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Notizie Est: Kosovo, Albania, Romania, Armenia




1. KOSOVSKA MITROVICA, La voce del Kosovo impossibile. 
2. FARNESINA/BALCANI, L'Italia in fuga dal Kosovo. 
3. FATTI D'EUROPA EST - Presevo, Albania, Vienna, Romania, 
Armenia-Azerbajan

(dal Manifesto, 30 novembre 2000)

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La voce del Kosovo impossibile 

Intervista a Oliver Ivanovic, leader del Consiglio nazionale 
serbo in Kosovo. 

MARIO BOCCIA - KOSOVSKA MITROVICA 

"Libertà di movimento, sicurezza, diritto al ritorno": parole 
ricorrenti, persino abusate nei discorsi dei governatori-
rappresentanti della comunità internazionale in Kosovo. Parole 
svuotate di contenuto dai fatti. 
A due anni dalla firma degli accordi di Kumanovo, la guerra 
continua contro le minoranze, l'economia è drogata dalla presenza 
delle organizzazioni umanitarie e/o militari, la mafia impone i 
suoi diktat su chiunque voglia mettere in piedi un attività 
autonoma. Eppure su queste parole-speranze si gioca il futuro del 
Kosovo e di quella parte dei suoi "nativi" che ne sono 
attualmente esclusi.

Le parole cambiano di senso a seconda della bocca che le 
pronuncia, sembra dire Oliver Ivanovic (leader del Consiglio 
nazionale serbo e autorevole interlocutore del governo 
dell'Unmik) mentre sottolinea con la penna le parti del discorso 
del 20 novembre di Bernard Kouchner che lo irritano di più. Non 
sono i rimbrotti diplomatici ("...sebbene questa non sia un 
assemblea di membri eletti...") ma i passaggi nei quali il 
governatore si dice cosciente di "non aver fatto abbastanza per i 
serbi", promette di "intensificare gli sforzi per garantire a 
tutti libertà di movimento", si impegna a far tornare "tutti 
coloro che han lasciato il Kosovo, inclusi i serbi". 
Eppure si era trattato di un discorso importante, fatto "a nome 
del segretario generale Kofi Annan", alla cerimonia inaugurale 
delle quattro assemblee comunali autocostituite di Mitrovica-
nord, Zvecan, Zubin Potok e Leposavic (dove è avvenuto 
l'incontro): vale a dire i comuni dove vive la maggioranza dei 
serbi residenti in Kosovo. Un territorio "privilegiato" per la 
continuità territoriale con la Serbia e per le sue dimensioni, 
rispetto altre comunità più piccole e isolate. 

D. Non era scontato che il governatore fosse presente ad una 
iniziativa che appariva in contrasto con la consultazione 
elettorale da lui voluta e boicottata dalla stragrande 
maggioranza dei serbi. 
Di che si è trattato, signor Ivanovic? 

R. Abbiamo nominato questi consigli comunali per avviare un 
processo di normalizzazione che dovrà concludersi con il rientro 
di tutti i profughi. Ci siamo mossi nel rispetto delle linee-
guida della risoluzione 1244. I nuovi consigli provvisori sono 
stati nominati rispettando la composizione etnica della 
popolazione sul territorio e considerando rappresentatività, 
ruolo sociale, cultura e popolarità delle persone. Dovranno 
svolgere il loro compito naturale in una situazione 
straordinaria. Per fare un esempio: a Leposavic abbiamo nominato 
14 serbi, due albanesi e 1 musulmano; a Mitrovica (nord), 15 
serbi, 2 albanesi, 1 musulmano e 1 rom. 

D. I serbi nominati d'ufficio nei consigli comunali eletti con il 
voto delle ultime elezioni non si presentano. Quando qualcuno, 
serbo o di altre minoranze, accetta di farlo, gli eletti del Pdk 
bloccano i lavori abbandonando l'aula. Succederà lo stesso anche 
con i vostri "cooptati"? 

R. Finora non sappiamo se tutti gli albanesi accetteranno, ci 
hanno chiesto tempo per riflettere, noi comunque saremmo 
soddisfatti della loro presenza e certi del valore del loro 
contributo. 

D. Non andando alle "elezioni di Kouchner" e convocando i "suoi" 
consigli comunali, il Consiglio nazionale serbo ha deciso di 
andare verso la spartizione del Kosovo? La presenza stessa di 
Kouchner, che nei primi quattro paragrafi del suo saluto augurale 
all'assemblea di Leposavic, ripete quattro volte: "le vostre 
municipalità", avalla questa tendenza? 

R. Assolutamente no. Quelle elezioni non dovevano essere fatte 
perché non c'erano le condizioni minime, elementari per una 
libera espressione di voto. Sono state imposte da Kouchner alla 
fine del suo mandato, per mascherare il totale fallimento della 
sua missione. Hanno dato una verniciatura di normalità ad una 
situazione gravissima. Che normalità è senza i profughi? Non 
erano solo inutili, ma hanno peggiorato la situazione. Basti 
guardare alla violenza che ha insanguinato la campagna 
elettorale. Chi ha avuto diritto al voto? Quanti tra quelli che 
hanno votato abitano questo paese solo da giugno del '99? Come si 
può parlare di volontà popolare se oltre duecentomila profughi 
(quelli sì, kosovari) sono fuori dal paese? Come era possibile 
fare la campagna elettorale, quando a tutt'oggi in Kosovo non 
sono garantiti libertà di movimento, sicurezza per le minoranze e 
diritto al ritorno? L'omicidio dei quattro aschkalija che avevano 
accettato di rientrare a Dosevac, è un avvertimento a tutti, noi 
per primi. Se vengono trucidati anche loro, che parlano la stessa 
lingua, che succederà agli altri? Era un rientro concordato e 
doveva essere protetto. Chi non lo ha fatto è complice degli 
assassini. Lei dice che i serbi rifutano la nomina d'ufficio, è 
vero, ma per non mascherare con la loro presenza l'imbroglio che 
c'è dietro queste elezioni. Come posso andare alle riunioni del 
consiglio comunale che si trova nella parte sud, dove la mia 
faccia è esposta per le strade in un manifesto che mi indica come 
"criminale di guerra n1"? Comunque le assicuro che, da parte 
nostra, non c'è nessuna volontà di separazione. Al contrario: la 
nostra priorità è che tutti possano tornare da dove sono stati 
cacciati. 

D. Dopo che la parte del complesso industriale di Trepca (oltre 
40 differenti impianti, anche fuori dal Kosovo) che sta sul 
vostro territorio è stata chiusa per motivi "ecologici", cosa ne 
è dell'impianto? 

R. Le tensioni di allora sono state superate, ma la Trepca di 
Zvecan è ferma ed è indispensabile all'economia della regione. 
400 operai serbi mantengono l'impianto alle condizioni di 
manutenzione minime per impedire il deterioramento e prendono 50 
marchi al mese di indennizzo dall'Unmik. Quello dell'inquinamento 
è un problema reale e l'impianto deve essere ristrutturato, ma 
non tollero che il problema possa essere posto da chi ha 
contaminato il nostro territorio con l'uranio impoverito. Perché 
non si preoccupano del livello di inquinamento delle centrali 
elettriche di Obilic? L'impianto di Zvecan lavorava al 10% delle 
sue possibilità per evitare un inquinamento eccessivo. Le accuse 
contro il direttore della fabbrica (incriminato per "danni 
all'ambiente", per avere incrementato l'attività della Trepca 
prima della chiusura messa in atto dalla Kfor ad agosto, alla 
vigilia delle elezioni presidenziali in Serbia, ndr) sono false e 
ipocrite. 

D. In questi giorni si sono svolte manifestazioni e scioperi di 
protesta per chiedere la liberazione dei prigionieri albanesi 
detenuti in Serbia. Non pensa che un amnistia favorirebbe, se non 
la ripresa del dialogo, almeno un raffreddamento della tensione? 

R. So che verrà istituita una commissione mista, su modello 
sudafricano, che vaglierà caso per caso. Avvocati albanesi sono 
già a Belgrado. Ma perché nessuno parla dei 1300 serbi scomparsi? 
Dove sono? Sono stati tutti uccisi? Qui da noi ce ne sono 18 in 
un carcere sorvegliato dall'Unmik, da otto mesi, senza nessuna 
accusa specifica formalizzata. Non possiamo accettare che vengano 
giudicati da una corte composta da giudici albanesi. Sono state 
violate anche le leggi jugoslave sulla detenzione preventiva, che 
prevedono termini di sei mesi. 

D. In situazioni come questa, la criminalità trova terreno 
fertile. Anche da voi? 

R. Noi non abbiamo ancora avuto la possibilità di organizzare una 
nostra polizia autonoma e quella internazionale, prima di trovare 
i criminali, deve imparare a trovare la strada per tornare in 
caserma senza perdersi. Ma il problema del diffondersi della 
malavita è essenzialmente un problema sociale. Quello che manca 
qui è il lavoro. Se un operaio per vivere è obbligato a 
trasformarsi in un "borsaro nero", perde la sua dignità. Manca il 
lavoro e la criminalità aumenta, anche se, da noi, la comunità 
stessa mette in atto forme di controllo. Comunque il lavoro è la 
nostra priorità sociale. 

D. Lei è stato descritto come uomo di Milosevic e ora come uomo 
di Kostunica dagli stessi giornali, a distanza di pochi mesi. Ma 
lei con chi sta? 

R. Io non sto con nessuno - ride. Quello che non hanno capito è 
che sono il rappresentante riconosciuto di questa comunità e a 
questa rispondo delle mie azioni. E' un vizio culturale, una 
visione della politica vecchia. Se vogliamo, questo è stato uno 
dei nostri principali difetti del passato: una gestione 
centralista che non tiene conto delle realtà locali. Noi vogliamo 
decidere il nostro futuro, non pretendiamo di avere sempre 
ragione, ma vogliamo essere consultati. Nessuna soluzione per il 
Kosovo potrà mai essere elaborata senza sentire chi ci vive e chi 
ci vuole tornare. Io non sono mai stato eletto, ma credo di 
rappresentare tutti, senza distinzioni politiche. 

D. Dopo i giudizi duri che lei ha dato sulla politica di Bernard 
Kouchner, cosa pensa del suo successore inglese? 

R. Venisse anche il diavolo, chiunque sarebbe meglio di Kouchner!


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FARNESINA/BALCANI

L'Italia in fuga dal Kosovo 

Si è dimesso Dionisio Spoliti, Governatore di Gnijlane gia' 
"numero 2" del Sisde. Dini tace. 

TOMMASO DI FRANCESCO 

L'area che va dalla Valle di Presevo in Serbia, all'est del 
Kosovo, fino al nord-Albania, è di nuovo in fiamme. A Pristina 
non si è spenta ancora l'eco delle parole di Ibrahim Rugova ai 
funerali del suo più stretto collaboratore, Xhemajl Mustafa, 
ucciso la scorsa settimana da settori del formalmente disciolto 
Uck: "Con te - ha detto Rugova - hanno ucciso la cultura e il 
giornalismo albanese"; nel nord Albania i militanti "democratici" 
di Berisha vanno allo scontro armato con i socialisti al governo; 
l'area di Presevo e la fascia smilitarizzata di 5 km con la zona 
contigua del Kosovo "controllata" dal contingente Kfor-Nato degli 
Stati uniti - che nell'area, a Bondsteel, hanno costruito la più 
grande base militare dei Balcani - è nel turbine di una nuova 
guerra, con 5 agenti serbi uccisi, duemila profughi albanesi, 
tank e, solo ora, perquisizioni della Nato. Ieri, dopo una 
"tregua concordata", le truppe di Belgrado hanno rioccupato i 4 
villaggi presi per giorni dai separatisti albanesi dell'Ucpmb. 
Per la Nato l'area è "tra le più pericolose al mondo". 

Ci si dovrebbe aspettare un surplus d'iniziativa politica e 
diplomatica. Soprattutto da parte di chi, come l'Italia, vanta 
una presenza "di valore" in Kosovo. Ma la realtà dimostra il 
contrario. Il punto più caldo è Gnijlane, da lì partono le bande 
dell'Ucpmb. Il Kosovo è diviso in 5 distretti militari e 
amministrativi - Pristina, Mitrovica, Gnijlane, Pec, Prizren -, 
sotto controllo di contingenti Nato e governatori Onu. 
Governatore di Gnijlane è l'italiano Dionisio Spoliti. Sarebbe 
meglio dire era, giacché, proprio di fronte al precipitare della 
situazione, non ha trovato di meglio da fare che dimettersi. Del 
resto da lui non era venuta nessuna iniziativa diplomatica da 
quando s'insediò circa 6 mesi fa: ignorante di diplomazia, 
Balcani e lingue, l'ex "numero 2" del Sisde ha brillato per 
l'assenza. 

Lo aveva inviato il ministro Dini. A fare che? E' possibile che 
non abbia niente da dire ora?
Dini tace per abitudine. In Kosovo l'Italia non ha fatto che 
dimettersi: nel 1998 non durò 48 ore il dottor Perugini (vice-
questore d'Arezzo) nella missione Osce guidata dall'infido 
William Walker; due mesi durò Giovanni Koessler (magistrato di 
Bolzano) già nel 1999; cinque mesi a Mitrovica, Mario Morcone 
(prefetto di Arezzo). Spie, questurini, prefetti. E nessuno ci 
racconti la favola del generale Cabigiosu che in Kosovo comanda 
la Kfor: quella è la Nato dove - dopo i raid di Aviano - 
l'esercito italiano brilla. A noi, agli albanesi e ai serbi, 
interesserebbe il ruolo diplomatico dell'Italia. E quello, 
purtroppo, non si vede. 


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FATTI D'EUROPA EST


Presevo, interviene la Nato 

In una sorprendente ma non inaspettata inversione dei ruoli e 
delle alleanze, la Nato si è detta ieri disponibile alla 
collaborazione con Belgrado per intervenire contro le attività 
"terroristiche" degli albanesi in Kosovo. Un passo dettato 
senz'altro dai migliori rapporti tral l'Alleanza e il nuovo 
leader jugoslava, ma anche dalla ormai sempre più chiara 
insofferenza dell'Occidente nei confronti del Kosovo. La Nato ha 
stabilito un piano in sei punti per risolvere la crisi nella 
valle di Presevo. Fra questi una campagna di informazione per 
mettere in luce le attività terroristiche degli albanesi a 
Presevo, rapporti più stretti tra la Kfor e la polizia serba, 
controllo rafforzato sulle linee di confine e massima allerta 
contro il traffico di armi. 


Tensione in Albania

Iseguaci di Sali Berisha non ci stanno. Martedì sera l'arresto, e 
il rilascio dopo qualche ora, del leader dell'opposizione 
conservatrice, ha infervorato gli animi, e non solo, di alcuni 
albanesi. Scontri sanguinosi si sono verificati a Tropoja, nel 
nord del paese, da sempre regione fedele all'ex presidente 
Berisha. Alcuni uomini hanno circondato il posto di polizia 
locale e poi hanno dato fuoco al tribunale. La tensione è 
altissima fin dai giorni delle elezioni amministrative di 
ottobre, che avevano visto la sconfitta del partito di Berisha, 
anche nella capitale. Da allora quotidianamente i suoi partigiani 
manifestano nelle piazze delle principali città albanesi, in modo 
sempre più violento. L'altro ieri, proprio nel corso di una di 
queste manifestazioni, Berisha era stato fermato dalla polizia e 
contemporaneamente esercito e blindati venivano schierati nei 
punti chiave della città. Il primo ministro albanese, dal canto 
suo, ha lanciato un avvertimento all'opposizione radicale: "Tutti 
coloro che attaccheranno le istituzioni dovranno risponderne in 
tribunale". 


Chirac a Vienna 

Non si è trattato esattamente un incontro cordiale, ma pur sempre 
un incontro c'è stato. Dopo mesi di reciproca diffidenza, il 
presidente francese Jacques Chirac si è recato a Vienna dove ha 
stretto la mano al cancelliere austriaco Wolfgang Schüssel. I 
colloqui si sono incentrati sullo sviluppo delle istituzioni 
comunitarie europee alla vigilia del summit di Nizza. L'Austria, 
come tutti i paesi di piccole dimensioni, propende al 
mantenimento dell'attuale 
status e composizione della commissione, nel timore di perdere, altrimenti, 
peso politico in seno all'Europa. Chirac, in qualità di presidente dell'Unione, 
ha tenuto a precisare che il significato della visita rientra nell'ambito di un 
tour di tutte le capitali europee, e non ha voluto affrontare il problema della 
presenza nel governo austriaco del partito di Haider, all'origine di tante 
tensioni tra Vienna e Bruxelles. 


Romania, elezioni 

Il partito della Grande Romania tende la mano ai socialdemocratici. In base ai 
risultati ancora provvisori delle elezioni di domenica scorsa, il partito 
dell'estrema destra rumena dovrebbe aver ottenuto circa il 28 percento dei 
voti, contro il 37 percento del partito socialdemocratico, guidato dall'ex 
presidente Ion Iliescu. Il leader del Partito della Grande Romania Vadim Tudor 
ha offerto al suo avversario, che finora si è sempre detto contrario, la 
collaborazione per un governo di grande coalizione. Ion Iliescu e Vadim Tudor 
si affronteranno il 10 dicembre prossimo nel ballottaggio per la carica di 
presidente della repubblica. 


Armenia e Azerbajan 

Dopo 13 anni di conflitto, un primo passo verso una possibile distensione tra i 
due paesi. Ieri il vicepresidente del parlamento azero si è recato a Yerevan, 
capitale dell'Armenia, dove era in corso un forum degli 11 paesi che si 
affacciano sul Mar nero. Si tratta della figura istituzionale più importante 
che si sia finora mai recata nel paese nemico. Tanto il 
parlamentare azero che il suo omologo armeno hanno mostrato una 
certa disponibilità a riprendere il dialogo. Armenia e Azerbajan, 
due ex repubbliche sovietiche, si contendono la regione del 
Nagorno-Karabak, enclave popolata da una maggioranza armena in 
territorio azero, che si è dichiarata indipendente nel 1988. Una 
tregua nel 1994 ha messo fine ad una guerra che ha fatto oltre 
15.000 vittime e un milione di profughi, ma il problema della 
sovranità del Nagorno Karbak resta ancora del tutto irrisolto. 


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Il Manifesto, 30 novembre 2000