La maggioranza di centrodestra starebbe per predisporre un
progetto di legge che prevede la messa all'asta dei patrimoni sequestrati ai
boss mafiosi come se fossero beni qualsiasi. E' quanto si evince da un articolo
pubblicato oggi sul settimanale "L'Espresso". Gli effetti che scaturirebbero dal
varo di un provvedimento di tal fatta sono facilmente intuibili: i boss mafiosi
potrebbero rientrare in possesso del "mal tolto" attraverso la compiacente
utilizzazione di prestanome di loro stretta fiducia.
«Eppure - rivela il settimanale - l'idea ha cominciato a far capolino in una riunione tecnico-governativa svoltasi il 10 luglio a Palazzo Chigi, alla quale ha partecipato in modo abbastanza irrituale anche il presidente della Commissione Antimafia, Roberto Centaro (Fi). Il quale avrebbe proposto un fine sociale "ampio", con possibilità di mutare la destinazione d'uso dei beni anche a fini imprenditoriali». E' singolare che il cosiddetto "papello" (cioè le richieste che Totò Riina avr ebbe avanzato nel corso della presunta trattativa avviata con uomini dello Stato durante le stragi del '92), oltre che l'abolizione del carcere duro per i boss, la rivisitazione della legge sui collaboratori di giustizia e la riapertura dei processi, contemplava anche la restituzione dei beni sequestrati agli uomini d'onore. Così come è altrettanto singolare il fatto che la riunione a Palazzo Chigi, di cui parla "L'Espresso", sia avvenuta pochi giorni dopo che il boss Leoluca Bagarella aveva dichiarato di essersi sentito preso in giro da quei politici che «non hanno mantenuto le promesse». Intanto, il sindaco di Monreale (Pa), Salvino Caputo, ha denunciato ieri che un immobile confiscato alla "famiglia" Brusca sarebbe stato affidato in custodia giudiziaria a un altro boss di San Giuseppe Jato, Salvatore Reda, condannato per reati di associazione a delinquere di stampo mafioso. Caputo ha subito informato della vicenda il prefetto di Palermo, Renato Profili, il presidente della Commissione Antimafia, Roberto Centaro e il Commissario del Governo per i Beni Confiscati, Margherita Vallefuoco, sollecitando «una ispezione per far luce su un caso che desta scalpore». Nel febbraio del 2001, era stato il deputato di Rifondazione comunista Nichi Vendola, allora vice presidente della Commissione Antimafia, a denunciare che la gestione e l'affidamento dei beni sequestrati dallo Stato ad esponenti della criminalità organizzata sarebbero stati assegnati dai Tribunali a componenti o prestanome delle stesse "famiglie" mafiose oggetto delle misure di sequestro. Accade, infatti, che il Tribunale affidi solitamente la gestione dei beni sequestrati ai mafiosi ad un Amministratore giudiziario il quale, a sua volta, ha la facoltà di delegare il proprio compito a dei "coadiutori". Questi ultimi, aveva denunciato allora Vendola, altro non sarebbero che membri di famiglie mafiose o soggetti di fiducia e prestanome delle stesse. FONTE: LIBERAZIONE ---- |