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GLI ARABI ALLA PROVA DELLA "GIUSTIZIA INFINITA" - F. Grimaldi



GLI ARABI ALLA PROVA DELLA "GIUSTIZIA INFINITA"

FULVIO GRIMALDI PER L'ERNESTO


Beirut  

L'aria che tira da queste parti è assai meno tempestosa di 
quella che ha soffiato sugli occidentali sotto forma di 
delirio bellico. Beirut è l'osservatorio ideale sul Medio 
Oriente, anche perché qui tutte le tendenze politiche della 
regione sono rappresentate da altrettanti giornali e 
partiti, dal Baath ai comunisti, dagli integralisti sauditi 
agli hezbollah, da Fatah alla destra israeliana (che ha il 
suo equivalente nella Falange libanese), dai marxisti 
palestinesi ai nasseriani e ai reazionari filoamericani o 
filofrancesi. Ed è in questo arcipelago, che, in un paese 
di non si sa quanti abitanti (ultimo censimento nel 1933, 
dopodichè lo si è accuratamente evitato per non 
scombussolare i delicatissimi equilibri etnici e tribali), 
riassume la complessità del mondo mediorientale, dove si 
registrano con precisione omogeneità e divergenze nelle 
reazioni agli attentati e al successivo scatenarsi della 
"crociata" statunitense. 
Già, la "crociata". Uno spettacolare autogol di Bush lo 
Scarso che qui, rievocando aggressioni e massacri storici 
profondamente incastrati nella memoria collettiva, hanno 
provocato notevole indignazione, minando alla base 
quell'adesione all'"Alleanza" antiterrorista che, del 
resto, per molti governi dell'area è stata un esercizio di 
puro principio, perlopiù corredato dal corollario che per 
terrorismo qui s'intende e si conosce su tutti il 
terrorismo israeliano.

La compostezza, quasi freddezza con le quali il mondo arabo 
ha risposto al nevrotico allarmismo occidentale, hanno il 
segno di due consapevolezze. Freddezza mantenuta anche 
quando Powell intimava ai sostenitori degli hezbollah Siria 
e Libano di liberarsi dei "terroristi" pena l'inclusione 
nella lista nera degli stati sterminandi, o quando 
l'ambasciatore USA a Beirut è arrivato a pretendere la 
consegna dei dirigenti hezbollah Fadlallah e Nasrallah e 
dei loro vice, o ancora quando la CIA ha finalmente 
estratto dal cilindro l'Iraq quale obiettivo vero del 
senile impazzimento militaresco di un paese che sente sul 
collo il fiato dell'inizio della crisi finale. 
La prima consapevolezza, scaturita dall'aver vissuto sulla 
propria pelle ogni genere di nefandezza terroristica 
occidentale, dalla conquista colonialista alle guerre di 
liberazione, dalle aggressioni israeliane alla guerra 
civile in Libano innescata dagli ascari libanesi di USA, 
Vaticano e Israele, dalle stragi sioniste in Palestina e 
fuori fino a Sabra e Shatila e ai massacri di palestinesi 
oggi, definite "violenze nei territori". 
La seconda è il risultato di una capacità di analisi di 
politici e osservatori arabi che sfugge del tutto alla 
maggioranza degli "esperti" o dei media occidentali, vuoi 
per malafede, vuoi per stereotipi politico-culturali di 
antica e sempre rinnovata potenza che ottundono qualsiasi 
serenità di giudizio. Vale per gli arabi quello che vale 
per gli slavi, per cui a ogni Saddam (un tempo erano i 
Nasser, i Gheddafi, i Ben Bella) corrisponde un Milosevic, 
o  un qualsiasi altro difensore della sovranità e 
dell'identità nazionali contro il neocolonialismo 
imperialista guidato dagli anglosassoni.

E' un'analisi che, senza paraocchi occidentocentrici, per i 
quali la civiltà sta solo da una parte, spoglia tutta la 
baraonda del vittimismo USA ed europeo della sua retorica e 
delle strumentalizzazioni che tenta di operare, per andare 
al nocciolo del cui prodest. E anche su questa analisi si è 
creata un'unità araba, appena increspata dall'allineamento 
dei sauditi (tra gli arabi gli unici autentici alimentatori 
dei terrorismi islamici) e dalle bizzarrie di un Gheddafi 
ansioso di rassicurare l'Occidente e ormai  lontano, 
immerso come è nell'Africa, dalle questioni arabe e 
palestinesi. A prescindere da chi  abbia fatto fare gli 
attentati - e sul nome di Osama bin Laden si levano ovunque 
alti sghignazzi, insieme alla sottolineatura delle sue 
attuali operazioni al servizio degli USA con mercenari 
afghani e wahabiti in Kosovo, Macedonia, Cecenia, Asia 
centrale, Algeria, Indonesia, Filippine - l'uso che ne è 
poi stato fatto dagli USA, illustra, secondo gli arabi, una 
strategia imperialista di grande respiro. 

I dirigenti libanesi

Con la bufera recessiva determinata dalla demenzialità del 
mercato cosiddetto neoliberista, dove tutti sbranano tutti, 
toccava ricorrere allo strumento statale capitalista per 
eccellenza: il complesso militar-industriale, impersonato 
in modo strabordante dal vicepresidente Cheney e sostenuto 
dal consenso dell'integralismo cristiano-fascistoide 
dilagante negli USA. La locomotiva del riarmo, in vista 
della "guerra di lunga durata" preconizzata da Bush, 
dovrebbe ridare fiato alla ripresa in USA e nei paesi 
alleati, mentre l'azione verso l'Afghanistan consentirebbe 
agli USA di riempire un vuoto strategico che il Pentagono 
denuncia da tempo: quello tra Turchia e Corea del Sud, dove 
gli statunitensi vantano solo la base insulare di Diego 
Garcia. La guerra del Golfo, si ricorda, doveva consentire 
alle forze statunitensi di installarsi nella penisola 
arabica, quella contro la Jugoslavia ad insediarsi 
permanentemente nei Balcani. Mancava una presenza sul 
fianco sud per la spinta verso l'Asia centrale, la Russia e 
la Cina (dove pure, nella provincia a maggioranza musulmana 
del Xinyang, sono attivi gli ascari CIA di bin Laden), a 
cavallo di tutti i maggiori oleodotti. Tanto più che i 
Taleban, diventati figlioli riottosi, avevano negato agli 
USA la costruzione dell'unico oleodotto che gli avrebbe 
portato il petrolio caucasico verso l'Oceano Indiano. 
Un'opinione questa, espressa da Talal Salman, direttore 
(tre attentati in vent'anni fattigli dalle destre) del più 
grande giornale di sinistra del mondo arabo, As Safir, e a 
cui, col suo solito modo scanzonato e beffardo, il più 
anticonformista dei politici libanesi, Walid Jumblatt, 
leader dei drusi e del Partito Socialista Progressista, 
aggiunge un'altra dimensione. Accontanato con disinvoltura 
lo sbigottimento dei commentatori arabi per la sua 
affermazione che gli attentati alle Torri Gemelle e al 
Pentagono sarebbero stati opera di americani e israeliani, 
Jumblatt  punta il dito sulla fascistizzazione rilanciata a 
ritmo accelerato dall'orrore di New York e Washington. "Lo 
shock, lo sgomento, la revulsione per quelle stragi, mai 
espressi in passato per le ecatombi di iracheni, 
palestinesi, guatemaltechi, serbi, angolani e tanti altri 
che non appartengono alla "civiltà occidentale", saranno 
utilizzati dagli USA per una stretta repressiva ed 
antidemocratica in tutto il mondo. E qui gli europei, che 
sugli obiettivi militari degli USA, destinati a ricomporre 
le forti contraddizioni soprattutto economiche tra 
Washington ed UE, hanno forti riserve, vanno invece a 
nozze. In Europa, come negli Stati Uniti, recessione e 
aumento delle spese militari comporteranno sacrifici e 
rinunce pesantissimi per i ceti più deboli, per i 
lavoratori, e ulteriori devastazioni ecologiche per la 
riduzione delle spese sociali ed ambientali. Ne nasceranno 
tensioni e conflitti sociali difficili da controllare. Ecco 
perché la militarizzazione della società, i controlli, i 
divieti, leggi e operazioni repressive del dissenso saranno 
indispensabili anche ai governi europei, ormai  quasi tutti 
di destra, mascherata o vera". 

La madre di tutti i terrorismi

Il fatto che da queste parti sono cinquant'anni che si 
subisce il più feroce terrorismo di stato della storia, 
quello degli israeliani contro gli arabi - e l'occasione è 
buona perché è appena caduto l'anniversario di Sabra e 
Shatila, "la madre di tutti i terrorismi", quando, nel 
1982,  Sharon fece massacrare dai falangisti e 
dall'esercito mercenario di Lahad 3000 inermi profughi nei 
campi - e che si parli di "crociata" e che un difensore del 
suo paese come Milosevic sia in prigione mentre un 
macellaio come Sharon è il più caro degli alleati, rende 
gli arabi indifferenti, non alle vittime, ma alla grancassa 
vittimistica dei dirigenti occidentali. 

Il presidente della repubblica

Mi ha detto il capo dello Stato, Generale Emile Lahoud, che 
"fin quando saranno definiti terroristi ragazzini con i 
sassi e gente che si immola contro gli occupanti del suo 
paese, e non quelli che assaltano i colonizzati e assediati 
con carri armati e F-16, nessuno potrà prendere sul serio 
la campagna antiterrorismo. Includano anche i terroristi 
israeliani, ("quelli islamici in Kosovo, Cecenia e 
Macedonia", aggiunge Jumblatt) e coloro che bombardano ogni 
giorno l'Iraq, poi si vedrà". E così anche l'adesione 
all'alleanza antiterrorista dei governi-clienti degli USA, 
dal Kuwait agli Emirati, dai sauditi ai giordani, si è 
sempre portata dietro la richiesta di intervenire su 
Israele. Un'Israele che, secondo molti commentatori arabi, 
verrà si frenata dagli USA nella persecuzione dei 
palestinesi, ma in compenso potrà vedere gli americani 
farla finita una volta per tutte con l'Iraq, tuttora, 
insieme all'Intifada, il catalizzatore di una rabbia araba 
che rischia di scuotere i già fragili regimi feudali. Il 
pur moderato presidente Lahoud si spinge fino a ribattere 
alla pretesa USA di neutralizzazione degli hezbollah da 
parte di Libano e Siria, con una vera sparata in  favore 
del "Partito di Dio". "Assurdo chiamarli terroristi. Sono 
patrioti libanesi che hanno difeso la dignità e la libertà 
del loro paese. Ci hanno riempito di orgoglio per avere 
liberato la nostra terra dall'occupazione israeliana. Sono 
amati da tutti. Inutile aggiungere che Lahoud, l'ex-capo di 
stato maggiore che ha saputo riunire un esercito frantumato 
da mille lealismi a capiclan e capi politici vari, ha 
contribuito a unificare anche buona parte delle tante 
anime, confessionali, etniche, politiche, del mosaico 
nazionale, superando ostracismi e promuovendo la 
convivenza.  

Hezbollah

Gli hezbollah, stimati e applauditi per il forte ruolo 
sociale  che svolgono, in assenza di uno Stato che campa di 
speculazioni edilizie e finanziarie, anche grazie ai fondi 
di Teheran, nonché per la prima vittoria militare ottenuta 
da un esercito arabo sugli israeliani, sono amici di tutti, 
esclusa ovviamente la destra fascista cristiana, tuttora, 
come ai tempi di Sabra e Shatila, quinta colonna israeliana 
in Libano. Ne ho incontrato il fondatore nel 1982 e 
vicesegretario generale, Sheikh Naim Kassem, numero due 
dopo Hasran Nasrallah. Le misure di sicurezza da superare 
nel quartier generale, nel poverissimo quartiere degli 
sciti alla periferia sud di Beirut, non sono inferiori a 
quelle imposte oggi a chi va a incontrare Bush. Armati 
tutt'intorno, blocchi di cemento e sbarre agli ingressi, 
esame minuzioso degli ospiti e dei loro oggetti, fino alle 
penne, anch'esse prese, passate ai raggi x, e restituite. 
Ci si augura che ci sia anche un bunker a prova di missile 
all'uranio, vista la serie di assassini mirati realizzati 
dagli israeliani e i recenti avvertimenti USA, rimbeccati 
dalla fatwa del leader spirituale, Fadlallah, che vieta a 
tutti i fedeli di aderire all'"alleanza antiterrorismo" 
voluta dagli USA.

D) Come giudica la situazione?
R) L'infinita tragedia palestinese  e il sostegno 
incondizionato ed acritico di Europa e USA a Israele hanno 
posto la regione in uno stato di costante 
destabilizzazione. E' una responsabilità gravissima nei 
confronti degli arabi e di tutta l'umanità, che ora si 
tenta di coprire con vuoti slogan sui diritti umani, sulla 
democrazia, sui paesi "civili". E' opportuno che siate 
venuti in questi giorni  (si riferisce alla delegazione 
italiana, guidata da Stefano Chiarini, con esponenti di RC, 
DS, PDCI, FIOM e Verdi, venuta a commemorare Sabra e 
Shatila e a promuovere con le famiglie dei sopravvissuti 
l'incriminazione di Ariel Sharon), è un'ottima risposta 
allo strabismo euro-americano, per cui il terrorismo c'è 
solo quando si colpiscono i cristiani e i bianchi. Se il 
mondo avesse riservato la stessa attenzione e commozione 
alla carneficina di Sabra e Shatila che alle Torri Gemelle, 
oggi la situazione sarebbe ben diversa. Purtroppo gli 
arroganti non vedono il nostro martirio, ai diritti umani 
preferiscono la difesa dei loro interessi.

D) Pensa che la campagna antiterrorismo miri soprattutto a 
criminalizzare e dunque eliminare i palestinesi?
R) La causa palestinese non verrà liquidata. Nessuno di noi 
resistenti si fa impressionare dalla potenza USA. E noi 
hezbollah abbiamo battuto il quinto esercito del mondo. Per 
secoli i crociati hanno cercato di schiacciarci, ma sono 
stati sconfitti. Questo vale anche per i nuovi crociati, 
vale per tutte le occupazioni. Alla fine viene sempre la 
liberazione e l'Intifada è la magnifica espressione del 
rifiuto  di tutto quanto di miserabile è stato offerto ai 
palestinesi in 50 anni. La volontà dei popoli, come si 
vede,  viene misurata non sulla potenza, ma sulla 
determinazione. E noi pensiamo di avere ogni diritto di 
concorrere alla lotta di liberazione dei palestinesi.

D) Gli USA vi annoverano tra i gruppi terroristi da 
obliterare.
R) Abbiamo fatto un comunicato in cui abbiamo espresso 
tutto il nostro dolore per le vittime. Nessuno ha mai 
offerto condoglianze per le migliaia che sono rimasti 
sottole bombe israeliane in Libano. Gli USA, però, non 
hanno il diritto di utilizzare quegli attentati come 
pretesto per assalire chi gli pare. Non si possono 
attribuire responsabilità a caso o a convenienza. Non siamo 
più nell'epoca in cui ci si faceva guidare da spiriti 
tribali. Non si possono colpire paesi perché qualche loro 
cittadino ha commesso qualcosa. Di questo bisogna 
convincere i governi asserviti agli USA, o dagli USA 
intimiditi. Per i popoli è più facile: ogni aggressione USA 
provoca un aumento dell'odio, anche per i loro alleati. 
Tutti capiscono che questi tamburi di guerra rullano contro 
innocenti.

D) Gli USA accusano i cosiddetti integralisti islamici. 
Eppure in Kosovo, Cecenia, Algeria, Macedonia e in molte 
altre aree, i terroristi islamici  lavorano a fianco degli 
USA, da loro addestrati, finanziati col narcotraffico 
governato dalla CIA, armati ed indirizzati. Pensi all'UCK, 
ai banditi ceceni anti-russi allenati da Bin Laden, come 
Shamil Basajev. Con che faccia…
R) Non ho gli elementi per classificare gruppi o partiti di 
varia natura. Preferisco fare un discorso globale e 
valutare le varie azioni e ripercussioni. E' vero, gli USA 
sponsorizzano il terrorismo in tutto il mondo, coprono il 
genocidio attuato da Israele, hanno creato i Contras del 
Nicaragua, golpe ovunque, dittature, hanno le mani in pasta 
nell'Afghanistan anche oggi. Può darsi che, a causa di 
certe contraddizioni, di certi conflitti d'interesse 
(magari sulla droga, magari mafiosi. Ndr), si verifichino 
dei cambiamenti, dei rovesciamenti politici. Noi, comunque, 
condanniamo ogni terrorismo, di Stato o di gruppi. C'è 
differenza tra terrorismo e resistenza, tra interessi 
colonialisti e liberazione. Oggi la direzione in cui si 
sono imbarcati gli occidentali favoriranno il dilagare del 
terrorismo in tutto il mondo e chissà se saranno ancora in 
grado di gestirlo ai propri fini. Con il pretesto del 
terrorismo si legalizza l'uccisione di milioni di persone. 
Pensi solo all'Iraq. Il terrorismo non appartiene all'Islam 
vero. Identificarlo con l'Islam  e con gli arabi significa 
voler aumentare la paura e l'odio della gente
e costringere tutti ad allinearsi agli USA.

D) Come reagire al dilagare delle guerre?
R) Noi stiamo preparando risposte a varie opzioni. Vedremo 
cosa succede e poi decideremo. In ogni caso tutte queste 
interferenze nella sovranità degli Stati si risolverà in un 
incubo per gli USA, resteranno del tutto isolati e odiati.

D) Si è verificato un allargamento della frattura tra 
Occidente e mondo arabo-islamico, parallelo alla rottura 
totale tra Israele e Palestina. A quali condizioni tornare 
al dialogo?
R) Ogni dialogo deve esser tra due parti che devono essere 
alla pari. Solo così si arriva a una conclusione. Ma il 
dialogo tra Israele e Palestina e tra gli USA e gli arabi 
non è mai stato un dialogo, a dispetto del termine. E' 
sempre stato pressione, ricatto, dominazione. Noi siamo  
disponibili, ma non a essere dominati. Contro la 
dominazione siamo disposti a sacrificare tutto, vita 
compresa. I tempi degli schiavi e dei padroni sono finiti, 
anche se loro vorrebbero farli tornare. Noi abbiamo 
resistito e vinto e oggi collaboriamo con la prima 
generazione di palestinesi nata dopo la strage di Sabra e 
Shatila e ci impegniamo a livello sociale e parlamentare 
(agli hezbollah è andato il 10% dei parlamentari libanesi, 
oltre a centinaia di amministratori locali). Per questo ci 
chiamano terroristi. Voi vedete di quanto sostegno godiamo 
in tutti gli ambienti libanesi.

D) Le vostre priorità oggi.
R) Promuovere democrazia e benessere in Libano, resistere 
all'aggressione, rappresentare il popolo nelle istituzioni, 
opporsi agli errori del governo, potenziare i servizi ai 
bisognosi, opporsi a tutte le potenze arroganti.

D) Un'ultima domanda. Voi oggi collaborate con i 
palestinesi nei campi. Come intendete lavorare per la 
liberazione della Palestina?
R) In tutti i modi. Il come è un dettaglio. Non occorre 
entrare nei dettagli. Intanto ci battiamo perché in Libano 
ai palestinesi, degradati a non-cittadini, vengano 
riconosciuti i diritti civili.

Il nodo palestinese resta la base ed il vertice delle 
tensioni che sconvolgono il pianeta. Senza soluzione della 
questione palestinese e senza la liquidazione della trincea 
irachena, gli USA sanno che la regione, lungi dall'essere 
normalizzata, come si sperava con le sceneggiate di Oslo e 
con la tentata uccisione sul nascere dell'Intifada, sarà 
fonte di sempre più forti destabilizzazioni e i risultati 
che ci si era aspettati dalla guerra del Golfo potranno 
essere del tutto vanificati. 

Di questo parlo con un padre nobile della Resistenza 
palestinese, Shafiq el Hout, segretario generale dell'OLP 
in Libano, che nel 1992 si dimise in protesta contro le 
disponibilità negoziali di Arafat, ma non venne mai 
sostituito e, dunque, riveste tuttora questa carica. La sua 
autorità si esercita sulla regione da Beirut ai confini 
nord del paese, dominio delle sinistre palestinesi, ma è 
contrastata nei campi di Sidone e Tiro, dove resiste 
l'egemonia arafattiana. La forza delle sinistre di FPLP, 
FDLP, Saika, PC, e della neonata Fatah-Intifada, maggiore 
in Libano che non in Palestina, si fonda da un lato sulla 
maturazione politica delle fasce vissute in ambiente 
metropolitano, dall'altro sulla delusione provocata ai 
400.000 profughi del Libano dall'accantonamento da parte di 
Arafat della questione "ritorno" durante i negoziati di 
Oslo. Questione tornata prepotentemente alla ribalta grazie 
all'Intifada e ai recenti collegamenti tra le due comunità, 
in esilio e in patria, ressi possibili dalla telematica (e 
i profughi invocano computer) e che stanno sviluppando un 
forte senso unitario dopo decenni di oblio.

L'OLP

Shafiq el Hout esordisce dicendo con una certa 
soddisfazione di avere 16 anni più dello Stato israeliano. 
"Avevo un passaporto palestinese di prima del 1948, ne 
ricordo il numero: 202083. Mi venne confiscato dagli 
israeliani quando arrivarono qui nel 1982. Vi ringrazio di 
essere qui a sostenere i diritti di un popolo povero, non 
come quello di Manhattan, a cui tutti pensano e a cui anche 
noi abbiamo espresso profonde condoglianze. Noi palestinesi 
non abbiamo mai invaso nessuno, mai mosso guerra a nessuno, 
fino  a quando non ci siamo accorti che la nostra terra era 
stata data ad altri. L'aggressività israeliana e 
statunitense è determinata anche dal riemergere, grazie 
all'Intifada, della questione del ritorno a casa di 4 
milioni di palestinesi. Dicono che non c'è posto, però 
invitano tutti gli ebrei del mondo a immigrare. Il fatto è 
che con il nostro ritorno, anche solo parziale, finirebbe 
il dominio razzista e cambierebbero tutti gli equilibri. In 
Palestina come in Medio Oriente. Avevamo offerto varie 
soluzioni. Nel 1974 lo stato unico, laico israelo-
palestinese. Fu respinto. Poi, ai termini della risoluzione 
ONU 181, due stati in Palestina, uno ebraico e uno 
palestinese, per noi un enorme sacrificio visto che ci 
avevano lasciato appena il 22% della Palestina storica. 
Niente da fare. Ora gli USA usano il terrorismo per 
staccare i paesi arabi da noi, dall'Iraq e dalla Siria, 
lasciandoci magari alcuni bantustan (il famoso 40% del 22% 
attuale). Israele con Sharon, ha una strategia di 
spopolamento attraverso le stragi, il blocco economico, la 
blindatura dei villaggi, l'impossibilità di vivere. 
Svuotare i territori occupati col terrore, come ai tempi in 
cui Begin, Shamir e Sharon facevano saltare i villaggi con 
dentro gli abitanti. Disperderci nel mondo. Un popolo senza 
terra per una terra senza popolo, come diceva Herzl. 
L'attualizzazione della questione "ritorno" ha reso tutto 
questo molto più difficile. Per cui l'accelerazione di 
oggi, che però preoccupa gli USA per le ripercussioni che 
potrebbe avere nei paesi arabi vassalli. Ecco una bella 
contraddizione tra imperialismi alleati, o tra imperialismo 
e colonialismo. Con Sharon che dà del bin Laden ad Arafat e 
Bush che lo riceve con tutti gli onori alla Casa Bianca.

D) Ancora molti, anche a sinistra, credono che la via per 
evitare la catastrofe generale, e forse finale, avvicinata 
dagli attentati in Usa, sia la ripresa delle trattative, il 
ritorno ad Oslo:
R) L'intifada non la può fermare neanche Arafat. Del resto 
la presa in giro degli incontri e delle trattative è ormai 
manifesta. Se non sono riusciti a tirare fuori 
assolutamente niente per noi in 8 anni, figuriamoci col 
clima di adesso e con Sharon. E' stato ingenuo fin 
dal'inizio Arafat, ad accettare questi negoziati. Negoziati 
che hanno prodotto quanto si vede oggi nei territori 
occupati.. Noialtri avevamo voluto dare una chance ad 
Arafat. Dovrebbe ormai aver capito quanta fiducia meritino 
USA e Israele. E pensare che Arafat viene chiamato 
terroriusta, quando a pochi metri da qua, sotto i miei 
occhi, Sharon ha massacrato 3000 persone. Se ci rapportiamo 
alla popolazione USA di 250 milioni, noi abbiamo avuto 
45.000 morti. Io sono un apolide da mezzo secolo. Ora lo 
sono anche mio figlio e mio nipote. Fino a quando un popolo 
può sopportare questo?

D) Una via d'uscita dalla morsa tra la soluzione finale di 
Sharon e la colonizzazione perpetua di Bush? E gli 
interessi USA nei paesi del petrolio, messi a rischio 
dall'assolutismo israeliano?
R) Finchè verranno adoperati due pesi e due misure sui 
diritti umani e sul terrorismo ci saranno guerra e 
terrorismo, non solo in Palestina, ma per tutto il mondo. 
Non ci illudiamo sui paesi arabi cui gli USA, con la 
campagna antiterrorismo, forniscono strumenti ed alibi per 
la repressione interna. Fino a dieci anni fa, prima della 
guerra del Golfo, poteva esserci un certo equilibrio tra 
interessi USA e interessi indipendenti dei regimi arabi. 
Oggi non più. A parole i regimi chiedono che si agisca per 
i diritti palestinesi, ma ipocritamente, per paura dei loro 
popoli. Prima di cedere alle masse, tenteranno ogni forma 
di repressione. Non vedo nessun governo del petrolio che 
non sia amico e vassallo degli USA. Farebbero guerra a noi 
piuttosto che urtare gli USA. Gli arabi non vogliono bere 
il petrolio, lo vogliono vendere, e vendere a chi ha i 
soldi.

D) Ma pare che Bush e Powell abbiano ripetutamente tentato 
di frenare Sharon.
R) Comunque prevalgono in questa classe dirigente senza 
saggezza e senza cultura gli automatismi irrazionali. Il 
cowboy è caduto dal cavallo e ora deve risalire e 
riconquistare un'immagine forte. I termini sparati per 
aprire la strada alle traiettorie dei missili erano 
"terrorismo" e "guerra". Parole astratte, che si possono 
riempire di qualsiasi cosa, come gli assalti ai paesi di 
cui si afferma apoditticamente che avrebbero ospitato, o 
appoggiato terroristi: Afghanistan, Iraq, Siria, il Libano 
degli hezbollah. Hanno dato del terrorista anche a me. Io 
rispondo: datemi i fucili, i missili, le bombe atomiche, i 
carri armati che hanno gli israeliani  e io non userò più 
né sassi, ne giubbotti imbottiti di tritolo. Così sarò il 
soldato della civiltà occidentale e non più un terrorista".

Lasciamo la sede dell'OLP, sepolta sotto  le superfetazioni 
mattonare in cui formicolano i dannati della terra di 
Shatila, tra rigagnoli fognari e ragnatela pencolanti di 
fili elettrici, tra muri butterati di colpi della strage e 
della successiva "guerra dei campi". Raggiungiamo il corteo 
palestinese nella ricorrenza del peggiore atto terroristico 
dalla seconda guerra mondiale: 3000 persone uccise a vista, 
sventrate, scuoiate, affettate, appese per le viscere. 
Sventolano centinaia di bandiere delle varie 
organizzazioni, più frequenti di tutte quelle gialle col 
fucile degli hezbollah. Si finisce sulla fossa comune dei 
3000, fino a ieri, quando il sindaco hezbollah della 
periferia sud l'ha fatta ripulire, una discarica. Piantiamo 
alberi di ulivo e di limone. Ci guardano con occhi fermi e 
facce segnate le superstiti di Sabra e Shatila. Le madri e 
mogli di terroristi.

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Giorgio Ellero 
<glr.y@iol.it> - <glry@libero.it> 
http://digilander.iol.it/glry   
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