i cattivi serbi, per ragioni che sono fin troppo
chiare.

Al di là di Orwell

I leader della Nato, frustrati nell'attaccare la macchina militare serba, si
sono applicati piuttosto scopertamente a distruggere la società civile della
Serbia, un mezzo per ottenere la rapida vittoria auspicata prima dei
festeggiamenti per il cinquantesimo anniversario della Nato. Sebbene questo
abbia comportato che gli abitanti della Serbia fossero trasformati in
ostaggi e attaccati insieme ai loro mezzi di sussistenza - in palese
violazione del diritto di guerra - la Arbour e il suo Tribunale non solo non
hanno protestato con i leader della Nato e non li hanno perseguiti per
crimini di guerra ma, incriminando Milosevic il 27 maggio, hanno fornito
alla Nato una copertura morale permettendo crescenti attacchi alla
popolazione ostaggio.

La Arbour e il Tribunale ci presentano così lo sbalorditivo spettacolo di
una istituzione presumibilmente organizzata per limitare, prevenire e
perseguire i crimini di guerra, che di fatto li facilita consapevolmente.
Come se non bastasse, precise denunce sottoposte al Tribunale durante la
permanenza della Arbour avevano chiesto che il Tribunale perseguisse i
leader della Nato, compreso il primo ministro canadese Jean Chretien, per
crimini di guerra. Se fosse stata procuratrice in Canada, Gran Bretagna o
Stati Uniti, la Arbour sarebbe stata soggetta alla radiazione dall'albo
professionale per aver preso in considerazione e poi accettato un lavoro da
una persona che le era stato chiesto di perseguire. Ma la Arbour è stata
eletta alla Suprema Corte del Canada da Chretien senza che questo conflitto
di interessi e questa immoralità venissero neanche menzionati. In questo
Nuovo Ordine Mondiale post-orwelliano ci viene detto che viviamo in un
contesto di diritto ma, come ebbe modo di dire Sant'Agostino, "ci sono leggi
giuste e leggi ingiuste, e una legge ingiusta non è affatto una legge".

******

2. Una vendetta, per l'unico vero delitto che l'Occidente non può perdonare,
che è il delitto di aver resistito all'America

La decisione di estradare Milosevic perché sia processato dal Tribunale
istituito all'Aja sotto l'etichetta dell'Onu mediante una procedura di
dubbia legittimità, non è un momento della storia della giustizia, ma è un
momento della storia della vendetta e più ancora della storia del meccanismo
vittimario che rimette a posto la pace e la buona coscienza di tutti
mediante il sacrificio di una vittima, tanto meglio se adatta a farsi
mettere in capo i delitti e i peccati di molti.
Anche qui, come già avvenne per l'arresto, c'è stato uno scambio tra un atto
richiesto dall'estero e una promessa di denaro. Non è il giudicare Milosevic
che è in discussione. Nessuno ha mai pensato che nel conflitto jugoslavo,
dove tutti hanno compiuto crimini, dai capi delle fazioni armate ai
negoziatori di Rambouillet, il presidente jugoslavo fosse l'unico immune da
colpe. L'obbligatorietà dell'azione penale, l'indipendenza della
magistratura dal potere politico, e la sanzione internazionale dei crimini
contro l'umanità, che rivendichiamo quando sono negate in Italia, devono
valere per tutti, anche nei Balcani.
Ma l'arresto prima, la decisione per l'estradizione di Milosevic poi, sono
intervenuti per una volontà esterna, su impulso del Tribunale dell'Aja, quel
Tribunale che dovendo giudicare i crimini commessi nei conflitti jugoslavi,
non ha giudicato la distruzione del diritto compiuta dalla Nato, che ha
violato tutte le norme del diritto internazionale e del diritto umanitario
di guerra, perfino ammazzando i giornalisti, con il bombardamento della
Televisione jugoslava. Il Tribunale dell'Aja ha in effetti aperto e subito
chiuso l'inchiesta sulla Nato, non trovando nulla riguardo a cui procedere.
Dunque si tratta della giustizia dei vincitori.
Ma prima ancora che dalla responsabile della Procura internazionale
dell'Aja, l'arresto era stato reclamato dall'America di Bush, e con un
ultimatum che scadeva il 31 marzo, giorno in cui è stato eseguito, in cambio
di una elargizione di 50 milioni di dollari, pari a 100 miliardi di lire.
Cento miliardi sono una cifra irrisoria, pari alla somma che si dice sia
stata spesa da Berlusconi per la sua campagna elettorale per acquistare il
potere in Italia. Cento miliardi per comprarsi la Jugoslavia, e per
venderla, è una cifra irrisoria; al cambio sono meno di 30 danari. Ed ora
l'estradizione è stata concessa dal governo e dal Parlamento serbi sotto il
ricatto dei Paesi "donatori", che dovrebbero con un miliardo di dollari
aiutare la Jugoslavia a ricostruire ciò che essi stessi con la guerra hanno
distrutto.
Insomma una taglia su un colpevole. Ma più ancora una vendetta, per l'unico
vero delitto che l'Occidente non può perdonare, che è il delitto di aver
resistito all'America, e che Milosevic non ha compiuto da solo. Si uò dire
che anche noi, che ci siamo opposti alla guerra, ne siamo stati complici. Un
delitto che fin troppo a lungo non è stato perdonato al Vietnam, che non è
stato perdonato in Salvador a mons. Romero e a quanti si sono opposti al
regime voluto dagli Stati Uniti, che non è stato perdonato a Saddam Hussein
e all'intero popolo iracheno, che continua a pagarne il prezzo in una guerra
che per i vincitori non è mai finita, e in uno strangolamento che ammazza i
bambini e si perpetua da una generazione all'altra di iracheni, anche nati
dopo i fatti imputati come reato. Dunque si tratta di una giustizia tribale,
che pretende la vendetta del sangue senza discernimento dei colpevoli e
senza distinzione tra i padri ed i figli. Una giustizia che, così concepita,
è una vergogna.
Quando dopo una lunga storia di diritti negati e di popoli calpestati la
comunità internazionale ha riconosciuto e affermato i diritti umani, quando
col patto di Roma si è tentato di istituire un Tribunale penale
internazionale permanente che gli Stati Uniti si rifiutano di accettare e
impediscono che nasca perché non vogliono sottoporsi ad alcuna
giurisdizione, rivendicando l'impunità dei loro poteri imperiali, si pensava
a una ben diversa istituzione e sovranità del diritto, si sperava in una ben
diversa giustizia, si intendeva un'oggettività e un'imparzialità dei
giudizi, senza vendette, senza imputati precostituiti e senza sentenze
manipolate dal potere. Nulla di tutto ciò si riscontra nel modo in cui Milos
evic, come si dice, viene ora "assicurato" alla giustizia, grazie a un
salario di un pugno di dollari e con il mondo intorno a fare il tifo come in
uno stadio. E' una brutta pagina per la civiltà del diritto, è un'ulteriore
umiliazione per l'Europa; ed è questo che vogliamo esprimere con la nostra
protesta.
Raniero La Valle, Giovanni Galloni, Antonia Sani, Vittorio Tranquilli,
Teresa Lanzetta, Salvatore Lumia, Ettore Zerbino, Paola Mutui, Claudio Tosi,
Bemardetta Forcella, Mariarosa Tinaburri.


*****

3. Michel Collon
Un tribunale orwelliano [Fonti: "Un Tribunale Imparziale, davvero?" del
giurista canadese Christopher Black; "Basi illegali del Tribunale per i
Crimini di Guerra", del giurista jugoslavo Kosta Cavoski, in
http://emperors-clothes.com/articles/cavoski;
http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/913]

Il "Tribunale Internazionale per i Crimini di Guerra" è finanziato dal
Governo degli Stati Uniti e dalle Multinazionali USA. E' come se fosse lo
stesso governo di Washington a giudicare Milosevic! Il "Tribunale" è
interessato a trascinare solo Milosevic in giudizio - non Sharon, né
Pinochet, e nemmeno i generali assassini della Turchia: è un Tribunale
imparziale? Finanziato dal Governo degli Stati Uniti e dai miliardari
Americani, rifiuta i indagare sui crimini di guerra commessi dalla NATO e
dai terroristi albanesi: è un Tribunale indipendente? Il suo modus-operandi
getta a mare numerosi principi di legge: è un Tribunale legale? A conti
fatti, quello che emerge è un "Tribunale" molto strano e molto anomalo.

Milosevic dovrebbe sottoporsi al processo all'Aja? Quale che sia la vostra
opinione sul precedente Presidente della Jugoslavia (e sul popolo che
sarebbe il vero responsabile delle guerre nei Balcani), non dovrebbe questi
avere gli stessi diritti, come tutti gli altri uomini, ad essere trattato da
un Tribunale imparziale e neutrale, che rispetta la legge?
In accordo con l'articolo 16 della raccolta di leggi approvate dal
Parlamento su questo famoso Tribunale per i Crimini di Guerra, il
Procuratore Generale deve agire indipendentemente e non essere soggetto agli
ordini di alcun Governo.
In accordo con l'articolo 32, le spese del Tribunale devono avere copertura
dal Bilancio delle Nazioni Unite.
Questi due principi sono costantemente gettati alle ortiche!
Era proprio il Presidente del Tribunale, Gabriella Kirk McDonald, ad
informare la Corte Suprema degli Stati Uniti: "Noi beneficiamo del forte
appoggio di governi interessati e di singoli fautori, come il Segretario di
Stato Albright. Quando era rappresentante permanente alle Nazioni Unite, la
Albright ha lavorato con incessante decisione alla costituzione del
Tribunale. Infatti, noi spesso facciamo riferimento a lei come la madre del
Tribunale" [Discorso al Council for International Relations, New York, 12th
May 2000].
Che madre incantevole Madeleine Albright! Proprio lei ha dichiarato su una
televisione nazionale che lasciar morire 500.000 bambini iracheni era
"giustificato"!
Quando il procuratore generale del Tribunale per i Crimini di Guerra, Louise
Arbour, ha incriminato Milosevic, indovinate chi ha informato per primo?
Bill Clinton - due giorni prima di informare il resto del mondo.
Come avviene adesso con il suo successore, Carla Del Ponte, spesso appariva
in pubblico con ufficiali USA. Nel 1996 incontrava il Segretario Generale
della NATO e il suo Comandante in Capo per l'Europa "per discutere la
logistica della cooperazione", prima che venisse sottoscritto il "memorandum
di mutua intesa".
Allora, chi sta pagando il Pifferaio Magico?
Tra il 1994 e il 1995, il Tribunale per i Crimini di Guerra ha ricevuto dal
Governo degli Stati Uniti un assegno di $ 700.000 e un valore pari a $ 2,3
milioni di forniture di computer e materiale informatico.Dalla Fondazione
Rockfeller ha ricevuto $ 50.000 e dallo speculatore multi-miliardario
americano, George Soros, $ 150.000. Contemporaneamente, Soros ha finanziato
il più importante giornale separatista albanese in Kosovo. Altri donatori:
il gigante Time Warner, Imperatore dei media, (questo significa avere la
spiegazione su alcuni silenzi dei media sulle parti oscure del Tribunale per
i Crimini di Guerra). E ancora, il tanto decantato e pubblico "Istituto per
la Pace", fondato dal Presidente Reagan..
Un folto numero dei giuristi del Tribunale per i Crimini di Guerra
provengono dalla Coalition for International Justice, fondata e finanziata
da ... sì, avete indovinato: George Soros.
Nel maggio 2000, la Presidente del Tribunale, Signora McDonald, ringraziava
il Governo degli USA per "aver provveduto generosamente con $ 500.000". E
ancora: "L'imperativo morale di mettere fine alla violenza nella regione è
condiviso da tutti, incluso il settore produttivo. Perciò, sono molto
compiaciuta che una grande Compagnia abbia di recente donato una fornitura
di computer del valore di $ 3.000.000".
Con sponsor come questi, è facile capire come il Tribunale per i Crimini di
Guerra persegua solo i nemici degli Stati Uniti. Questo spiega perché i
leader nazionalisti croati e mussulmani rimangono impuniti per i loro
crimini di pulizia etnica, compiuti durante le guerre dal 1991 al
1995.Questo vale anche per i leader dell'UCK e della NATO, che sono
responsabili per una guerra illegale, per la deliberata distruzione di
infrastrutture civili della Jugoslavia, e per aver usato armi proibite, come
le bombe a grappolo e all'uranio impoverito.

Le ragioni reali per le quali il Tribunale vuole perseguire Milosevic sono:
1) Il tentativo di far ricadere la colpa sul popolo Serbo, nella sua
totalità, e quindi di nascondere il fatto che sono stati gli USA e la
Germania a provocare e ad incoraggiare le guerre in Jugoslavia.
2) Il desiderio di intimorire un Capo di Stato che resisteva alla
globalizzazione.
3) La necessità di riabilitare la guerra criminale della NATO, le cui
simulazioni e menzogne mediatiche hanno fatto fallire il progetto.

Dieci principi di legge violati dal Tribunale Internazionale per i Crimini
di Guerra

Il Tribunale, nei fatti, non rispetta diversi principi di legge
assolutamente fondamentali: la separazione dei poteri (esecutivo,
legislativo e giudiziario), parità fra accusa e difesa, presunzione di
innocenza finché non si giunge ad una condanna .

1) Il Tribunale Internazionale per i Crimini di Guerra è stato fondato nel
1993 dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (15 membri dominati dai
grandi poteri e dal veto USA), su insistenza del Senatore Albright. Il
normale canale per creare un Tribunale come questo, come a suo tempo ha
puntualizzato il Segretario Generale delle Nazioni Unite, avrebbe dovuto
essere "attraverso un Trattato Internazionale stabilito ed approvato dagli
Stati Membri che avrebbero permesso al Tribunale di esercitare in pieno
nell'ambito della loro sovranità" [Rapporto No X S/25704, sezione 18].
Tuttavia, Washington ha imposto un'interpretazione arbitraria del Cap.VII
della Carta delle Nazioni Unite, che consente al Consiglio di Sicurezza di
prendere "misure speciali" per restaurare la pace in sede internazionale.
Può essere la creazione di un Tribunale una "misura speciale"? E' arduo
pensarlo! Il Tribunale Internazionale per i Crimini di Guerra è esso stesso
non legale.
2) Senza precedenti nella storia della legge, il Tribunale ha avuto pieni
poteri di costituire le proprie leggi e i regolamenti - regolamenti che nei
fatti ha modificato frequentemente. Attraverso una procedura totalmente
ridicola, il Presidente può apportare variazioni di sua propria iniziativa o
ratificarle via fax ad altri giudici! (regola 6).
3) Vi è un'altra norma creativa. Le leggi del Tribunale Internazionale per i
Crimini di Guerra hanno il carattere della retroattività, emanate e
confezionate per adattarsi ai fatti, dopo l'evento.
4) Ancora peggio: il Procuratore (l'Accusa) può anche cambiare queste norme
(la Difesa non lo può fare). E non esiste un "giudice per le indagini
preliminari" che investighi sulle accuse e le contro-accuse.Il Procuratore
conduce l'inchiesta nel modo che più gli aggrada.
5) La Corte può ricusare un avvocato della difesa o semplicemente non
ascoltarlo, se lo ritiene "aggressivo" (regola 46).
6) Il Procuratore può, con il consenso dei giudici, rifiutare di concedere
all'avvocato difensore di consultare libri, documenti, foto e altro
materiale probatorio (regola 66).
7) Inoltre, la fonte testimoniale e di informazioni può essere tenuta
segreta. Questo significa che agenti CIA possono riempire i dossier del
Tribunale con accuse raccolte illegalmente (attraverso intercettazioni
foniche, corruzione, furti) senza averle sottoposte ad alcun tipo di
verifica o di controllo incrociato.
8) Anche i rappresentanti di altri Stati (partecipanti nel conflitto, ma
alleati degli Stati Uniti) possono sottoporre informazioni confidenziali
senza alcuna formale richiesta in merito.
9) Un atto di accusa può rimanere segreto "nell'interesse della giustizia"
(regola 53), in modo tale che l'accusato non possa difendersi nei modi
normali.
10) Un sospetto, cioè qualcuno che non è ancora stato imputato, può essere
detenuto per novanta giorni prima di essere accusato, un tempo più che
sufficiente per estorcergli forzatamente una confessione.
Inoltre, la regola 92 stabilisce che le confessioni saranno ritenute
credibili, a meno che l'accusato possa provare il contrario. Mentre, in
qualsiasi altra parte del mondo, l'accusato è ritenuto innocente fino a
quando non sia provata la sua colpevolezza.
Nessun Tribunale nazionale, negli Stati Uniti o in qualsiasi altra parte del
mondo potrebbe operare in una tale maniera platealmente illegale o
arbitraria. Ma quando questo serve a condannare i nemici degli Stati Uniti
d'America, allora i principi della legge non valgono più di tanto. In
accordo con i padroni del mondo, il diritto appartiene ai più forti e ai più
ricchi.

****

4. DOMENICO GALLO
Diritto alla sbarra ["Il Ponte" n. 7/8, 2001, ripreso ne Il manifesto, 05
Settembre 2001]

La vicenda dell'arresto e della consegna di Milosevic al Tribunale penale
Internazionale per la ex Jugoslavia non può essere letta come una vittoria
del diritto o un trionfo della giustizia internazionale, che riesce ad avere
ragione - finanche - dei "dittatori", e a portarli alla sbarra, perché
rispondano delle gravi ed ingiustificate sofferenze che hanno inflitto ai
loro e agli altri popoli.
Il processo a Milosevic non rappresenta la giusta sanzione per quelle
massicce violazioni dei diritti dell'uomo, che si sono verificate nel teatro
dei Balcani - ad opera di molteplici attori - e che il diritto
internazionale giustamente bandisce come crimini internazionali, sotto il
triplice profilo del genocidio, dei crimini contro l'umanità e della
violazione delle leggi ed usi di guerra (crimini di guerra).
Per sgombrare il campo dagli equivoci, è bene chiarire che non siamo in
presenza di un processo attraverso il quale il diritto internazionale dei
diritti umani ed in particolare il diritto bellico, da sempre considerato
evanescente, comincia finalmente ad acquistare la solidità che deriva dalla
sua effettività e riesce ad espletare la sua efficacia, superando la
barriera dei particolarismi e delle sovranità nazionali.
In effetti l'Istituzione di un Tribunale penale internazionale, competente
per i crimini commessi - da tutti i belligeranti - nel territorio della ex
Jugoslavia, se aveva una funzione, era proprio quella di rafforzare
l'effettività delle norme internazionali che interdicono quei fatti che la
coscienza morale dell'umanità aveva ripudiato qualificandoli come crimini
internazionali. In tal modo, raffreddando le efferatezze e riducendole ad
episodi criminali, il Tribunale avrebbe reso più facile la composizione
pacifica dei conflitti, attraverso le strade maestre della politica e della
diplomazia.
Nel corpo di un conflitto aspro ed intricato, come quello Jugoslavo,
caratterizzato dalla presenza di numerose linee di frattura, ideologiche,
religiose, culturali e linguistiche, tuttavia, l'intervento coercitivo di un
organismo giudiziario sopranazionale, o comunque sovraordinato alle parti in
conflitto, avrebbe potuto svolgere una funzione positiva di contenimento ed
appassimento del conflitto, soltanto ove fosse stata rigorosamente
rispettata la metodologia giudiziaria, per sua natura portatrice di uno
spazio istituzionale di terzietà e neutralità rispetto allo scontro diretto
fra i portatori degli interessi in conflitto.
Il metodo giudiziario, infatti, è quello di depoliticizzare gli avvenimenti,
frammentandoli in segmenti, che vengono analizzati nella prospettiva della
emersione delle responsabilità meramente individuali. L'accertamento delle
responsabilità individuali consente di depoliticizzare il conflitto e di
farlo uscire dal circolo vizioso delle responsabilità e vendette collettive
che si autoalimentano, nello stesso tempo pone un freno al delirio di
onnipotenza che normalmente è alimentato dalla sensazione di impunità.
Alla luce di tali osservazioni, già nell'atto istitutivo del Tribunale
penale internazionale, vi erano delle premesse sbagliate, in quanto, a
fronte della totale discrezionalità dell'azione penale tipica dei sistemi
anglosassoni, non veniva posta nessuna cautela procedurale nei confronti dei
capi di Stato e di Governo, sebbene in tutti gli ordinamenti, anche i più
democratici, esistono cautele procedurali o sostanziali per gli atti
compiuti dagli individui-organi posti a vertici delle istituzioni (dalle
autorizzazioni a procedere per i parlamentari a talune immunità o privilegi
giurisdizionali per i capi di Stato). Ciò comportava il rischio di una
precoce "politicizzazione" dell'attività del Tribunale penale Internazionale
e della strumentalizzazione della sua attività da parte di Stati terzi.
L'esperienza concreta dell'attività del Tribunale nel suo complesso (tenuto
conto soprattutto dell'attività del suo organo di impulso, la Procura),
dimostra che quelle preoccupazioni non erano infondate, anzi si sono
dimostrate talmente consistenti che, dopo la guerra del Kosovo, il Tribunale
ha cambiato ruolo e funzione rispetto all'impostazione originaria che lo
aveva partorito.
Questa pericolosa "politicizzazione" del Tribunale si è verificata già
durante la guerra di Bosnia, con l'incriminazione "precoce" del leader Serbo
Karadzic, (resa pubblica il 25 luglio 1995), mentre gli altri responsabili
politici della tragedia, rimanevano sostanzialmente al riparo
dell'iniziativa giudiziaria del Tribunale. In questo modo il Procuratore del
TPI delegittimava sostanzialmente una della parti in conflitto, a tutto
vantaggio delle altre, finendo persino per intralciare il negoziato di pace,
che sarebbe sfociato, poi, negli accordi di Dayton. E' significativa, a
questo riguardo, l'intervista rilasciata dal Presidente (all'epoca) del
Tribunale penale internazionale Antonio Cassese, il quale sull'Unità del 26
luglio 1995, così si esprimeva: "mi sembra difficile per un ministro degli
affari esteri di un paese occidentale sedersi al tavolo negoziale e firmare
un trattato con una persona incriminata per azioni contro l'umanità e
genocidio. Qualcuno mi chiedeva qualche giorno fa se l'incriminazione di
Karadzic non poteva essere un ostacolo ad un accordo di pace. Si, mi chiedo,
ma a quale pace? Che senso ha un trattato di pace che non rispetti i diritti
dei popoli, che raggiunto con Karadzic significherebbe operare un colpo di
spugna su crimini orribili?".
Questo tipo di attitudine esponeva il TPI ad una sovraesposizione politica
che finiva per contraddire il fine di giustizia sul quale si fondava la
funzione stessa del Tribunale.
Del resto l'indipendenza politica del Tribunale è stata fortemente limitata,
fin dall'origine, dallo stravolgimento dei criteri del finanziamento
dell'Istituzione. E' noto, infatti, che lo Statuto del Tribunale, come
approvato dal Consiglio di Sicurezza, prevedeva che le spese del suo
funzionamento dovevano essere poste a carico del bilancio ordinario della
Nazioni Unite. Poiché nel bilancio ordinario non c'erano i quattrini
necessari, l'Assemblea Generale ha istituito un fondo separato per le spese
del Tribunale, invitando i paesi membri a elargire contributi volontari. In
questo modo il Tribunale è stato finanziato da paesi ed istituzioni private
che avevano interesse alla sua attività, in pratica quasi esclusivamente
dagli Stati Uniti e da Fondazioni private americane. In alcune occasioni
pubbliche la Presidente del Tribunale, Gabrielle Kirk McDonald, ha
pubblicamente ringraziato il Governo degli Stati Uniti per la sua generosità
ed addirittura ha qualificato l'ex segretario di Stato, Madeleine Albright,
come la "madre" del Tribunale (cfr. Danilo Zolo, "Chi dice umanità",
Einaudi, 2000).
I finanziamenti degli Stati Uniti non sono stati del tutto disinteressati,
né incondizionati. Basti ricordare che, nel maggio del 1999, mentre
l'attacco della Nato contro la Jugoslavia era al suo culmine, il Congresso
americano, su proposta del Presidente Clinton, ha stanziato 27 milioni di
dollari per assistere il Tribunale, in particolare per la raccolta di
testimonianze a carico delle milizie serbe, con l'invio di esperti e
personale specializzato ai confini del Kosovo.
Date queste premesse di ambiguità, il cambiamento del ruolo e della funzione
del Tribunale internazionale si è completamente realizzato a seguito
dell'intervento armato della Nato contro la Jugoslavia di Milosevic per le
note vicende del Kosovo. Con il ricorso ai bombardamenti contro uno dei
soggetti politici della vicenda dei Balcani, la Nato, da ambiguo custode
della legalità internazionale in Bosnia, su mandato dell'Onu, si è
trasformata in una delle parti in conflitto, è diventato un belligerante a
tutti gli effetti, operante nel teatro dei Balcani. Come tutti gli altri
belligeranti, anche la Nato si è trovata - astrattamente - sottoposta alla
competenza giurisdizionale del TPI.
Malgrado ciò, e malgrado il grave illecito internazionale commesso dalla
Nato, con il ricorso all'aggressione militare contro la Jugoslavia, il
Procuratore (dell'epoca) del Tribunale, la canadese Louise Arbour, non ha
trovato alcuna difficoltà ad avvalersi, durante la guerra, dei servigi della
Nato, utilizzandola come "polizia giudiziaria" del TPI. Così, in piena
guerra, il 27 maggio del 1999 la Procuratrice ha annunziato di aver spiccato
un mandato di cattura contro Milosevic ed altre quattro persone, ai vertici
politico-militari della Federazione Jugoslava, avendo acquisito concreti
elementi di colpevolezza, a carico di costoro, a seguito delle indagini
effettuate con la collaborazione della Nato. Nell'occasione Louise Arbour,
ha dichiarato di essere consapevole della possibile interferenza dell'azione
penale con il negoziato per il raggiungimento della pace e, sia pure con
parole più caute di Cassese, ha dichiarato che: "le incriminazioni avanzate
sollevano il problema se gli accusati siano credibili come garanti di un
qualsiasi accordo di pace."
Attraverso l'incriminazione "precoce" di Milosevic ed il silenzio sui
crimini commessi dalla Nato, il più grave dei quali (il bombardamento della
tv serba) era stato commesso il 23 aprile, l'Organo titolare dell'azione
penale, ha schierato il Tribunale Penale Internazionale contro la
Jugoslavia, proprio nel momento in cui questo paese era sottoposto agli
attacchi più duri da parte della Nato. In questo modo il Tribunale è stato -
obiettivamente - trasformato in uno strumento funzionale alla guerra in
corso, attraverso la delegittimazione totale del nemico dell'Occidente. Non
a caso, il Presidente degli Stati Uniti, Clinton, appena appresa la notizia
dell'incriminazione di Milosevic ha dichiarato: "l'incriminazione conferma
che la nostra guerra è giusta".
Il sodalizio fra l'azione bellica degli Stati Uniti e l'iniziativa
giudiziaria del Tribunale penale è stato ulteriormente confermato dalla
"taglia" di 5.000.000 di dollari che Madaleine Albright ha promesso a coloro
che avessero collaborato alla cattura di Milosevic ed alla sua consegna al
Tribunale penale internazionale. In questo modo è stato creato un nesso
strettissimo fra l'uso della forza (da parte della Nato) ed il ricorso
all'azione giudiziaria (del TPI), di modo che il Tribunale è diventato uno
strumento per proseguire la guerra con altri mezzi. Il diritto, quindi, è
stato strumentalizzato e messo al servizio della forza.
La prova del nove della mancanza di imparzialità della Procura del TPI, l'ha
fornita, invece, il successore di Louise Arbour, la svizzera Carla Del
Ponte, la quale avendo deciso di non procedere in ordine ai crimini commessi
dalla Nato, ha annunziato al Consiglio di Sicurezza, il 2 giugno 2000, di
essere "molto soddisfatta" (very satisfied) di procedere all'archiviazione
delle denunzie contro la Nato. Attraverso la consegna di Milosevic al TPI,
questo processo di asservimento del diritto alla forza giunge al suo atto
finale, come giunge a compimento il rovesciamento della funzione originaria
del TPI, da Tribunale internazionale, imparziale presidio del diritto per
conto della Comunità internazionale, a Tribunale dei vincitori, utile per
legittimare la c.d. azione umanitaria della Nato e per portarne a compimento
gli effetti.
Questo non vuol dire che Milosevic sia innocente o non possa essere
processato.
Il diritto di processare Milosevic (ovvero di consegnarlo al TPI) spettava
al popolo Jugoslavo. La consegna illegale di Milosevic, al Tribunale
internazionale, attraverso il colpo di mano compiuto dal governo Dijndijc,
priva il popolo serbo della possibilità di fare i conti con la sua storia ed
apre la strada alla creazione di nuovi miti nazionalistici, seminando i
germi per i conflitti del futuro.


*****

5. Fulvio Grimaldi
DIFENDERE MILOSEVIC E' DIFENDERE LA LIBERTA' E LA SOVRANITA' DEI POPOLI

Il 24 marzo scorso, anniversario dell'aggressione Nato alla Jugoslavia, si è
svolto a Belgrado un convegno internazionale, organizzato dalle sinistre
serbe, su cause e conseguenze dell'aggressione imperialista. L'ex-presidente
Slobodan Milosevic, che era stato sconfitto nelle elezioni presidenziali da
una coalizione di forze finanziate e istruite dagli USA e da altri paesi
Nato, al termine di una campagna segnata da minacce militari e ricatti
economici di ogni genere, rischiava l'arresto e l'estradizione al tribunale
dell'Aja, un tribunale-farsa, voluto e finanziato dagli USA, creato dall'ONU
in violazione del suo stesso statuto, specializzato in montature contro
dirigenti serbi. Si costituì quindi il Comitato Internazionale di Difesa di
Slobodan Milosevic (ICDSM), formato da 80 tra giuristi, esponenti della
cultura, politici, giornalisti di 30 paesi. Ne sono presidenti l'ex-ministro
della giustizia statunitense e leader dei diritti civili e del movimento
antimperialista, Ramsey Clark, e il parlamentare bulgaro prof. Velko
Valkanov, presidente dell'Unione Antifascista Bulgara. Chi scrive ne è
vicepresidente e referente per l'Italia. Nel nostro paese l'ICDSM opera in
stretta collaborazione con il Tribunale Ramsey Clark per i crimini di guerra
della Nato. In poche settimane l'ICDSM ha raccolto milioni di firme in tutto
il mondo contro l'arresto di Milosevic, nel frattempo attuato in forme
totalmente illegali e su ricatto finanziario USA e contro la sua illegale
detenzione. L'ICDSM ha fornito al collegio di difesa di Milosevic, nel corso
dei tre mesi di detenzione a Belgrado, un costante monitoraggio giuridico
della legalità internazionale e si è adoperato per pubblicizzare tutte le
illegalità che caratterizzavano il trattamento di Milosevic da parte delle
autorità serbe, installate dopo il pogrom filo-Nato dell'ottobre 2000. In
particolare, è stato denunciato come la detenzione di Milosevic, prorogata
illegalmente per tre volte in totale assenza di prove a suo carico fornite
dalle centinaia di testimoni ascoltati per l'imputazione di abuso d'ufficio
e abuso di poteri, violasse i principi fondamentali degli ordinamenti
giuridici nazionale ed internazionale. L'ICDSM ha poi seguito la vicenda di
Milosevic, in particolare con l'avvocato Christopher Black e altri legali
del prestigioso studio canadese Mandel, dalla consegna dell'ex-presidente
agli USA e poi al Tribunale della Nato all'Aja, avvenuta su ennesimo ricatto
finanziario USA e deciso in solitudine, contro le decisioni del Parlamento e
della Corte Suprema e in violazione delle Costituzioni jugoslava e serba,
dal quisling serbo Zoran Djindjic, un losco personaggio, già al soldo dei
servizi segreti tedeschi, fuggito in Germania all'inizio dell'aggressione
dove ha aiutato la Nato a colpire obiettivi civili in Jugoslavia. Va
ricordato che negli ultimi giorni lo stesso presidente Kostunica si è
dissociato politicamente da Djindjic, ritirando il suo partito dalla
coalizione DOS al governo, e ha accusato il gruppo del primo ministro di
essere espressione della malavita organizzata, un fatto noto da tempo a
tutti gli osservatori internazionali. dapest.
Anche le costanti violazioni di diritto e i soprusi consentiti dai
regolamenti del sedicente Tribunale dell'Aja e inflitti a Milosevic (come il
prolungato rifiuto degli incontri con i famigliari, l'isolamento, le
perquisizioni addirittura di nipoti di pochi anni, l'arrogante e scorretta
interruzione audio delle dichiarazioni di Milosevic in aula) sono
documentate e denunciate dall'ICDSM che, in aggiunta, continua a monitorare
le condizioni di salute dell'ex-presidente. Fu l'ICDSM a denunciare come i
diritti sanitari del detenuto fossero sistematicamente ignorati e violati,
anche nel corso di un infarto che lo colpì a metà maggio. Accanto alla
stretta sorveglianza giuridica e alla denuncia dei costanti abusi compiuti
dai suoi carcerieri, l'ICDSM si propone anche di controbattere alla
micidiale opera di disinformazione e intossicazione attuata dai media ai
danni della Jugoslavia, della Serbia e, soprattutto, di Slobodan Milosevic,
che costituisce in sé un crimine contro l'umanità. Riteniamo che Milosevic
sia il personaggio storico più diffamato dai tempi di Giuliano l'Apostata,
un imperatore illuminato che ebbe il coraggio di opporsi al dilagante
controllo della Chiesa Cristiana sui beni pubblici e sui cittadini
dell'Impero. La sua figura e opera sono state aggredite da una macchina da
guerra di menzogne e mistificazioni, poi risultate tutte fondate
sull'invenzione di specializzate agenzie USA di disinformazione, cui quasi
tutti i media sono obbedienti fin dai tempi dell'aggressione all'Iraq nella
Guerra del Golfo. Nel frattempo il tempo è stato galantuomo e si sono
dissolte le diffamazioni circa la pulizia etnica ai danni degli albanesi
(inventata, contrariamente a quella effettuata dagli albanesi, sotto l'egida
Nato, ai danni di centinaia di migliaia di serbi), le fosse comuni, le
stragi attribuite ai serbi a Racak, in Kosovo, o a Sarajevo e Sebrenica in
Bosnia, il presunto nazionalismo di un presidente che ha dovuto
costantemente difendersi dalle strategie divisorie dell'imperialismo e dei
nazionalismi etnici e che si è invece adoperato fino all'ultimo per la
pacifica convivenza di tutte le etnie, culture, religioni, anche accogliendo
un milione di profughi tra i quali Rom, ebrei, goranci, bulgari, ungheresi,
cacciati dall'UCK e da Tudjman, fino all'accusa da sinistra di una resa alla
globalizzazione liberista, allorché fu invece proprio Milosevic a porre un
freno alle privatizzazioni imposte dai ricatti FMI e a salvaguardare uno
stato sociale che vantava, ultimo in Europa, servizi sociali come sanità e
scuola pubblici gratuiti (ora in corso di privatizzazione), che escludeva la
cessione di settori strategici a maggioranze straniere, che garantiva alle
maestranze il 60% delle imprese privatizzate, che aveva ricostruito la
Zastava, ora in vendita al migliore offerente. Mi ha detto Slobo nell'ultimo
colloquio che ha avuto, nella sua residenza, con un giornalista straniero:
«Cercano il mio cosiddetto "tesoro". Lo hanno cercato in Svizzera e le
autorità svizzere hanno cercato e risposto che non c'era nulla. Hanno
additato Cipro, dove stavano le bare refrigerate per i caduti segreti USA, e
il governo di Cipro ha negato con indignazione. Sa dove si trova il "tesoro
di Milosevic"? Sta nei ponti jugoslavi ricostruiti, sta nel cibo e nelle
medicine con cui abbiamo potuto salvaguardare l'esistenza del mio popolo
sotto embargo, sta nella Zastava ricostruita in un anno al 70%». Il resto,
su questa figura coraggiosa ed integra, profondamente antimperialista e
patriottica, lo può imparare chiunque si sia dato cura di ascoltarne le
dignitose e ferme parole al Tribunale dell'Aja, prima che un presidente
asservito agli USA gli tagliasse il microfono. Lo stanno apprendendo anche i
serbi, già ingannati dalle bugie e false promesse dell'imperialismo, che di
giorno in giorno vanno rafforzando, con manifestazioni di decine di migliaia
di persone, il Partito Socialista Serbo, unica opposizione, repressa e
perseguitata dal regime "democratico" installatosi col colpo di stato del 5
ottobre, che ha reso più disperata che mai la situazione economica del
paese, lo ha affidato alla mafia e ne ha svenduto dignità, sovranità e
indipendenza. L'ICDSM, in collaborazione con il Tribunale Clark
(tribunaleclark@mclink.it), prepara ora un convegno nazionale sulla natura
del Tribunale dell'Aja e sulle violazioni del diritto internazionale di cui
è protagonista. Analoghi convegni si svolgeranno in altri paesi, fino a
culminare, a ottobre, con una grande assemblea-manifestazione all'Aja,
contro il tribunale-farsa, contro la Nato, per la Jugoslavia e la
liberazione di Milosevic.

****
6. Danilo Zolo, Processo a Milosevic: un giudizio universale made in Usa
(Il Manifesto del 08/9/2001)

1. In tempi di globalizzazione il processo contro Slobodan Milosevic può
sembrare un evento del tutto naturale. La giustizia penale ha cessato di
essere un affare "privato" dei singoli Stati nazionali e si è
internazionalizzata. Sembra naturale e giusto che un capo di Stato, ritenuto
il massimo responsabile delle tragedie balcaniche dell'ultimo decennio,
risponda dei suoi crimini di fronte ad un tribunale internazionale, com'è il
Tribunale dell'Aja. Si tratta di un Tribunale istituito dalle Nazioni Unite
e che presenta dunque tutti i crismi formali della legalità internazionale.
I suoi giudici, grazie al loro prestigio e alla loro austera imparzialità,
rappresentano i valori di una giustizia universale. Si può pensare, insomma,
che il Tribunale dell'Aja giudichi e condanni in nome e per conto
dell'umanità intera.
Può sembrare naturale e giusto, ma si tratta comunque di un evento senza
precedenti. Non era mai capitato, nella storia dell'umanità, che un capo di
Stato venisse incriminato, imprigionato e processato da una corte
internazionale. E, si badi bene, tutto ciò non per le sue responsabilità
politiche in quanto capo di Stato, ma per crimini che è accusato di aver
personalmente commesso nel corso della guerra. Se si volesse proprio trovare
un precedente, occorrerebbe risalire all'incriminazione, alla fine della
prima guerra mondiale, del Kaiser Guglielmo II di Hohenzollern, accusato dai
vincitori di "oltraggio supremo alla morale internazionale e alla santità
dei trattati". Ma, come è noto, il processo a Guglielmo II non fu mai
celebrato perché l'Olanda, dove il Kaiser si era rifugiato, non concesse
l'estradizione. E la Germania non riconobbe la legalità del tribunale
internazionale che le potenze dell'Intesa intendevano istituire.
Nel caso di Milosevic è invece accaduto - e anche questo è un evento senza
precedenti - che un ex-capo di Stato sia stato direttamente consegnato dalle
autorità politiche del suo paese a un tribunale "straniero".
2. Può sembrare naturale e giusto, ma Slobodan Milosevic si rifiuta di
ammetterlo. Contesta clamorosamente la legalità internazionale del Tribunale
che lo tiene recluso e che lo sta processando. E per questo, con spavalda
coerenza, ne respinge le procedure, al punto di non voler nominare dei
propri avvocati di fiducia e di ricusare il difensore d'ufficio. Non solo:
Milosevic accusa le attuali autorità del suo paese di averlo illegalmente
"venduto" a un Tribunale che, sotto le apparenze della giustizia
internazionale, in realtà è al servizio della Nato e in particolare degli
Stati Uniti.
Il Tribunale dell'Aja, sostiene Milosevic, è un'assise giudiziaria modellata
secondo le convenienze strategiche delle potenze occidentali e che manca
quindi di qualsiasi imparzialità e autonomia politica. La verità, grida
Milosevic in una tragica, allucinata solitudine, è dalla sua parte e
prevarrà sulle menzogne delle potenze che lo hanno militarmente sconfitto e
che ora intendono umiliarlo e degradarlo anche sul piano morale. Essere
sconfitti in guerra è normale, ma essere processati dal nemico è una
sconfitta totale e irreparabile, che non può essere subita se non accettando
di essere banditi dall'umanità, disumanizzati. E' questa l'estrema trincea
sulla quale combatte l'ex Presidente della Repubblica Federale Jugoslava.
3. La verità è dalla parte di Milosevic? Sarebbe sicuramente azzardato
sostenerlo, almeno nel senso che sul leader serbo gravano pesanti
responsabilità politiche, che egli non ha mai inteso riconoscere. Il suo
nazionalismo estremo è stata una delle concause - certo non la sola, e forse
neppure la più rilevante - che hanno portato prima alla guerra di Bosnia (e
alle atrocità dell'epurazione etnica) e poi alla guerra del Kosovo. E molto
probabilmente anche le accuse di corruzione che i magistrati jugoslavi
avevano formulato contro di lui non erano infondate. Il suo regime era solo
apparentemente democratico: nella sostanza si reggeva su una struttura di
potere corrotta e dispotica. Per queste ragioni egli meritava sia
l'allontanamento dalla vita politica jugoslava, sia, probabilmente, una
severa condanna penale.
Ma, detto questo, le brucianti accuse che Milosevic rivolge contro il
Tribunale dell'Aja sono totalmente infondate? Sono le farneticazioni di un
ex-comunista e nazionalista balcanico, che non riesce a prendere atto dei
nuovi equilibri politici del mondo? Sono espressione volgare e arrogante,
come è stato sostenuto da una larga parte della stampa europea, della
mentalità dispotica di un uomo abituato a comandare e a eliminare
fisicamente i suoi avversari? Sono un delirio di onnipotenza?
4. Milosevic ha torto, sul piano giuridico, quando sostiene l'illegalità
internazionale del Tribunale dell'Aja perché, a suo parere, quel Tribunale
avrebbe dovuto essere istituito dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite
e non dal Consiglio di Sicurezza. Milosevic sbaglia perché l'Assemblea
Generale non ha certamente il potere di dar vita a Tribunali penali
internazionali, non disponendo, come è noto, di alcun potere deliberativo.
Da questo punto di vista Milosevic è un pessimo difensore di se stesso. Ciò
non toglie che l'illegalità internazionale del Tribunale dell'Aja sia stata
sostenuta - e sia sostenibile - con rigorosi argomenti giuridici, come ha
autorevolemte fatto, ad esempio, Gaetano Arangio Ruiz.
Soltanto in base ad una contestatissima teoria dei "poteri impliciti" del
Consiglio di Sicurezza si è tentato di suffragare l'atto di arbitrio che il
Consiglio di Sicurezza, fortemente stimolato dagli Stati Uniti, ha commesso.
Nessuna norma del diritto internazionale generale, né, tanto meno, la Carta
delle Nazioni Unite autorizzava il Consiglio di Sicurezza a creare ex nihilo
un organismo giudiziario: un organismo che non è altro che un Tribunale
speciale, con poteri retroattivi e con una giurisdizione non chiaramente
definita. Si è trattato di una palese violazione di qualsiasi principio del
rule of law internazionale e della stessa dottrina dei diritti dell'uomo.
Dunque, Milosevic non ha torto nel sostenere che la legalità internazionale
del Tribunale dell'Aja non è affatto sicura.
5. Milosevic sostiene che il Tribunale dell'Aja è alle dipendenze della Nato
e in particolare degli Stati Uniti, che non offre perciò alcuna garanzia di
imparzialità, che non è, propriamente, neppure una istituzione giudiziaria.
Sembra difficile dargli torto. E' sufficiente tener conto che gli Stati
Uniti sono in pratica gli esclusivi finanziatori del Tribunale - miliardi di
erogazioni in denaro, in materiale elettronico, nella fornitura di servizi e
di personale specializzato - in palese violazione dell'art. 32 dello Statuto
del Tribunale, che mette le sue spese a carico del bilancio ordinario delle
Nazioni Unite. E basta considerare che la Procura del Tribunale -
rappresentata prima dalla canadese Louise Arbour e poi dalla svizzera Carla
del Ponte - ha stabilito, in violazione dell'art. 16 dello Statuto, rapporti
di sistematica collaborazione con le autorità politiche e militari della
Nato. E questo è accaduto sia prima che dopo la "guerra umanitaria" della
Nato contro la Repubblica Jugoslava. In pratica la Nato opera come forza di
polizia giudiziaria a favore della Procura del Tribunale, ricevendone
segretamente gli atti di incriminazione e provvedendo ad applicarli manu
militari. Anche l'incriminazione e l'estradizione di Milosevic sarebbe stata
impossibile senza la collaborazione militare della Nato, oltre che di
Scotland Yard e dell'Fbi.
Infine, non può essere sottaciuto che, in cambio della sua preziosa
collaborazione, la Nato ha ottenuto dal Procuratore Carla del Ponte
l'archiviazione delle denunce formalmente presentate a suo carico da
autorevoli giuristi occidentali. E si è trattato di una archiviazione del
tutto irrituale, che non solo Harold Pinter, ma persino un ex presidente del
Tribunale dell'Aja come Antonio Cassese, ha severamente criticato. Questa
decisione, del tutto scontata sul piano politico, rappresenta tuttavia la
prova del carattere politico, appunto, e non giudiziario dell'attività
svolta dal Procuratore Carla del Ponte. Questo singolare magistrato opera e
si esprime apertamente come una sorta di "commissario politico" della Nato e
degli Stati Uniti. Non perde occasione per riferirsi al Dipartimento di
Stato come al proprio committente, al punto che, il giorno successivo
all'estradizione di Milosevic, ha comunicato con orgoglio ai giornalisti di
aver ricevuto le congratulazioni di Madeleine Albright, da lei
affettuosamente chiamata ancora una volta, come è consuetudine fra il
personale del Tribunale, the mother of the Tribunal.
6. Milosevic, nonostante le sue violente proteste, verrà condannato a una
pena molto severa e passerà il resto della sua vita in carcere perché così
vogliono "i vincitori": gli Stati Uniti e le altre potenze occidentali. Il
ruolo che gli è stato assegnato è quello del capro espiatorio. Il sacrificio
collettivo di una vittima, ci ha insegnato Réné Girard, ha sempre un effetto
redentivo, diffonde sentimenti di sicurezza e circonda i vincitori di una
aureola di trascendente innocenza. Tutto questo, naturalmente, dovrebbe
avere poco a che fare con le funzioni di un ordinamento giuridico moderno,
nazionale o internazionale. E non ha nulla in comune con una politica di
pacificazione e di riscatto dei paesi balcanici.
Ma ciò che conta assai più, dal punto di vista dei committenti del
sacrificio, sono gli esiti strategici dell'intera vicenda. La cattura, la
degradazione morale e la condanna di Milosevic contribuiranno a rafforzare
anche in questo caso la strategia imperiale che le potenze occidentali hanno
sempre perseguito con i loro interventi politici e militari nei Balcani, dal
Congresso di Berlino, nel 1878, a Rambuillet, nel 1999. Il loro obiettivo è
sempre stata la frammentazione territoriale della regione balcanica e la sua
subordinazione politica ed economica.

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7. Michael Mandel, I non imputati dell'Aja [Il manifesto - 22 Luglio 2001]
[docente di diritto presso la Osgoode hall Law School all'Università di
York, Toronto, Canada. Ha guidato un team internazionale di avvocati e
professori che si è battuto e si batte perché i leader della Nato vengano
accusati di crimini di guerra per la campagna di bombardamenti contro la
Jugoslavia del 1999].

"Esperti legali" citati ieri dalla stampa hanno liquidato la
denuncia-condanna del tribunale dell'Aja da parte di Slobodan Milosevic
nelle prima udienza davanti ai giudici, definendola "non utile alla sua
difesa" e sostenendo che "è improbabile che essa possa contribuire al suo
proscioglimento". E' davvero spassoso. Le probabilità che ha Milosevic di
ottenere un processo equo da questa corte sono tante quante ne aveva di
sconfiggere la Nato in un conflitto aereo.
In realtà c'è molto da dire a favore della tesi di Milosevic, secondo cui il
tribunale è un "falso tribunale, e le imputazioni false imputazioni"
(grammatica a parte). E quando ha detto "lo scopo di questo tribunale è
produrre false giustificazioni per i crimini di guerra della Nato commessi
in Jugoslavia", egli in realtà stava semplicemente citando l'uomo che ha
scritto lo statuto del tribunale per Madeleine Albright: "Il tribunale è
stato largamente percepito all'interno del governo come poco più di uno
stratagemma di pubbliche relazioni e uno strumento politico potenzialmente
utile... Le incriminazioni sarebbero servite anche a isolare dal punto di
vista diplomatico i leader che avessero trasgredito, a rafforzare i loro
rivali interni e a fortificare la volontà politica internazionale di
impiegare sanzioni economiche o usare la forza" ha scritto proprio Michael
Scharf su The Washington Post il 3 ottobre 1999).
Trattare il tribunale come un mero strumento di propaganda della Nato è, in
realtà, il solo modo di spiegarne le violazioni dei più fondamentali
principi di imparzialità giudiziaria, da un piccolo dettaglio come l'utile
link alla Nato sul sito web del Tribunale (eliminato solo molto di recente),
fino all'incriminazione dello stesso Milosevic il 22 maggio 1999, nello
stesso momento in cui i "danni collaterali" dei bombardamenti Nato stavano
disgustando il mondo. Quasi tutte le accuse in quella incriminazione
concernevano azioni che sarebbero avvenute dopo l'inizio dei bombardamenti,
sulla base di prove non rivelate fornite dalla stessa Nato. In altre parole,
una incriminazione per eventi che erano avvenuti, in alcuni casi, soltanto
sei settimane prima nel mezzo di quella che era ancora una zona di guerra.
Una accusa imparziale avrebbe considerato queste prove molto sospette e
inaffidabili, forse la base per una indagine da compiere dopo la fine dei
bombardamenti, ma che dire di una incriminazione durante la guerra? Quale
poteva essere lo scopo se non, per usare le parole di Milosevic, "produrre
false giustificazioni per i crimini di guerra della Nato commessi in
Jugoslavia"?
E questo è l'altro punto, in realtà il punto fondamentale. Perché se all'Aja
ci fosse un tribunale onesto, Milosevic sarebbe soltanto uno delle circa due
dozzine di capi di governo e di stato, passati e presenti, da Aznar, Blair,
Chrétien e Clinton e così via, in ordine alfabetico. Per non parlare dei
loro ministri degli esteri, della difesa, dei generali e dei loro portavoce.
Essi hanno commesso ciascuno dei crimini di guerra compiuti da Milosevic, e
anche di più. Per "di più" intendo il "crimine contro la pace" della guerra
di aggressione, ciò che la sentenza di Norimberga chiamava "il supremo
crimine internazionale, che differisce dagli altri crimini di guerra solo
per il fatto che contiene in se stesso i mali di quelli messi insieme".

"Qualunque tipo di guerra"

Ecco che cosa disse il giudice Robert Jackson sull'argomento a Norimberga:
"Qualunque ricorso alla guerra - qualunque tipo di guerra - è un ricorso a
mezzi di per sé criminali. La guerra inevitabilmente è un susseguirsi di
uccisioni, attentati, privazioni della libertà e distruzione di beni. Una
guerra onestamente difensiva è, naturalmente, legale e salva dalla
criminalità coloro che la conducono in modo legittimo. Ma atti di per sé
criminali non possono essere difesi mostrando che coloro che li hanno
commessi erano impegnati in una guerra, quando la guerra stessa è illegale.
La conseguenza davvero minima dei trattati che considerano illegale la
guerra d'aggressione è spogliare coloro che incitano alla guerra, o che ne
intraprendono una, di qualunque appiglio la legge abbia mai fornito, e
lasciare che i signori della guerra siano sottoposti al giudizio in base ai
principi solitamente accettati della legge penale".
La guerra della Nato è stata una violazione consapevole del diritto
internazionale e della Carta delle Nazioni Unite. Nessuno ha mai seriamente
dubitato della sua illegalità.
Un "intervento umanitario"? Da quando in qua gli Stati Uniti, nei loro
interventi militari, hanno agito per motivi umanitari? Gli Usa hanno una
storia di aggressioni dovute unicamente ai loro interessi nel mondo, e
nessun rispetto per le vite dei civili: dalle bombe atomiche su Hiroshima e
Nagasaki, all'uso del napalm in Vietnam e i bombardamenti a tappeto della
Cambogia, fino alla distruzione dell'Iraq e la morte di centinaia di
migliaia di bambini iracheni attraverso un brutale regime di sanzioni.
Questo è il paese che ha impedito al Consiglio di sicurezza dell'Onu di
intervenire in Ruanda perché non era disposto ad aiutare e non voleva fare
brutta figura. Questo è il paese che ha sostenuto regimi repressivi da
Somoza, a Pinochet, a Suharto. E non dimentichiamo che gli Stati Uniti sono
un paese che notoriamente vìola i diritti umani dei suoi stessi cittadini:
un paese fatto di segregazione razziale, di povertà in mezzo a ricchezze
favolose, di brutalità da parte della polizia, di prigioni che scoppiano, di
pena di morte.
E non dimentichiamo l'enorme responsabilità morale dei paesi Nato per la
violenza in Jugoslavia - dalle politiche economiche aggressive che per prime
hanno precipitato la Jugoslavia nella depressione e nella guerra civile,
alla sponsorizzazione sulla base dei confini etnici delle repubbliche
balcaniche, che hanno lasciato ampie minoranze al loro interno in attesa
solo di subire la "pulizia etnica" da parte delle maggioranze, all'appoggio
fornito all'esercito di liberazione del Kosovo [UCK], la distruzione di
qualunque chance di pace, dagli accordi Vance-Owen in Bosnia alla farsa di
Rambouillet, e la stessa campagna di bombardamenti.

Il nuovo ruolo della Nato

L'esigenza di inventare un ruolo nuovo per la Nato dopo la Guerra fredda,
l'instancabile campagna degli Usa per minare le Nazioni Unite, l'industria
delle armi, il desiderio di testare le armi, una guerra dimostrativa "pour
découragér les autres" (come Saddam) che pensano di potersi opporre alla
volontà degli americani, una guerra contro un nemico debole che potesse
essere combattuta senza perdere una sola vita americana in combattimento,
lucrosi contratti di ricostruzione, un sicuro oleodotto sul Mar Caspio,
persino Monica Lewinsky - tutto ciò spiega questa guerra meglio dei motivi
umanitari.
Perciò mettiamo questa guerra nella categoria della classica guerra
d'aggressione illegale, classicamente travestita come le altre da guerra
umanitaria.
Ora, lo Statuto del tribunale dell'Aja non contempla la "guerra
d'aggressione" come un crimine. Gli Usa non lo hanno voluto, così come non
lo hanno voluto nello statuto di Roma del 1998 (che gli Usa non hanno ancora
ratificato), un fatto che di per sé mina la legittimità della corte. Ma la
legge contempla i "crimini contro l'umanità", includendo in ciò "l'omicidio"
e "altri atti inumani". L'omicidio è definito universalmente come il causare
la morte, intenzionalmente (il che include consapevolmente) senza
giustificazioni legali.

E le vittime civili dei bombardamenti?
I leader della Nato hanno pianificato e messo in atto una campagna di
bombardamenti, sapendo che essa era contraria ai principi più fondamentali
del diritto internazionale e che avrebbe causato la morte e l'invalidità di
migliaia di civili: bambini, donne e uomini. Lo hanno ammesso ripetutamente
dicendo "ci dispiace, ma questo è ciò che succede in una guerra", e hanno
continuato a bombardare. Già solo per questo, ossia l'uccisione consapevole
di centinaia e centinaia di civili - tra cui molti bambini - al di fuori
della legge, questi leader sono colpevoli di omicidio di massa. Milosevic è
stato incriminato per l'omicidio di 385 vittime, poi più recentemente
nuovamente incriminato per un totale di 671. Bene! I leader della Nato hanno
ucciso almeno 500 persone (secondo Human Right Watch e Amnesty
Internationa), ma forse più di 1.500 secondo le nuove autorità di Belgrado.
E poi ci sono le Convenzioni di Ginevra e le "leggi e costumi di guerra" per
le quali è un crimine, anche in una guerra legale, uccidere e ferire civili
intenzionalmente o per incuria, ossia non curarsi di colpire solo target
militari.
Tuttavia, secondo ammissioni rese in pubblico per tutta la durata della
guerra (ricordate Jamie Shea con gli occhiali da sole e il suo sciocco
sorrisetto?), secondo resoconti di testimoni oculari e secondo precise prove
circostanziali mostrate sugli schermi televisivi del pianeta durante i
bombardamenti - prove sufficienti per una condanna in qualunque tribunale
del mondo - questi leader della Nato hanno deliberatamente e illegalmente
preso di mira luoghi e cose di interesse militare scarso o nullo: ponti
cittadini, fabbriche, ospedali, mercati, quartieri in centro o residenziali,
studi televisivi. Con le cluster bomb a frammentazione che hanno minato il
territorio, i target ambientali con la distruzione di interi complessi
chimici e l'uso massiccio di uranio impoverito. Le stesse prove mostrano
che, così facendo, i leader della Nato miravano a demoralizzare la
popolazione e spezzarne la volontà, non a sconfiggere il suo esercito.
(Michael Dobbs, biografo di Madeleine Albright, il 26 luglio '99 ha scritto
sul Washington Post che "è evidente, per chiunque abbia visitato la Serbia
durante la guerra, che fiaccare il morale dei civili costituiva una parte
essenziale della strategia perseguita dall'alleanza per vincere".)
Dunque la sola differenza giuridica tra Milosevic e i leader della Nato è
che Milosevic è un criminale di guerra imputato, mentre loro sono criminali
di guerra non imputati.

Leggete il rapporto di Amnesty

Ma naturalmente i leader della Nato non saranno mai imputati. Un anno fa
Carla Del Ponte ha prodotto un rapporto in cui, pur ammettendo l'evidenza
delle uccisioni di civili, dichiarava di assolvere i leader della Nato dai
loro crimini senza neanche aprire un'indagine. Dovreste leggere questo
rapporto, se volete sapere quanto sensate fossero le parole pronunciate da
Milosevic all'Aja. Dovreste anche leggere il rapporto di Amnesty
International che era uscito contemporaneamente. Difficile non concludere
che quello della Del Ponte non sia una truffa.
Mentre il rapporto di Amnesty, in modo attento e prudente, elenca
dettagliatamente una quantità di crimini di guerra contro i civili, quello
di Carla Del Ponte sembra piuttosto la sciatta memoria di un avvocato della
Nato. E in effetti esso è stato scritto da un ex avvocato della Nato, un
certo William J. Fenrick, un ex capitano di fregata delle forze armate
canadesi che, dal suo incarico di "Director of Law for Operations and
Training" presso il Dipartimento della Difesa canadese, è passato
direttamente al tanto "oggettivo" Tribunale dell'Aja.
D'altro canto, il rapporto spesso oltrepassa persino il documento di un
avvocato e diventa quanto di più simile a un vero e proprio comunicato
stampa della Nato che avrebbe potuto essere diffuso da Jamie Shea o James
Rubin. Il meglio viene alla fine del rapporto, quando esso dichiara che la
sua tecnica operativa di indagine è consistita nella lettura dei comunicati
stampa della Nato e nel prenderli per buoni:
"90. Il comitato ha condotto il suo esame basandosi essenzialmente su
documenti pubblici che includono affermazioni fatte dalla Nato e dai paesi
Nato in conferenze stampa e documenti pubblici prodotti dalla Repubblica
Federale di Jugoslavia. Esso è partito dal presupposto che le affermazioni
della Nato e dei paesi Nato siano generalmente attendibili e che le
spiegazioni siano state fornite in buona fede".

Riuscite a immaginare che tipo di applicazione della legge avrebbe un paese
se la polizia prendesse per buone le spiegazioni dei presunti colpevoli?
Riuscite a immaginare quante incriminazioni sarebbero state prodotte contro
la leadership serba se il rappresentante dell'accusa si fosse fermato ai
comunicati stampa della Repubblica Federale di Jugoslavia?
Le conclusioni? Il Tribunale ha dichiarato che non avrebbe neanche "aperto
un'indagine", dopo aver ricevuto per un anno prove schiaccianti, di dominio
pubblico, dei crimini dei leader della Nato che, secondo le stime più
prudenti, avrebbero causato la morte di molti più civili di quelli per cui è
stata incriminata la leadership serba. Questo dato va comparato,
naturalmente, con l'episodio di Racak del 15 gennaio 1999 (l'altro
importante capo d'imputazione contro Milosevic), quando Louise Arbour si
prese un giorno per volare in Kosovo (con le telecamere della Cnn al
seguito) e melodrammaticamente "aprire un'indagine" su segnalazione di un
diplomatico americano. Per dichiararlo un crimine di guerra le sono bastate
due settimane di consultazioni con la Nato.
Milosevic può essere o no colpevole dei crimini che gli sono stati
contestati da Arbour e Del Ponte, ma all'Aja non otterrà mai un processo
equo. E anche se fosse colpevole di tutto ciò di cui è accusato, il fatto di
non avere perseguito i crimini della Nato rende questo tribunale peggiore
che nessun tribunale. Esso, semplicemente, rassicura gli Stati Uniti e tutti
i loro amici e clienti (se Pinochet trema, non è per paura della giustizia
internazionale e ormai nemmeno di quella nazionale) che se vogliono violare
il diritto internazionale e uccidere dei civili, possono contare sul fatto
che qualche tribunale si girerà dall'altra parte, per poi fare una retata e
punire i soliti sospetti.





------- End 

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Giorgio Ellero 
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