[TarantoOnLine] L'ILVA produce di meno ma inquina di più: PeaceLink chiede il fermo immediato dell'area a caldo a Taranto



L'ILVA produce di meno ma inquina di più
+ 128% di benzene nel 2020 rispetto al 2019 nel quartiere Tamburi di Taranto
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PeaceLink invita il Sindaco di Taranto, il Presidente della Provincia e il Presidente della Regione a inviare alla Commissione Europea e alla CEDU (Corte Europea dei Diritti dell'Uomo) tutta la documentazione ufficiale per sottolineare l'incompatibilità con la salute pubblica dell'attuale area a caldo dell'ILVA.
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I DATI DELL'INQUINAMENTO 2020
L'inquinamento nel quartiere Tamburi nel 2020 è aumentato. E ciò è avvenuto nonostante la produzione di acciaio nell'ILVA di Taranto sia calata da 12.900 tonnellate al giorno (dato 2019) a 8.800 (dato 2020).
Può sembrare paradossale ma è così: l'ILVA produce di meno ma inquina di più.
Confrontando i dati Arpa 2019 (da gennaio a novembre) con i dati Arpa 2020 (da gennaio a novembre) emerge che nel quartiere Tamburi nel 2020 ci sono stati i seguenti incrementi di inquinamento rispetto al 2019 in aria ambiente:
+ 128% di benzene (cancerogeno)
+ 3% di PM10 (cancerogeno)
+ 6% di PM2,5 (cancerogeno)


Dati ancora più elevati si registrano al perimetro dello stabilimento siderurgico (centralina Meteo-Parchi ILVA):
+215% per benzene (cancerogeno)
+48% per PM10 (cancerogeno)
+30% per PM2,5 (cancerogeno)


Cosa ci dicono questi incrementi percentuali?
Ci dicono una cosa molto semplice, ossia che quando finirà il 2020 e la produzione totale di acciaio dello stabilimento siderurgico di Taranto sarà arrivata ai minimi storici (ossia a 3,2 milioni di tonnellate/anno di acciaio), l'impatto sulla salute degli abitanti del quartiere Tamburi sarà verosimilmente ancora peggiore rispetto al 2019 quando lo stabilimento ha prodotto 4,7 milioni di tonnellate/anno, ossia un milione e mezzo di tonnellate di acciaio in più.
Sembra assurdo. Ma i dati elaborati sono incontrovertibili e provengono dalle centraline Arpa/Ispra. 
I dati dettagliati sono visionabili qui https://sociale.network/@a_marescotti/105296298868073858

LA VALUTAZIONE DELL'IMPATTO AMBIENTALE E SANITARIO
Ricordiamo che la VIIAS (Valutazione Integrata di Impatto Ambientale e Sanitario) del 2019 - calcolata su 4,7 milioni di tonnellate/anno - mostrava "un rischio non accettabile nel quartiere prossimo allo stabilimento siderurgico" (Epidemiologia&Prevenzione, 2019) . La VIIAS è stata pubblicata lo scorso anno sulla rivista scientifica  Epidemiologia&Prevenzione.
Dato che la VIIAS 2019 a 4,7 milioni di tonnellate/anno stimava questo "rischio non accettabile" a livelli di inquinamento inferiori rispetto a quelli effettivamente verificatisi nel 2020, se ne può dedurre che anche con l'area a caldo a livelli produttivi minimi (i 3,2 milioni di t/a del 2020) l'inquinamento non scende a livelli tali da poter ipotizzare una compatibilità dell'area a caldo con la salute pubblica.

PRODUZIONE IN CALO E INQUINAMENTO IN AUMENTO
Questa cosa è bene segnalarla al governo e anche i sindacati. Tutti devono sapere che non esiste compatibilità fra ILVA e salute pubblica neppure quando si raggiunge il livello produttivo più basso mai registrato. Questa evidenza non lascia più alibi.
In poche parole: l'area a caldo dell'ILVA è pericolosa per la salute pubblica anche quando si produce di meno!
Se non si verificano condizioni di compatibilità neppure producendo a marcia estremamente ridotta, allora l'unica scelta è chiudere l'area a caldo dell'ILVA.

LE RICHIESTE DI PEACELINK AL SINDACO DI TARANTO
Di fronte a questo pericolo costante e protratto nel tempo, chiediamo al Sindaco di Taranto di certificare in forma aggiornata, con un documento ufficiale redatto con i tecnici ASL e ARPA, la pericolosità dell'area a caldo e l'insalubrità del quartiere Tamburi. A fronte di una tale certificazione aggiornata - da consegnare anche alla Procura della Repubblica - le autorità di governo dovranno scegliere: salvare le persone oppure lasciar correre.

L'URGENZA DEL FERMO DELL'AREA A CALDO DELL'ILVA
L'incompatibilità con la salute pubblica dell'attuale area a caldo dell'ILVA, anche ai livelli produttivi "minimi" attuali, pone l'urgenza del fermo immediato dell'area responsabile dell'inquinamento protratto nel tempo. Non occorre alcuna programmazione annuale: vanno salvate le persone, qui e ora, senza aspettare i prossimi anni e le prossime vittime.

ESSERE EFFICACI SIGNIFICA ESSERE TEMPESTIVI
Come per il covid anche per l'inquinamento industriale le misure a protezione della salute non vanno rinviate ma adottate in tempi ragionevolmente rapidi affinché siano efficaci. E perché siano efficaci le misure devono essere tempestivesulla falsariga di ciò che è stato fatto a Trieste dove si è chiusa in poche settimane l'area a caldo della Ferriera.

Sulla base di tali considerazioni, gli impianti non a norma e posti sotto sequestro vanno fermati non secondo una prospettiva di medio-lungo termine ma in una prospettiva di breve termine, in considerazione della loro potenziale letalità rispetto alla salute.

Esistono già copiose evidenze scientifiche prodotte, basate su studi epidemiologici mai smentiti. In base al principio di precauzione non è più necessario produrre nuovi studi scientifici in quanto l'onere della prova spetta ora a chi volesse tenere aperta l'area a caldo.

INVESTIRE DEL PROBLEMA LE AUTORITA' EUROPEE E LA MAGISTRATURA
Il compito del Sindaco, del Presidente della Provincia e della Regione è molto semplice. Basta questa dichiarazione congiunta: viste tutte le evidenze scientifiche disponibili, comprese quelle del 2020, si deduce l'incompatibilità degli impianti dell'area a caldo dell'ILVA di Taranto rispetto alla salute pubblica e si richiede all'Autorità Competente il fermo ad horas di tali impianti.
A tale dichiarazione si allegherà tutta l'imponente documentazione disponibile e la si invierà al Governo, alla Commisione Europea, alla CEDU e per conoscenza alla magistratura.

Il passo da fare è molto semplice e PeaceLink invita a farlo perché farlo ora - a poche ore dalla firma di un accordo con ArcelorMittal - porrebbe in estremo imbarazzo tutti gli altri interlocutori che vogliono far proseguire l'area a caldo.

PRINCIPIO DI PRECAUZIONE E INVERSIONE DELL'ONERE DELLA PROVA
I sindacati o il governo sono in grado di dimostrare che la prosecuzione della produzione dell'area a caldo non produce gli eccessi di mortalità e morbilità evidenziati in tutti gli studi fin qui prodotti? Sindacati e governo sono in grado di fornire pubblicazioni scientifiche che smentiscano l'insieme degli studi epidemiologici messo in campo dalla comunità scientifica e dalle autorità sanitarie della Repubblica Italiana? Se sì lo facciano. Se no, allora fermino l'area a caldo. Tertium non datur.

Spetta oggi a loro - governo e sindacati - l'onere della prova.

Sulla base del principio di precauzione non siamo noi a dover portare più delle prove, perché l'onere della prova è rovesciato: sono sindacati e governo a dover fornire dati scientifici attendibili. Non possiamo attendere la morte di un solo altro bambino.

LA RESPONSABILITA' SOCIALE, MATERIALE E MORALE
Basta con le parole, con le solite parole trite e ritrite che annunciano un equilibrio fra produzione e salute che non viene mai dimostrato e mai raggiunto, ma che verrà anzi ancora più aggravato se si dovesse giungere a raddoppiare la produzione (8 milioni di t/a), come vorrebbero i sindacati e il governo.

Lo diciamo chiaramente: con queste evidenze scientifiche ormai acclarate chiunque chiede di proseguire con la produzione dell'area a caldo è responsabile, materialmente o moralmente, di tutti gli eventuali danni sanitari che si verificheranno.

Lo diciamo in particolare al professore Giuseppe Conte, allo studioso e all'autore di un pregevole libro dal titolo "La responsabilità sociale dell'impresa".

LE NUOVE TECNOLOGIE? NE RIPARLIANO IN FUTURO, OGGI SI DEVONO FERMARE LE VECCHIE TECNOLOGIE
Adesso è venuto il momento della chiarezza totale, senza infingimenti.
I dati che oggi condividiamo pubblicamente dimostrano in modo incontrovertibile che gli impianti dell'area a caldo dell'ILVA producono inquinamento inaccettabile anche a 3,2 milioni di tonnellate/anno e questo in ragione della scarsa manutenzione e delle criticità denunciate dai sindacati stessi in questi mesi.

PeaceLink invita il Sindaco di Taranto, il Presidente della Provincia e il Presidente della Regione a fare fronte comune con i cittadini sulla linea dell'immediata chiusura dell'area a caldo. Ogni discussione attuale sulle tecnologie future ed "ecocompatibili" è solo accademica, non ci interessa, non ci appassiona e la si farà dopo, quando ci saranno i capitali per acquistarle. Ma oggi va vietato ad ArcelorMittal l'uso delle vecchie tecnologie inquinanti, e questo va vietato prima della firma del nuovo accordo allo scopo di proteggere la salute pubblica.

Infine si precisa che PeaceLink non ha dato alcuna adesione alla manifestazione del prossimo 9 dicembre davanti al Municipio di Taranto.

Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink  
www.peacelink.it