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Le colpe di D'Alema che Pirani non cita ([REP] Le scelte diD'Alema che molti dimenticano)
Pirani ci riprova: già durante la guerra fu autore di un articolo
particolarmente ingeneroso nei confronti del movimento pacifista. Oggi, nel
tentativo di rivalutare D'Alema (del resto all'interno dei DS c'è da
eleggere un nuovo segretario e per il momento l'unico candidato e
appoggiato apertamente dall'ex presidente del consiglio), fa affermazioni
false e tendenziose, nell'ordine:
1) Buona parte delle accuse provenienti da "opinionisti
democraticomoderati" erano di metodo più che di merito. No alla guerra non
per conclamata convinzione pacifista, ma per opportunità politica.
Convinzioni poi dimostrate fondate se a più di due anni di distanza è ormai
più che evidente che la scelta della guerra fu politicamente irresponsabile
perché:
a) se voleva accreditare il nostro paese come "affidabile" nei circoli
che "contano" (tesi Scognamiglio come da carteggio sul Corsera di
qualche tempo fa), ha dimostrato una volta di più che l'Italia
interessa alla strategia geopolitica USA più per la sua posizione
che per il governo costituzionalmente eletto. D'Alema era l'uomo
giusto per appoggiare una guerra (a proposito, perché Pirani non
la chiama mai così?) nonostante e contro la tradizione dell'area
politica dalla quale proveniva (e nonostante e contro tre carte
costituenti, costituzione italiana, NATO e ONU) e quando ha chiesto
la riconferma è stato abbandonato dagli stessi poteri forti (vedi
appoggio USA alla candidatura di Berlusconi, anche qui in chiave
subalterna e di opportunità politica in questa fase nazionale ed
internazionale: G8, UE, ecc.)
b) se voleva risolvere la questione "umanitaria", ha nascosto dietro la
propaganda guerrafondaia cifre gonfiate ed un apparato massmediatico
impressionante per orientare il consenso (vedi questione "fosse comuni"
e sull'ultima scoperta segnalo l'articolo di S. Provvisionato
http://www.domeus.it/list/messages/read?ecircleid=91979&msgnr=64&month=6&year=2001&msgid=1758084&sb=0)
interessi economici (i famosi corridoi) ed una condotta di guerra di
stampo criminale con uso di uranio impoverito e bombardamento di
industrie chimiche. A questo proposito consiglio la lettura dei due
libri degli "Scienziate e scienziati contro la guerra"
(http://www.scienzaepace.it) e forse potrà interessare "all'atlantico"
Pirani che è valsa anche una citazione in parlamento del senatore
Andreotti nei giorni in cui agli italiani hanno fatto sapere che forse
il nostro contigente in Kossovo respirava polveri radioattive (per non
parlare dei civili che lo faranno anche quando i nostri bravi soldati
torneranno a casa). Ma Pirani sa delle conclusioni della commissione
Mandelli?
c) se voleva cacciare un "dittatore", ha prodotto l'ennesima grave
ingerenza di un "umanitarismo militare" interessato a mantenere
diritti e privilegi illegittimi di un modello economico
profondamente ingiusto, che utilizza e accredita istituzioni come
il tribunale dell'Aja per interessi di parte e sancisce
senza mandato di nessuno, e per ammissione freudiana di
Pirani, un "nuovo diritto internazionale" che per quello visto
sopra ha l'unico scopo di sancire l'interesse degli stati
più forti nei confronti di quelli più deboli.
Come ovviare? Dimostrando subalternità per non finire in
disgrazia. A proposito, perché Pirani non cita l'affaire
Telekom Serbia?
2) Non risulta che tutti i kossovari siano rientrati nelle loro case,
soprattutto perché non risulta che lo status di profugo sia un ricordo nei
Balcani. Risulta invece che un esercito irregolare finanziato in maniera
occulta stia ancora creando porblemi agli equilibri politici di quei
territori, vedi Macedonia e ruolo dell'UCK.
3) Citare l'omicidio D'Antona, in questo contesto, è incauto e
profondamente indecoroso nei confronti delle vittime. Chi? I familiari e
tutte le persone innocenti (ed infatti scagionate) coinvolte in
un'inchiesta che per il momento sta dimostrando che intorno a questa
faccenda dubbi e misteri sono degni eredi del peggior retaggio e della
coscienza più nera di questo paese e della sua storia recente in materia di
terrorismo.
Io credo che sarà per queste scelte e per l'assoluta arroganza con la quale
sono state condotte che verrà ricordato Massimo D'Alema. Le stesse che sono
gravi capi d'accusa perfino giudiziari prima che politici (e non oso dire
morali). Banalizzare il tutto a rango di congiure di palazzo e di
detrattori oscuri, è retorico e francamente mistificante.
MT
_[Ripostato da: La Repubblica - http://www.repubblica.it ]________________
[http://www.repubblica.it/quotidiano/repubblica/20010702/commenti/01iranix.html]
2 luglio 2001
LINEA DI CONFINE
Le scelte di D'Alema che molti dimenticano
di MARIO PIRANI
Dossier insultanti, articoli al veleno, discorsi di condanna senza appello
si susseguono contro Massimo D'Alema. Il perché di questa urgenza
concomitante e concitata mi sfugge mentre colpisce l'assenza di un'analisi
critica seria che si sforzi di individuare sia i suoi meriti politici che
gli errori. In particolare nessuno riflette sul fatto che senza un impegno
di D'Alema , la maggioranza dei Ds assai difficilmente avrebbe sostenuto la
linea di sacrifici fiscali, sociali ed economici che la determinazione di
aderire all'euro fin dall'inizio comportò. Se Ciampi fu l'artefice del
nostro ingresso e se Prodi lo seguì, dopo aver verificato l'indisponibilità
spagnola a un rinvio, la grande e contestata operazione non sarebbe andata
in porto se D'Alema non avesse avuto la forza di respingere le tante
resistenze che allignavano nel suo partito e nei sindacati.
Ancor più arduo fu il compito quando, appena assunta la carica di
presidente del Consiglio, si trovò di fronte al precipitare della crisi
balcanica e nel volgere di quattro mesi alla scelta sulla partecipazione
all'azione Nato contro Milosevic per impedire la pulizia etnica nel Kosovo.
Per comprendere il coraggio solitario di quell'impegno è bene non perdere
di vista come D'Alema con la sua iniziativa si scontrasse con una
pluridecennale tradizione pacifista, antiamericana e antiNato del suo
partito d'origine, tradizione che riemerse appieno in quei giorni nelle
file diessine, nei gruppi parlamentari, fra gli stessi alleati di governo,
specie i verdi e i cattolici, sensibilissimi alle ripetute prese di
posizione papali, nettamente ostili. Se furenti furono le accuse di
Rifondazione e del Manifesto non meno aspre furono le critiche di
opinionisti democraticomoderati come Sergio Romano, Giovanni Sartori, Lucio
Caracciolo e numerosi altri che trovarono dissennata, pericolosa e
destinata all'insuccesso la cosiddetta "guerra umanitaria". Se Bossi e
Cossutta si recarono addirittura a Belgrado in visita a Milosevic , i
brigatisti rossi che assassinarono in quei giorni D'Antona denunciavano nel
loro documento la guerra nei Balcani come un «tentativo di assoggettare la
Jugoslavia» e l'ingerenza umanitaria antiMilosevic «una giustificazione per
aggredire qualsiasi popolo o per processare qualunque combattente
antimperialista cui gli stati imperialisti abbiano attribuito l'etichetta
di criminale di guerra».
Ai manifestanti cattolici, verdi e della sinistra diessina e rifondaiola
che partecipavano alla marcia della pace PerugiaAssisi e chiedevano a gran
voce la sospensione immediata dei bombardamenti, D'Alema rispose :
«L'Italia partecipa a un'azione militare decisa non come atto di guerra
contro la Serbia e il suo popolo, ma come risposta alla guerra già in
corso: la guerra di Milosevic contro la popolazione albanese del Kosovo,
vittima di una tragedia umanitaria, un caso di patente violazione dei
diritti essenziali di un popolo... è questa la guerra che dobbiamo
fermare». D'Alema aveva tutte le ragioni anche se i suoi faziosi detrattori
non vorranno mai riconoscere che in quella occasione non solo ha salvato la
credibilità e l'onore del Paese ma anche fatto fare un salto di qualità
decisivo alla trasformazione responsabile del riformismo italiano. D'altra
parte è stato l'estremismo infantile e l'opportunismo di una larga parte
della restante sinistra a rendere indispensabile in quel caso il sostegno
parlamentare dal centrodestra .
Ora, a due anni di distanza, i risultati dovrebbero essere sotto gli occhi
di tutti: i kosovari sono rientrati nelle loro case, una democrazia
accettabile è stata instaurata a Belgrado, le fosse comuni anche
recentemente scoperte hanno confermato gli eccidi, Milosevic è stato
tradotto all'Aja, accusato di crimini contro l'umanità. Certamente questo
non vuol dire che nell'area balcanica tutto sia stato risolto né che il
nuovo diritto internazionale sia in grado di esercitarsi sempre e ovunque.
Ma invece di salutare questi primi, importantissimi risultati i critici di
ieri o tacciano, evitando ogni autocritica, o dimostrano come l'inveterato
antiamericanismo seguiti a essere la loro sola bussola fissa . Vedi
Valentino Parlato che sul Manifesto scrive: «Aver degradato la Jugoslavia
allo stato di una colonia, dove la potenza imperiale può fare quel che
vuole, non credo aiuti la pace nei Balcani». Ma anche Lucio Caracciolo,
quando afferma che «noi processiamo Milosevic perché abbiamo vinto e lui ha
perso», si esprime in analogia con quanti criticano Norimberga perché ha
espresso un "diritto dei vincitori". Si sarebbe, nell' uno e l'altro caso,
preferito il contrario?
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