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DOSSIER ILVA - parte 1/7 (introduzione) a cura di PeaceLink



PEACELINK
casella postale 2009
74100 Taranto
www.peacelink.it
volontari@peacelink.it
Questo dossier è inserito e aggiornato su Internet all'indirizzo:
http://www.peacelink.it/webgate/taranto/maillist.html

Dossier Ilva

Riva investe o disinveste?
Da cosa dipendono le sue scelte?
Come influiscono i dazi Usa sull'Ilva di Taranto?
A che livelli si decide il futuro occupazionale di tanti lavoratori?

Premessa
Ecorompiballe

Tutta colpa dei magistrati di Taranto, degli ecorompiballe e di quella maledetta sindaca: se siete convinti che la garanzia occupazionale dei lavoratori dell'Ilva consista nel dare una calmata a tale triade malefica, risparmiatevi di leggere questo dossier.

Se ritenete che l'analisi dello scenario economico internazionale sia ininfluente sulle scelte del Gruppo Riva e che invece l'anziano signore dai capelli bianchi investa o meno a Taranto a seconda della simpatia o antipatia che nutre per la città e i suoi abitanti, allora non aggravate ulteriormente i vostri sforzi mentali.

Se ritenete che vada addestrata ulteriormente la capacità dei tarantini di accettare passivamente tutto, facendone dei perfetti attori fantozziani che restando eternamente servili e ogni tanto si inalberano senza concludere nulla, allora non perdete tempo e non dedicatevi alla lettura di queste "seccanti ricerche" che hanno richiesto giorni di lavoro, confronti, dubbi e ripensamenti.

Se ritenete che la difesa dei lavoratori si realizzi turando il naso e chiudendo gli occhi, se ritenete che gli operai non siano in grado di leggere le "parole dell'economia" e capire le dinamiche economiche della globalizzazione, allora schivate queste informazioni "troppo tecniche" e continuate a dare spiegazioni semplificate in chiave locale, intervallate da generici appelli al dialogo. Tanto, si sa, l'economia globale è così umanitaria che si farà commuovere dal "dialogo". E Riva altrettanto.

Un dossier contro la disinformazione

Noi siamo convinti invece che oggi l'informazione sia una risorsa preziosa senza la quale non è possibile svolgere azioni mirate ed efficaci. Un'informazione generica non fornisce ai cittadini gli elementi per capire ed agire consapevolmente. PeaceLink ha fatto ampiamente ricorso alla risorsa informazione nella complessa vicenda dell'Ilva di Taranto in cui si rischia di confondere questione occupazionale e questione ambientale, addossando a chi difende l'ambiente la responsabilità di problemi di ordine occupazionale la cui origine sta spesso in complesse dinamiche connesse alla globalizzazione economica.

Ecco perché PeaceLink ha deciso di creare questo dossier che come argomento forse fuoriesce dalla "mission" ecopacifista di PeaceLink ma che come spirito si colloca nel più ampio scenario della ricerca di un'informazione corretta e veritiera, a cui PeaceLink si ispira come rete di volontariato dell'informazione.

Questo dossier vuole documentare in modo rigoroso e quanto mai ampio sgombrando il terreno dai luoghi comuni, dalla disinformazione e dalle banalità.

Chi avrà la pazienza di leggere questo dossier si renderà conto come  la "crisi" dell'Ilva ha origine nelle distorsioni del commercio internazionale causate dai dazi americani e non in piccole questioni locali come la chiusura di 4 batterie della cokeria. Il danno alla siderurgia europea inflitto dai dazi americani è stato stimato dall'Unione Europea in 2 miliardi e 530 milioni di dollari.

Occorre a questo punto far notare come si sia sciupata la carta "romana" in quanto nell'incontro del 5 settembre il governo ha rimandato a Fitto tutta la materia in quanto - sulla base del "federalismo" - le competenze della Regione sarebbero sufficienti a sbrogliare la matassa. Invece sarebbe stato necessario far presente che il tavolo nazionale era imprescindibile in quanto il clima di incertezza della siderurgia nazionale deriva in primo luogo dalla chiusura dei mercati americani. Questo lo ha capito subito il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder che già il 6 marzo 2002 aveva definito "inaccettabile" la decisione del presidente americano Bush di imporre dazi sulle importazioni di acciaio.

Gli obiettivi di questo dossier

Uno degli obiettivi di questo dossier è pertanto quello di documentare che la "crisi" dell'Ilva non deriva dall'azione di risanamento ambientale richiesta dalla magistratura, dal sindaco di Taranto e dalle associazioni ambientaliste che, in modo sinergico, hanno premuto per una messa a norma degli impianti.

Altro obiettivo è quello di suggerire l'apertura di un attento confronto con l'Unione Europea per la tutela dell'occupazione dei lavoratori dell'Ilva, in quanto è nella complessa "partita a scacchi" fra Usa e Europa che verranno messi a punto i probabili risarcimenti economici connessi ai dazi. A vantaggio di chi tali risarcimenti economici possono essere gestiti? Se i lavoratori dell'Ilva non riescono ad entrare in questa delicata trattativa rischiano di non capire "come" tutelare l'occupazione.

L'importanza del 30 settembre 2002: chi vigilerà?

Essenziale è aprire un "filo diretto" con il vice ministro alle Attivita' produttive dell'Unione Europea Adolfo Urso, in considerazione che il 30 settembre 2002 sarà presa la decisione di imporre o meno sanzioni agli Stati Uniti (si veda http://www.cnnitalia.it/2002/ECONOMIA/07/20/Acciaio/).
"La Commissione europea era pronta ad imporre le sanzioni a partire da agosto ma ha scelto all'ultimo minuto di aspettare fino a settembre per dare a Washington il tempo di abbassare i dazi.
L'Unione europea, che insieme ad altre sei nazioni ha posto il problema dei dazi anche di fronte alla World Trade Organization, l'organizzazione mondiale per il commercio, è pronta a rivedere le sue sanzioni se riuscirà ad ottenere una soddisfacente riduzione dei dazi. L'Ue ha anche preparato un'altra lista di sanzioni, ammontanti a 600 milioni di dollari, che entreranno in vigore se la World Trade Organization giudicherà illegali i dazi sull'acciaio e se gli Stati Uniti non rinunceranno ai loro dazi entro i prossimi 5 anni", si legge su http://it.news.yahoo.com/020722/58/1w9e1.html
E' chiaro che su argomenti così delicati la tendenza al compromesso e allo scambio politico è tale che senza una vigilanza dei soggetti interessati localmente potrebbe accadere di tutto, magari mentre a Taranto si dorme. 

Alessandro Marescotti
a.marescotti@peacelink.it

PS - per non appesantire questo dossier si sono "saltate" molte informazioni sulla vicenda Ilva che PeaceLink ha inserito e aggiornato su Internet all'indirizzo:
http://www.peacelink.it/webgate/taranto/maillist.html



"Non basta sapere, bisogna anche applicare; non basta volere, bisogna anche fare".
J.W.Goethe (scrittore tedesco 1749-1832)

Analisi della situazione e prospettive alla luce dei materiali raccolti nel dossier

Perché Riva non investirebbe più sull'Ilva di Taranto?
 
Si dice che a febbraio Riva aveva promesso investimenti per 443 milioni di euro per il periodo 2002-2005 e alcuni pensano che tale impegno sarebbe stato vanificato dall'azione pervicace con cui magistratura, sindaco e ambientalisti avrebbe costretto Riva a fare dietro front denunciando un clima di ostilità nella città.
Ciò non è vero e questo dossier smentisce - dati alla mano - tale interpretazione.

Nel 2001 il "fase positiva" dell'acciaio finisce

La "crisi" è constatabile già a marzo del 2001. La "fase positiva" del ciclo economico dell'acciao è finita e il suo prezzo è in discesa da sei mesi. "Siamo ai prezzi di circa dieci anni fa - spiega Romolo Vescovi, responsabile dei rapporti internazionali del gruppo Ilva - ma da allora la moneta si è svalutata di circa il 30%, per reggere è necessario quindi un lavoro di continua compressione dei costi e di innovazione tecnologica. Il problema è che ci troviamo a dover fare i conti con azioni di dumping dei paesi dell'Est e mentre gli Stati Uniti fanno azioni di protezionismo con l'utilizzo immediato di dazi temporanei, qui i provvedimenti se arrivano arrivano dopo nove mesi, quando ormai il ciclo è passato. Ora c'è la Turchia che ha svalutato la moneta del 30% - prosegue Vescovi - con questo paese non esistono limitazioni doganali e loro hanno già fatto sapere che contano di aumentare del 50% l'esportazione di prodotti lunghi". Il mercato dell'acciaio è soggetto inoltre a forti interventi speculativi, non essendo materiale che deperisce. In giro per i porti italiani sono stoccati ai due ai quattro milioni di tonnellate di acciaio. In sostanza sono lì in attesa: appena il prezzo sale e diventa conveniente, vengono subito immessi sul mercato.
(Fonte: Rassegna stampa del 20/3/2001 http://www.liguria.cgil.it/rassegnastampa/20-03/l.htm
vedi anche http://www.liguria.cgil.it/rassegnastampa/documenti%20vecchi/20-03.htm )

L'11 ottobre 2001 il centro studi, ricerche e analisi finanziarie Axiaonline così dipinge lo scenario contraddittorio che si sta delineando: "Il quadro complessivo di rallentamento dell’economia mondiale manifestatosi dall’inizio dell’anno non ha ancora avuto impatti sul mercato dei tubi senza saldatura, che ha vissuto un primo semestre 2001 con una domanda su buoni livelli in presenza di prezzi in moderata crescita. La richiesta dell'amministrazione americana di una riduzione delle importazioni dei prodotti siderurgici interesserà presumibilmente anche i prodotti tubolari e potrebbe determinare a livello mondiale variazioni significative degli attuali flussi commerciali già verso la fine dell'anno in corso. Il quadro economico internazionale continua a dare segnali di rallentamento, in particolare negli Stati Uniti, dove le stime per il 2001 indicano una crescita del Pil dell’1.5%, mentre per quanto riguarda l’Europa le previsioni parlano di una crescita del prodotto interno lordo vicina al 2-2.5%, che probabilmente dovrà essere rivista per eccesso di ottimismo. A peggiorare il quadro ci ha pensato l’attacco terroristico dell’11 settembre, che potrebbe ripercuotersi pesantemente sulla fiducia dei consumatori americani, allontanando quindi nel tempo la ripresa del ciclo economico Usa e di riflesso europeo e mondiale. La produzione industriale non potrà non risentire del peggioramento di scenario e si assisterà probabilmente ad una contrazione del mercato dei prodotti tubolari destinati all’industria meccanica ed automobilistica".

2002: acciaio in frenata e promesse in tempo di crisi

Quando il 28 febbraio 2002 l'Ilva promette l'investimento pluriennale per 443 milioni di euro la situazione è già carica di incertezze. La Gazzetta del Mezzogiorno titola infatti: "Acciaio in frenata". L'articolo comincia così: "Forte riduzione della domanda, attendismo da parte della clientela, prezzi in discesa (del 20% sui coils, i rotoli d'acciaio), importazioni al di sopra del "limite fisiologico sopportabile". E' il quadro che ha presentato l'Ilva incontrando ieri, per l'annuale punto della situazione, i sindacati metalmeccanici Fim, Fiom e Uilm. Il 2001 si è chiuso con una frenata produttiva rispetto l'anno precedente. E' stato prodotto acciaio in colata continua per 6.892 milioni di tonnellate contro 7.210 milioni, e coils per 5.797 milioni contro 6.515. Per quest'anno le previsioni parlano di 7.600 milioni di tonnellate di acciaio da colata continua e di 6.200 milioni di tonnellate di coils, ma l'Ilva ha chiarito che si tratta di previsioni ottimistiche e che "non ci si può attendere un'inversione di tendenza prima della seconda parte dell'anno" (…) Nel periodo 2002-2005 l'Ilva prevede d'effettuare investimenti per oltre 388 milioni di euro nel campo dell'automazione e dell'ammodernamento degli impianti, per 55,5 milioni di euro in nuovi impianti e per ulteriori 55 milioni di euro per il miglioramento della qualità del processo e del prodotto. La parte ecologia, nel piano consegnato ieri ai sindacati, non è specificata perché è in atto un confronto con la Regione e con le istituzioni locali a partire dall'emergenza cokerie".
Questi dati della Gazzetta saranno ulteriormente confermati dall'Ansa su uno scenario più complessivo: "L'International Iron and Steel Institute (IISI), che fornisce statistiche a livello mondiale per il settore siderurgico, stimava che alla fine del 2001 i produttori di acciaio avessero prodotto 827 milioni di tonnellate a fronte di un consumo mondiale di 722 milioni di tonnellate registrato lo scorso anno" (Ansa 19 aprile 2002).

Investimenti: la promessa di Riva del 28 febbraio 2002

Come si può notare l'Ilva prospetta ai sindacati  un balzo in avanti della produzione nel 2002 a 7.600 milioni di tonnellate di acciaio da colata continua (contro i 6.892 milioni del 2001) ma, sempre l'Ilva, chiarisce "che si tratta di previsioni ottimistiche" e pertanto la promessa di investimento per 443 milioni di euro è vincolata al verificarsi di tali previsioni ottimistiche.


Perché la promessa di Riva non si avvera

La non realizzazione di tali ottimistiche previsioni sono legate non all'azione suddetta di magistratura-sindaco-ambientalisti ma all'azione di un ben più potente soggetto: l'amministrazione Bush, con i suoi dazi sull'acciaio e le sue esigenze di non perdere consensi prima delle elezioni di novembre. Il settore siderurgico in crisi è infatti presente proprio negli stati che hanno votato repubblicano.

Una settimana dopo la "promessa" tarantina di Riva per 443 milioni di euro un vento di tempesta si alza in quanto si diffonde la notizia che l'amministrazione Bush ha veramente intenzione di applicare - a "protezione" dell'acciaio americano - i superdazi che bloccherebbero l'accesso negli Usa per una consistente parte dell'acciaio italiano, europeo e mondiale.

Gli analisti economici dell'ANSA così si esprimono il 5 marzo: "E' noto che i dazi doganali decisi oggi dall'amministrazione Bush colpiranno duramente l'industria siderurgica europea: acciaio a buon mercato proveniente dai paesi asiatici, non trovando più sbocchi sul mercato americano, rischiano di essere dirottati su quello europeo con ripercussioni anche per l'occupazione". Il 6 marzo il direttore generale di Federacciai Enrico Badiali dichiara: "Ci saranno conseguenze molto gravi soprattutto per quanto riguarda gli effetti derivanti dalle quantità di prodotti che, una volta trovata chiusa la porta negli Usa, si riverseranno sul mercato europeo con la conseguente diminuzione dei prezzi" e solleva il problema dei rischi per l'occupazione. "C'è un effetto moltiplicatore - conclude Badiali - molto più ampio e preoccupante di quello legato in prima battuta alla limitazione dei quantitativi esportati".
(ANSA)

Quanto acciaio esporta l'Europa e l'Italia

Sempre l'agenzia ANSA il 6 marzo riporta quanto segue: "I dazi sull'import d'acciaio negli Usa colpiranno anche l'Italia, che esporta ogni anno negli Stati Uniti prodotti siderurgici, in particolare barre, per un valore di circa 250 milioni di dollari (…) I Quindici dell'Unione europea esportano verso gli Usa prodotti siderurgici per il 20% degli 11 miliardi di dollari dell'import totale degli Stati Uniti. L'Italia, quindi, copre circa un decimo dell'export dell'Ue verso gli Usa, mentre Germania e Francia sono i maggiori esportatori verso gli Stati Uniti. Sono pure toccati gli interessi di Gran Bretagna, Svezia, Belgio, Olanda. Ma l'Ue, s'e' appreso a Washington da fonti diplomatiche, non teme solo l'effetto diretto delle misure americane, ma anche quello indiretto della distorsione dei flussi commerciali (i prodotti che non troveranno sbocco negli Usa cercheranno sfogo altrove). Per questo, la decisione del presidente americano George W. Bush di imporre dazi che vanno dall'8 al 30% su una decina di tipi d'acciaio piu' comunemente importati negli Stati Uniti e' destinata a creare tensioni coi maggiori partner commerciali degli Usa in Europa e in Asia (e potrebbe anche innescare un meccanismo di ritorsioni, con ricorsi all'Organizzazione per il commercio mondiale)".

Un mercato globalizzato messo in crisi

Come si può notare, le dichiarazioni del direttore della Federacciai - e le più generali considerazioni degli economisti riportate dall'ANSA - smentiscono quanti hanno voluto minimizzare le ripercussioni dei dazi americani sul Gruppo Riva in quanto non è importante "quanto" l'Ilva esporti negli Stati Uniti. E' importante invece constatare che il mercato globale dell'acciaio - anche quello europeo e italiano - risente della "chiusura" di quello americano: le ripercussioni sono inevitabili sia per chi esporta sia per chi non esporta negli Usa. Il mercato globale è così interconnesso che ogni restrizione comporta conseguenze tendenzialmente recessive per chiunque, a meno che non vi siano mercati di nicchia, ma questo non è il caso dell'Ilva. Il portavoce del Commissario dell'Unione Europea al Commercio Anthony Gooch ha dichiarato proprio questo. L'Ansa dell'8 marzo 2002 riporta: "Le barriere tariffarie che gli Stati Uniti stanno per innalzare, ha detto Gooch, espongono comunque l'Ue all'arrivo di flussi di acciaio che saranno respinti dal mercato americano: "Molto presto - ha previsto - saremo tra l'incudine e il martello".


Perché Bush ha deciso i dazi

L'amministrazione Bush ha deciso di imporre, per i prossimi 3 anni, dazi sull'import di determinati prodotti siderurgici compresi in una forbice tra l'8% ed il 30% colpendo "quasi la meta' degli oltre 4 milioni di tonnellate di acciaio che l'Ue esporta negli Usa" (Ansa 8 marzo 2002).
L'Ansa definisce la scelta protezionistica di Bush come "una decisione, dettata soprattutto dalla crisi dell'industria siderurgica americana, dalle promesse elettorali e dalle elezioni di novembre per il rinnovo della Camera e di parte del Senato" (Ansa 8 marzo 2002).
Essendo il senato controllato dai democratici, se le elezioni di metà legislatura vanno male per i repubblicani Bush rischia di essere in minoranza anche alla Camera e di governare senza maggioranza. Ecco perché Bush tenta di scatenare una guerra militare "vincente" contro l'Irak dopo aver scatenato una guerra commerciale sull'acciaio contro il resto del mondo. E' un problema di immagine per vincere le elezioni di novembre.

Le conseguenze per la siderurgia italiana

Quali sono le conseguenze della scelta di Bush di vincere le elezioni di novembre scaricando sul resto del mondo la crisi siderurgica americana? Ecco cosa scrive l'Ansa:  "In particolare, anche l'Italia subira' il contraccolpo del protezionismo americano visto che esporta ogni anno negli Usa barre d'acciaio del valore di circa 250 milioni di dollari, su cui dal 20 marzo sara' applicato un dazio del 15%, che dovrebbe scendere di anno in anno al 12% ed al 9%. Tuttavia, oltre ai dazi il rischio maggiore per i Quindici e' di veder invaso il mercato europeo di prodotti divenuti invendibili su quello americano. Un rischio, peraltro, evidenziato dal viceministro delle Attivita' Produttive con delega al Commercio Estero, Adolfo Urso, in una lettera indirizzata all'eurocommissario Lamy: ''per difendere efficacemente e tempestivamente l'industria europea, - prosegue Urso - soprattutto dal rischio reale della diversione verso il nostro mercato della massa di acciaio finora diretta verso gli Stati Uniti, occorre l'adozione rapida di misure di salvaguardia''. Nel definire il provvedimento americano non legittimo sulla base delle regole internazionali e nel sostenere la necessita' di un'azione in sede Wto, che ''tuttavia potra' avere i suoi effetti soltanto nel medio periodo'', Urso ha ricordato ''quanto sia costato, in termini economici e sociali, il processo di ristrutturazione della nostra siderurgia''. Per Urso non e' giustificabile che ''si continui a pagare per responsabilita' di altri''" (Ansa 8 marzo 2002)

12 marzo: Fabio Riva si rivolge all'Unione Europea

A conferma di ciò vi è l'incontro del 12 marzo fra uno dei figli di Emilio Riva, Fabio Riva  (componente del consiglio di amministrazione del Gruppo Ilva e vicepresidente della Federacciai) e Adolfo Urso, vice ministro alle Attivita' produttive dell'Unione Europea: "Nel corso dell'incontro, durante il quale si e' discusso dei dazi Usa, sono stati espressi - si legge in una nota - piena soddisfazione e apprezzamento nei confronti delle azioni che la Commissione europea ha in animo di intraprendere con riferimento
alla tutela del settore", si legge in un comunicato ANSA del 12 marzo

14 marzo:  interviene il Parlamento Europeo

"In una risoluzione urgente adottata a larga maggioranza gli eurodeputati hanno affermato che ''una guerra commerciale transatlantica danneggerebbe l'Ue, gli Usa e il sistema degli scambi commerciali multilaterali'' e hanno invitato Washington ''ad assumersi le proprie responsabilita' per evitare la minaccia di una guerra commerciale''. Nel documento - approvato per iniziativa di Ppe, Pse, Eldr, Comunisti e Destra moderata - l'Europarlamento ha condannato la ''decisione protezionistica'' degli Stati Uniti di imporre dazi straordinari sull'acciaio, ''in flagrante violazione delle norme Wto''. Secondo gli eurodeputati ''tale atto arbitrario e' la conseguenza di un atteggiamento che sta danneggiando la reputazione degli Usa e gli sforzi volti a creare un partenariato internazionale''" (Ansa 14 marzo 2002).
Come risponderà l'amministrazione Bush? Ecco la risposta: "'Stati Uniti ed Unione Europea devono concentrarsi sugli aiuti ai Paesi poveri e non perdersi in inutili discussioni sul libero commercio'', ha detto Larson" (Ansa 19 marzo 2002). Alan Larson è il sottosegretario all'Economia statunitense.

20 marzo: scattano i superdazi Usa

Quelle che il commissario Ue al commercio Pascal Lamy aveva definito "misure illegali da parte degli Usa" (Ansa 11 marzo 2002) entrano in vigore il 20 marzo. Lamy Lamy aveva sottolineato che la Commissione Ue non avrebbe accettato che un settore capace di effettuare profonde ristrutturazioni "per diventare fra i piu' competitivi del mondo soffra le conseguenze di misure illegali da parte degli Usa". E Berlusconi? Secondo Silvio Berlusconi, che aveva partecipato una decina di giorni prima alla riunione dei ministri degli esteri dell'Ue (11 marzo 2002), fra i Quindici prevale la posizione di "far seguire alla precisa e ferma presa di posizione della Commissione Ue un atteggiamento di attesa: si preferisce restare in credito con gli Usa che hanno una situazione di debito nei nostri confronti".
Passeranno mesi e l'Unione Europea continuerà a ripetere di "non voler accettare" senza però intraprendere immediate misure di legittima tutela rispetto agli Stati Uniti, riservandosi di prenderle invece verso le importazioni dall'est.

I danni economici dei dazi Usa

L'Ue ha calcolato in 2 miliardi e 530 milioni di dollari i danni all'economia europea per i superdazi fino al 30% sulle importazioni di alcuni prodotti d'acciaio che resteranno in vigore per tre anni. Gli Usa stimano i danni in 2 miliardi e 270 milioni di dollari, si legge in un comunicato Ansa del 19 marzo 2002.

Acciaio: "una guerra atomica commerciale fra Usa e Europa"

Quanto siano rilevanti i dazi Usa sull'acciaio nell'ambito dell'economia globale è cosa che si tende a minimizzare. A Taranto tali dazi ancor di più vengono sottovalutati. Ben altra è la valutazione che viene data dai vertici dell'Unione Europea, come si nota in questo dispaccio Ansa: "Il viceministro per le attivita' produttive Adolfo Urso ha lanciato un appello a Strasburgo perche' venga trovato un accordo politico con gli Usa che disinneschi l'attuale contenzioso sull'acciaio e sull'agricoltura, per evitare il rischio di una ''guerra atomica commerciale'' fra le due sponde dell'Atlantico. ''Dobbiamo evitare di innescare una guerra commerciale con gli Stati Uniti: la soluzione, lo sappiamo tutti, non puo' che essere politica'' ha affermato Urso, dopo dei colloqui con gli eurodeputati italiani e con il commissario Ue al commercio estero Pascal Lamy. ''Se l'Ue dovesse applicare delle ritorsioni, si innescherebbe una guerra commerciale con gli Usa di proporzioni gigantesche, sarebbe una guerra atomica commerciale'' ha affermato. Il livello dell'attuale contenzioso con gli Stati Uniti, ha ammonito Urso, e' infatti ''20 o 25 volte superiore a quello della guerra delle banane'' che ha visto in rotta di scontro Ue e Usa negli ultimi anni". (Ansa 12 giugno 2002)

"Ritorsioni"?

Le ritorsioni commerciali europee (dazi su prodotti Usa) sarebbero efficaci? Il segretario al Tesoro americano Paul "O'Neill pensa che i dazi, vivacemente contestati da tutti i partner commerciali degli Stati Uniti colpiti dalle misure, e in particolare dall'Ue, finiranno per costare piu' posti di lavoro agli Usa di quanti non ne preservino" (Ansa 16 marzo 2002).
A distanza di poche settimane queste previsioni avranno una conferma: "Il presidente Bush sta intanto scoprendo che una misura protezionistica da lui adottata nel settore siderurgico si sta rivelando un boomerang: i dazi imposti il mese scorso sull'acciaio importato negli Stati Uniti stanno infatti suscitando proteste e reazioni non solo da parte dei Paesi le cui industrie sono colpite, ma anche dalle industrie americane che producono beni con l'uso di acciaio. Le aziende che, ad esempio, producono macchinari petroliferi affermano che i dazi arrecano loro danni irreparabili e chiedono esenzioni, minacciando, altrimenti, di tagliare i posti di lavoro". (Ansa 4 aprile 2002)
Come si può notare l'economia Usa ha i suoi punti deboli e chi crede che una severa azione di autotutela europea sia inefficace di fonte al colosso Usa si sbaglia.

"Compensazioni"?

L'Europa avanzerà agli Stati Uniti la "richiesta di non meglio precisate ''compensazioni'' per un danno stimato ''grosso modo'' in 2-2,5 miliardi di euro l'anno" (Ansa 12 marzo 2002).
In pratica l'Italia potrebbe ottenere, come "compensazione" della perdita subita nel settore dell'acciaio, un miglior trattamento nella vendita in America del Prosciutto di Parma o nell'esportazione del Parmigiano Reggiano. Un abbassamento dei dazi in altri settori è la strategia verso cui sembra orientarsi l'Unione Europea (vedere Ansa 27 e 30 maggio 2002).
L'Unione Europea ha stabilito come limite massimo il 12 ottobre quale termine per ottenere un abbassamento dei dazi per dare il tempo agli Usa di approvare i provvedimenti compensatori (vedere Ansa del 10 giugno 2002).

In Liguria si preoccupano, a Taranto no

Come si può notare solo a Taranto non ci si accorge che un vento di tempesta si prepara anche per lo stabilimanto Ilva di Taranto. Ma sarebbe errato parlare solo di Taranto. Infatti il 16 maggio un senatore ligure - Lorenzo Forcieri (DS) - presenta un'interrogazione parlamentare di cui dà notizia l'ANSA: "BLOCCO USA IMPORTAZIONI ACCIAIO:INTERROGAZIONE FORCIERI (DS) PER SENATORE PROVVEDIMENTO PENALIZZA SIDERURGIA ITALIANA (ANSA) - LA SPEZIA, 16 MAG - ''La decisione adottata dagli Stati Uniti di introdurre dazi sull'importazione dell' acciaio da ora e per i prossimi tre anni, si somma a restrizioni gia' assunte in precedenza che tuttora gravano sulle nostre esportazioni. Si tratta di una serie di misure antidumping e antisovvenzione che si traducono di fatto in una battuta d'arresto per il sistema mondiale del commercio e che hanno gia' provocato, in Europa e nel mondo, vive reazioni''. E' quanto dichiara il senatore Lorenzo Forcieri (DS) che oggi ha presentato un'interrogazione al ministro delle attivita' produttive per chiedere il varo di misure tali da consentire all'industria siderurgica italiana di fare fronte alle conseguenze di un calo considerevole delle esportazioni. "La politica protezionistica perseguita dagli Stati Uniti - spiega Forcieri - comportera' un danno economico consistente sia per l'Unione Europea, che esporta il 21% della produzione, ma anche per l'Italia, che solo nell'anno appena trascorso ha esportato acciaio negli Usa per un ammontare di circa 230 milioni di dollari. Le nostre esportazioni potrebbero, secondo alcune stime, dimezzare, con gravi conseguenze per l'occupazione del settore (che fino al 2000 contava 38.800 addetti, l'80% dei quali operai), che ha gia' subito, di recente, un fortissimo ridimensionamento e che potrebbe conoscere ulteriori e piu' gravi ristrutturazioni''. ''Sarebbe opportuno - conclude il senatore diessino - che il ministro delle attivita' produttive rendesse noto quali iniziative intende adottare, sia in sede comunitaria, sia nei rapporti bilaterali con gli Usa, per fare fronte alla difficile situazione che si e' determinata per la nostra industria di settore e per contenere le conseguenze che potranno investire sia l'occupazione che le prospettive di sviluppo delle imprese siderurgiche''. (ANSA).

Non risulta che analoghe iniziative siano state promosse da parlamentari pugliesi, se si eccettua la meritoria iniziativa degli europarlamentari diessini Enzo Lavarra e Giorgio Napolitano, intrapresa all'inizio di settembre, che hanno chiesto un incontro a Prodi per la questione dei dazi Usa.

3 giugno: Wto investito del protezionismo Usa sull'acciaio

Il 3 giugno viene istituito il ''panel'' del Wto che entro un anno e mezzo deve stabilire se i dazi americani sono compatibili con le norme del commercio internazionale.


Acciaio in ripresa per il 2003?

La decisione di Riva non appare quella di disinvestire rispetto allo stabilimanto di Taranto ma di "congelare" le decisioni in attesa dell'evoluzione del mercato globale dell'acciaio che già dall'ultimo trimestre del 2002 avrebbe dovuto dare segni di ripresa in termini di maggiore domanda se non ci fosse stata la turbativa introdotta dai dazi Usa.

"A puntare l'indice contro le tariffe sulle importazioni di acciaio imposte dagli Usa e' anche l'agenzia di rating Standard & Poor's secondo cui le misure decise dall'amministrazione Bush allontanano le prospettive di una ripresa per l'industria europea del settore. La minaccia di ulteriori quantita' di acciaio a basso prezzo dall'Asia e dalla Russia potrebbe mettere a rischio la capacita' dei produttori di alzare i prezzi. In sostanza, ''l'attesa ripresa dell'acciaio europeo (prevista intorno alla meta' di quest'anno, ndr) resta cosi' sospesa e probabilmente non si vedranno cash flow positivi prima del primo trimestre del 2003" ". (ANSA 17 maggio 2002)

Appare all'orizzonte un 2003 di ripresa per l'industria siderurgica e pertanto Riva non vuole darsi la zappa sui piedi presentandosi alle soglie del 2003 con il suo più grande stabilimento siderurgico depotenziato. Sarebbe stupido pensare ad un ridimensionamento dell'impianto siderurgico jonico per una sorta di "ripicca" verso il sindaco di Taranto e i magistrati che indagano su di lui. E Riva non è stupido. Pensa ai suoi affari.

Alcuni segnali di ripresa sono infatti dati dall'accresciuto import di acciaio della Cina che fa salire i prezzi (la notizia è del 8 luglio 2002 ed è tratta dal sito www.metalonmarket.com): "La Cina non riesce oramai a coprire, nonostante sia il leader mondiale nella produzione di acciaio, il proprio bisogno interno. Causa della notevole richiesta cinese sono gli ambiziosi piani di sviluppo dell'edilizia in vista delle Olimpiadi del 2008. Per soddisfare il proprio fabbisogno, la Cina si è rivolta ai paesi che tradizionalmente sono anche esportatori verso l'Europa, provocando una risalita dei prezzi: 25% per i prodotti piani e 5% per i lunghi".
Riva può vendere acciaio alla Cina in cambio di carbon coke…

Telefonata da Londra: Riva continuerà ad investire su Taranto?

A conferma di quanto detto dobbiamo riferire di una telefonata di una giornalista inglese di "Steel Business" da Londra fatta a PeaceLink in cui si chiedevano informazioni sulle scelte di disinvestimento di Riva da Taranto: "A noi non risultano comunicazioni ufficiali del Gruppo Riva", ha detto la giornalista.

La timida condotta europea verso il protezionismo di Bush

"''Adotteremo misure ferme e determinate per evitare una vera e propria guerra commerciale, che avrebbe anche conseguenze politiche'' ha detto Urso, viceministro Ue" (Ansa 18 marzo 2002).

"Un conto e' confermare la decisione di adottare contromisure, un conto e' applicarle',
ha dichiarato Jose' Maria Aznar, presidente di turno del Consiglio europeo (Ansa 2 maggio 2002).

"Washington non crede a pericolo sanzioni su acciaio." (titolo comunicato Ansa 8 maggio 2002)

''La 'guerra dell' acciaio' resta tale e basta, e non puo' cancellare i rapporti commerciali e politici di collaborazione con gli Stati Uniti, che non sono mai stati cosi' profondi e buoni'', ha detto il presidente della Commissione europea, Romano Prodi. Leggendo con attenzione le mosse dell'Unione Europea, nella cronaca che il dossier riporta, non si può fare a meno di notare una lunga serie di "intimazioni" verso l'amministrazione Usa a cui però non ha corrisposto alcuna azione di ritorsione commerciale, pure legittima sotto il profilo della normativa Wto. Ciò si spiega con le parole di Prodi: i rapporti buoni e profondi con il governo degli Stati Uniti. Sull'altare politico di tali "buoni e profondi rapporti" si tollera per mesi e mesi che i dazi illegali Usa mettano in crisi l'economia siderurgica.
Leggendo il dossier si può notare come in poche settimane Bush passi dall'annuncio dei dazi alla loro illegittima attuazione mentre l'Unione Europea ci mette mesi per passare dalla proclamazione delle contromisure alla decisione di rinviarne di volta in volta la pur legittima attuazione.

"La Ue ha gia' pronte le misure che colpiscono trenta prodotti Usa per un valore di 378 milioni di Euro, misure che potrebbero scattare gia' dal 18 giugno prossimo" (Ansa 15 maggio 2002). Queste misure - sempre annunciate - non sono mai state attuate.

Mentre Prodi abbaia, Bush morde 


Leggende metropolitane

Fra gli operai dell'Ilva sopravvive una leggenda metropolitana: che Riva possa spostare la produzione nei sui stabilimenti "in Romania". Chissà chi l'ha diffusa. Si favoleggia di stabilimenti che Riva avrebbe "in tutto il mondo" e quindi anche in città e nazioni che sarebbero disposte ad accettare l'inquinamento che Taranto incomincia finalmente a rifiutare. Consultando il sito Internet del Gruppo Riva si può agevolmente constatare che il Gruppo Riva ha stabilimenti e presenze in Europa (
Italia, Germania, Francia, Spagna, Belgio, Olanda) e in Canada e solo uno stabilimento per la zincatura in Tunisia, che non appare assolutamente in grado di sostituirsi a quello di Taranto, in caso di necessità.


Riva è vulnerabile: ecco perché

In base a quanto detto, Riva è tenuto a rispettare in tutti gli altri stabilimenti quei parametri internazionali (ai quali la magistratura a Taranto ha preso a riferimento nella sua ultima perizia sulla cokeria) che deve rispettare a Taranto, forse con la sola eccezione della Tunisia. E Riva sa che se circolasse, nella altre realtà dove il suo gruppo è presente (ad esempio in Germania o in Francia), la voce che disinveste da Taranto per problemi con la magistratura, il danno alla sua immagine sarebbe grande. Non solo: un'azione di informazione internazionale via Internet, come quella che PeaceLink conduce e che potrebbe affinare con la traduzione nelle lingue estere, potrebbe svegliare giornali e magistrati di altre città. Appare pertanto ragionevole per Riva non lamentarsi pubblicamente più di tanto contro la mala sorte che gli sarebbe capitata a Taranto: potrebbe capitargli di peggio se non decide di mettersi in piena regola come imprenditore dell'Unione Europea.

Conclusioni per Taranto

Appare evidente dal dossier che le iniziative locali di tutela della salute e per la messa a norma degli impianti non sono il parametro principale di riferimento delle scelte economiche di un imprenditore dell'acciaio, qual è Riva. Anche se a Taranto si chiudessero ambedue gli occhi sull'inquinamento Ilva, Riva deciderebbe di investire o disinvestire sulla base di considerazioni generali che attengono al mercato globale dell'acciao e non all'antipatia o alla simpatia che nutre rispetto ai tarantini e al loro sindaco.
Le linee guida del Sindaco di Taranto, volte alla diversificazione dell'apparato economico locale e al contenimento massimo dell'inquinamento, appaiono quanto mai sensate e opportune. A conferma di ciò è istruttivo citare una telefonata che PeaceLink ha ricevuto da Pordenone. In essa si apprende che l'olio extravergine di oliva pugliese sarebbe inquinato da IPA (sostanze chimiche cancerogene che anche l'Ilva produce in gran quantità); tali residui di IPA sarebbero presenti - da alcune analisi effettuate per conto di enti universitari - in quantità superiore rispetto al limite tollerato per l'olio di sansa. Per tale ragione la Svezia avrebbe già bloccato le importazioni di olio extravergine d'oliva pugliese.
Appare pertanto evidente come un tipo di economia debba sopravvivere non a scapito di altri tipi di economia e che una scelta di sviluppo ecosostenibile sia fonte non di disoccupazione ma di salvaguardia delle risorse (anche economiche) rinnovabili come quelle dell'agricoltura e dell'ambiente. Una volta danneggiato irreversibilmente l'ambiente e il territorio di Taranto su quali risorse potremo contare per progettare il futuro di questa città?


Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink
a.marescotti@peacelink.it
cell.3471463719
Taranto 11/9/2002

Alessandro Marescotti
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