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ABUSIVA DUPLICAZ. PROGRAMMI - CASSAZ. PEN. 24.4.02 N° 47



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Corte di Cassazione - Sez. III Penale,

Sentenza 27 febbraio - 24 aprile 2002, 473

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.

Dott. Giuseppe Savignano - Presidente

Dott. Vincenzo Accattonis - Consigliere

Dott. Pierluigi Onorato - "

Dott. Alfredo Teresi - "

Dott. Francesco Novarese - "

ha pronunciato al seguente

S E N T E N Z A

nel ricorso proposto da M. G.

avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna del 3 maggio 2001.

Visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso.

Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere F. Novarese.

Udito il Pubblico Ministero in persona del dott. Loris D'Ambrosio che ha
concluso per il rigetto del ricorso.

Udito, per la parte civile, l'Avv. D'urbano Franco (MI).

Udito il difensore Avv. Melchionda Alessandro (Bologna).

Svolgimento del processo

M. G. ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte di
appello di Bologna del 3 maggio 2001, con la quale veniva condannato per il
reato di abusiva duplicazione di un software, deducendo quali motivi
l'erronea applicazione dell'art. 171 bis 1. n. 633 del 1941 e la mancanza ed
illogicità manifesta della motivazione, poiché la nozione di duplicazione,
secondo quanto affermato dal giudice di primo grado, comporta la
realizzazione di una copia identica del programma, sicché la copia delle
specifiche funzionali e del programma - sorgente non concretizza la
fattispecie astratta del delitto, nonostante costituisca illecito civile,
mentre é manifestamente illogica la motivazione, in quanto si fonda su
situazioni fattuali irrilevanti ai fini della sussistenza del reato quali il
possesso, da parte del ricorrente, del software Alfa anche dopo la
cessazione del rapporto di lavoro, l'incapacità di fornire adeguata
spiegazione di tale possesso, la rapidità dei tempi con cui la società Beta
sia riuscita ad inserirsi nel mercato dei c. d. buoni pasto, il passaggio
del ricorrente dalla Alfa alla Beta in posizione apicale e lo stesso
abbandono di una simile impostazione da parte della difesa, basata su
differenti presupposti, l'erronea applicazione dell'art. 171 bis l. cit.,
poiché il precetto, così come modificato dalla legge n. 248 del 2000, non
ricomprende la fattispecie in esame, giacché la tutela apprestata dalla
norma riguarda non il programma in sé, ma il supporto contrassegnato dalla
S.I.A.E., e la mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione sul
punto, in quanto appare del tutto inconferente il richiamo all'art. 16 1. n.
248 del 2000, relativo a fatti diversi da quelli per -cui é causa, mentre
l'interpretazione dell'art. 171 bis nella nuova formulazione non appare
chiara ed insuscettiva di equivoci.

Motivi della decisione

Occorre rilevare che il reato contestato ha natura istantanea e si consuma
nel luogo e nel momento in cui è intervenuta l'abusiva duplicazione, sicché,
indipendentemente dall'omessa distinzione tra momento in cui illecitamente
il ricorrente si è appropriato del programma e quello nel quale è stata
effettuata la duplicazione, il delitto si è prescritto in data 1 novembre
2001, perché l'imputazione contiene un'indicazione temporale incerta dall'1
maggio 1994 all'1 settembre 1994, per cui, in base al principio "in dubio
pro reo" l'epoca di commissione si deve far risalire al primo giorno
additato.

Tuttavia la sussistenza di detta causa di estinzione del reato non esclude
la trattazione delle censure concernenti la configurabilità del delitto
nella fattispecie in esame, giacché, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., si
sarebbe in presenza di un'ipotesi più favorevole, anche in considerazione
dell'intervenuta costituzione di parte civile, che ha concluso all'udienza,
mentre non possono essere apprezzate le censure motivazionali nella misura
in cui non appaiono strumentali alla dedotta insussistenza del delitto,
giacché, da sole, comporterebbero un inammissibile annullamento con rinvio,
in quanto la rilevata causa estintiva deve essere immediatamente dichiarata
e non può rinviarsi ad altro giudice per ulteriori accertamenti fattuali,
anche se, per avventura, potessero risolversi, dopo il loro espletamento, in
ipotesi più favorevole.

Ed invero, la stessa deve apparire in maniera evidente nel presente grado di
giudizio, pur se le questioni in diritto sollevate escludono la necessità di
svolgere indagini fattuali, inibite a questa Corte, o di compulsare gli
atti, ai soli fini dell'applicazione dell'art. 129 c.p.p., secondo quanto
sostenuto da un orientamento di questa Corte.

Ciò premesso, si deve considerare che il "decisum" dell'impugnata sentenza,
sebbene con motivazione, a volte, poco approfondita, ma integrabile, appare
esente dagli errori di diritto lamentati.

Infatti, la Corte felsinea ritiene la "sentenza gravata .. [affetta da
n.d.r.] connotati d'instabilità motivazionale .. forti" e basata su
un'errata lettura delle risultanze peritali, giacché confonde la "identità
di specifiche funzionali" con "l'assoluta coincidenza delle .. code-line,
che comprova la duplicazione del "programma originario".

Peraltro, modifica pure l'impostazione in diritto della decisione del
giudice di primo grado, in quanto "l'identità del codice di controllo è
l'essenza primaria dell'intento illecito del soggetto attivo e di chi ne ha
sfruttato l'attività illecita medesima", sicché la Corte bolognese aderisce
a quell'orientamento di parte della dottrina secondo cui "non dovrebbe
esservi dubbio sulla riferibilità al tipo legale [delineato dall'art. 171
bis 1. n. d. r.] anche della copia parziale, a condizione che essa contenga
un nucleo autosufficiente e caratterizzante del programma originale".

Pertanto la Corte felsinea non fonda la sua decisione sulla considerazione
del primo giudice secondo cui la nozione di "duplicazione" adottata dalla
norma penale in esame appare concettualmente più ristretta di quella di
"riproduzione" contenuta nel nuovo articolo 64 bis della legge n. 633 del
1941, ma ritiene che il precetto penale si riferisca anche alla parziale
duplicazione del programma, purché relativa ad un nucleo caratterizzante.
Per tale ragione le due differenti impostazioni dei giudici di primo e
secondo grado appaiono inconciliabili in fatto ed in diritto.

Tuttavia la sentenza impugnata non si sofferma sull'analisi esegetica
dell'art. 171 bis 1. n. 633 del 1941, nella sua originaria formulazione ed
in quella modificata dalia legge n. 248 del 2000, nonostante raggiunga una
soluzione giuridicamente corretta.

Infatti non esamina tutte le problematiche connesse alla formulazione
dell'art. 171 bis l. cit. da quelle relative all'esegesi del termine
"abusivamente" ed alla funzione selettiva del dolo specifico alle nozioni di
"duplicazione" e di "programma", anche se con analisi fattuale dimostra la
sussistenza del dolo e dell'abusività della duplicazione, giacché pone in
risalto l'illecita detenzione del software dopo la cessazione del rapporto
di lavoro con la Alfa, l'assenza di una valida giustificazione di questo
possesso da parte del ricorrente e la rapidità dei tempi con i quali la
nuova società Beta, in cui il ricorrente svolgeva un ruolo "non come
dipendente ma nella sua compagine sociale" (pag. 5 della sentenza
impugnata), si immette sul mercato dei buoni pasto, sicché non sussiste
alcuna "perplessità sulla buona fede" e si dimostra "l'intenzionalità della
violazione [del precetto precetto penale a tutela n. d. r.] del diritto
d'autore [in tema di. software]".

Perciò dell'analisi ermeneutica dell'art. 171 bis l. cit. e delle nozioni di
"duplicazione" e "programma" si deve carico questo giudice di legittimità.

Orbene sia con riferimento all'art. 13 1. cit. sia con riguardo agli art.
171, 171 ter 1. cit. e 16 1. n. 248 del 2000 si evince che i termini
"duplicazione" e "riproduzione" sono utilizzati per esprimere concetti in
parte differenti.

Infatti, secondo l'art. 13 della legge sul diritto di autore, la
"riproduzione" include "la moltiplicazione di copie dell'opera con qualsiasi
mezzo" e, la predetta norma, dopo aver esemplificato alcuni sistemi
tradizionali, legati all'epoca in cui è stata emanata, comprende una
clausola generale di  chiusura che include "ogni altro procedimento di
riproduzione" quasi prevedendo le ulteriori e molteplici possibilità
conseguenti alle nuove tecnologie ed all'avanzamento della tecnica di
riproduzione.

Tuttavia l'art. 171 ter 1.d.a. nel contemplare diverse ipotesi autonome di
reato, caratterizzate da un'esasperata frammentazione casistica, tesa ad
anticipare la soglia di punibilità rispetto all'effettivo scambio, distingue
tra duplicazione e riproduzione, secondo un criterio già introdotto dalla
legge n. 406 del 1981, e richiede l'abusività delle condotte.

Pertanto, la duplicazione comporta la produzione in serie di più copie di un
unico "originale" perfettamente identiche fra loro quanto a contenuto e a
caratteristiche e la nozione di riproduzione, invece, con un significato più
ampio e diffusivo, è relativa a qualsiasi attività tecnica idonea a produrre
l'effetto di una: nuova destinazione del contenuto del supporto.

Peraltro, la stessa previsione dell'art. 16 l. n. 248 del 2000, nonostante
il suo carattere residuale, complementare e sussidiario, perché è limitato a
reprimere comportamenti che possono incentivare le violazioni del diritto
d'autore, puniti con la sanzione amministrativa nei casi in cui non siano
configurabili alcuni reati, distingue, tramite un continuo restringimento
del campo, tra utilizzazione con qualsiasi procedimento, duplicazione e
riproduzione in tutto o in parte, sicché sembra suffragare la nozione di
"duplicazione" adottata dal primo giudice.

Tuttavia, a parere di questo collegio, il predetto termine deve essere
considerato non solo tramite un'interpretazione letterale e monistica del
vocabolo, pur correlato con differenti disposizioni, ma anche attraverso
un'esegesi logico - sistematica, teleologica e storica della norma nella sua
globalità, in quanto risente, nella formulazione, del dibattito intervenuto
in sede comunitaria e dell'eccessiva casistica della direttiva di cui é
attuazione.

Infatti, bisogna ricavare la nozione di "programma" dall'art. 2 primo comma
n. 8 1. n. 633 del 1941 come introdotta dall'art. 2 del decreto legislativo
n. 518 del 1992 e valutare la complessiva espressione di cui all'art. 171
bis l. ult. cit. alla luce degli artt. 64 bis, 64 ter e 64 quater 1. cit..

Dal combinato disposto di queste disposizioni, dai connotati peculiari della
creatività e dell'originalità, propri di ogni opera dell'ingegno, da
considerare in maniera particolare in relazione alle peculiarità del
software, e dalle caratteristiche tecniche dello stesso si ricava la
rilevanza penale anche dell'abusiva duplicazione di parte di un programma,
purché dotato di una propria autonomia funzionale e, comunque, costituente
il nucleo centrale.

Ed invero, senza necessità di ripercorrere tutti gli itinerari della
dottrina e della giurisprudenza nell'individuazione dei caratteri
dell'originalità e della creatività, basandoci anche sulla Relazione al
progetto di direttiva del 1989, secondo le indicazioni di un Chiaro Autore,
si può affermare che in considerazione delle peculiarità del programma per
elaboratore il requisito dell'originalità è quello interpretato in chiave
soggettiva nel senso che è sufficiente per il riconoscimento della tutela la
circostanza che l'opera sia frutto di uno sforzo intellettuale indipendente
e che non sia, pertanto, la riproduzione di quanto già realizzato da altri.

Peraltro la locuzione "in qualsiasi forma espressi" correlata ai programmi
per elaboratori richiama la distinzione fra programmi - sorgente, espressi
in un linguaggio della programmazione e percepibili dai tecnici, e
programmi - oggetto, formulati in un linguaggio comprensibile unicamente
dalla macchina, sicché, ove si consideri che il termine programma comprende
anche il materiale preparatorio per il programma stesso, anche a non voler
includere nella tutela penale il materiale che compone le varie fasi della
creazione del programma, detta precisazione dimostra come debba essere
protetta in sede penale pure la duplicazione parziale.

Né, in tal modo, si procede ad un'interpretazione analogica oppure ad
ampliare la fattispecie penale in contrasto con il principio di tassatività,
giacché, invece, si riduce l'ambito del precetto che potrebbe essere esteso
al materiale preparatorio, secondo la definizione giuridica su individuata,
e, nel contempo, si adegua la norma ai contenuti tecnici del software senza,
però, accedere ad una concezione minimalista di originalità e creatività e
senza estendere la protezione ad ogni singola fase non dotata di propria
autonomia e non costituente il nucleo fondamentale del programma.

Infatti, il software é caratterizzato, nella concezione della creatività
dall'essere un ritrovato del progresso tecnologico, diretto alla produzione
di un risultato utile, oltre che una creazione intellettuale, sicché sconta
del primo aspetto una diminuzione del concetto di originalità, perché
l'innovazione tecnologica non è completamente astratta dal precedente, ma
costituisce spesso elaborazione, adeguamento e perfezionamento.

Pertanto occorre graduare i vari contenuti dell'atto di elaborazione
creativa di dati reali, istruzioni tecniche o idee, seguendo in ordine
all'individuazione di un contenuto minimo di originalità i criteri elaborati
dalla dottrina e dalla giurisprudenza con riguardo alle opere di natura
tecnico - scientifica in modo tale da apprestare la tutela penale più al
programma - sorgente ed al code line invece che al programma - oggetto
qualora lo sforzo creativo addizionale sia minimo.

Una simile impostazione è confermata dagli artt. 64 bis, 64 ter e 64 quater
1. n. 633 del 1941, nei quali vengono trattati, rispettivamente, i diritti
esclusivi di cui é titolare l'autore del software, i diritti dell'utente e
la c. d. decompilazione cioè il "reverse engineering".

La prima disposizione contiene il termine "riproduzione" che ha un
significato più ampio di "duplicazione" anche perché comprende il c. d.
caricamento del programma, oltre a prevedere la distinzione tra riproduzione
totale o parziale e tra permanente o temporanea, sicché già il riferimento
testuale "ad litteram" non appare decisivo, ma, soprattutto, attraverso
l'indicazione dei diritti riservati dimostra il differente e più ristretto
ambito assegnato alla tutela penale, tanto più che i diritti riconosciuti al
legittimo acquirente del programma sono correlati alla facoltà di uso dello
stesso e, quindi, sono limitati ed escludono la parziale duplicazione del
programma per differenti utilizzazioni.

Infine l'art. 64 quater L cit., nel disciplinare il c.d. reserve
engineering, considera in modo eminente gli interessi del titolare dei
programma, nonostante l'importanza economica dell'interoperatività dei
programmi e delimita in maniera rigorosa la possibilità di riproduzione,
anche parziale, vietando che le informazioni "siano utilizzate .. per ogni
altra attività che violi il diritto d'autore".

Ed invero la formula contenuta nella direttiva comunitaria secondo cui un
programma. per elaboratore è tutelato se è il risultato della creazione
originale dell'autore comporta che esso sia frutto di lavoro autonomo e non
di mera riproduzione o duplicazione anche parziale.

Le argomentazioni svolte dimostrano come la soluzione accolta dall'impugnata
sentenza, che ha ritenuto configurabile il delitto di cui all'art. 171 bis
l. cit. nell'ipotesi di duplicazione della code - line o del codice di:
controllo di un programma, sia giuridicamente corretta.

Esaminato questo profilo, l'altro, concernente l'intervenuta
depenalizzazione della fattispecie, giacché, in virtù delle modifiche
apportate dalla legge n. 248 del 2000 all'art. 171 bis ed a causa
dell'introduzione dell'art. 181 bis l. cit., la tutela penale è incentrata
non più sul programma in sé ma sul supporto contrassegnato dalla SIAE, non è
fondata, in quanto "la normativa incriminatrice non è stata mutata nella
chiara .. configurazione giuridica", in quanto " l'incriminazione in esame"
dotata di una "prospettazione specifica" non può essere assorbita nella
"illecita riproduzione di opere contraddistinte dal contrassegno SIAE", il
cui "campo di applicazione corrisponde a quel particolare settore
dell'imprenditoria commerciale, sul quale vigila la SIAE" (pag. 6 sentenza).

Infatti, anche le voci dottrinali citate dal ricorrente, distinguono, in
base al chiaro tenore letterale della norma, l'ipotesi criminosa della
duplicazione abusiva di un programma per elaboratore al fine di trarne
profitto da quella di chi "ai medesimi fini importa distribuisce, vende e
detiene a scopo commerciale o imprenditoriale o concede in locazione
programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla SIAE".

Orbene, nel caso in esame, si tratta della prima ipotesi criminosa (abusiva
duplicazione), sicché a nulla rileva il richiamo effettuato nell'art. 181
bis 1. cit. agli effetti dell'art. 171 bis l. cit., in quanto il predetto si
riferisce  all'altra, con la quale si è trasformata una circostanza
aggravante della precedente formulazione in reato base della differente
fattispecie criminosa in nuovo e diverso precetto, quindi, stabilisce che
"in tali ipotesi [le disposizioni in tema di supporti n. d. r.] la
legittimità dei prodotti anche ai fini della tutela penale di cui
all'articolo 171 bis è comprovata [in luogo del contrassegno previsto
dall'art. 181 bis n. d. r.] da apposite dichiarazioni identificative" rese
dai produttori ed importatori alla SIAE.

Peraltro, proprio per impedire nel settore commerciale ed in quelle attività
indicate dalla seconda parte del primo comma dell'art. 171 bis l. cit. il
ripetersi di una precedente querelle in tema di abusiva riproduzione di
supporti musicali (art. 171 ter l. cit.), risolta da Cass. sez. un. 8
febbraio 200 n. 2, Ciccone ed altro rv. 215092, il regolamento emanato con
d. P. R 1 luglio 2001 n. 338 all'art. 1 secondo comma ha stabilito che "sono
legittimamente circolanti ai sensi del citato articolo 181 bis della legge
22 aprile 1941 n. 633, i supporti prodotti entro la data di entrata in
vigore della legge 18 agosto 2000 n. 248 purché conformi alla legislazione
previgente in materia di contrassegno e di tutela del diritto d'autore".

Pertanto, la differente analisi esegetica proposta dal ricorrente è del
tutto infondata, tanto più che la previsione dell'apposizione del bollino
S.I.A.E. mira a combattere la c. d. pirateria informatica ed ad escludere
ogni questione sulla configurabilità dell'elemento psicologico del delitto
di ricettazione, nel caso di acquisto di un programma abusivo.

Perciò, pure attraverso la diversificazione delle due fattispecie criminose,
si evince il differente ambito di applicazione e, quindi, in via indiretta,
l'esattezza dell'analisi ermeneutica seguita.

Le statuizioni civili vanno confermate, in conseguenza della sola
intervenuta estinzione del delitto per prescrizione, sicché il ricorrente
deve essere condannato a rifondere alla costituita parte civile le spese
processuali del presente grado di giudizio, liquidate, tenuto conto delle
tariffe professionali vigenti e del valore della controversia, in
complessive ? 2000 (duemila), di cui ? 409,10 per spese oltre I.V.A. e C.A.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio per essere il delitto estinto per
prescrizione. Conferma le statuizioni civili e condanna il ricorrente a
rifondere alla parte civile le spese di questo grado, liquidate in
complessive euro duemila, di cui euro 409,10 per spese oltre I.V.A. e C.A.

Così deciso in camera di consiglio in data 27 febbraio 2002

IL PRESIDENTE
(G. Savignano)

Il Consigliere estensore
(F. Novarese)

Depositata in Cancelleria
il 24 aprile 2002