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La strategia di Riva a Taranto: fatti e retroscena
- Subject: La strategia di Riva a Taranto: fatti e retroscena
- From: Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.it>
- Date: Tue, 20 Aug 2002 10:56:55 +0200
Griglia di analisi della "questione cokeria" alla luce delle ultime dichiarazioni di Riva
Fatti e retroscena della partita a scacchi fra un industriale e una città inquinata
20/8/2002
Di cosa si lagna Riva
"Non ho capito cosa vogliono da me", avrebbe detto Emilio Riva a proposito della nota vicenda delle batterie fuori norma (nonché cancerogene) della cokeria Ilva di Taranto. Ho letto le parole con cui il proprietario del siderurgico si sarebbe lagnato dell'accordo del 22 maggio che aveva sottoscritto con la Regione e il Comune e che non avrebbe sortito l'effetto sperato: "Un documento 'storico' e che si è rivelato carta straccia!" Questo avrebbe detto il patron dell'Ilva.
La partita a scacchi
Vediamo di fare ordine in questa delicata "partita a scacchi" - giocata fra vita, lavoro e profitto - e di capire in primo luogo cosa si stava giocando quel 22 maggio sul tavolo regionale di Fitto e di conseguenza perché oggi Emilio Riva fa sapere, per interposta persona, di essere scontento.
L'accordo del 22 maggio
L'accordo del 22 maggio aveva una macroscopica lacuna: stabiliva la tempistica del "risanamento" delle batterie (la 5/6 entro l'autunno del 2004 e la 3/4 entro il dicembre 2005) ma non chiariva se nel frattempo tali impianti fuori norma dovessero continuare ad inquinare violando la legge oppure no.
Cosa dissero subito Legambiente, Wwf e PeaceLink
Questo dubbio emergeva già dall'incontro del 12 febbraio 2002, quando il presidente della Regione Puglia Raffaele Fitto cominciò la trattativa con Riva presso il suo "tavolo regionale". Ad insinuare il dubbio furono le associazioni ambientaliste tarantine che, in un documento del 13 febbraio firmato da Legambiente, Wwf e PeaceLink, così si esprimevano: "Se si ha in mente di lasciare in funzione per altri quattro anni quelle stesse batterie che oggi emettono fumi cancerogeni in maniera preoccupante, allora noi non ci stiamo e lanciamo l'allarme. Se le batterie cancerogene non fossero fermate - così come chiedono le ordinanze e così come recentemente ha confermato la Cassazione bocciando il ricorso presentato da Riva - allora ci troveremmo di fronte ad una palese violazione della legge. Noi faremmo ricorso alla magistratura sia come ambientalisti sia come cittadini: sarebbe inammissibile rilasciare sui lavoratori e sulla città fumi cancerogeni per altri quattro anni".
Lo scopo non ufficiale dell'accordo del 22 maggio
L'accordo del 22 maggio aveva uno scopo ufficiale nobile (il "risanamento" delle batterie) e uno scopo meno nobile e meno ufficiale: fare pressione sul Sindaco di Taranto perché ritirasse le ordinanze sulla cokeria. "Tanto sono ormai superate dall'accordo regionale", si diceva.
"Inopportuno il ritiro delle ordinanze"
Le associazioni ambientaliste di Taranto hanno fatto sentire la propria voce, ricordando che non erano venute meno le ragioni di allarme sociale e sanitario per cui quelle ordinanze erano nate. Noi ambientalisti sottolineammo che il ritiro delle ordinanze sindacali sarebbe stato inopportuno nel momento in cui la Procura della Repubblica di Taranto stava acquisendo - tramite un'apposita perizia sulle batterie 3/6 della cokeria - dati che si sarebbero rivelati, da lì a poco, assai preoccupanti. La perizia infatti ha confermato scientificamente la ragioni che stavano a base delle ordinanze del Sindaco di Taranto Rossana Di Bello.
La fretta di Riva
La rapidità con cui Riva ha firmato il 22 maggio al tavolo di Fitto era dovuta alla perizia della Procura che "stava per terminare" e che avrebbe generato problemi. Come si sarebbero potute ritirare le ordinanze se la perizia dava ragione al Sindaco? Ed ecco allora la necessità di sollecitare il Sindaco da più parti, al fine di ritirare le ordinanze sulla cokeria, il che sarebbe entrato in contrasto con la perizia della magistratura, creando un disaccordo fra poteri istituzionali.
La Di Bello non cade nel "trappolone
Di fronte a questo "trappolone" il Sindaco Rossana Di Bello ha saputo temporeggiare, ha saputo ascoltare le varie ragioni e alla fine ha deciso di tenere duro: le ordinanze non sono state ritirate. Ha fatto una scelta saggia e lungimirante mentre Riva (e un coro di altri compartecipi) le stavano proponendo il dietro front istituzionale e preparando di fatto un'imboscata politica.
L'"effetto sperato" svanisce
L'accordo del 22 maggio non ha avuto così l'effetto sperato e in tal modo ci spieghiamo perché Riva fa oggi sapere di essere rimasto deluso di quell'accordo in cui contava, più di quanto che era scritto, ciò che era sottinteso.
La logica impeccabile della Procura
Il sindaco di Taranto ha saputo invece gestire il processo operando in sintonia con la Procura della Repubblica la quale ha seguito una logica impeccabile da un punto di vista giuridico e improntata a grande pragmatismo e buon senso. Infatti nella perizia sulla cokeria commissionata dalla Procura si prende atto del "fatto positivo" che Riva intende ricostruire le batterie della cokeria e nel frattempo chiede che tali impianti abbiano una conduzione "a norma di legge". Come? Allungando i tempi di cottura del carbon coke. Con "tempi lungi" di cottura i periti infatti hanno rilevato valori di emissione che in media rasentano - senza tuttavia sfondare - i tetti massimi di inquinamento.
L'extralegalità negata
I periti della Procura hanno cioè fornito ai magistrati la soluzione dell'arduo problema posto dalle associazioni ambientaliste (e soprattutto dalla legge): si sarebbe dovuto chiudere un occhio per quattro anni (il che significava dare di fatto un passaporto temporaneo di extralegalità) o si sarebbe dovuto trovare un rimedio temporaneo che fosse rispettoso della legge?
Cottura lunga o cottura breve?
I dirigenti dell'Ilva si sono lamentati perché la "cottura lunga" (seppur più "ecologica") non era adatta agli impianti Ilva. Ma - e questo è paradossale - sono stati proprio i dirigenti Ilva ad impostare gli impianti di cokeria sulla "cottura lunga" facendo rilevare ai periti valori di inquinamento più contenuti. Come mai quando sono arrivati i periti della Procura l'Ilva ha fatto la "cottura lunga"? L'Ilva ha cotto il coke con cicli fino a 32 ore "sfornando" dati "ecocompatibili", e così offrendo ai periti un quadro ben lontano da quelli della realtà quotidiana della cokeria. Poi il gran rifiuto di Riva: "Non possiamo cuocere così a lungo perché è improduttivo e pericoloso". La cosa, per chi l'ha seguita con attenzione, è di una paradossalità unica: prima si fa la cottura lunga e poi si dice che non si può fare!
I parametri dell'ACGIH
Va comunque notato che, nonostante le furbizie e nonostante i tentativi di offrire ai periti dati "addomesticati", i risultati complessivi - come ha avuto modo di comunicare il procuratore dott. Aldo Petrucci - si sono rivelati egualmente preoccupanti. Essi sono mediamente al di sopra dei parametri stabiliti dall'ACGIH (American Conference of Governmental Industrial Hygienists), presi dalla giurisprudenza italiana quale riferimento normativo. In particolare gli indicatori biologici (ossia ciò che si è trovato nelle urine, nelle feci e nella saliva degli operai) hanno dato responsi allarmanti. I periti hanno proposto una durata di 28 ore per il ciclo di distillazione, al fine di far rientrare le emissioni entro il tetto massimo di inquinamento, ma i tecnici di Riva hanno detto che 28 ore erano troppe.
Cotture corte cancerogene ma economiche
E' chiaro che produrre con cicli inferiori (21-24 ore) significa risparmiare tempo, operai e quindi denaro, ma le "cotture corte" danno un risultato fortemente cancerogeno: fare il coke in fretta fa ammalare di tumore. Con impianti così malandati la "cottura lunga" dà purtroppo anche coke più friabile, di minore consistenza, di scarso rendimento e perciò meno utilizzabile.
Coke dall'estero
Questo ha fatto pendere la scelta dell'Ilva per la chiusura delle batterie anziché per la loro gestione temporanea con la "cottura lunga". E l'Ilva ha deciso di comprare il coke dall'estero.
Doppio bivio per Riva
In conclusione Riva si è trovato di fronte ad un bivio: disobbedire alla magistratura e andare dritto di nuovo nell'aula del tribunale, o eliminare una situazione che lo poneva al di fuori della legge. E facendo questa seconda scelta si trovava di fronte ad un nuovo bivio: cottura lunga o fermata delle batterie 3-4-5-6. Ha scelto quest'ultima opzione.
A Roma non si bloccherà la chiusura delle batterie 5 e 6
Da quanto evidenziato appare improbabile che l'incontro con il Governo del 5 settembre possa scongiurare la fermata delle batterie 5 e 6. Perché? Perché esse sono fuori norma: rientrerebbero nella norma solo con la "cottura lunga", cosa che sembra essere definitivamente rifiutata dalla dirigenza dell'Ilva.
I fumi non sono una media statistica
Alcuni dicono che con la chiusura delle due batterie si è drasticamente ridotta l'emissione delle polveri e dei fumi, scendendo ben al di sotto del taglio di un terzo della produzione chiesto dalla Procura. Costoro ritengono che Riva voglia chiudere le altre due batterie solo per fare uno sgarbo agli operai. Non è così. La Procura non ha in realtà chiesto un taglio globale di un terzo dell'inquinamento delle quattro batterie (così come si era erroneamente interpretato in un primo tempo) ma ha chiesto un allungamento - per tutte le batterie incriminate - di un terzo del tempo di distillazione al fine di far sfornare meno coke (e di qualità meno inquinante). Tale richiesta si applica a tutte le batterie incriminate e quindi non è corretto pensare che se ne possano fermare due e due possano operare in condizioni tali da superare i parametri stabiliti dall'ACGIH (American Conference of Governmental Industrial Hygienists). Se le batterie 5 e 6 funzionassero sotto le 28 ore di cottura esse sarebbero fuori norma anche se le altre sono spente. Il ragionamento della Procura non è cioè finalizzato a contenere solo l'ammontare complessivo dell'inquinamento ma è finalizzato a ridurre anche quello di ogni singola batteria, in quanto gli operai vengono messi al lavoro sulle batterie accese e non su batterie spente. Gli operai non respirano la media dei fumi ma gli specifici fumi delle specifiche batterie in funzione che, prese singolarmente, sono fuori norma e fortemente cancerogene con le "cotture brevi" che l'Ilva in genere adotta.
Un atto dovuto
Ecco perché Riva spegnerà le batterie 5 e 6: a Roma non si potrà impedire che la legge venga applicata per ogni singola batteria. Quello di Riva è un atto dovuto e non un comportamento antisindacale o dispettoso: è un chinare il capo davanti alla legge.
Occupazione Ilva e rallentamento dello svuluppo
Quanto poi al non rinnovo dei contratti di formazione-lavoro, va detto che questa contrazione ci sarebbe stata comunque in quanto le previsioni di sviluppo del PIL per il 2003 sono variate, passando dall'ottimistico 2,3% di Tremonti allo 0,5% degli economisti più realisti (e pessimisti): lo sviluppo avrà ritmi inferiori di almeno 4 volte rispetto al previsto e anche rispetto alle medie a cui era abituata la locomotiva produttiva. Riva non può produrre a pieno ritmo per un mercato in crisi. A ciò si aggiunge la difficile fase di recessione internazionale dovuta alla chiusura dei mercati americani all'acciaio estero con dazi del 30-40% che mettono "fuori mercato" l'acciaio europeo. Se ci fosse stato sviluppo anziché recessione Riva avrebbe assunto lavoratori; con questo panorama "nero" invece non avrebbe rinnovato i contratti precari anche nel caso che la cokeria fosse stata dissequestrata. In sintesi si può dire che le scelte occupazionali di Riva sono dettate dal mercato, che oggi non tira, e non dal richiamo della magistratura al rispetto delle norme.
Sono i grandi numeri del panorama economico globale a dettare le scelte. Le decisioni di Riva non nascono dalla questione cokeria.
Come riassorbire l'esubero degli operai della cokeria
Va osservato che un esubero di duecento operai (corrispondenti a quelli delle batterie da chiudere) può essere riassorbito agevolmente non solo in una situazione di crescita ma anche in una situazione di stallo: l'esubero si riassorbe riducendo gli straordinari di un corpo lavorativo di oltre dodicimila lavoratori.
Confusione fra cokeria e crisi del mercato dell'acciaio
Ma oggi si fa gran confusione collegando le mancate assunzioni dei precari alla vicenda cokeria. Le scelte di non assunzione non a caso oggi si applicano sui precari, ossia sulla fascia di lavoratori che è maggiormente esposta all'oscillazione della congiuntura internazionale.
Quello che si può fare
Che fare allora? Occorre ridurre gli straordinari e applicare con rigore le clausole dei contratti di formazione-lavoro che prevedono almeno un terzo di ore come "formazione": quanti ragazzi all'Ilva fanno un giorno di formazione ogni due giorni di lavoro? In questo caso l'applicazione della legge non toglierebbe lavoro ma ne creerebbe, e tanto…
Automatizzare la cokeria
Infine va osservato che la "definizione delle linee guida per l'individuazione delle migliori tecniche disponibili relative agli impianti di cokeria" (così come recita l'accordo del 22 maggio) significa essenzialmente una cosa: automazione delle lavorazioni della cokeria. Pertanto costruire "nuove batterie secondo le migliori tecniche" equivale a dire arrivare a batterie automatizzate che tendenzialmente facciano il minimo ricorso alla mano d'opera, secondo quella logica di automazione che ha drasticamente ridotto se non eliminato del tutto (è il caso dei pericolosissimi reparti verniciatura del settore auto) gli operai nei reparti ad alto rischio. Se il sindacato alla Fiat avesse contestato l'automazione nei reparti killer della verniciatura avrebbe fatto una battaglia di retroguardia inutile, dannosa e antistorica. E pertanto un eventuale braccio di ferro sindacale sulla cokeria deve prevedere che la miglior cokeria del futuro è una cokeria automatizzata e possibilmente senza operai. I posti di lavoro soppressi nei reparti killer vanno ricreati nella gestione ecostostenibile dello sviluppo. Ad esempio servono decine di tecnici che - dentro e fuori della fabbrica (Asl) - facciano buona manutenzione e collaudino gli impianti al fine di dare ogni quattro anni le autorizzazioni previste dalla legge. Se l'ecocompatibilità viene applicata effettivamente allora si può dire che il rispetto della legge crea occupazione così come oggi la revisione periodica delle auto ha creato un indotto occupazionale.
Il sindacato del futuro
Una battaglia sindacale che guardi al futuro è finalizzata ad ottenere la certificazione ambientale degli impianti e la diffusione di analisi rigorose che misurino le concentrazioni dei metaboliti degli inquinanti come IPA e benzene (agenti cancerogeni) nei liquidi biologici dei singoli lavoratori.
"Quanto benzene hai assorbito?"
"Quanto benzene entra nel tuo corpo?" Provatelo a chiedere ad un campione statistico di cento lavoratori Ilva: dubito che ne troverete uno che lo sappia. Eppure l'azienda dovrebbe misurare gli indicatori biologici e i singoli lavoratori dovrebbero essere informati con tanto di referti di laboratorio alla mano.
Alessandro Marescotti
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