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Articolo sul Paese Basco pubblicato dal mensile "Guerra e Pace"
Paese Basco: Zona di guerra?
di Marco Santopadre
(Articolo pubblicato su Guerra e Pace nel Febbraio 2004)
All'alba del 4 novembre alcuni tranquilli borghi del Paese basco si sono
trasformati in zona di guerra. In uno squallido remake di Apokalipse Now,
elicotteri da combattimento hanno scaricato nelle piazze di Euskal Herria
un migliaio di paracadutisti in assetto da guerra che, per sgranchirsi le
gambe, hanno scelto il territorio che meno li ama. Sindaci e semplici
cittadini hanno denunciato l'atteggiamento aggressivo dei paracadutisti di
Alcalà de Henares che hanno letteralmente occupato i paesi inscenando
combattimenti e rastrellamenti. Ai cittadini atterriti certe scene hanno
riportato alla mente la tragica invasione dei battaglioni di Francisco
Franco e i bombardamenti della Legione Condor a Gernika e Durango. Eventi
lontani ma mai dimenticati: a tenere vivo il ricordo ci ha pensato il
Partido Popular (Pp) di Aznar che si rifiuta tuttora di condannare la
ribellione del Generalissimo e i più di quarant'anni di spietata dittatura
i cui fasti qualche esponente del governo vorrebbe anzi rivivere.
SARÀ UN CASO?
I paracadutisti non si sono accontentati di "conquistare" ben 65 centri in
Araba, Bizkaia, Gipuzkoa e Nafarroa, ma sono arrivati a occupare il centro
di grandi città come Bilbao e Gasteiz, sorvolando a bassa quota le sedi del
governo della Comunità autonoma (Cav) e accampandosi a pochi metri dalla
Radio pubblica basca. Sarà un caso che le sedi delle istituzioni autonome
siano diventate obiettivi militari? Oppure che la maggioranza dei municipi
militarizzati siano stati governati dalla sinistra indipendentista prima
che il Parlamento di Madrid e il supergiudice Garzon ne decretassero la
messa fuori legge?
Certamente no, come hanno fatto notare esponenti di tutti i partiti baschi,
dai cosiddetti moderati (Partito nazionalista basco ed Eusko Alkartasuna)
alla sinistra indipendentista (la disciolta ma attiva Batasuna e la neonata
Aralar). Anche i dirigenti locali della Sinistra unita hanno avuto parole
di fuoco per delle esercitazioni che, per quanto possa dire il ministro
della Difesa, Trillo, non sono affatto abituali all'interno dei centri
abitati. I cui sindaci, tra l'altro, non sono stati neanche preavvisati
delle imminenti manovre. Come ha fatto notare Eudima, la Federazione dei
Municipi baschi "insubordinati", di fronte a un rifiuto da parte degli enti
locali l'esercito avrebbe comunque portato a termine le manovre,
evidenziando però che i comandi militari e lo stato se ne infischiano
dell'autonomia e della volontà popolare e sono disponibili anche a
ricorrere alla sopraffazione pur di perseguire i propri piani. Il
presidente di Eudima ha comunque invitato la società civile a opporsi alle
esercitazioni, manifestando un'opposizione al militarismo di Madrid che già
nel 1984 il popolo basco evidenziò votando "no" all'adesione alla Nato.
Anche in occasione delle recenti avventure militari di Aznar - contenzioso
col Marocco per la sovranità dell'isola di Perejil e invasione dell'Iraq -
la maggioranza del parlamento regionale basco si è pronunciata in maniera
opposta alle istituzioni spagnole.
UN NUOVO PATTO POLITICO
Il territorio basco è il più militarizzato dello stato e secondo in Europa
solo al Nord Irlanda: nel 2001 il numero di appartenenti ai corpi di
sicurezza dello stato sia civili che militari sono passati in Euskal Herria
da 22.000 a 23.700 (dati dall'associazione Askatasuna, mai smentiti). I
cittadini baschi - neanche tre milioni - sono abituati a vivere in stato
d'assedio. Ma le esercitazioni di novembre sono da considerarsi un
messaggio politico chiaro sia alla base sociale della sinistra
indipendentista che al governo regionale retto dal tripartito Pnv-Ea-Ezker
Batua (sezione basca di Izquierda Unida) impegnati in un difficile quanto
fondamentale processo di costruzione nazionale che permetta alla società
basca di potersi esprimere liberamente sul proprio futuro.
Lo schieramento di soldati armati nei centri abitati suona come
un'esplicita provocazione nei confronti del Nuovo statuto presentato dal
Lehendakari (presidente del governo della Cav) Juan Josè Ibarretxe. Nel 24°
anniversario del vecchio Statuto d'autonomia (che convinse assai poco la
popolazione basca per le limitazioni imposte all'esercizio
dell'autogoverno), egli ha proposto un "nuovo patto politico per la
convivenza", attraverso una "sovranità condivisa" e "la libera associazione
a uno stato plurinazionale". La proposta dovrebbe essere sottoposta a
referendum nelle tre province della Cav (Vizcaya, Guipuzcoa e Alava).
"Stiamo parlando di un patto e di un modello di co-sovranità libera e
volontariamente condivisa", ha sottolineato il lehendakari, il cui scopo è
creare un "sistema bilaterale con garanzie che non permettano una modifica
unilaterale" degli accordi fra stato e istituzioni basche. Ibarretxe ha
aggiunto che, siccome Madrid non ha mai trasferito all'esecutivo basco le
competenze che gli spettano in base al vecchio Statuto, procederà
autonomamente in settori come il welfare, la ricerca scientifica, il
sostegno alle manifestazioni culturali.
UNA NUOVA AUTONOMIA
Il testo comporta una profonda revisione della normativa vigente. Non è più
il popolo basco a costituirsi in comunità all'interno dello stato, ma sono
le tre province, in quanto parte integrante di Euskal Herria, che si
costituiscono in "comunità basca liberamente associata allo stato
spagnolo". Scompare l'idea di una possibile adesione della Navarra alla
Cav, mentre si prevede la possibilità di una futura fusione in una
struttura politica comune. Nel frattempo il testo invita le due comunità a
stringere relazioni a tutti i livelli, così come coi territori baschi
all'interno dello stato francese, sfruttando gli incentivi alla
cooperazione transfrontaliera previsti dall'Ue.
La Navarra è stata storicamente la culla della lingua basca, non a caso
definita anche "Lengua Navarrorum". Il Regno di Navarra fu l'unica forma
statuale che riunì tutti i territori attualmente considerati come "Euskal
Herria" dalle varie correnti patriottiche, perdendoli poi man mano che
cresceva la potenza delle corone di Castiglia e Aragona.
I Navarri si sono sempre considerati baschi, anche se nell'ultimo secolo è
cresciuto un sentimento "navarrista" che alcuni abitanti della provincia
ritengono compatibile con l'identità basca e altri con quella spagnola. La
separazione istituzionale della Navarra dal resto dei territori baschi
spagnoli in realtà avvenne solo dopo la morte di Franco, quando i partiti
centristi e il Psoe appoggiarono la creazione di una Comunità forale a
parte rispetto alla Cav. L'esclusione della Navarra dall'attuale statuto da
una parte è una presa d'atto delle diverse opinioni che dividono i navarri,
dall'altra però è una pericolosa concessione ai nazionalisti spagnoli che
soffiano sul fuoco di un particolarismo "navarrista" ferocemente
conservatore per tentare di rendere ancora più improbabile la risoluzione
del conflitto. Ciò che è negativo è l'esclusione dei cittadini navarri
dalla possibilità di partecipare al dibattito sul futuro del Paese Basco.
I poteri della nuova Autonomia emanano dalla sua cittadinanza, la cui
volontà popolare deve essere soddisfatta dal patto tra istituzioni basche e
stato basato sull'accettazione del fatto che il nuovo regime "non comporta
alcuna rinuncia ai diritti storici del popolo basco, che potranno essere
riattualizzati in ogni momento in virtù di una volontà popolare
democraticamente espressa". Il testo difende "l'esercizio democratico del
diritto di decisione" per la popolazione delle tre province, includendo la
possibilità di alterare la relazione politica con lo stato. Mentre lo
Statuto in vigore limita le competenze del governo autonomo ai poteri
esecutivo e legislativo, il nuovo progetto prevede la creazione di un
Consiglio giudiziario basco.
Il Piano Ibarretxe prevede il concetto di "nazionalità basca", considerata
compatibile con quella spagnola, e stabilisce che vi possano accedere tutti
i residenti nei Municipi della Comunità (escludendo quindi la Navarra e le
province del Nord) e i membri della diaspora. Alle istituzioni autonome
spetterebbe il compito di garantire la rappresentatività e la
partecipazione alle decisioni politiche dei cittadini baschi, così come di
competenza del parlamento di Gasteiz sarebbe la "creazione, il
riconoscimento, l'organizzazione e l'estinzione dei partiti", entrando in
contraddizione con il parlamento spagnolo che nell'agosto del 2002 varava
una legge ad hoc ("Ley de Partidos") finalizzata a rendere illegale ogni
espressione politica della sinistra indipendentista, impedendo la
rappresentanza politica di un quinto della società basca.
CHI ALIMENTA IL CONFLITTO?
La risposta di Madrid non si è fatta attendere. Il segretario generale del
Pp spagnolo e candidato alla presidenza del governo, Mariano Rajoy, ha
annunciato che adotterà tutte le misure giuridiche e politiche possibili
"affinchè nulla, si chiami Piano Ibarretxe o terrorismo, prevalga sullo
stato di diritto". Ancora più esplicito il suo omologo basco Carlo
Iturgaiz: "Ibarretxe si è messo nel solco della linea dettata dall'Eta,
portandone a termine i compiti politici". Sulla stessa linea il capo dei
socialisti della Cav: "la proposta di nuovo statuto porta il paese verso un
conflitto senza precedenti col resto delle istituzioni dello stato".
I partiti statali mettono sullo stesso piano un processo democratico di
dibattito politico e le azioni armate di una organizzazione clandestina. E
per alimentare quel conflitto che dicono di voler evitare sono costretti a
importare nel Paese basco migliaia di nazionalisti spagnoli provenienti da
altre zone. L'ultima occasione è stata la manifestazione convocata, con
grande spiegamento di mezzi, da Basta Ya nella città di Donostia, quando
12.000 persone giunte in pulman da Castiglia, Andalusia e Cantabria hanno
sventolato le bandiere spagnole al grido di "riprendiamoci i Paesi baschi".
La presenza di neofranchisti e di estremisti del nazionalismo spagnolo era
così soffocante che alcuni esponenti del Partito socialista sono stati
costretti a dissociarsi dal corteo al quale avevano dovuto partecipare su
input di Madrid.
A COLPI DI LEGGI
Se l'invasione dell'esercito e dei nostalgici di Franco non sortiscono
l'effetto sperato, certamente più incisivo è stato l'intervento a livello
legislativo: in pochi anni il Partido Popular ha stravolto il volto della
monarchia parlamentare nata dal patto realizzato dai partiti antifranchisti
con alcuni settori delle gerarchie falangiste all'indomani della morte del
dittatore.
Prima è venuto l'arresto della direzione di Herri Batasuna, poi la chiusura
del quotidiano Egin, di una radio e della rivista Ardi Beltza; la
illegalizzazione e la persecuzione di organizzazioni giovanili, per la
difesa della lingua e dei diritti degli ormai 700 prigionieri politici
(cifra raramente raggiunta anche durante gli anni bui del franchismo); poi
la chiusura del partito politico Batasuna e del giornale "Egunkaria", i cui
dirigenti e giornalisti sono stati arrestati e torturati. Il teorema
ispiratore stabilisce che tutte le opzioni politiche, associative,
culturali, sindacali che si riconoscono nella richiesta del diritto
all'autodeterminazione del popolo basco non sarebbero altro che la
manifestazione, a livelli legali, della "banda terrorista Eta". La novità
sta nel fatto che la magistratura spagnola ha cominciato a colpire anche
gli esponenti dei partiti baschi cosiddetti moderati, come quando un
giudice del Tribunale speciale ha inquisito il supplemento satirico del
paludato giornale del Pnv per "delitto di lesa maestà"(!) perché aveva
osato irridere il matrimonio tra Filippo di Borbone e la giornalista
Letizia Ortiz.
Un episodio minore, ma che si accompagna a una serie interminabile di
denunce e minacce nei confronti di chi osa opporsi: sindaci imprigionati
perché colpevoli di aver dato vita a una federazione di Municipi baschi
ritenuta illegale; sindaci e consiglieri navarri puniti perché osano
esporre la bandiera basca; il deputato indipendentista Jon Salaberria
condannato a un anno di carcere e a sette di inabilitazione per una
dichiarazione rilasciata dentro l'emiciclo ma ritenuta delittuosa da una
magistratura spagnola che non rispetta neanche l'immunità parlamentare.
GIUSTIZIA AD HOC
La denuncia nei confronti di tre esponenti del governo di Gasteiz per
"delitto di ribellione" preoccupa non poco gli autonomisti. Sulla base del
voto maggioritario del parlamento basco che respingeva la messa fuori legge
di Batasuna, Juan María Atutxa (Pnv), Gorka Knorr (Ea) e Kontxi Bilbao (Eb)
si sono rifiutati di dissolvere il gruppo parlamentare indipendentista e di
tagliargli il finanziamento pubblico. Comportamento che sulla base
dell'attuale legge potrebbe costargli due anni di sospensione dal loro
incarico. Ma per i tre vi è la possibilità di una condanna ben più
esemplare, visto che il governo ha ottenuto dalla Cortes di Madrid la
modifica del Codice penale, varata ad hoc per punire i delitti di
"disobbedienza", "ribellione" e "sedizione" e pensata soprattutto per
impedire che nel Paese basco un referendum popolare possa approvare il
nuovo Statuto d'autonomia. Jaime Mayor Oreja aveva da tempo annunciato che
"l'azione della giustizia contro il Piano Ibarretxe sarà crescente e
implacable". Sia il Psoe che i partiti regionalisti che in questi anni
hanno spalleggiato Aznar non hanno potuto avallare un nuovo codice penale
che punisce con cinque anni di carcere tutti coloro che - eletti o
funzionari - si rendano responsabili dell'indizione o dell'organizzazione
di referendum realizzati senza l'approvazione di Madrid. Il nuovo testo
istituisce addirittura il reato di "finanziamento con fondi pubblici di
partiti messi fuori legge"! La condanna per sedizione prevede dagli otto ai
dieci anni di carcere per i normali cittadini e dai dieci ai quindici per
le "autorità politiche" che si schierino contro le decisioni delle autorità
A richiedere tale inasprimento della legislazione repressiva nei confronti
di una possibile soluzione negoziale del conflitto tra popolo basco e stato
spagnolo sono stati naturalmente gli ambienti più retrivi della classe
politica spagnola, che purtroppo sembrano godere di una fiducia
incondizionata da parte dell'opinione pubblica di quella "Spagna profonda"
che odia profondamente tutto ciò che è basco e che sembra disponibile ad
accettare ogni sorta di limitazione delle proprie libertà politiche in
cambio della repressione dei "separatisti". Ma sono state anche alcune
associazioni di magistrati, oltre alla confindustria basca e navarra,
assieme alle alte gerarchie della Chiesa cattolica, a spingere sul governo
affinché si prendessero tutte le misure necessarie per bloccare la voglia
di sovranità del popolo basco incarnata, seppur timidamente, dal Piano
Ibarretxe.
LA SINISTRA INDIPENDENTISTA
La sinistra indipendentista, che seppur ridotta alla clandestinità continua
a mobilitarsi, ha criticato la proposta Ibarretxe perché insufficiente e
contraddittoria. Ma contemporaneamente il suo portavoce Arnaldo Otegi ha
proposto un'alleanza elettorale e politica di tutte le forze basche che si
oppongono alla deriva autoritaria e centralista del governo centrale, in
vista delle elezioni generali di primavera. Eusko Alkartasuna si è mostrato
disponibile, ma il Pnv tentenna. Da una parte il partito di Ibarretxe sogna
una stabilità che gli permetta di continuare a gestire la cosa pubblica nel
Paese basco; dall'altra però sa che il Pp, al contrario dei predecessori
socialisti, non è disponibile a delegare agli autonomisti la gestione del
potere in un territorio centrale a livello economico nonché simbolico. Il
Pp ha provato la via dello sfondamento elettorale nei consigli elettivi
baschi ma, non riuscendoci, ha deciso di cambiare strategia, togliendo di
mezzo prima Batasuna e tentando adesso la stessa operazione con le opzioni
"moderate".
È evidente che il progetto del Pnv di aumentare il grado di autogoverno
utilizzando le vie legali concesse dalla legislazione statale non è
attuabile, visto che il Pp e i poteri forti spagnoli hanno dimostrato di
poter cambiare le regole del gioco in corso d'opera. La "Legge dei partiti"
e poi la riforma restrittiva del Codice penale segnano la cancellazione
pressoché totale dello stato di diritto in una Spagna in cui i mezzi
d'informazione di massa sono concentrati nelle mani di un unico gruppo
editoriale, in cui la divisione dei poteri è un lontano ricordo, in cui le
élite economiche sognano e perseguono un'espansione internazionale sulla
scia dell'alleato Bush.
Non è pensabile alcun processo che porti alla sovranità e alla convivenza
nel Paese basco, e alla conseguente fine della violenza politica, senza la
violazione della legalità imposta da Madrid contro la volontà popolare. La
sinistra basca ha dimostrato più volte di saper violare la legalità, in
nome della giustizia, anche attraverso la disubbidienza di massa. Il Pnv,
al contrario, è stato per trent'anni il garante della legalità a qualsiasi
costo.
José Luis Bilbao, del Pnv, ha assicurato che "non ci sarà codice penale o
delitto di ribellione che possano fermare una società determinata e piena
di speranza".
Sarà in grado e, soprattutto, vorrà il Pnv andare fino in fondo o
trasformerà Euskal Herria in zona di guerra?