Sunsplash in Spagna - Filippo Giunta: “Un altro mondo è possibile. Questo non mi piace” (265)



Rototom Sunsplash via dal Friuli emigra a Benicassim in Spagna

Un altro mondo è possibile. Questo non mi piace

Filippo Giunta: “La mia coscienza mi impone di provare a costruire un’alternativa"

 

 

Pordenone

 

“Era nell’aria da qualche anno. Da quando il centrodestra di Renzo Tondo, ma soprattutto di Luca Ciriani, aveva vinto le elezioni regionali del Friuli Venezia Giulia. L’aveva promesso in campagna elettorale, l’attuale assessore al turismo e alle attività produttive: in caso di vittoria il Rototom Sunsplash se la sarebbe vista brutta. E così è stato”. Con queste parole il presidente dell’Associazione Rototom, Filippo Giunta, aveva introdotto l’editoriale pubblicato sul numero di gennaio del mensile d’informazione “La Gazzetta” della Cooperativa sociale Itaca di Pordenone (pubblicato anche su www.itaca.coopsoc.it). Di ieri la notizia ufficiale, nell’aria da mesi, resa nota in poche righe dall’organizzazione: il Rototom Sunsplash lascia la sede di Osoppo dopo 10 anni in Friuli e 16 in Italia e trasloca in Spagna a Benicassim, località fra Valencia e Barcellona, dove si terrà dal 21 al 28 agosto prossimi. A seguire riportiamo il citato articolo di Filippo Giunta in versione integrale e ringraziamo il Presidente dell’Associazione Rototom per la sua disponibilità, con l’augurio di ritrovarci presto in Friuli Venezia Giulia.

 

Fabio Della Pietra – Ufficio Stampa – Cooperativa sociale Itaca - Prot.265 - www.itaca.coopsoc.it

 

 

Un altro mondo è possibile. Questo non mi piace

La mia coscienza mi impone di provare a costruire un’alternativa

 

Era nell’aria da qualche anno. Da quando il centrodestra di Renzo Tondo, ma soprattutto di Luca Ciriani, aveva vinto le elezioni regionali del Friuli Venezia Giulia. L’aveva promesso in campagna elettorale, l’attuale assessore al turismo e alle attività produttive: in caso di vittoria il Rototom Sunsplash se la sarebbe vista brutta. E così è stato.

Negli ultimi anni il festival più pacifico d’Italia, che in 16 anni non aveva mai visto un incidente, mai nemmeno una rissa, né dentro né fuori il recinto del festival, che aveva conquistato la simpatia e l’affetto del paese - Osoppo - che lo aveva adottato, è stato trattato alla stregua di un raduno di pericolosi criminali.

Obblighi al limite dell’impossibile: l’obbligo di registrare tutti i campeggiatori - oltre 22 mila persone - in pochissime ore, di fornire tutti i dati raccolti in tempo reale e non, come prescritto per tutti gli altri campeggi, con le 24-48 ore di tempo necessarie, l’identificare l’esatta collocazione di ogni singola persona all’interno della vastissima area campeggio (200.000 metri quadrati) con l’obbligo di impedire ogni possibile cambiamento di posizionamento.

Un imponente servizio di polizia è stato dispiegato agli accessi del paese, all’ingresso del festival, nei suoi perimetri, dentro le biglietterie, nell’area festival e in quella campeggio. Supportati da un altrettanto imponente servizio di sicurezza privata messa in campo dall’organizzazione (200 persone) hanno controllato - e spesso perquisito - ogni singolo partecipante al festival. Tutto ciò, in una “popolazione totale” di oltre 150.000 presenze, e con un atteggiamento di “tolleranza zero“ nei confronti dei fumatori di spinelli - cosa anomala per un qualunque altro contesto simile -, ha inevitabilmente portato ad una elevata quantità di arresti, irrisoria solo se proporzionata al numero totale dei partecipanti: 46 arresti su appunto oltre 150mila persone. Il numero degli arresti - tra l’altro tutti legati al solo consumo di marijuana - ha così potuto costituire “il pretesto“, quello che mancava per zittire un evento scomodo, un pericoloso ricettacolo di controinformazione.

In un mondo in cui la droga - quella vera - dilaga ovunque, in un momento in cui gli allarmi sociali parlano di alcolismo adolescenziale, del ritorno dell’eroina, dell’aumento esponenziale di cocaina, ecstasy e pastiglie autoprodotte, impegnarsi in una “caccia alle streghe” solo verso un festival in cui si fa uso - quando lo si fa - della sola “innocua” marijuana non può essere letto in altro modo.

E’ evidente che la vera avversione a questo evento ha ben altre motivazioni. L’evento Sunsplash è infatti una dimostrazione palese e concreta del fatto che si possa realizzare una società multietnica, multirazziale, multiculturale, multireligiosa senza che questo generi per forza dei conflitti. Chi sta cercando di spaventare la gente con finte emergenze, stereotipando l’extracomunitario come brutto e cattivo, il musulmano come fanatico religioso, il diverso come potenziale nemico, non può tollerare che la gente possa invece toccare con mano quanto invece la diversità significhi ricchezza, arricchimento interiore. Non può tollerare di vedere bianchi e neri uniti in un unico abbraccio, praticanti di religioni diverse pregare insieme, non vuole che nessuno veda quanto bello potrebbe essere un mondo fondato sul rispetto, sull’aiuto reciproco, sulla tolleranza, sulla pace. Niente sospetti, niente chiusure: solo sorrisi e mani pronte a stringersi le une con le altre. Tutto ciò, per qualcuno, è intollerabile e “brutto da vedere”. E visto che per fortuna in Italia chi comanda non può ancora - ufficialmente - impedire che si svolga un evento solo perché non lo gradisce, ecco venire in aiuto “il pretesto“: il consumo di marijuana.

La legge (Fini-Giovanardi) dice che chiunque organizzi qualcosa al cui interno la gente consumi droga - qualsiasi tipo di droga - ne è corresponsabile e quindi passibile di pene dai 3 ai 10 anni di reclusione. Nel mondo di oggi, dove in ogni luogo di divertimento, in ogni concerto, in ogni partita di calcio, in ogni manifestazione, i giovani di droga ne consumano, l’applicazione o meno di una simile legislazione diventa il vero discrimine: se una cosa mi piace chiudo gli occhi, se non mi piace applico la legge alla lettera. A nulla serve dire che la stessa marijuana i giovani la trovano e la fumano tutti i giorni, in ogni dove e senza aspettare che arrivi il Sunsplash o qualunque altro evento. A nulla conta l’evidente ipocrisia di un controllo così “scientifico”, verso un solo evento, estemporaneo, a fronte di un completo disinteresse al problema droga in tutti gli altri usuali luoghi di divertimento dei giovani. A nulla conta il fatto che in regione si muore di alcol, vera piaga della nostra terra, e mai di marijuana. Quello che conta è solo il risultato: un altro mondo non sia possibile! Almeno non qui, non in Friuli.

Qui si può bere, anzi: lo si deve fare, per sostenere l’economia locale e per rispetto alle tradizioni.

Qui sono benvenuti i simpatici avvinazzati che colorano le nostre sante sagre popolari, i folcloristici (ex) alpini con il fiasco di vino sopra il tetto della macchina direttamente collegato ai loro stomaci (e ai loro cervelli) con un esilarante sistema di lunghe cannucce. Qui sono tradizione le maratone del bere, dove rispettabili zombie, un giorno all’anno, girano da una cantina all’altra bevendo più vino possibile in una sorta di lotta contro il tempo. Qui il vino non fa male: fa solo buon sangue. Qui la cultura dello sballo non ha nulla a che fare con le legali sbornie di tutti i giorni, con i tradizionali aperitivi in centro dove si ingurgitano quantità assurde di alcol a stomaco vuoto. Lì non ci si sballa: ci si incontra. E così, nel nome della “salute dei nostri ragazzi”, nel nome di una ipocrita e - dove si vuole - inesistente “lotta alla droga”, si chiude un luogo di incontro atipico, dove la gente si incontra davvero (e non si scontra), dove “pensare” è una delle attività preminenti, dove ci si esercita in un pericolosa e brutta abitudine: sognare un mondo migliore.

Io faccio parte di un gruppo di lavoro che tanti riconoscimenti ha avuto nel mondo. Un’associazione senza scopo di lucro, il Rototom, che da 18 anni, oltre al Sunsplash - evento riconosciuto a livello mondiale - ha portato musica e cultura in Friuli. Un’organizzazione che malgrado i costanti successi di critica e di pubblico ha avuto sempre poca stima e poca gratitudine dalle istituzioni locali. “Nemo propheta in patria” diceva Gesù Cristo, e forse anche in questo aveva ragione. Ma essere addirittura criminalizzato per quello che fai con tanta passione e sacrificio, è un’ingiustizia più difficile da accettare.

Recentemente Pier Luigi Celli, direttore generale della Luiss (Libera Università Internazionale degli Studi Sociali di Roma) ha scandalizzato consigliando al proprio figlio di andar via dall’Italia per coltivare l’ambizione di una carriera onesta. Non mi consola sentirmi “in buona compagnia” nel condividere tale giudizio. Io voglio bene alla mia terra e sento di avere ancora molte cose da dire e da fare per la mia gente. Quando avrò “messo in salvo”, all’estero, in un Paese più rispettoso e tollerante, questa splendida creatura che è il Rototom Sunsplash, tornerò ancora, con più forza ed entusiasmo di prima, a far compagnia a chi vuol proporre modelli di vita differenti da quelli “mediaticamente vincenti” dei calciatori e delle veline.

A scanso di equivoci dico subito che più che essere “contro” (l’alcol, i modelli stereotipati dell’uomo vincente solo perché ricco e della donna affermata solo perché bella e sexy), io sono invece “a favore” (di modelli ad essi alternativi): sono per l’affermazione dell’essere sull’avere, della supremazia dello spirito sul materialismo, della coscienza propria sul giudizio estetico della gente, di quello che riteniamo giusto su quello che ci viene imposto.

Così come ai tempi del fascismo mi sarei rifiutato di rispettare leggi ingiuste, solo perché imposte (pensiamo anche solo alle leggi razziali), così oggi mi rifiuto di fare il gioco di chi vorrebbe far credere ai giovani che tutte le droghe sono uguali, che i clandestini sono dei criminali, che esistono le religioni buone e quelle cattive, che la società del futuro deve essere per forza monorazziale. Mi rifiuto di allinearmi a questo “pensiero unico“, che vuol far credere che questo mondo, così pieno di ingiustizie e di sopraffazioni, sia l‘unico mondo ereditabile dalle generazioni future. La mia coscienza mi impone di provare altre strade, di cercare di costruire un’alternativa, di migliorare, me stesso ed il mondo che mi circonda. La mia coscienza mi impone di non cercare la via più facile, di non fare sempre buon viso a cattivo gioco, ma di seguire con coraggio e un pizzico di incoscienza quello che mi suggerisce il cuore.

Questo voglio trasmettere agli altri, questa è la cultura che, anche nella mia terra, voglio continuare a coltivare. Perché questo mondo non mi piace e perché un altro mondo è possibile, e il Rototom Sunsplash l’ha ripetutamente dimostrato.

Perché, come diceva Martin Luther King: “solo chi è così pazzo da credere di poter cambiare il mondo, lo può cambiare per davvero“. E io ci voglio ancora provare.

 

Filippo GIUNTA

Presidente dell’Associazione Rototom