"Lo scandalo Ilva investe il ministero: c'è una Seveso in Puglia e si chiama Taranto"



Lo scandalo Ilva investe il ministero: c'è una Seveso in Puglia e si
chiama Taranto

Sostituiti i tecnici che indagano sull'inquinamento. Intanto "Il
Salvagente"...

Giorgia Nardelli


"Sul loro tavolo c'era il futuro del più grande stabilimento siderurgico
d'Europa: l'Ilva di Taranto. E la salute di centinaia di migliaia di
cittadini. Avrebbero dovuto decidere se concedere o meno alla fabbrica
l'Autorizzazione integrata ambientale (Aia), una carta necessaria per la
prosecuzione dell'attività. Invece non decideranno nulla. Il ministro
dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo (foto), li ha rimossi e al loro
posto ha nominato tecnici di sua fiducia": la notizia è da questa mattina
sulla prima pagina di Repubblica, firmata dall'inviato Giuliano Foschini,
che dà anche la parola al presidente della Puglia, Nichi Vendola, che
definisce la scelta della Prestigiacomo "una decapitazione del sapere
tecnico-scientifico che dà forte ragione di inquietudine" e annuncia una
legge regionale restrittiva contro l'inquinamento industriale.
Il numero de “Il Salvagente” in edicola questa settimana documenta
ampiamente la storia di Taranto, “Seveso pugliese” e della diossina che è
arrivata a contaminare perfino gli alimenti. Ecco uno degli articoli di
Giorgia Nardelli che descrivono fino a che punto è arrivata la situazione.

Strano paese, l'Italia

Strano paese, l'Italia. Quest'inverno tutto lo stivale gridava all'allarme
diossina, e si preoccupava per la sorte delle bufale campane contaminate.
Ma poco più giù, a Taranto, qualcuno scopriva che a essere contaminati
erano i formaggi, senza che la notizia riuscisse a uscire oltre il tacco
d'Italia.
Eppure l'allarme non era destinato a rientrare. Le diossine nei formaggi
c'erano - e ci sono - eccome, come sono nelle carni, e nel latte di alcuni
allevamenti della zona che producono prodotti locali. Il fatto è così
evidente, così grave, che in questi giorni saranno abbattuti di 1.200 capi
di bestiami, e in molte aree verdi del circondario un'ordinanza vieta il
pascolo delle bestie.

Il triste primato del camino E 312

Dall'atmosfera ai campi, diossine e pcb galleggiano nell'area cittadina in
abbondanza, ma ufficialmente “non è provato” da dove vengano. Per farsi
un'idea bastano però i dati ufficiali dell'Eper, il registro europeo delle
emissioni inquinanti. Gli ultimi a disposizione dicono che nel 2005 in
città è stata prodotta una mole incredibile di Pcdd
(policlorodibenzo-p-diossine) e
Pcdf (policlorodibenzo-p-furani), famiglia di diossine cancerogene, e che
la fonte è l'impianto Ilva, il mega siderurgico già troppo noto alle
cronache, che ha sputato 93 grammi di queste sostanze contro una
produzione nazionale di 103 grammi. In pratica il 90% di quanto emesso in
tutto il nostro paese. Mentre dal 2002, (quando la diossina sprigionata da
tutti gli impianti industriali d'Italia era 222,5 grammi), le emissioni
nazionali si sono dimezzate, il gigantesco stabilimento pugliese le ha
aumentate da 70 a 93 grammi, gran parte fuoriusciti dal camino E 312, il
camino dell'impianto di agglomerazione.

Sotto gli occhi di tutti

Ogni anno peggio, sotto gli occhi di tutti. Pensare che il registro Eper
rende pubblici i suoi dati dal 2002, ma nessuno a Taranto come in Puglia
ha saputo trovarli prima che questi venissero scoperti “per caso”
dall'associazione Peacelink . “Qui nessuno di noi immaginava che quel
camino emettesse diossina”, dice Alessandro Marescotti di Peacelink,
“l'unica cosa che vedevamo era quella torre di 200 metri e il suo fumo
marrone che la sera si posava sul quartiere Tamburi. E pensare che a
Taranto ci mandavano a fare le vacanze i bambini di Cernobyl”.
Alla fine i numeri sono venuti fuori, denunciati da Peacelink, ma ancora
una volta i primi ad agire sono stati i membri della società civile. Le
prime analisi sugli umani le ha fatte nell'estate del 2007 l'associazione
Tarantoviva, con i soldi degli iscritti: “Abbiamo prelevato il sangue di
dieci volontari e lo abbiamo fatto analizzare dal laboratorio Inca di
Venezia. Il campione di sangue della persona più anziana, il più esposto,
conteneva il livello di diossina più alto mai registrato nella casistica
internazionale”. Più tardi l'associazione “bambini contro l'inquinamento”
faceva analisi sul latte materno di alcune donne tarantine, e a febbraio
scorso Peacelink faceva analizzare formaggio locale. Il responso era
sempre lo stesso: la diossina era dovunque. “Nel formaggio ben 3 volte
superiore al limite massimo tollerabile fissato dall'Ue”, racconta
Marescotti. “Trattandosi di prodotti merceologici questa volta sono
intervenute la magistratura che ha aperto un fascicolo, e la Asl, che ha
avviato analisi e riscontri sul latte e sulle carni del bestiame delle
masserie della zona”.

Contaminazione ufficiale

Anche le analisi ufficiali hanno adesso confermato che la diossina c'è, e
arriva lontano. Su 30 allevamenti campionati da marzo a oggi 7 sono
risultati positivi, i loro animali saranno abbattuti. In cambio delle
bestie e del loro lavoro gli allevatori riceveranno 160mila euro,
l'equivalente di 130 euro per animale. E il magro risarcimento arriverà
dalla Regione, perché, beffa oltre al danno, un responsabile ufficiale non
esiste ancora.
“Dovrà chiarirlo l'inchiesta della magistratura”, spiega Michele
Conversano, responsabile del dipartimento di prevenzione della Asl Taranto
1. “I dati da noi raccolti evidenziano che in linea di massima che i capi
che pascolavano nell'area adiacente all'impianto dell'Ilva mostrano
livelli di diossina superiori alla norma. Specie gli animali più vecchi,
perché la diossina si accumula nel tempo nei tessuti grassi. Le analisi
proseguiranno per stabilire sin dove si estende la contaminazione, e da
dove viene”. Una certezza però adesso c'è già, la fonte dell'inquinate è
una sola: “è come un serial killer che ha lasciato sulle vittime la sua
impronta. Le diossine sono tante e diverse, ma quelle ritrovate nei
campioni positivi sono sempre le stesse. O vengono da uno stesso
stabilimento, o da due impianti vicini, e si miscelano prima di
spandersi”.
Mentre le analisi proseguono, vietando il pascolo nelle aree contaminate,
la Asl cerca di salvare dai veleni i prodotti tipici locali. “Ed è già un
passo avanti”, chiosa Conversano.

Appuntamento a marzo 2009

Ma il passo avanti più importante che i tarantini aspettano per salvarsi
dalla diossina sarà quello di marzo 2009. Entro questa data il ministero
dell'Ambiente dovrebbe concedere all'Ilva l'Autorizzazione integrata
ambientale, necessaria per continuare la sua attività. Tra le altre cose
saranno fissati i limiti massimi consentiti per le emissioni di diossina.
L'industria chiede che lo standard sia fissato a 3,5 nanogrammi per metro
cubo, ma l'assessore all'ecologia della Regione Michele Losappio ha fatto
sapere che chiederà di portare la soglia a 1, il valore di riferimento
della normativa europea mai recepita in Italia.
In città non si cela un po' di sfiducia. Il patron dell'Ilva Emilio Riva è
entrato a fare parte della cordata Cai, quella che ha salvato Alitalia,
investendo nel progetto una congrua somma di denaro. I più maliziosi già
temono che la contropartita per “ringraziare” Riva del suo “sacrificio”,
possa ricadere sulla pelle dei tarantini. Solo illazioni, naturalmente. Ma
fino a che i parametri non saranno fissati, tutti stanno alla finestra, in
apprensione. Si sa, l'Italia è uno strano paese.




Il Salvagente 26/10/08

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