LA MAFIA AMA LA MODERNITÀ



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Le questioni proposte da Giovanni Fiandaca ai lettori di "Repubblica"
inquietano oggi tutti coloro che negli anni passati si sono occupati di
mafia a titolo di magistrati, di politici, di studiosi o, semplicemente, di
cittadini. Cos'è la mafiaCosa nostra dopo il fallimento della fase
stragista? La mafia di oggi è più o meno pericolosa di quella che negli anni
tra il 1979 e il 1992 si manifestava in sanguinosissime guerre intestine,
che massacrava nelle strade poliziotti, magistrati, uomini d'affari e uomini
politici nemici di sempre o amici del giorno prima? Chi insiste a voler
mobilitare contro di essa istituzioni e coscienze è vittima di una coazione
a ripetere, oppure si attrezza a combattere un nemico più sfuggente, e
perciò più insidioso? Le inchieste giudiziarie ci descrivono una mafia
"inabissata" nella clandestinità. Se questo è il dato, evidentemente
l'allarme sociale non può che essere minore rispetto a quello che si
registrava negli anni in cui la mafia era così terribilmente visibile. La
stagione dei delitti eccellenti è terminata, speriamo definitivamente.
Peraltro, è per ora terminata anche la strage nelle guerre intestine. C'è
stato negli ultimi seisette anni un tracollo del numero dei delitti di
sangue per cause di criminalità organizzata: a Palermo si è arrivati quasi a
zero. Molti, e non a torto, attribuiscono questo risultato a una scelta
mimetica dell'organizzazione. Ma evidentemente sono proprio i successi
dell'antimafia a obbligare Cosa nostra a una simile strategia. Vogliamo
dirlo che tanti sforzi, e tanti sacrifici - anche sanguinosi - sono valsi a
qualcosa? Oppure dobbiamo crogiolarci nell'idea di una mafia non solo
invincibile ma addirittura infrangibile? C'è poi un altro aspetto: i delitti
di sangue sono calati nettamente non solo nel Palermitano o nella Sicilia
occidentale ma anche in altre aree di criminalità organizzata (Sicilia
orientale, Calabria) nelle quali l'influenza di Cosa nostra è sempre stata
inferiore o minima. Non tutto dunque deriva dal decreto di una
superorganizzazione. A partire dai primi anni Novanta, con la crisi del
vecchio sistema politico, gli sforzi di gestire adeguatamente l'ordine
pubblico e il governo delle città hanno evidentemente dato anche questo, per
nulla disprezzabile risultato. Il Mezzogiorno non era, come ci era stato
descritto, irredimibile. Bastava poco per aumentare la qualità della nostra
vita e per indurre i facinorosi a comprendere che il vicendevole scannamento
non era il miglior modo per vivere. Ovviamente, questo ci dice poco sulla
vitalità dell'organizzazione. D'altronde, prima dell'era corleonese i
delitti eccellenti non facevano parte dell'armamentario mafioso; non c'è
alcuna ragione perché la mafia non possa oggi e domani prosperare senza
ricorrere a essi. Diverso il discorso delle guerre intestine, il cui
andamento è sempre stato ciclico e che probabilmente prima o poi si
ripresenteranno se la mafia, come credo, continua a seguire una sua
continuità. D'altronde, non è del tutto indicativo neanche l'indicatore del
(maggiore o minore) coinvolgimento mafioso in traffici grandi e lucrosi.
Infatti non sempre risulta conveniente o anche possibile il controllo
monopolistico di certi mercati illeciti (quello della droga, come in certi
casi quello dei tabacchi) da parte delle grandi organizzazioni criminali.
Esse possono anche abbandonare del tutto settori un tempo fruttuosi: si
pensi al caso classico degli alcolici dopo la fine del proibizionismo
americano. Insomma, per gli affari illeciti, come per quelli leciti, ci sono
congiunture positive e congiunture negative. La mafiaCosa nostra è
sopravvissuta alle alterne vicende di un secolo e mezzo di storia cogliendo
tali occasioni quando erano disponibili e facendo altre scelte quando
difettavano. La continuità storica, il radicamento sul territorio, la forza
dei legami interni e la ricchezza delle relazioni esterne rappresentano per
essa una risorsa, e non certo un vincolo. Proprio per questo, ascolto con
fastidio chi profetizza l'esaurimento del fenomeno mafioso, descritto come
arcaico e incapace di sopravvivere nel mondo moderno. Si tratta di una
pericolosa fola, già raccontata in diverse occasioni, alla fine
dell'Ottocento come negli anni Sessanta del Novecento, in Sicilia e in
America, generalmente prima di ogni rinnovata escalation del nemico. La
mafia un giorno finirà, ma non per mano della modernità, cui in genere essa
si è adattata benissimo. La mafia finirà quando non funzionerà più, e quando
gli ambiziosi e i facinorosi dovranno prendere atto che essa non funziona.
Dopo le discontinuità segnate dall'era Falcone e dall'era Caselli, nonché
dal collasso della Prima Repubblica, sarà il contesto esterno, e non tanto
la forza dell'organizzazione, a decidere del suo futuro. È proprio qui che
le cose prendono una brutta piega. Depone molto male la grande ostilità per
il concetto stesso del vincolo legale nutrita da questo governo, e dai
gruppi politicoaffaristici che (insieme a un massiccio flusso di opinione
pubblica) lo sostengono. Ho l'impressione che qualcuno in quel settore senta
un grande bisogno di cose analoghe alla mafia: certo non di stragi, ma di
gruppi che facciano girare gli affari, che lavorino alla mediazione tra
affari e politica, che riabituino le istituzioni e la società civile
all'idea che un "certo" tasso di illegalità sia "necessario". Sul medio
periodo, questi apprendisti stregoni potrebbero provocare risultati ben più
nefasti di quelli (già deteriori) che oggi auspicano. L'antimafia ha
ottenuto grandi risultati; ma proprio per questo è chiaro che l'attenuazione
dell'impegno collettivo in questa direzione rischia di riportarci in mari
assai perigliosi. La nostra discussione, vorrei dirlo con chiarezza, non è
scientifica, ma propriamente politica. Essa mira a preparare l'opinione
pubblica agli eventi futuri. Salvatore Lupo
http://www.palermo.repubblica.it/archivio/20020804/speciale/014coom.html