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MIR: imparare dal Kossovo



MESSAGGIO DALLA SEGRETERIA NAZIONALE DEL MIR 
(Movim.Internazionale della Riconciliazione)

From: maria chiara e alvise ALBA <a.alba@areacom.it>
Subject: Imparare dal Kossovo
Date: Thu, 4 Nov 1999 17:03:31 +0100



IMPARARE DAL KOSSOVO
tracce per un ripensamento



Se l'obiettivo dell'intervento in Kossovo era umanitario, occorre
- riconoscere che l'intervento armato è stato un errore,
- cercare di non ripeterlo.


1. E' stato complessivamente un errore.

1.1  Nei mesi di guerra non sono stati fermati i massacri degli albanesi da
parte dei serbi, anzi sono avvenute molte più uccisioni che in tutti gli
anni precedenti.
	
	Secondo fonti Nato le vittime della pulizia etnica nei due mesi e mezzo di
guerra sarebbero state 4600   (cfr. Internazionale,n°288, 18 giugno 1999,
pag.28), a questi si dovrebbero aggiungere le decine di persone ritrovate
successivamente nelle fosse comuni, uccise anch'esse dopo l'inizio
dell'intervento armato. Per gli anni precedenti si fa la stima di 2000
morti ( cfr. il manifesto, 12 maggio 1999). La Stampa del 31 dicembre 1998
parla di 700 desaparecidos di entrambe le etnie.


1.2  Non si sono create condizioni per una convivenza tra albanesi e serbi,
anzi l'odio reciproco è aumentato a dismisura.

Simbolo di una convivenza ancor più difficile di prima della guerra è la
città di Mitrovica dove quasi quotidianamente tra serbi e albanesi
avvengono scontri che la Forza Multinazionale di Pace non riesce sempre a
frenare. 
Episodi gravi, come bombe sul mercato serbo di Kosovo Polje il 28 settembre
con 2 morti e 40 feriti, si fanno sempre più frequenti.


1.3  E' iniziata una pulizia etnica di segno opposto, e -cosa tanto più
grave- in presenza  della Kfor (la forza multinazionale di pace).
	
	La pulizia etnica al contrario (degli albanesi nei confronti dei serbi)
scatenatasi dopo l'ingresso  delle truppe Nato era già presente prima.  La
Stampa del 30 dicembre 1998 titolava un articolo a pag.9 "Ora sono gli
albanesi ad attaccare, è la tragedia della pulizia etnica al contrario".
	Circa 160.000 serbi  su un totale di poco più di 200.000 hanno dovuto
abbandonare il Kossovo.
	 

1.4  I morti, i  feriti e le distruzioni in Serbia  hanno fatto crescere
tra la popolazione il rancore  nei confronti dell'occidente.


1.5  I gravi danni prodotti  nel Kossovo, e anche di più in Serbia,
richiedono   somme ingentissime  per la ricostruzione.  Si parla di 60.000
o forse 100.000 mld di lire che dovranno essere pagati dagli stessi paesi
che hanno condotto l'intervento; e che stanno già attivando l'appetito
delle mafie locali e straniere.
	
	 "Chi conosce bene l'evoluzione delle vicende balcaniche sa quanto, in
quei paesi, larghi interessi dell'economia locale siano intrecciati con
forti tendenze all'economia criminale...Rapporti dettagliati di
infiltrazioni criminali balcaniche nei paesi europei si accumulano da anni
sulle scrivanie dei governi, denunciando connessioni pericolosissime tra la
nuova "mala" balcanica e le vecchie e solide strutture della mafia e
camorra in Italia e le nuove cosche russe..." (AA.VV. La pace e la guerra,
I Balcani in cerca di un futuro, ed.Il Sole 24 ore,Milano 1999, pag.19-20).


1.6  Milosevic è ancora al potere e l'esercito jugoslavo è ancora in grado
di nuocere.

2. Come è potuto accadere ?

2.1  Lo scopo umanitario è stato sbandierato per ottenere il consenso
dell'opinione pubblica1, consenso necessario nelle nostre, seppure
imperfette, democrazie.  
Ma è ormai ammesso che lo scopo principale dell'intervento non era
"umanitario2", ma   dettato da altri interessi: occupare una zona
strategica per le vie del petrolio3, punire Milosevic, giustificare la
presenza e la riforma della Nato, riaffermare la supremazia Usa. (Questi
obiettivi infatti sono stati in gran parte raggiunti).

	  "L'operazione Arcobaleno sarebbe stata suggerita da una nota agenzia di
ricerche di mercato. Interrogati sugli umori popolari intorno alla guerra,
gli uomini dell'agenzia hanno fatto presente al governo  la riluttanza ad
essa del <popolo progressista>...e hanno proposto come rimedio di fare
qualcosa che toccasse il cuore...per affiancare fino quasi a coprire
l'intervento militare con una missione umanitaria. E così è partita
l'operazione mediatica"  (in Rocca n°18, 15 settembre 1999,pag.13)
	"La guerra è poi oggi profondamente influenzata dalla rivoluzione
dell'informazione. Si combattono sempre contemporaneamente almeno due
guerre: quella reale sul teatro delle operazioni e quella virtuale della
comunicazione (per influire sull'opinione pubblica ndr). Questa seconda
porta spesso conseguenze più importanti di quelle dei combattimenti."
(AA.VV. La Pace e la guerra, op.cit., Pag. 68. Cfr. anche  Carlo Jean,
L'uso della forza, se vuoi la pace comprendi la guerra, Laterza, Bari,
1996, pag.61-62).

	2 "La guerra nei Balcani, dunque, per l'Europa non è missione umanitaria,
occasione per la solidarietà, i bei gesti, le lacrime di facile commozione.
E' invece la traduzione di un impegno politico diretto, forte,
strategico,..." (AA.VV. La Pace e la guerra, op.cit.pag.17)
	E Giuliano Ferrara, all'inizio della guerra, in Panorama  del 15 aprile
1999 a pag.31: "Le guerre umanitarie non esistono. Quella della Nato...non
è una guerra umanitaria. E' una campagna a tutela della sicurezza europea..." 

	3"Si è detto che l'intervento militare della Nato si fonda su ragioni
umanitarie: aiutare i kosovari. Ma la Nato ha altri obiettivi...allargare
la sua zona d'influenza... e soprattutto c'è la ripresa  del controllo
degli Usa  sugli alleati europei... noi abbiamo interessi abbastanza forti
nei Balcani. Per esempio, l'Eni sta lavorando al progetto di un oleodotto
che dovrebbe passare per il Kosovo"(Virgilio Ilari, docente di Storia delle
Istituzioni militari all'Università Cattolica, in Famiglia Cristiana, n°13
del 4 aprile 1999, a pag.20)
	In Kossovo "si combatte la battaglia per le vie del petrolio tra la Nato e
Milosevic", "quella dei corridoi (del petrolio ndr) non è soltanto una
battaglia: è la posta in gioco nella guerra del Kosovo"( Il Sole 24 ore del
21 aprile 1999).  

2.2  Ci sono stati errori di valutazione ("la guerra finirà in pochi
giorni1"...)dovuti all'incomprensione della reale situazione storica e
culturale della regione.
L'incomprensione è naturale per chi è abituato a comandare e a imporsi
sempre2 e si affida  alla forza delle armi per far valere il proprio pensiero.

	  "<Due giorni di bombardamenti saranno più che sufficienti a far cambiare
idea a Milosevic> aveva  giurato la Albright" ( Panorama del 15 aprile
1999, a pag. 38).
	
	2"L'americano Weller, che ha assistito i rappresentanti kosovari per tutto
il processo dei negoziati prima dell'intervento Nato riconosce:
Assolutamente stupefacente per il Gruppo di Contatto, e soprattutto per gli
Stati Uniti, deve essere stata l'incapacità di potenti Paesi  riuniti in
forza a Rambouillet a esercitare un'influenza decisiva su gruppi simili..."
( Limes,2,99, pag.30).

2.3  La guerra è inevitabile per una politica di potenza, per chi vuol
imporre la propria ideologia (del mercato) a "tutti" coloro che in quel
momento gli "interessano".
	
	"Perchè la globalizzazione funzioni, l'America non può aver paura di agire
da superpotenza onnipotente quale è. La mano invisibile del mercato non
funzionerà mai senza un pugno chiuso invisibile. Mc-Donald's non può
prosperare senza Mc-Donnell Douglas, il progettista degli F-15.  E il pugno
invisibile che tiene al sicuro il mondo per la tecnologia di Silicon Valley
si chiama Esercito americano, Forza aerea, Marina militare e marines"(Th.
Friedman, consigliere della Albright  in New York Times del 28 marzo 1999).

2.4  La diplomazia ufficiale si è mossa  male.
Non ha coinvolto la Russia1 e ha legittimato la parte kossovara più
estremista (l'UCK); l'insuccesso era inevitabile2 ma la colpa è stata
attribuita solo a Milosevic a ulteriore giustificazione dell'intervento
armato.
	

	  I tentativi di raggiungere un accordo tra Serbi e Albanesi, nelle
settimane immediatamente precedenti l'intervento armato, erano condotte di
fatto dagli Usa, che cercavano di tenere a distanza la Russia, pur presente
alle trattative. Non così si era comportata la diplomazia ufficiale per gli
accordi in Bosnia con Milosevic firmati a Dayton, dove il coinvolgimento di
Mosca aveva giocato un ruolo importante per convincere la Serbia.
(cfr.Limes, 2,99 pagg.25-26).
	2 "Washington potrebbe avere l'amabilità di spiegarci perchè...decise di
aiutare in tutti i modi i guerriglieri kosovari (l'Uck) da essa stessa già
bollati come "terroristi" tagliando fuori dal gioco i moderati attorno a
Rugova  e inasprendo la reazione di Belgrado...perchè a Parigi, come
ricordano bene i nostri diplomatici, gli americani hanno modificato in
extremis il testo dell'accordo con lo scopo di ottenere la firma dell'Uck e
di evitare quella della Jugoslavia ?" (  Repubblica, 12 aprile 1999, pag. 1).
	


3. Era possibile capire meglio e comportarsi diversamente.


3.1  Diverse Organizzazioni Non Governative, senza interessi economici o
strategici, si occupavano da anni del conflitto in Kossovo, e avevano
capito la situazione.

	Le Organizzazioni Non Governative (ONG) presenti da anni di cui siamo a
conoscenza erano:
	la Trasnational Foundation for Peace Research con sede a Lund in Svezia;   
	la Campagna per una soluzione nonviolenta del problema del Kossovo in
Italia;   
	la Fondazione greca per la politica europea e estera;   
	l'Aspen  Report <Unfinished Peace> International Commission for the
Balkans, istituzione americana con sede a Berlino;     
	la Comunità di S.Egidio di Roma;       
	la   <Toward comprehensive peace in southeast Europe>,Centro per l'azione
preventiva di New York;       
	la Bertelsmann  Foundation, di Monaco in Germania; 
	l'Associazione Papa Giovanni XXIII con l'Operazione Colomba (cfr. Il
Regno,8,1999,pag.231, e Alberto L'Abate, Prevenire la guerra nel Kossovo
per evitare la destabilizzazione dei Balcani: attività e proposte della
diplomazia non ufficiale, Edizioni la Meridiana, Molfetta (Ba) 1997). 
.
Queste organizzazioni avevano capito che:

3.1.1 C'era una distanza incolmabile, per il momento, tra gli obiettivi dei
serbi e quelli degli    albanesi, distanza che con il tempo cresceva ( gli
albanesi volevano l'indipendenza, i serbi non intendevano rinunciare  alla
sovranità sul Kossovo).
	
	"...i punti di partenza e gli obiettivi delle due parti in conflitto sono
così distanti che una discussione, fin dall'inizio, sui contenuti di un
possibile accordo rischia di servire solo a sottolineare le differenze e a
dare l'impressione che una soluzione finale sia impossibile." (Alberto
L'Abate, op.cit. pag.34).

3.1.2 C'era una sfiducia reciproca, anch'essa crescente, che necessitava,
per essere mitigata, dell'aiuto di terzi.

	"..chi è stato a lungo in Serbia e nel Kossovo conosce la difficoltà di
rompere il<muro contro muro> che si è creato tra Serbi e Albanesi, e non
solo a livello di base, dove pure il problema è presente (anche a causa del
reciproco indottrinamento nelle scuole separate) ma anche e soprattutto a
livello di vertice." ( Alberto L'Abate, op.cit. pag.35).

3.1.3  Erano inconciliabili  la richiesta da parte degli albanesi di
"internazionalizzare" il conflitto, e il rifiuto dei serbi che
consideravano il problema del Kossovo una questione interna.

3.1.4 Ogni possibile soluzione del problema del Kossovo non poteva essere
imposta con la forza  da nessuno (né dai serbi, né dagli albanesi, né dalla
comunità internazionale) senza aggravare la situazione .  

3.2  Le stesse organizzazioni Non Governative avevano espresso una
"diplomazia di base" che negli ultimi anni aveva formulato una serie di
proposte molto serie.  I "grandi" guidati dalla loro presunzione e dai
reali interessi in gioco non hanno voluto prenderle in considerazione.

	Per  "diplomazia di base" si intendono tutti i tentativi delle
organizzazioni non ufficiali che "dal basso", partendo dalla società
civile, cercano di aiutare a mitigare e/o comporre i conflitti tra  popoli.
Nel testo citato di Alberto L'Abate si trova un'ampia analisi delle
proposte: dalle possibili soluzioni circa il futuro assetto del territorio,
alle caratteristiche necessarie per un processo serio di superamento del
conflitto.

4. Che lezione trarre dalla tragedia del Kossovo?

4.1  Se un ruolo essenziale hanno avuto i mezzi di comunicazione di massa
nel creare  il consenso all'intervento militare, occorre affinare il senso
critico e riconoscere che oggi i principali mass-media sono in mano a chi
ha il potere economico-politico-militare e le informazioni che ci
raggiungono sono funzionali al potere stesso.  Non è possibile formarsi un
giudizio oggettivo basandosi solo sui maggiori organi di informazione, ma
bisogna cercare fonti alternative.

4.2  Il  diritto all'autodeterminazione dei popoli, garantito dai trattati
internazionali, non conduce necessariamente alla costituzione di nuove
entità statali. Altri passi sono da compiere prima; in ogni caso sono i
diritti fondamentali di ogni persona  che vanno garantiti all'interno di
qualsivoglia assetto statuale.

	"...il principio di autodeterminazione dei popoli...non necessariamente
comporta la creazione di un nuovo stato, ma può trovare spazio anche in
forme estese di autonomia..."  "Questo è un diritto riconosciuto e
legalmente obbligatorio per il diritto internazionale, confermato anche
dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel suo testo sulle "relazioni
amichevoli". In questo testo si dice che il diritto di autodeterminazione
deve essere realizzato come federazione o altro stato di autonomia in
associazione con lo stato esistente, ma che se lo stato lo ignora o reprime
questo diritto, questo può implicare anche il diritto alla secessione..."
(Alberto L'Abate, op.cit. pag.29 e 16).

4.3  In presenza di conflitti  tra culture diverse, occorre creare fiducia,
comprensione tra le parti, e questo può avvenire solo lentamente e "dal
basso". Gli stati con i loro apparati, soprattutto con gli eserciti, non
sono in grado di farlo.

4.4  E' necessaria una rilettura critica della Storia, che attualmente è
presentata in modo parziale, sia per giustificare il potere da parte di chi
lo detiene, sia per giustificare la lotta da parte di chi lo vuole ottenere.

4.5   Sovente le guerre sono giustificate e rese accettabili all'opinione
pubblica ricorrendo a nobili motivazioni umanitarie;  occorre invece
evidenziare i reali motivi economico- politici, e smascherare i
condizionamenti della criminalità organizzata, che sempre più influisce
sulla politica,   soprattutto nelle scelte che richiedono ingenti quantità
di denaro, come sono le guerre.

4.6  I capitali necessari per le guerre e le successive ricostruzioni sono
enormi. Siccome nessuna guerra "scoppia" improvvisamente, c'è tutto un
periodo di conflitto latente durante il quale, con risorse economiche
notevolmente inferiori, si possono attivare programmi di aiuto economico
e/o culturale alle parti in causa, facendo tesoro delle esperienze di
azione nonviolenta già realizzate in molte situazioni di conflitto.

4.7  E' necessario preparare e avere sempre a disposizione corpi civili di
pace, se si vuole impegnarsi in interventi a difesa dei diritti umani.
	
Sulla fattibilità e su  esperienze già in atto di missioni civili di pace e
di interventi non armati anche di militari cfr. Jean-Marie Muller, Vincere
la guerra:Principi e metodi dell'intervento civile, EGA, Torino,1999. 
Importante è anche la raccomandazione votata il 10 febbraio 1999 dal
Parlamento Europeo per la realizzazione di un Corpo Civile di Pace già
proposta a suo tempo da Alex Langer (cfr.Azione Nonviolenta, marzo '99 e
ottobre '95).

20 ottobre '99.
a cura  del recapito MIR di Alba,  Località Altavilla  85, tel.0173 440345.