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LUNGO ma molto ben fatto: "Notizie Est" sulla lotta di potere in Serbia



Posted-Date: Thu, 12 Oct 2000 16:58:07 +0200
From: "Est" <est@ecn.org>
To: "Notizie Est" <est@ecn.org>
Date: Thu, 12 Oct 2000 16:58:52 +0200
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Subject: Notizie Est #357 - Serbia/Montenegro
Reply-to: est@ecn.org
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"I Balcani" - http://www.ecn.org/est/balcani

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NOTIZIE EST #357 - SERBIA/MONTENEGRO
12 ottobre 2000
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IL SISTEMA DI DISGREGA, LA DOS SI DIVIDE
di Andrea Ferrario

[Seguono piu' sotto alcune notizie in breve sui risvolti internazionali
della crisi in Jugoslavia e brani da un articolo sulle prospettive delle
aziende italiane nel paese]

Passato il momento dell'euforia e delle grandi manifestazioni, in
questi giorni la Serbia si trova ad affrontare momenti critici che
incideranno molto sui futuri assetti del paese. Si sta anche
aprendo, in sordina, una battaglia politica all'interno della DOS,
mentre tutta la consistente area SPS-JUL-SRS e' entrata in
fermento nel momento in cui deve decidere la linea da adottare
nell'immediato futuro. Quello attuale e' soprattutto un momento di
grande confusione, che cercheremo di descrivere qui sotto, in
maniera forzatamente frammentata, riportando alcuni dei fatti
secondo noi piu' importanti tra quelli meno approfonditi dai grandi
media.

Vi e' innanzitutto la grande ondata di scioperi e di sostituzione
delle dirigenze di fabbriche, ospedali, universita' e altri settori della
societa' serba. Si tratta di un fenomeno in massima parte
spontaneo e prevedibile, dopo 13 anni di controllo pressoche'
assoluto di una ristretta oligarchia su tutti gli aspetti della vita del
paese. Vi e' pero' negli ultimi giorni una crescente
strumentalizzazione da parte della DOS, che cavalca la protesta,
cercando allo stesso tempo di metterle il bavaglio e di utilizzarla
unicamente per conquistare posizioni di potere in ambito
economico. Vi sono anche alcuni casi in cui a cavalcare la
protesta sono personaggi riciclatisi all'ultimo momento e che non
hanno troncato i rapporti col precedente regime. Il denominatore
comune, fino a questo momento, e' la maniera pacifica in cui tutto
si svolge (le "violenze" di cui si lamenta il SPS, improvvisamente
preso da scrupoli democratici, si limitano al massimo ad alcuni
isolati casi di spintonamenti), dovuta tra le altre cose alla totale
mancanza di sostegno, anche solo passivo, da parte dei lavoratori
ai sindacati dell'ex regime (SSS) e ai dirigenti cacciati, tutti alti
funzionari della SPS e della JUL. Si e' dissolto in un colpo, quindi,
il sistema "chiuso" che ha contrassegnato la vita nei luoghi di
lavoro della Serbia in tutti questi anni. Riassumendo, le dirigenze di
pressoche' tutte le aziende e le istituzioni erano controllate da alti
funzionari del "bipartito" SPS-JUL. La cinghia di trasmissione di
questa oligarchia "partitico-aziendale" era rappresentata dal
sindacato "statale", come viene comunemente definito in Serbia il
SSS, che siedeva direttamente nei consigli di gestione delle
aziende, nei quali spesso i suoi rappresentanti percepivano
stipendi di livello dirigenziale o godevano di altri privilegi. Il
sindacato occasionalmente avanzava rivendicazioni, ma quasi
sempre in maniera concordata con le dirigenze, muovendosi cosi'
unicamente nell'ambito delle lotte intestine per la spartizione della
torta del potere all'interno della ristretta oligarchia serba. Un'altra
funzione del SSS e' esemplificata dal caso dello sciopero dei
lavoratori della scuola dell'anno scorso: quando le proteste
spontanee od organizzate dai sindicati indipendenti prendevano
dimensioni massicce, come in tale caso, il SSS vi aderiva,
diventava l'interlocutore privilegiato del governo e smobilitava quanto
prima accettando compromessi su condizioni minime che non
intaccavano gli interessi del potere. Caduto e sfaldatosi nel giro di
pochi giorni il potere, si e' dissolto tutto questo meccanismo - il
SSS si e' dimostrato il castello di carta che era e i dirigenti in
massima parte oppongono scarsa resistenza alle proteste dei
lavoratori (uno dei maggiori "boss" aziendali della Serbia, Milan
Beko, alto funzionario del SPS e direttore della "Zastava", si e'
dimesso addirittura prima ancora che cominciassero le proteste).

Naturalmente la disgregazione delle strutture del regime non e'
l'unico fattore di quanto sta accadendo. Il vuoto di potere trova
subito attori pronti a riempirlo. E' difficile in questo momento fare
una casistica completa, ma dalle notizie che provengono, in
particolare da fuori Belgrado, si rileva come nella maggior parte dei
casi i lavoratori si sono dimostrati organizzati, hanno votato
democraticamente in assemblee la revoca dei dirigenti e hanno
eletto altrettanto democraticamente dei "Comitati di crisi" per una
gestione temporanea della propria azienda. In alcuni e non isolati
casi, tuttavia, le modalita' sono state molto meno chiare e,
soprattutto, meno democratiche, e alle proteste spontanee ha fatto
seguito il subentrare d'autorita' di "Comitati di crisi" controllati dalla
DOS, che spesso utilizzano a proprio vantaggio la scarsa capacita'
di autorganizzazione dei collettivi dei lavoratori (dovuta al lungo
periodo di "pace sociale" artificialmente costruita dal regime).
Riguardo a quanto accade si sta aprendo una spaccatura all'interno
della DOS, spaccatura che e' evidentemente stata notata da SPS,
JUL e radicali, i quali hanno fatto immediatamente marcia indietro
riguardo a una transizione pacifica nel Parlamento serbo. Dietro
all'insediamento dei "Comitati di crisi" non eletti, o che hanno
abilmente sfruttato il disorientamento dei lavoratori, sembra esserci
Zoran Djindjic, leader del Partito Democratico, che tra tutte le forze
facenti parte della DOS e' quella piu' consistente e meglio
organizzata a livello locale (e ha coordinato tutta la campagna
elettorale, le proteste ecc.). Kostunica, che sta vivendo il suo
"grande momento" sotto i riflettori di tutto il mondo, sembra
disporre di ben poche leve a livello locale, mentre dalla frequenza
delle riunioni e dalle dichiarazioni rilasciate, sembra avere
completamente dalla sua parte l'Esercito jugoslavo - ieri si e'
incontrato nuovamente con il capo di stato maggiore Pavkovic, con
l'ex ministro della difesa Ojdanic e con altri esponenti militari,
ottenendone il pieno appoggio e accusando, senza fare nomi,
persone che spingono "per uno scenario di possibili conflitti e
inviano avvertimenti inutili all'esercito di rimanere fuori dalle dispute
politiche". E' inquietante che durante tale riunione i vertici militari e
il presidente neoeletto abbiano dichiarato congiuntamente che "la
situazione generale della sicurezza nel paese e' molto complessa
e richiede una consolidazione urgente e pianificata delle forze del
ministero degli interni" - che competenza infatti hanno i militari a
pronunciarsi riguardo alle forze di polizia? Le divisioni tra Kostunica
e Djindjic si sono fatte piu' esplicite oggi con un'intervista concessa
dal primo all'"International Herald Tribune", in cui Kostunica, dopo
avere detto che il paese, "sotto la superficie tranquilla siede su un
vulcano non completamente controllato", afferma "sto avendo quasi
altrettanto problemi da alcuni miei amici di quanti me ne danno i
miei nemici. [...] Alcuni membri della DOS stanno compromettendo
[la mia] autorita'" e prosegue poi in maniera ancora piu' esplicita,
dichiarando che alcuni membri della DOS stanno rilasciando
dichiarazioni politiche da lui non autorizzate e stanno utilizzando
misure al di fuori della legalita' per assicurarsi il controllo di
ministeri e aziende precedentemente legati a Milosevic. Alla fine,
compare con nome e cognome il "colpevole" di tutto questo: "E'
Zoran Djindjic, leader del Partito Democratico, che si sta muovendo
per cercare di consolidare la rivolta popolare, ma in modo che
potrebbe causare confusione. Risolveremo queste cose tra di noi".
Diversa la posizione di un altro importante attore all'interno
dell'opposizione, il gruppo dei G-17, una formazione composta da
"esperti" in economia, che potrebbe svolgere un ruolo di primo
piano nei prossimi mesi qualora venisse formato un governo di
tecnici, per il quale si parla gia' di un premier proveniente dalle sue
fila, Miroljub Labus, e di una serie di dicasteri importanti assegnati
al gruppo di economisti. Il G-17 evidentemente aspira anch'esso ad
avere un consistente controllo sulle aziende, ma, essendo solo un
gruppo di intellettuali, e' scarsamente radicato a livello locale e
quindi rischia di rimanere indietro nella corsa alla conquista dei
"Comitati di crisi", dove comunque finora e' riuscito a piazzare un
numero non indifferente di propri uomini. I G-17, inoltre, diffidano
apertamente delle mobilitazioni dei lavoratori (come d'altronde, pur
seguendo strategie diverse, anche Djindjic e Kostunica) e hanno
denunciato che "lo stato di 'rivoluzione democratica' nel quale si
trova la Serbia va a vantaggio di molti soggetti manipolatori",
sottolineando che il controllo delle aziende spetta, oltre che ai
lavoratori, anche "ai vincitori nelle elezioni: la DOS".

[RIQUADRO: CHI SONO I MEMBRI DEL COMITATO DI CRISI
NAZIONALE DELLA DOS
In questo momento uno dei centri principali del potere in Serbia e'
rappresentato, oltre che da Kostunica e dal suo entourage, dal
Comitato di Crisi nazionale della DOS, una specie di politburo della
coalizione che ha vinto le elezioni. I suoi membri sono: Zoran
Djindjic, ex sindaco di Belgrado e capo del Partito Democratico;
Momcilo Perisic, ex comandante del capo di stato maggiore;
Nebojsa Covic, altro ex sindaco di Belgrado, fuoriuscito dal Partito
Socialista; Goran Svilanovic, capo dell'Alleanza per la Democrazia;
Dusan Mihajlovic, leader del partito Nuova Democrazia, ex dirigente
dei giovani socialisti, ex agente dei servizi segreti ed ex alleato di
Milosevic]

Il momento di crisi dovuto alle divisioni all'interno delle fila
dell'opposizione, come accennavamo, e' stato subito colto dall'ex
regime, che si e' mosso la' dove dispone ancora di un largo spazio
di manovra, cioe' nel parlamento serbo, dove ha fatto dietro-front
sugli accordi precedentemente presi e ha nominato l'ex premier
Marjanovic, uomo fidato di Milosevic, ministro degli interni,
consegnandogli quindi il controllo delle forze di polizia. A livello del
parlamento serbo, Djindjic sembra essere molto meno
"movimentista" che a livello locale e tra tutti il piu' disponibile a una
condivisione dei poteri tra socialisti, radicali e JUL da una parte, e
opposizione dall'altra. Djindjic ha dichiarato ieri che la DOS
proporra' una condivisione del potere con il governo socialista in
quattro dicasteri fondamentali, "i ministeri della polizia [sic], della
giustizia, delle finanze e dell'informazione, e questo senza grandi
cambiamenti di personale. Se non saranno d'accordo, chiederemo
l'organizzazione di elezioni il 17 dicembre". Quindi, oltre alla
condivisione di tutti i poteri essenziali, vi e' l'eventualita' che, in
caso di accordo, non si vada al voto, e in effetti le forze del governo
socialista serbo premono gia' perche' le elezioni si tengano in una
data non meglio precisata del 2001. Djindjic ha inoltre affermato di
non avere nulla in contrario a che il premier incaricato del prossimo
governo transitorio sia un uomo del SPS, a condizione che non si
tratti di Marjanovic. In caso di elezioni a dicembre, il leader della
DOS non ha addirittura nulla in contrario a che il governo attuale
rimanga in carica fino al voto. Tra le fila dei socialisti e della JUL
c'e' comunque molto fermento. La JUL ha dichiarato che rompera'
la coalizione con il SPS e che alle prossime elezioni si presentera'
con liste proprie. All'interno del Partito Socialista si erano gia'
levate voci a favore di una rottura dei rapporti con la JUL, come nel
caso del comitato regionale di Valjevo, che aveva deciso di
proporre la cosa a livello nazionale. Intanto, il segretario generale
del SPS Gorica Gajevic si e' dimessa dall'incarico e il suo posto e'
stato preso da Zoran Andjelkovic, alto esponente del regime e
"governatore" del Kosovo in tutto il periodo 1998-1999. A suo vice e'
stato nominato Milan Milutinovic, attualmente ancora presidente
della Serbia.

Infine, ieri e' corsa la voce che si siano aperte due candidature per
la nomina del nuovo capo di stato maggiore dell'esercito - si parla
di Momcilo Perisic, che ha gia' rivestito tale carica fino all'autunno
del 1998, prima di cadere in disgrazia, e del generale Spasoje
Smiljanovic, capo dell'aviazione jugoslava e uomo sempre fedele al
regime. Perisic, oltre a pronunciare parole di aperto disprezzo nei
confronti del suo (presunto) concorrente, ha smentito tali voci, ma
ha subito aggiunto che se la DOS intende proporlo per tale carica,
vuol dire che "evidentemente la ritengono la migliore decisione, ma
io non ho fatto alcuna dichiarazione precisa in tal senso, ne' mi
sono pronunciato in merito", ricordando tuttavia di avere dichiarato
in passato "accettero' ogni funzione se sara' nell'interesse di fare
uscire il paese dalla crisi". Il 9 ottobre Djindjic e il presidente
Montenegrino Djukanovic si erano incontrati a Podgorica dove
avevano concordato la convocazione del Consiglio superiore della
difesa federale, al fine, come hanno dichiarato, di cambiare i vertici
militari del paese. Djindjic aveva in quell'occasione affermato di
essersi recato a Podgorica in qualita' di inviato di Kostunica, e di
avere il suo consenso per concordare una tale decisione. Ieri,
tuttavia, dall'ufficio del presidente jugoslavo hanno dichiarato
all'agenzia Beta che Kostunica non ha intenzione di sostituire il
capo di stato maggiore: "Il generale Pavkovic rimarra' capo di stato
maggiore dell'esercito jugoslavo". Tutta la faccenda si e' poi
complicata e tinta di giallo con il lieve incidente automobilistico che
ha coinvolto Djukanovic. I medici hanno dichiarato ieri che egli sara'
costretto a casa per "alcune settimane", cosa che impedira' la
convocazione del Consiglio superiore della difesa federale.

Per chiudere il quadro, va segnalato che Kostunica si e' incontrato
con il vescovo Artemije, uno dei leader dei serbi "moderati" del
Kosovo. I due hanno convenuto che la nuova situazione consentira'
un maggiore coinvolgimento della Serbia e della Jugoslavia negli
sviluppi interni al Kosovo e Metohija e un'apertura di quest'ultimo
nei confronti della Serbia, nonche' una posizione piu' favorevole ai
serbi da parte della comunita' internazionale. Kostunica ha
proposto di visitare prossimamente Gracanica, in Kosovo, e
Artemije si e' detto entusiasta dell'idea. Ieri, inoltre, Momcilo
Trajkovic, altro leader serbo del Kosovo, ha dichiarato che la DOS
ha organizzato un suo Comitato di crisi anche in Kosovo.

Tutto quello che abbiamo riferito sopra indica che la Serbia si trova
in questo momento di fronte alla svolta piu' importante. La strada
sulla quale si incamminera' il paese dipendera' da una parte dalla
misura in cui lavoratori e studenti sapranno continuare le
mobilitazioni e, soprattutto, autoorganizzarsi in modo da incidere
con efficacia dal basso sulle scelte dei vertici politici, e dall'altra
dall'esito che avranno le lotte politiche all'interno della DOS e dalla
linea che sceglieranno di seguire i socialisti e le forze loro
contigue. Di importanza fondamentale sara' anche il grado di
reciproca convivenza sul quale la DOS e le strutture del precedente
regime si accorderanno e da questo punto di vista i rapporti di
Kostunica con i militari e la disponibilita' di Djindjic a garantire una
continuita' con le precedenti strutture di potere non lasciano
sperare nulla di buono.

(sulla base dei materiali pubblicati dal quotidiano "Danas" e
dall'agenzia AFP nei giorni 9, 10, 11 e 12 ottobre, nonche' di un
lungo reportage da Belgrado del quotidiano bulgaro "Sega", 11
ottobre 2000)


SUL "FRONTE" INTERNAZIONALE
La crisi di potere apertasi in Serbia ha le sue ricadute anche in
ambito internazionale, dal quale a sua volta e' influenzata.
Riportiamo qui di seguito una serie di recenti brevi notizie, con una
particolare attenzione per gli aspetti riguardanti il Kosovo.

* Il Tribunale dell'Aja, attraverso il suo portavoce Blewitt, ha
decisamente allentato la sua posizione rispetto alla consegna di
Milosevic, dicendo che questo non e' il momento giusto e che
bisogna aspettare che si consolidi la democrazia. Nei giorni
precedenti anche il segretario di stato USA Albright si era
pronunciata in tal senso e ieri il suo vice Talbott ha ribadito
l'inopportunita' di prendere in considerazione ora un arresto di
Milosevic.

* L'AFP riferisce che il segretario alla difesa USA, William Cohen,
ha chiesto pubblicamente agli albanesi del Kosovo di rinunciare
all'indipendenza nel momento in cui il ministero della difesa USA e
quelli europei stanno aprendo la porta all'entrata della Jugoslavia
nelle strutture di sicurezza occidentali. "Noi siamo a favore
dell'autonomia per il Kosovo e non dell'indipendenza", ha detto
Cohen in una conferenza stampa a Salonicco, in Grecia. "Siamo
convinti che i kosovari abbiano l'opportunita' di ottenere un
maggiore controllo sulle proprie vite, ma non dovranno perseguire
l'indipendenza, bensi' l'autonomia". Intanto e' stato creato una
specie di super-ministero balcanico della difesa, denominato
SEDM (organismo Ministeriale per la Difesa dell'Europa Sud-
Orientale), che ha gia' una sua struttura militare operativa, le forze
interbalcaniche di pronto intervento con sede a Plovdiv, in Bulgaria,
il cui processo di creazione e' stato avviato nel 1996 e che saranno
operative da gennaio. I membri del SEDM sono l'Albania, la
Bulgaria, la Romania, la Slovenia, la Macedonia e tre paesi NATO
con forti interessi nella regione, cioe' Italia, Grecia e Turchia. Il 9
ottobre e' stato deciso di accogliere anche la Croazia e allo stesso
tempo i ministri del SEDM hanno auspicato una prossima
integrazione nella struttura anche della Jugoslavia.

* Kouchner ha chiesto a Kostunica di cominciare a liberare gli
albanesi del Kosovo ancora detenuti in Jugoslavia senza processo
(sono circa 950), come "gesto simbolico". Secondo Kouchner,
inoltre, il problema del Kosovo va risolto nell'ambito del contesto
della regione e "non bisogna cercare di risolvere lo status finale del
Kosovo in questo momento", sottolineando tuttavia che bisogna
escludere l'idea di un Kosovo indipendente, perche' esso "rimane
parte della Repubblica Federale di Jugoslavia".

* Sempre il 9 ottobre Kostunica ha dichiarato che non ci potra' mai
essere un'indipendenza per il Montenegro o per il Kosovo, "perche'
la costituzione non lo permette [in realta' per il Montenegro e'
prevista tale possibilita' anche dalla Costituzione - N.d.T.] [...] e
perche' esiste una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU,
la numero 1244, che garantisce l'integrita' territoriale e la sovranita'
della Jugoslavia. La questione del Kosovo deve essere risolta
secondo tale risoluzione e non secondo i desideri e gli auspici di
alcuni leader albanesi, in particolare quelli con tendenze
separatiste". Il giorno dopo, il 10 ottobre, si faceva sentire Djindjic,
il quale ha dichiarato che "tra oggi e la fine dell'anno faremo
ritornare 1.200 nostri poliziotti (serbi) e soldati jugoslavi sui confini
con l'Albania". Egli ha poi aggiunto di avere parlato al telefono
"alcuni giorni fa" con Bernard Kouchner che, secondo Djindjic, gli
avrebbe "chiesto di venire a Belgrado per discutere il ritorno della
nostra polizia in Kosovo. Appena avremo formato un governo
federale, invieremo una delegazione a Bruxelles e a Washington
per chiedere che la Risoluzione 1244 [la quale prevede anche il
ritorno di un numero non precisato di forze jugoslave in Kosovo]
venga rispettata". Sono passati gia' due giorni e Kouchner non ha
smentito ne' di avere avuto una telefonata con Djindjic, ne' di avere
chiesto di discutere il rientro della polizia serba in Kosovo. Va
ricordato che a luglio il segretario della NATO Robertson, di ritorno
da una visita in Kosovo, aveva dichiarato al quotidiano russo
"Kommersant" quanto segue: "Si', prevedo che in Kosovo
torneranno alcune forze jugoslave, per svolgere le funzioni indicate
nell'accordo militare-tecnico [di Kumanovo]. Ma cio' potra' accadere
solo quando non vi saranno pericoli e vi saranno le condizioni
affinche' cio' avvenga in modo sicuro", concludendo che al
momento non esistevano tali condizioni, ma che le clausole
dell'accordo e della Risoluzione 1244 verranno comunque messe in
atto e citando a proposito la collaborazione tra il comandante delle
forze USA e quello delle forze russe in Kosovo. Alla domanda del
giornalista russo sul fatto che secondo quanto riferito a maggio
dall'ambasciatore russo Kisljak la KFOR avrebbe dichiarato che un
rientro delle forze jugoslave avverra' entro un anno [da allora],
Robertson si e' limitato a rispondere: "Si', l'ambasciatore Kisljak ha
fatto questa dichiarazione. Mi aspetto che la KFOR continui a
seguire costantemente tale questione" [intervista di Robertson a
"Kommersant", ripubblicata dal quotidiano "Monitor" di Sofia il 22
luglio 2000].

* Oggi sono in visita ufficiale a Belgrado il primo ministro italiano
Giuliano Amato e il ministro degli esteri Lamberto Dini.
Quest'ultimo, poco prima di partire, si e' preoccupato di dichiarare
all'ANSA che "nonostante i forti aiuti dell'UE per la ricostruzione,
tutti i leader albanesi continuano a invocare l'indipendenza del
Kosovo, che non e' prevista dalla risoluzione 1244 dell'ONU".
Chissa' se Dini incontrera' il presidente serbo Milutinovic, uno dei
suoi piu' importanti riferimenti in Serbia fin dall'affare Telekom e nel
corso delle presidenziali serbe del '97. E a proposito di Telekom
serba, proprio nei giorni della visita di Dini i sindacati indipendenti
del settore poste e telecomunicazioni hanno chiesto le dimissioni
del direttore generale delle poste e telegrafi (PTT), Aleksa Jokic,
nonche' di tutti gli altri alti dirigenti. Sono state chieste
espressamente anche le dimissioni del direttore della Telekom
serba (che dipende dalle PTT serbe, ma e' a larga partecipazione
italiana), Milos Nesovic, nonche' dell'intero consiglio di
amministrazione dell'azienda. Il sindacato accusa la direzione delle
PTT di essere stata un canale per il lavaggio di denaro sporco e per
la diversione di fondi verso le forze politiche che sostenevano
Milosevic. L'accusa di avere trasferito fondi al SPS viene fatta
anche al direttore generale della Telekom. Il sindacato chiede
inoltre che le PTT e la Telekom presentino immediatamente un
bilancio delle loro condizioni economiche attuali e che vengano
reintegrati i lavoratori scacciati, trasferiti o licenziati dalle due
aziende per le loro attivita' sindacali, dando un ultimatum per il 16
ottobre.

(da materiali distribuiti dall'agenzia AFP il 9 e 10 ottobre e dal
quotidiano "Danas" del 12 ottobre 2000)


IL NUOVO REGIME IN JUGOSLAVIA APRE LE PORTE ALLE
OPPORTUNITA' D'AFFARI
di Monica Larner - ("Italy Daily", supplemento dell'edizione italiana
dell''"International Herald Tribune" del 10 ottobre 2000)

[Le opportunita' d'affari per le aziende italiane in Jugoslavia, di cui
parla l'articolo qui sotto, non sono poi cosi' nuove. Tra i nomi di
grandi aziende che vi compaiono, Fiat, ENEL, Telecom e Impregilo
avevano gia' effettuato grandi investimenti, o trattato eventuali affari,
con il regime di Milosevic. Ora hanno buone prospettive di
raccogliere i frutti di tali loro contatti passati]

Dopo la rivoluzione, arriva la ricostruzione - con tutto il suo
strascico di opportunita' d'affari. [...] Per l'Italia - il secondo
maggiore partner commerciale della Jugoslavia dopo la Germania -
la prossimita' geografica e i legami commerciali storici potrebbero
costituire un trampolino rispetto alla concorrenza. Se gli eventi
politici procederanno in Jugoslavia in maniera liscia, il futuro del
paese promette di essere ricco di provatizzazioni, con l'apertura
delle barriere commerciali e la stabilizzazione della valuta. Fino a
quando l'aspra situazione politica nel paese non si raffreddera',
molti membri della comunita' d'affari europea adotteranno un
approccio impostato all' "aspettiamo e vediamo", ma le prospettive
sembrano buone. "Dovra' passare molta acqua sotto i ponti prima
di sapere cosa accadra'", ha affermato il presidente dell'ICE,
Fabrizio Onida in un'intervista a "Italy Daily". "C'e' tuttavia
ottimismo". Egli ha aggiunto che le esportazioni italiane di prodotti
come scarpe, prodotti tessili e generi alimentari saranno le prime a
sfruttare l'occasione. "Gli investitori italiani in genere sono un po'
piu' lenti degli altri", ha affermato. "Ma l'avvio di privatizzazioni in
Jugoslavia potrebbe accendere la scintilla dell'interesse".

Alcune delle piu' note aziende italiane hanno gia' una presenza in
Jugoslavia, come la Fiat, la Iveco, l'Alitalia, la Telecom Italia, Diesel
e Ferrero. Il Prodotto Interno Lordo della Jugoslavia e' stato stimato
come pari a 22 trilioni di lire dopo la guerra nel 1999, con una
diminuzione del 22% rispetto all'anno precedente. L'ICE prevede
che nel 2000 il PIL raggiungera' 26 trilioni di lire. Nel 1997 la
Telecom Italia aveva comprato una quota del 29% - che ora
corrisponde a un valore di 548 miliardi di lire - della Telecom
Serbia. A causa della guerra in Kosovo, il gigante italiano delle
telecomunicazioni ha perso circa un quarto del valore del suo
investimento iniziale, ma ora si trova di fronte a un mercato ad alta
crescita, che sicuramente continuera' a salire. La Telecom Italia
potrebbe infine vedere il suo investimento iniziale, che gli esperti a
suo tempo avevano definito "rischioso, ma coraggioso", fruttare
ricchi rendimenti. La Jugoslavia ha 2,2 milioni di clienti di linee
telefoniche fisse e solo 350.000 clienti che utilizzano telefonia
mobile, cifre che rendono molto forte il potenziale di nuovi
abbonamenti. Come richiede la legge, il 51% delle quote della
Telecom Serbia e' posseduto dal governo jugoslavo. [...]

Le privatizzazioni potrebbero spalancare la Jugoslavia agli
investimenti esteri. Molti settori, ivi inclusi i servizi pubblici per
l'energia, le infrastrutture e la gestione degli aeroporti, potrebbero
presto vedere licenziamenti di dipendenti ed essere ristrutturati per
dare spazio ai nuovi capitali provenienti dall'estero. Per esempio,
l'ENEL, l'ente statale per l'energia elettrica, potrebbe un giorno
prendere in considerazione di entrare in un mercato jugoslavo
dell'energia privatizzato, ha detto Onida. La societa' edile Impregilo
di Milano potrebbe concorrere per contratti per la ricostruzione
delle strade, dei ponti e delle gallerie danneggiati dalla guerra.

Aldo Fumagalli, presidente e amministratore delegato della Sol,
una societa' con sede a Monza che confeziona e distribuisce gas
come l'ossigeno, l'azoto e l'argon, afferma di essere ottimista sul
futuro della sua azienda in Jugoslavia. Con vendite per 400 miliardi
di lire e 1.050 dipendenti in tutto il mondo, la Sol e' gia' attiva nella
penisola balcanica, ivi incluso il Kosovo. La Sol fornisce i gas
necessari per gli ospedali, le acciaierie, i cantieri navali e altri
settori. Due anni fa, il signor Fumagalli ha creato una rete di
distribuzione in tutta la Jugoslavia, sfruttando la sua rete integrata
gia' operativa nei paesi confinanti, con valute e relazioni
commerciali piu' solide. Cosi' facendo, la sua azienda e' stata tra le
altre cose in grado di aggirare le limitazioni imposte dall'embargo.
[...]


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