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La nonviolenza e' in cammino. 730
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 730
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>
- Date: Wed, 12 Nov 2003 00:15:50 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 730 del 12 novembre 2003
Sommario di questo numero:
1. Sosteniamo l'iniziativa di Ginevra per la pace in Medio Oriente
2. Ali Rashid: un appello per la pace
3. Lidia Menapace: dalla Svizzera, all'Europa, all'Onu
4. L'appello di Verona per un'Europa neutrale e nonviolenta
5. Il foglio informativo del "Centro studi difesa civile" di novembre 2003
6. Claudio Bazzocchi: peace-building e interpretazione dei conflitti (parte
seconda)
7. Peppe Sini: le bombe di Viterbo
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'
1. APPELLI. SOSTENIAMO L'INIZIATIVA DI GINEVRA PER LA PACE IN MEDIO ORIENTE
[Da Ali Rashid (per contatti: alirashid@tin.it) riceviamo e diffondiamo
questo appello, al quale aderiamo e invitiamo tutti i nostri interlocutori
ad aderire]
Noi firmatari di questo appello chiediamo al nostro Paese di sostenere
l'intesa di pace che sara' siglata a Ginevra.
Crediamo che la pace nel Medio Oriente passi per il riconoscimento reciproco
dello Stato di Israele e dello Stato della Palestina. Due popoli in due
stati.
Siamo contrari all'occupazione militare israeliana dei territori palestinesi
occupati nel 1967 che viola le risoluzioni dell'Onu e che produce sofferenze
indicibili alla popolazione palestinese costretta a subire violenze e
umiliazioni di ogni tipo. Vogliamo che i cittadini israeliani possano vivere
in sicurezza senza la paura di essere uccisi dai kamikaze palestinesi e che
i palestinesi possano avere uno Stato indipendente.
Occupazione, violenza e terrorismo alimentano l'odio trascinando entrambi i
popoli verso la loro distruzione.
Il futuro di Israele e della Palestina passa per la pace, il dialogo, la
convivenza tra popoli, religioni, culture diverse.
Allo scontro tra le civilta' contrapponiamo il rispetto del diritto e della
legalita' internazionale. Alla "guerra preventiva" preferiamo la politica
come unico strumento per governare le controversie internazionali.
Non dobbiamo lasciare soli i cittadini israeliani e palestinesi. Dobbiamo
aiutare chi, nelle due societa', si batte per la soluzione pacifica del
conflitto.
Non puo' sfuggire, infatti, l'importanza del patto per la pace che sara'
firmato a Ginevra, insieme ad altre analoghe iniziative, tra alcuni
rappresentanti autorevoli delle due parti in conflitto per i riflessi
positivi che l'accordo puo' produrre sull'intera area medio orientale e nei
rapporti con l'Europa.
Per questi motivi chiediamo al governo italiano di sollecitare il governo
israeliano e l'autorita' nazionale palestinese a riprendere il dialogo.
Milioni e milioni di cittadini in tutto il mondo si sono mobilitati nei mesi
scorsi per la pace ma non sono riusciti ad impedire la guerra.
Questa volta la pace e' possibile malgrado l'ottusita' di chi vuole la
guerra ad ogni costo.
2. EDITORIALE. ALI RASHID: UN APPELLO PER LA PACE
[Ringraziamo Ali Rashid (per contatti: alirashid@tin.it) per questo
intervento. Ali Rashid e' il primo segretario della delegazione palestinese
in Italia. Fine intellettuale di profonda cultura, conoscitore minuzioso
degli aspetti storici, politici, economici e culturali della situazione
nell'area mediorientale, esperto di questioni internazionali, ed anche acuto
osservatore della vita italiana. E' figura di grande autorevolezza per
rigore intellettuale e morale, ed e' una delle piu' qualificate voci della
grande tradizione culturale laica palestinese. Suoi scritti appaiono sovente
nel nostro paese sui principali quotidiani democratici e sulle maggiori
riviste di cultura e politica]
Quello che precede e' il testo dell'appello per raccogliere le firme a
sostegno di un processo di pace in Palestina tra israeliani e palestinesi.
In questo appello si fa riferimento all'accordo che sara' firmato a Ginevra
all'inizio di dicembre.
La bozza dell'accordo non e' la migliore in assoluto, anche perche' questa
eventualita' appartiene ormai al passato. I protagonisti di questo testo
credono di avere fatto del loro meglio, comunque la bozza rappresenta un
passo avanti rispetto a quello di Oslo e della Road Map per quanto riguarda
i contenuti ma anche le modalita' di applicazione.
Il suo valore piu' importante, secondo me, sta nel fatto che apre la strada
affinche' la politica possa svolgere il suo ruolo al posto della guerra, e
dimostra che la pace e' possibile.
Il dibattito che ha suscitato questo documento sta attraversando le due
societa' ed e' di per se' positivo, ora questo dibattito si sta spostando
verso l'Europa e gli Stati Uniti, e sara' al centro della campagna
elettorale, quindi potrebbe rappresentare lo spunto per una politica estera
americana alternativa a quella della guerra preventiva e permanente della
amministrazione Bush. Un esito simile forse si avra' in Italia dove il
governo in carica si e' schierato con Bush e Sharon.
Un nuovo approccio alla questione della pace in Palestina che porta anche
alla stabilita' in Medio Oriente, e' un approccio che rovascia la situazione
attuale dove secondo i conservatori americani e' la guerra permanente che
porta alla pace ed alla democrazia.
3. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: DALLA SVIZZERA, ALL'EUROPA, ALL'ONU
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace@virgilio.it) per
questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla
Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica
amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra
le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti
della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli
scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e
riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a
cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani,
Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia
politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in
collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra
indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001]
Non provate un po' di invidia per la Svizzera, il piu' vituperato dei paesi
neutrali?
Ospita sul suo territorio i colloqui di pace tra israeliani e palestinesi
democratici, quelli che si smarcano dai rispettivi governi (fanno obiezione
rispetto ai governanti, ne incrinano la legittimazione) e cercano di fare
pace e non violenza, trattativa e non distruzione.
Non e' forse vero che una Europa piu' indipendente politicamente (uno dei
risvolti della neutralita' militare e' anche l'indipendenza politica)
sarebbe il luogo giusto e di giusto peso per trattative di questo tipo?
E non vi pare significativo che la questione mediorientale, dopo essere
passata da Clinton a Bush e sempre sfuggita a qualsiasi paese europeo, sia
approdata nella Svizzera neutrale e non alle Nazioni Unite? delle quali
l'indipendenza politica e' molto dubbia, anche se crescente.
Ma perche' la sia pur crescente indipendenza politica delle Nazioni Unite e'
meno significativa della vecchia neutralita' svizzera? Perche' le Nazioni
Unite portano il segno della loro origine, e cioe' di essere nate dai
vincitori della seconda guerra mondiale. Fino a che non riusciremo a
scrostare da loro i segni della "vittoria" non saranno credibili. Gli
scontri che vi avvengono non sono limpidi conflitti tra interessi
dichiarati, ma piuttosto mimesi di guerre non ancora scoppiate.
L'Europa unita avrebbe peso sufficiente per avviare anche una riforma delle
Nazioni Unite che le ripulisca degli avanzi della guerra e dai segni
prepotenti della vittoria, dia piu' peso all'assemblea di tutti gli stati,
faccia un consiglio di sicurezza tutto a rotazione, inserisca nell'assemblea
anche rappresentanze di popoli, di minoranze e di movimenti, levi il diritto
di veto o lo conferisca ai paesi impoveriti: sono certa che l'Argentina
saprebbe fare buon uso del diritto di veto contro le politiche dei poteri
finanziari. Del resto anche nell'antica Roma il veto non era dei consoli che
avevano gia' il potere, era dei tribuni a nome di quelli che non avevano ne'
voce ne' voto, i plebei.
4. APPELLI. L'APPELLO DI VERONA PER UN'EUROPA NEUTRALE E NONVIOLENTA
[Riceviamo e diffondiamo l'appello frutto dell'incontro svoltosi l'8
novembre a Verona presso la Casa per la nonviolenza (per contatti:
azionenonviolenta@sis.it) sulla proposta di Lidia Menapace "per un'Europa
neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta"]
Il nostro programma costruttivo affinche' nasca l'Europa militarmente
neutrale, per la pace dentro e fuori i propri confini.
*
Siamo donne e uomini che affermano il diritto alla vita e alla pace per
tutti, non solo come valori supremi, ma anche come categorie giuridiche.
Siamo donne e uomini impegnati per l'abolizione degli eserciti, per il
disarmo unilaterale, e percio' lavoriamo affinche' l'Europa sia fondata sul
diritto alla pace.
Riconosciamo nella nonviolenza uno straordinario metodo a disposizione di
tutti, per risolvere i conflitti, per difendersi dai soprusi, per realizzare
nuove conquiste sociali. La nonviolenza e' il varco attuale della storia.
*
Vogliamo collegare la nascita dell'Europa con la necessaria riforma
dell'Onu.
Vogliamo che la Costituzione europea raccolga il meglio e i punti
socialmente piu' avanzati delle Costituzioni degli stati membri.
Vogliamo che l'Europa sancisca il diritto alla pace e il ripudio della
guerra.
*
Chiediamo che l'articolo 1 della Costituzione europea recepisca in pieno
l'articolo 11 della Costituzione italiana.
Chiediamo che la Costituzione europea recepisca le sentenze della Corte
Costituzionale italiana: la difesa non e' solo quella militare, ma e' anche
difesa civile.
Chiediamo che la sicurezza dell'Europa sia basata sulla riduzione degli
armamenti (che oggi sottraggono enormi risorse alle spese sociali).
Chiediamo che non nasca un nuovo esercito europeo, ma si costituiscano
invece i Corpi Civili di Pace.
*
Convochiamo un convegno di studio e di proposta politica per il giorno 8
dicembre a Venezia, che si concludera' con una manifestazione per lanciare
il nostro appello, rivolto a tutte le cittadine ed i cittadini europei, e ai
capi di stato e di governo che si riuniranno a Bruxelles il 12 e 13
dicembre.
*
Ci impegnamo affinche nella prossima campagna elettorale i partiti siano
costretti a confrontarsi sul progetto di un'Europa neutrale, disarmata,
solidale, nonviolenta.
*
I e le partecipanti all'incontro:
Ando' Valeria
Baleani Marco
Beltrame Elena
Benzoni Giovanni
Bonomi Rosa Pia
Brunelli Cristina
Candelari Paolo
Cannata Maria
Capitini Annamaria e Luciano
Cristini Guido
Dal Bosco Giannina
Dall'Agata Stefano
De Battisti Biancarosa
Di Rienzo Maria G.
Filippini Luigi
Forigo Luigi
Geneth Maria
Giuffrida Angela
Heyhwood Asma
Lanfranco Monica
Magistrini Silvia
Mantovani Marisa
Melotti Lelia
Menapace Lidia
Menin Matteo
Moratto Adriano
Pacifico Anna
Palombo Marco
Paronetto Sergio
Perna Franco
Pesenti Rosangela
Poli Ruggero
Racca Piercarlo
Restivo Alessi Rosanna
Rossi Luciana
Soccio Matteo
Valpiana Mao
Zanotelli Luisa
5. INFORMAZIONE. IL FOGLIO INFORMATIVO DEL "CENTRO STUDI DIFESA CIVILE" DI
NOVEMBRE 2003
[Dal "Centro studi difesa civile" (per contatti: info@pacedifesa.org)
riceviamo e diffondiamo]
Presentazione
Esce un'edizione speciale della newsletter del "Centro studi difesa civile"
dedicata alla rubrica "Interventi Internazionali" che si occupa degli
interventi civili in conflitti internazionali. Vogliamo attivare gruppi di
lavoro su questa tematica, in base all'interesse ed al contributo dei
lettori e di nuovi collaboratori. Siamo quindi interessati a ricevere da
parte vostra lavori di ricerca e articoli che si ispirino al principio di
difesa civile nonviolenta e pragmatica. Per collaborare potete contattare:
alessiabacchi@pacedifesa.org, oppure tel. 0755726641 (ore 9,30-13,00 dal
lunedi' al venerdi').
In particolare la rubrica conterra' notizie sulle attivita' di Nonviolent
Peaceforce (Np).
Per aiutare Np e gli operatori di pace in Sri Lanka ed eventualmente in
altri paesi, il "Centro studi difesa civile" sta creando una rete di
emergenza.
Questa consiste in un gruppo internazionale di persone in contatto tra loro
che, tempestivamente informate su un eventuale atto di violenza contro gli
operatori o contro gli attivisti del dialogo, da loro protetti, si attivino
per denunciare il fatto all'opinione pubblica, attraverso stampa, ambasciate
e istituti diplomatici in genere in Italia e all'estero.
Stiamo raccogliendo iscrizioni per la rete di emergenza e se vorrete farne
parte sarebbe un'ottima opportunita' per dare un aiuto concreto alla
gestione nonviolenta dei conflitti.
Se volete partecipare scrivete a: alessiabacchi@pacedifesa.org
*
Progetto Sri Lanka
Il "Centro studi difesa civile" sta attivando un progetto per il sostegno
all'intervento di Np in Sri Lanka che si basa sulla creazione di un
video-documentario su Np in Sri Lanka e sull'invio di volontari.
Trovate i dettagli del progetto alla pagina web:
www.pacedifesa.org/interventi_internazionali/sri_lanka.asp
*
Libro sull'accompagnamento internazionale
E' possibile trovare presso la segreteria della sede italiana di Peace
Brigades International (Pbi) un libro che descrive l'accompagnamento
internazionale come strumento per proteggere gli attivisti dei diritti umani
citando esempi concreti in Sud America e Sri Lanka. La presentazione del
libro la trovate nel sito del "Centro studi difesa civile" all'indirizzo:
www.pacedifesa.org/documenti/libro_accompagnamento_internazionale.pdf
*
Colombia vive
E' pubblicata nel sito del "Centro studi difesa civile"
(www.pacedifesa.org/interventi_internazionali/colombia_vive.asp ) la
relazione di Valentina Pinna sul forum "Colombia vive" tenutosi a Terni il
4-5 ottobre 2003. Inoltre vi e' il commento di Francesco Tullio al documento
politico elaborato durante il forum.
*
Interventi civili in conflitti internazionali: Guatemala
Troverete nel sito del "Centro studi difesa civile"
(www.pacedifesa.org/interventi_internazionali/guatemala.asp ) la relazione
della missione di monitoraggio dell'Unione Europea in Guatemala, scritta dal
nostro collaboratore Francesco Mugheddu, e la Relazione del nostro
collaboratore Francesco Mugheddu sulle prossime elezioni elezioni in
Guatemala. L'Osce e' presente in Guatemala come osservatrice e Francesco
Mugheddu e' parte del gruppo Osce sul posto.
*
Per sostenere le attivita' del "Centro studi difesa civile":
- c/c bancario n. 107165 intestato a: Centro Studi Difesa Civile - Abi
05018, Cab 12100, presso Banca Popolare Etica, filiale di Roma, via Rasella
14, 00187 Roma, causale: "donazione";
- c/c postale n. 12182317 intestato a: Banca Etica Roma - Causale: "c/c
107165 intestato a Centro Studi Difesa Civile".
*
Per informazioni e contatti: "Centro studi difesa civile", sito
www.pacedifesa.org; segreteria Perugia: c/o Auoc, Via della viola 1, 06122
Perugia, tel. e fax: 0755726641, e-mail: perugia@pacedifesa.org; segreteria
Roma: via Salaria 89, 00198 Roma, tel. 068419672, fax 068841749, e-mail:
pacedifesa-roma@mediazioni.org
6. RIFLESSIONE. CLAUDIO BAZZOCCHI: PEACE-BUILDING E INTERPRETAZIONE DEI
CONFLITTI (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)
[Ringraziamo Claudio Bazzocchi (per contatti: claudio.bazzocchi@poste.it)
per questo intervento che sviluppa la riflessione proposta dall'intervento
di Francesco Tullio apparso sul n. 719 del primo novembre 2003 di questo
foglio. Come gia' abbiamo scritto, "come i lettori sanno, su questo foglio
non si ama accogliere interventi polemici, ma in questo caso gli
interlocutori sono due nostri cari amici che stimiamo come autorevoli
costruttori di pace, e forse questa riflessione, decantata dei modi forse
bruschi e dei possibili fraintendimenti che nel registro espressivo adottato
sono forse talora inevitabili ancorche' dispiacevoli, puo' giovare ad un
processo di chiarificazione di cui l'intero movimento per la pace ha grande
bisogno. La nonviolenza e' un'altra cosa dalla subalternita' e dalla
complicita' con un ordine iniquo del mondo, e un'altra cosa da un approccio
riduzionista ai problemi politici e sociali, e un'altra cosa dai naufragi
teorici e pratici di tanta parte dell'area cosiddetta pacifista e della
solidarieta': la nonviolenza e' - tra l'altro, ma decisivamente - la
proposta teorica e pratica piu' nitida ed intransigente di lotta contro
tutte le oppressioni e le menzogne". Un solo rilievo ci corre l'obbligo di
aggiungere qui en passant: la rappresentazione di seguito proposta
dell'intervento nei Balcani dei Beati i costruttori di pace e
dell'Operazione Colomba e' non solo ingenerosa ma ingiusta; cosi' come la
supposizione che Francesco Tullio sia fautore di un approccio riduzionista,
quando invece e' da sempre un sostenitore di una lettura che valorizzi la
complessita' dei problemi e richieda la coscienza della molteplicita' delle
dimensioni sia di essi che degli approcci interpretativi ed operativi;
infine, se vi e' stata in Europa in tempi recenti una situazione in cui
l'approccio nonviolento ha dispiegato la sua profondita' ed efficacia
ermeneutica forse e' stata proprio la vicenda jugoslava: e si vedano ad
esempio in ambito italiano alcune esperienze e riflessioni di Alex Langer,
di Giuliano Pontara, di Alberto L'Abate, gli studi di Emanuele Arielli e
Giovanni Scotto, alcune ricerche ed analisi dell'Osservatorio sui Balcani.
Claudio Bazzocchi, gia' responsabile dell'area ricerca dell'Osservatorio sui
Balcani, precedentemente e' stato per nove anni dirigente del Consorzio
Italiano di Solidarieta' (Ics); fa parte del comitato promotore italiano del
Movimento antiutilitarista nelle scienze sociali (il "Mauss" -
nell'acronimo che evoca anche l'eredita' teorica e civile del grande Marcel
Mauss - che in Francia rappresenta una rilevante esperienza di studio e di
impegno che ha come uno dei suoi principali promotori Serge Latouche); tra
le sue opere: La balcanizzazione dello sviluppo, Il Ponte, Bologna 2003.
Francesco Tullio, prestigioso studioso e amico della nonviolenza, e' uno dei
piu' noti peace-researcher a livello internazionale e animatore di molte
iniziative per la pace e la gestione e risoluzione nonviolenta dei
conflitti; nato a Roma il 18 giugno 1952, laurea in medicina e chirurgia,
specializzazione in psichiatria, libero professionista, psicoterapeuta,
esperto di gestione delle risorse umane, di prevenzione e trasformazione dei
conflitti, di problem solving organizzativo; docente di psicoterapia breve
alla Universita' di Perugia, docente di psicologia al master "Esperto in
cultura d'impresa" all'Universita' di Perugia, 2001, ricercatore a contratto
con il Centro militare di studi strategici nell'anno 1998-1999, presidente
onorario del Centro studi difesa civile (sito: www.pacedifesa.org) di cui e'
stato e resta infaticabile animatore, ha coordinato ricerche per diversi
enti, tra cui quella per l'Ufficio Onu del Ministero Affari Esteri su "Ong e
gestione dei conflitti. Il confidence-building a livello di comunita' nelle
crisi internazionali. Analisi, esperienze, prospettive"; promotore del
Centro di ricerca e formazione sui conflitti e la pace presso l'Universita'
di Perugia e dell'Istituto internazionale di ricerca sui conflitti e per la
pace; numerose le sue esperienze come medico, in Germania, in Nicaragua ed
in Italia, sia in reparti di medicina che di chirurgia ed in particolare in
pronto soccorso, come medico di famiglia, inoltre come psichiatra nei
servizi pubblici ed in un servizio di medicina legale, infine come libero
professionista psicosomatista e psicoterapeuta; le sue attivita' di studioso
e formatore si sono incentrate sulla ricerca teorica, la gestione pragmatica
dei conflitti, sulla mediazione e la gestione delle risorse umane per e
nelle emergenze; e' impegnato dal 1970 in attivita' di volontariato per la
prevenzione della violenza e lo sviluppo umano; quale conduttore di
incontri, seminari, laboratori teorico-pratici, si e' occupato di gestione
dei conflitti, d'affiatamento di gruppi di lavoro, di gruppi di terapia e di
crescita umana; in ambito sociale tale interesse si e' tradotto in un
contributo culturale per la prevenzione e la gestione dei conflitti
intergruppali. In particolare ha coordinato ricerche e convegni sui temi
della violenza organizzata e della guerra; e' autore e curatore di diverse
pubblicazioni.
La prima parte di questo intervento e' apparsa sul n. 728 del 10 novembre
2003]
Leggiamo il dibattito sull'art.11 nell'ottica del nuovo "paradigma
umanitario"
Pensiamo inoltre al dibattito in corso in Italia da qualche anno sull'art.
11 della Costituzione, scomoda ormai a destra come a sinistra. Qual e' la
partita che si gioca oggi in Italia a proposito dell'art. 11 della
Costituzione?
In sostanza, dicono Berlusconi e D'Alema, l'uno in Parlamento l'altro in una
riunione del suo partito: nobilissimo quell'articolo, e anzi lo
condividiamo, ma si deve sapere che oggi la situazione e' cambiata. Noi non
vogliamo infatti fare guerra a stati sovrani, come nell'epoca moderna, nella
quale nasce la Costituzione italiana, ma vogliamo intervenire in quelli che
noi consideriamo non-stati per dispiegare il sistema umanitario, nell'ambito
di un nuovo paradigma di sicurezza.
Questa e' la vera partita che si gioca in Italia, al di la' delle
considerazione sulla moralita' o sull'utilita' della guerra: quella per
legittimare un sistema di relazioni internazionali in cui da un parte vi
sono stati sovrani - le potenze occidentali e i paesi piu' ricchi - e
dall'altra dei corpi sociali instabili, che rappresenterebbero la causa del
sottosviluppo e dei mali del mondo, quali il terrorismo.
Quindi ancora una volta l'obiettivo e' quello di oscurare ideologicamente le
questioni politiche fondamentali. Finche' questo obiettivo e' fatto proprio
dalla destra nel nostro paese, puo' essere anche comprensibile, ma che lo
faccia anche la sinistra, francamente e' incredibile.
Bisogna segnalare, comunque, che molti a sinistra ritengono sinceramente che
quello descritto sia un sistema di governance democratica, vicino ai valori
della sinistra, in quanto fondato sulla promozione della societa' civile,
sui diritti umani, la promozione della parita' di genere ecc. Anche molte
ong che si ispirano ai valori della sinistra la pensano in questo modo,
cadendo in una trappola ideologica, che e' importante denunciare.
*
Cadere nella trappola
Devo dire che nel leggere le cose di Tullio ho trovato un esempio di
associazione pacifista - anzi di centro studi pacifista - caduta in quella
trappola.
Riporto qui per comodita' l'intero passo del mio capitolo che riguarda il
lavoro di Tullio:
"Nel 2002 e' uscito un libro del Centro Studi Difesa Civile di Roma,
istituto di ricerca che ha come scopo quello di promuovere la difesa civile
non armata e lo studio sulla soluzione nonviolenta dei conflitti. Il libro
(11), curato dallo psichiatra Francesco Tullio, si occupa del ruolo delle
ong nella trasformazione dei conflitti nelle operazioni di pace all'interno
delle crisi internazionali, ed e' stato finanziato dal Ministero Affari
Esteri. Si compone di una parte teorica sui principi della risoluzione dei
conflitti e del peacebuilding, ed una parte di ricognizione delle esperienze
significative di interposizione nonviolenta e mediazione delle ong e
associazioni italiane nei contesti di guerra o post-guerra. Una terza parte
indica le prospettive e gli strumenti legislativi di cui avrebbero bisogno
tali associazioni nel loro lavoro di trasformazione e risoluzione dei
conflitti.
Ci interessa qui analizzare un capitolo della prima parte del libro, quella
teorica, in cui il curatore Francesco Tullio - psicoterapeuta e consulente
in problem-solving -, offre un'interpretazione psicosociale del conflitto in
Kosovo fra serbi e albanesi, a partire dalla "elaborazione paranoidea del
lutto in Milosevic ed in parte nei serbi come fattore psicologico dinamico
sottostante alla loro bellicosita'" (12). Il ragionamento di Tullio parte da
una concezione psicosociale dei conflitti, per la quale i conflitti
interpersonali si riversano su quelli fra i gruppi all'interno di una
societa', che a loro volta influenzano in modo negativo le relazioni fra
stati: "Cosi' come il modo in cui gestiamo i conflitti personali e sociali
e' determinante per la realizzazione di una societa' basata sulla giustizia
e la democrazia, cosi' il modo in cui le societa' affrontano i conflitti e'
determinante per la realizzazione di un sistema mondiale equilibrato" (13).
Per Tullio diventa allora di fondamentale importanza analizzare la
personalita' di Milosevic, e lo fa affidandosi ad alcune brevi dichiarazioni
sull'ex presidente - tratte dalla stampa - rilasciate da alcuni giornalisti
e uomini politici. Solana, segretario generale della Nato ai tempi della
guerra in Kosovo nel 1999, disse di Milosevic: "E' un uomo talmente fuori
dalla portata della mia logica che non riesco a capire quello che pensa...
l'impressione che si ha oggi, dopo avergli parlato, e' che e' un uomo in
trincea, rinchiuso in un bunker al di fuori della realta'" (14).
Il giornalista Bernardo Valli viene chiamato a testimoniare tramite un suo
articolo su "Repubblica" del 2000: "Il suo stile ieratico, forse ereditato
dal padre, prete ortodosso morto suicida, ed al tempo stesso senza carisma,
ebbe un effetto straordinario nel vuoto di potere lasciato dalla fine del
titoismo... L'assuefazione al macabro, dovuta alle vicende familiari ritmate
da morti innaturali, e ai metodi usati nella spietata scalata al potere,
contribuiva a rafforzare in lui lo sciovinismo, anche se puntualmente
perdente, che all'inizio era un semplice strumento" (15).
Per il giornalista americano Neil King jr. la guerra del 1999 "in fondo...
e' una guerra psicologica, una sfida fra la piu' potente alleanza militare
del pianeta contro la volonta' di un singolo uomo" (16).
Non contento di aver delineato i tratti della personalita' di Milosevic
mediante alcuni articoli di giornale, il nostro psichiatra decide che la
"sindrome di Milosevic" affliggerebbe in realta' anche gran parte del popolo
serbo. Ancora una volta vengono in soccorso dichiarazioni estemporanee di
alcuni osservatori del contesto balcanico: due giornalisti, un docente
universitario serbo che insegna negli Stati Uniti ed un funzionario Osce.
Vediamole.
Il giornalista Massimo Nava commenta cosi' una scritta sui muri a
Rambouillet - "La Serbia non e' una nazionalita', ma una malattia" - nei
giorni della trattativa fra serbi e albanesi (17) prima dei bombardamenti
Nato del 1999: "Malattia psicopolitica, forse cosi' si spiega la sindrome
d'accerchiamento combinata al patriottismo e alla voglia suicida di
collezionare sconfitte per riaffermare la propria identita'" (18).
Anche Walzer, capo degli osservatori Osce in Kosovo prima dei bombardamenti
del 1999 ha una sua precisa idea del popolo serbo: "La gente di questa
regione e' esasperante. E' paranoica... continuano a metterci alla prova,
come se volessero capire fin dove possono spingersi nel loro ostruzionismo
(19).
Per il giornalista Bernardo Valli i serbi confondono storia e leggenda:
"Capita spesso ai serbi di confondere storia e leggenda e di vivere la
storia come fosse attualita'. L'epica popolare che racconta ed esalta la
storia-leggenda fa parte dell'immaginario collettivo e della cultura
nazionale".
Da cosa nascerebbe allora la "sindrome di Milosevic" e le "posizioni
psichiche schizo-paranoidee" (20) per l'ex presidente serbo e per tutto il
suo popolo? Derivano dalla perdita dei genitori suicidi per Milosevic, e
dalla morte di un milione di serbi durante la seconda guerra mondiale per il
popolo. Il presidente ed il suo popolo attuano cosi' per Tullio una
"elaborazione paranoidea del lutto" (21): 'Nei primi contrasti con il
genitore il bambino che si trovi in una posizione schizo-paranoidea e non
depressiva, attiva delle fantasie di opposizione. In talune famiglie e
gruppi sociali le fantasie di opposizione interna non sono permesse, vengono
censurate, ed il bambino deve sottomettersi al padre, molto piu' forte, piu'
autoritario e minaccioso di lui. La carica oppositiva si tramuta in fantasie
di distruzione. Il bambino e' anche affezionato al genitore e non puo'
sempre tollerare tali fantasie, cosi' sul piano cosciente resta attaccato al
genitore. Tutta la componente emotiva negativa della relazione e'
sommersa... Quando il genitore muore veramente, il soggetto riattiva i
propri dubbi inconsci: 'Non sara' morto per le mie fantasie rabbiose e
distruttive?'. Ed ancora peggio se il genitore muore suicida: 'Si sara'
ammazzato perche' l'ho odiato o perche' non l'ho amato abbastanza? Sono io
responsabile della sua morte? Io con il mio desiderio di distruggerlo l'ho
ucciso veramente!?'... Il dubbio angosciosissimo di aver determinato la
morte del proprio genitore, del proprio oggetto d'amore rischia di ributtare
il soggetto in una crisi depressiva devastante... Ecco allora che la rabbia
distruttiva originariamente orientata contro il genitore si orienta contro
un capro espiatorio che diventa il colpevole di tutti i mali e di tutte le
perdite... Come e' successo ai serbi, in tal modo i soggetti non risolvono,
ma placano transitoriamente le angosce di colpa e di morte per loro
insopportabili ed anziche' percepirle, provano ad annegarle in uno scontro,
prima immaginario poi talvolta reale, contro il capro espiatorio che
intenderebbe sottometterli e controllarli, cosi' come sottomessi e
controllati sono stati loro da bambini. Questo e' quanto hanno fatto i serbi
in Kosovo" (22).
L'esempio fin qui citato e' paradigmatico della ricostruzione che
l'Occidente ha fatto delle guerre nei Balcani, in termini di barbarie,
inadeguatezza psichica e culturale e mancanza di valori. Non deve
sorprendere che sia un centro studi per la nonviolenza a condividere una
tale interpretazione del conflitto, dal momento che ormai questi soggetti
sono entrati a pieno titolo nell'ambito del sistema umanitario occidentale.
Ne' e' strano che ricerche del genere siano finanziate dal Ministero Affari
Esteri italiano. Abbiamo infatti gia' visto che i governi occidentali hanno
tutto l'interesse a promuovere un'interpretazione delle nuove guerre
completamente depoliticizzata. Comunque, al di la' della non sorpresa, ci
parrebbe utile che nel movimento pacifista si aprisse un dibattito sul fatto
che proprio al suo interno nascano pratiche interpretative delle culture
"altre" cosi' rozze e poco rispettose delle specificita' storiche, politiche
e sociali".
Sono disposto ad ammettere che la mia polemica sia stata molto ruvida, ma
posso assicurare Tullio che non si tratta di un attacco personale, dal
momento che lo conosco pochissimo da non poter provare nemmeno antipatia o
rancore per qualche episodio che riguarda la nostra vita comune di studiosi
e militanti del movimento per la pace. Prego Tullio di considerare quanto ho
scritto solamente come un episodio di lotta delle idee, che mi piacerebbe
continuare, magari in un dibattito pubblico da organizzare a Roma o a
Perugia - dove lui abita - o a Bologna, dove io abito.
*
"Conflict-resolution" e discorso filosofico della modernita'
Ci sono comunque altri due elementi che vorrei sottolineare, che considero
molto importanti e che invece non sono stati rilevati da Tullio. Sempre in
quel capitolo io scrivo che quando parliamo delle pratiche nonviolente e
della risoluzione dei conflitti ci troviamo al fondo delle questioni legate
al progetto filosofico della modernita'. Le teorie della risoluzione dei
conflitti e dell'interposizione nonviolenta presuppongono l'interazione di
una terza parte che sa gia' cos'e' giusto e cos'e' sbagliato e soprattutto
cosa e' irrazionale. Questa terza parte interviene avendo gia' deciso che la
guerra e' irrazionale e in sostanza dipende da un deficit di comunicazione
fra le parti. Inoltre le parti vengono considerate come un tutto unico:
serbi e albanesi, musulmani e croati, ecc. Scompaiono le classi sociali, gli
interessi economici e anche la considerazione della violenza indotta
dall'esterno, sotto forma di esclusione dai flussi dell'economia globale
legale.
Due sono allora i problemi che si aprono. Dobbiamo interrogarci sino a che
punto le teorie della risoluzione nonviolenta dei conflitti si situino
all'interno del discorso filosofico della modernita' occidentale, che in
ultima analisi si compie con il rischiaramento del tutto e l'annullamento di
qualsiasi "altro" che si muova fuori dai valori dell'Occidente. In secondo
luogo dobbiamo capire se la riduzione della guerra a conflitto fra due
parti - al di la' delle differenze di classe e della razionalita' dei
progetti politici ed economici ad essa sottesi - non legittimi le leadership
nazionalistiche che hanno tutto l'interesse a dipingere lo scontro come
etnico, religioso o di civilta'.
I mediatori che si impegnano nella risoluzione dei conflitti intervengono
con la consapevolezza che le parti in guerra agiscano in modo irrazionale.
Tutto cio' che e' successo nei Balcani e' stato considerato irrazionale, uno
scoppio di violenza barbaro, fuori dalla razionalita' e nello stesso tempo
riconducibile alla normalita' mediante gli strumenti del dialogo e della
composizione democratica dei conflitti. Chi media tende cosi' a presentare
quanto e' avvenuto durante la guerra come irrazionale e quindi illegittimo,
se non irrilevante, senza prendere in considerazione il contesto sociale e
politico in cui essi intervengono e senza considerare che le nuove guerre
balcaniche costruiscono significati sociali e assetti politici, economici e
istituzionali tutt'altro che irrazionali. Nel fare cio' si precludono un
vero dialogo con la societa' in cui operano e non riescono a riconoscere le
strategie politiche di resistenza ai nuovi assetti creati dalle elites
dominanti. Infatti, se il mediatore insiste nel pensare che la guerra e' un
conflitto etnico fra due parti, fara' fatica ad accorgersi che fuori dal suo
schema possono esserci gruppi sociali che lottano per assetti politici e
sociali alternativi a quelli delle elites nazionalistiche. Insomma, una
cultura di intervento orientata al problem-solving non sara' in grado di
capire la complessita' della realta' politica del luogo in cui opera e tutte
le sue stratificazioni sociali.
Non e' allora un caso che molti progetti di interposizione nonviolenta nei
Balcani ad opera di alcune grandi associazioni italiane, come Beati i
costruttori di pace o Papa Giovanni XXIII tramite l'"Operazione Colomba",
abbiano visto la partecipazione di giovanissimi poco piu' che ventenni con
scarsa conoscenza della realta' politica, economica, sociale e culturale in
cui andavano ad operare, fosse essa la Krajina croata, la Bosnia-Erzegovina
o il Kosovo. Questo non deve sorprendere, dal momento che se si pensa che la
guerra e' una sorta di malattia o un errore, poco conta la politica, quanto
piuttosto la capacita' di cambiare il cuore e la mentalita' delle
popolazioni.
*
Mediare o legittimare?
Vi e' un ultimo problema che vorrei considerare, quello dell'inadeguatezza
delle tecniche di interposizione nonviolenta e di conflict-resolution nel
contesto delle nuove guerre. Diventa infatti molto difficile, se non
sbagliato, mettere in pratica quei principi in una situazione che nulla ha a
che fare con una guerra tradizionale, nemmeno con una guerra civile per
motivi etnici, religiosi o politici. Il primo errore che si rischia di fare
e' quello di considerare le parti politiche e militari in conflitto come
legittimi rappresentanti delle popolazioni. Si pensa cosi' di essere
mediatori fra le parti in causa per far comprendere agli uni le ragioni
degli altri e assolvere a tre funzioni principali:
- sviluppare il piu' possibile l'equivalenza nel rapporto;
- rendere possibile e semplificare la comunicazione fra le parti;
- stimolare la creativita', suggerendo soluzioni.
Ma se il contesto e' quello descritto precedentemente siamo sicuri che le
classi dirigenti con le quali cerchiamo di mediare, siano i rappresentanti
delle popolazioni e che in realta' non legittimiamo delle elites
nazionalistiche? E in piu': siamo davvero di fronte ad un conflitto fra
stati o fra etnie? O non siamo piuttosto di fronte a classi dirigenti che
utilizzano la guerra per creare nuovi stati e cosi' spartirsi le spoglie di
uno stato in dissoluzione? Quale comunicazione e quale creativita'
dovrebbero stimolare i mediatori nonviolenti in un conflitto in cui si
fronteggiano bande militari e paramilitari controllate da un potere politico
corrotto e mafioso che da entrambe le parti fa leva sulla guerra per
organizzare una delle piu' grandi operazioni criminali di spoliazione delle
ricchezze di un intero paese?
Il primo errore nel proporsi come mediatori nel conflitto jugoslavo e' stato
quello di legittimare la guerra e le classi dirigenti che la facevano; e'
piu' o meno lo stesso errore compiuto dalle grandi diplomazie, per le quali
ci si trovava di fronte ad una guerra etnica e religiosa, con cause e motivi
di odio secolari ed endemici, dalla quale si poteva uscire con un
compromesso fra le varie parti in causa, rappresentate dai tre principali
leader nazionalisti: Izetbegovic, Milosevic e Tudjman.
Nei Balcani ci siamo trovati infatti di fronte ad un nazionalismo che mirava
a dissolvere le tradizionali strutture dello stato e le solidarieta'
politiche e sociali sul territorio, facendo leva sull'odio etnico fomentato
ad arte. La divisione, infatti, non e' la causa della guerra, e' invece la
guerra a causare la divisione, una particolare forma di guerra, basata sulla
violenza contro i civili, il 90% di tutte le vittime. Quelli che nelle
guerre tradizionali vengono considerati effetti collaterali, nelle nuove
guerre sono dunque gli atti principali volti a fomentare l'odio e a proporre
nuove forme di soggezione e di potere politico fondato sulla divisione
etnica. La pulizia etnica, il saccheggio dei beni, la requisizione delle
proprieta' ed i campi di concentramento sono dunque gli strumenti di una
precisa e razionale strategia. In casi come questi, che nulla hanno a che
fare con le tradizionali guerre tra stati e nemmeno con le guerre religiose
o di civilta', l'interposizione nonviolenta risulta inadeguata cosi' come la
cultura che la esprime, troppo legata alla fiducia nel cambiamento dei
comportamenti individuali. Le "nuove guerre" che nascono nello scenario
della globalizzazione richiamano tutto il movimento pacifista e della
solidarieta' internazionale ad un livello di azione che abbia a che fare con
la critica radicale delle societa' che nascono dalle "guerre etniche".
In questo contesto le dinamiche dell'economia di guerra e delle economie
illecite, assieme all'interazione di queste con le politiche internazionali,
sono fattori imprescindibili della guerra e del post-conflitto, e informano
tutto il processo di ricostruzione dello stato nelle varie repubbliche sorte
dalla Jugoslavia. In sostanza, l'instabilita' nella regione balcanica non e'
solo lo strascico dei conflitti appena conclusi, ne' l'effetto di quelli
ancora irrisolti. Nei paesi del sud-est Europa e' al lavoro un modello
sociale fondato su un mix di nazionalismo e liberismo sfrenato, che ha tolto
qualsiasi spazio alla politica, intesa come partecipazione collettiva al
progetto democratico fondato su un'idea di cittadinanza laica. Questa
mancanza toglie ogni respiro a quei progetti che nella terminologia tecnica
i vari attori della comunita' internazionale sono soliti chiamare di
democratization. La democratizzazione di una societa', infatti, non dovrebbe
essere solo cosa che riguardi i diritti umani, o la formazione di un
personale politico non corrotto. Democratizzazione nei Balcani dovra'
significare radicale messa in discussione del modello politico ed economico
per ridare spazio alla politica - "civile" e democratica - e con essa alla
partecipazione della cittadinanza (23).
Di fronte a questo tipo di sfida la mera interposizione nonviolenta, assieme
alle sue tecniche, puo' essere solamente uno degli elementi della
trasformazione sociale. Le associazioni pacifiste non devono "rifugiarsi"
nei soli progetti di interposizione nonviolenta e condivisione della
sofferenza delle popolazioni civili. Il pur comprensibile rigetto per la
degenerazione e gli errori delle ong e delle grandi agenzie umanitarie nei
Balcani non deve esimere gli operatori per la pace dalla sfida della
politica, tramite l'emergenza umanitaria e la cooperazione allo sviluppo. La
cooperazione, cioe' i progetti di ricostruzione materiale e sociale, sono
uno strumento di trasformazione sociale e partecipazione collettiva alle
scelte di ricostruzione di una citta', di un territorio o di un tessuto
sociale in genere, e possono rappresentare un'occasione formidabile per
riportare la politica sul terreno delle opzioni ideali e dei diritti sociali
e di cittadinanza.
*
Note
11. Tullio F. (a cura di), Le ong e la trasformazione dei conflitti. Le
operazioni di pace nelle crisi internazionali. Analisi, esperienze,
prospettive. Roma, 2002.
12. Ibid., pag. 83.
13. Ibid., pag. 77.
14. Ibid., pag. 78.
15. Ibid., pag. 78.
16. Ibid., pag. 78.
17. Un'interessante ricostruzione di quei colloqui viene data dall'allora
ministro degli esteri italiano Lamberto Dini, per il quale gli americani
avevano gia' deciso che i colloqui sarebbero dovuti fallire per permettere
l'intervento armato. Cfr. Dini L., Tra Casa Bianca e Botteghe Oscure, Roma,
2001.
18. Tullio F. (a cura di), Le ong e la trasformazione dei conflitti, cit.
pag. 78.
19. Ibid., pag. 78.
20. Ibid., pag. 79.
21. Ibid., pag. 83.
22. Ibid., pagg. 83-85.
23. La ripresa dei nazionalismi in Bosnia, ma potremmo dire la stessa cosa
per tutta l'area - compresa la Croazia in cui l'Hdz si sta rafforzando
giorno per giorno -, pone in modo forte un'altra questione irrisolta: su
quali basi creare un'identita' condivisa per uno stato giovane quale puo'
essere la Bosnia-Erzegovina o altri dell'area balcanica? Le strade sono
essenzialmente due: una fondata sull'identita' etnica dei miti
nazionalistici, l'altra basata su un progetto condiviso di societa' laica,
in cui l'identita' sia data dal processo di iniziative sociali e politiche
per arrivare a tale societa', e dai diritti sociali universali che la
dovrebbero caratterizzare. La prima strada, quella del nazionalismo, sara'
sempre vincente se si opporra' ad essa la sterile e generica retorica dei
diritti umani e del libero mercato che il sistema occidentale dell'aiuto
umanitario ha proposto in questi anni per la ricostruzione del tessuto
sociale e civile dei paesi balcanici. La filosofia dei diritti dell'uomo,
nata peraltro all'interno di una cultura minoritaria nel pianeta - quella
occidentale -, elimina dalla pratica dell'intervento di solidarieta' e
cooperazione internazionale la questione del modo in cui una societa' si
deve organizzare. Si possono vantare dei diritti se la societa' in cui si
vive e' democratica, e questa dovrebbe essere la questione centrale. Come ha
scritto Pietro Barcellona, "la vera garanzia dei diritti e' il modo concreto
di essere della societa', non la pura e semplice enunciazione di principi
astratti". E' ben strano che in Bosnia-Erzegovina la comunita'
internazionale non abbia pensato che proprio i diritti universali di
cittadinanza, quelli sociali del welfare state, potessero essere la base per
la rinascita democratica del paese e per fondarne l'identita' in senso laico
e fortemente condiviso da tutti, come lo e' stata per i paesi europei nel
secondo dopoguerra dopo la catastrofe dei fascismi. Purtroppo non ci si e'
fermati a questo, si e' fatto di piu': si e' progressivamente smantellato il
welfare state, favorendo in tal modo le reti nazionalistico-mafiose di
protezione sociale. Quasi nessuno, fra ong e cooperazioni governative, per
non parlare della Banca Mondiale, ha pensato che i diritti sociali
universali, e quindi le politiche sociali, potessero essere un pilastro
fondamentale delle politiche per il consolidamento della pace e per la
democratizzazione del sistema politico e sociale bosniaco. Molte ong hanno
preferito porre molta piu' enfasi e molte piu' risorse sui programmi legati
alla promozione dei diritti umani e civili, senza capire che in un
territorio controllato da signorie mafiose e nazionaliste, che
distribuiscono sicurezza sociale e protezione, possono essere proprio i
diritti sociali e la loro promozione a scardinare tali logiche di
costruzione e mantenimento del consenso fra i cittadini.
7. EDITORIALE. PEPPE SINI: LE BOMBE DI VITERBO
Sono ormai alcuni anni che a Viterbo vengono realizzati attentati con bombe
cosiddette "artigianali".
Ma fino a tempi recenti gli ordigni erano diretti a distruggere cose, e
fatti brillare dagli stessi autori in orari notturni e in assenza di altre
persone.
Cosicche' un po' tutti hanno sottovalutato la cosa.
Adesso che altre bombe vengono preparate non so dove, ma certo inviate a
Viterbo per uccidere delle persone, un po' tutti ci si accorge che nell'uovo
era in incubazione il serpente.
*
Io sono di quelli che non sottovalutava cosa stava accadendo, ma anch'io mi
tormento per non essere riuscito a fare qualcosa che fermasse il processo in
corso, e tremo ormai per tante persone che mi sono care che possono essere
destinatarie del prossimo pacco assassino.
*
E sono di quelli che per aver vissuto con piena coscienza, da adulto, da
militante politico e da persona che ha orrore delle uccisioni, gli anni di
piombo (ero all'universita' di Roma la mattina della strage di via Fani, ho
un ricordo angoscioso e incancellabile dell'orrore e della follia di quei
giorni); sono di quelli, dico, che hanno cercato con tutte le proprie forze
di contrastare ogni azione e ogni atteggiamento che all'uso della violenza -
che nella sua essenza e' sempre omicida - nella lotta politica portano o
sono corrivi.
Siamo stati pochissimi in questi ultimi trent'anni ad esserci battuti contro
l'uso della violenza nella lotta politica; siamo pochissimi ancora oggi,
poiche' troppi continuano a fare i retori irresponsabili, troppi continuano
a sorridere quando a rompere una testa e' un amico loro, troppi giustificano
la pedagogia dell'assassinio sostenendo che un po' di violenza sia
inevitabile. Ed e' questo infame ragionamento che alleva gli assassini.
*
Questo foglio che con non poca fatica metto insieme e sottoscrivo e'
evidentemente schierato: vuole parlare a tutte le persone di volonta' buona,
ma in primo luogo si rivolge "a tutte le persone amiche della nonviolenza":
ed e' a loro che lancia un appello: cessate tutti di essere complici di
teorie e pratiche che giustificano ed appoggiano la violenza come strumento
di lotta politica, che si inebriano di cultura militarista e retorica che
animalizza gli altri, che dichiarano che i picchiatori, gli squadristi, gli
organizzatori di aggressioni teppistiche e di risse e di agguati possano
essere nostri "compagni di lotta" nell'impegno per la pace e la giustizia.
Chi teorizza, usa e giustifica la violenza che lede ed annienta degli esseri
umani come scelta e strumento di lotta politica e' nostro avversario, e'
sempre stato nostro avversario, sempre sara' nostro avversario: cessi ogni
complicita'.
*
Cessi ogni complicita' con gli attentatori suicidi palestinesi cosi' come
con i soldati trasformati in killer dal governo di Israele; cessi ogni
complicita' con i fascisti, di qualunque colore si incasacchino, che
proclamando di lottare "contro il neoliberismo e per l'umanita'"
riproducono al livello delle tecnologie e delle capacita' organizzative loro
disponibili la piu' feroce delle violenze, quella che per affermare la
propria presenza e i propri obiettivi e il proprio dominio non esita a
rompere il corpo di un altro essere umano; e che cosi' facendo si rivelano
allievi e imitatori ed effettuali servitori proprio di quella dominazione
politica, economica, militare e culturale sedicente neoliberista ed
effettualmente tendenzialmente totalitaria cui pur proclamano di volersi
opporre.
E cessino le stolte e scellerate esercitazioni retoriche secondo cui
torturare o uccidere qualcuno e' piccola cosa rispetto a fondare una banca o
fare dei commerci: L'opera da tre soldi di Brecht dovrebbe essere letta
tutta - ed anche la collocazione della tanto citata, ma sempre avulsa dal
contesto, frase della rapina ha un senso che va colto appunto nel contesto
dialettico ed epico dell'opera, e nella voce e nel ruolo del personaggio che
parla, andiamo -; e l'analisi marxiana dell'economia politica e' cosa assai
piu' intelligente e complessa della ripetizione a memoria di quell'ignobile
metafora della violenza levatrice della storia: la violenza assassina le
persone, non le fa nascere.
*
Che il movimento per la pace in quanto tale si opponga al terrorismo, ad
ogni terrorismo, e che il terrorismo sia nemico del movimento per la pace,
e' cosa talmente ovvia ed evidente che non mette neppure conto di starne a
parlare.
Ma che nel movimento che si dichiara per la pace ci siano anche settori, e
non marginali, che hanno atteggiamenti ambigui sulla violenza come strumento
di lotta politica e' un fatto innegabile; un fatto drammatico, ignobile e
sciagurato, rispetto a cui si ha il dovere di fare chiarezza, rispetto a cui
occorre una esplicita e netta rottura teorica e pratica. Perche' si puo'
essere costruttori di pace solo se si contrasta la violenza senza reticenze
e senza collusioni. Si puo' essere costruttori di pace solo se si fa la
scelta della nonviolenza.
*
Invece, purtroppo, tante, troppe persone impegnate nel movimento per la
pace, in questi giorni sentendosi offese e provocate piuttosto da illazioni
giornalistiche (sovente del tutto ingiuste, malevole ed inintelligenti) che
da una tragica realta' quotidiana di bombe che arrivano a minacciare di
morte degli esseri umani, non hanno trovato di meglio da fare che assumere
una posizione complice con la violenza purche' piccina e simbolica - ma
andate a chiederlo a chi la subisce se e' simbolica o se e' concreta -, e
non si accorgono che questa loro posizione e' tale che gia' legittima anche
le violenze maggiori e piu' cruente, poiche' tutti, anche gli assassini piu'
efferati, sono sempre in grado di indicare atti di violenza precedenti e
piu' sanguinari di quelli da loro commessi.
E tante, troppe persone impegnate nel movimento per la pace ancora
confondono stoltamente dialogo con le persone e complicita' con i
malfattori: si puo' dialogare con chiunque, ma se l'interlocutore mentre
chiacchieriamo sta per uccidere qualcuno, il nostro dovere e' fermarlo, non
dargli bel tempo.
*
E tante, troppe persone impegnate nel movimento per la pace continuano a
fingere di non capire di cosa stiamo veramente parlando: stiamo parlando di
scegliere tra essere complici di omicidi o lottare contro le uccisioni.
E cosi' come ci stiamo giustamente impegnando contro la guerra e contro gli
eserciti, contro il riarmo e contro le dittature (quelli di noi che lo
fanno, perche' c'e' ancora chi distingue tra dittature buone e dittature
cattive, tra guerre crudeli e guerre "umanitarie" - ancora una volta: andate
a chiederlo a chi le subisce), dobbiamo impegnarci contro gli adoratori
della violenza e di violenze banditori e facitori ed apologeti che nel
movimento per la pace si sono da anni infiltrati, ed incistati, ed anzi si
sono insignoriti di tanta parte della rappresentanza di esso appo i
mass-media, visto che tanti altri - che pur sono brave persone e talvolta
addirittura dichiarano di essere amici della nonviolenza, evidentemente non
sempre sapendo di cosa parlano - non solo non hanno mai dichiarato che quei
loschi figuri nulla hanno a che vedere con noi, ma anzi sovente reggono loro
il sacco e la coda.
*
E non si dica, per cortesia, che si deve essere subalterni a gruppi di
sciagurati irresponsabili e di veri e propri squadristi perche' si vuole
"dialogare coi centri sociali" (uso questa formula prendendola in prestito
da un caro amico, amico personale e amico della nonviolenza, che come me sa
bene che una cosa e' dialogare con un'esperienza sociale e un'altra -
tutt'altra - cosa e' essere corrivo con personaggi nefasti ed azioni
nefande, e contro tutte le violenze e' impegnato).
Io che scrivo queste righe sono tra coloro che hanno fatto nascere il centro
sociale occupato autogestito di Viterbo oltre dieci anni fa, sono la persona
che il primo giorno di occupazione condusse le trattative con le forze
dell'ordine e l'amministrazione comunale affinche' quell'esperienza non
venisse stroncata sul nascere, e che si fece garante nei confronti delle
istituzioni della bonta' dell'iniziativa col proprio prestigio personale e
col proprio ruolo di pubblico amministratore; naturalmente sono anche il
primo dei denunciati e dei condannati per quell'occupazione che restitui'
alla citta' un bene pubblico abbandonato da decenni: da amico della
nonviolenza ho accettato di buon grado e senza obiezioni quella condanna
come formalmente legittima e quindi del tutto corretta de jure, sebbene la
subissi per aver fatto una cosa sostanzialmente buona e giusta (come gli
anni successivi hanno dimostrato: tante persone bisognose hanno trovato
accoglienza, aiuto e umanita' in quel centro sociale); e mi sono battuto per
anni affinche' quel centro sociale facesse la scelta della nonviolenza,
persuadendo con la mia condotta prima che con le parole chi era dubbioso, e
ottenendo che non pochi provocatori se ne andassero rendendosi conto che li'
non c'era spazio per gli scopi dei violenti e le ambizioni dei ciarlatani.
Cosicche' non mi si venga a dire che per "dialogare con i centri sociali"
bisogna genuflettersi ai violenti e agli imbecilli; le persone amiche della
nonviolenza, se nei centri sociali decidono di impegnarsi, devono farlo
battendosi affinche' anche li' si faccia la scelta della nonviolenza, e
siano gli irresponsabili e i lestofanti a dover scegliere se correggere il
proprio ignobile agire o andarsene altrove.
Ma di questo basta cosi'. E vediamo di concludere questa ennesima cicalata.
*
"C'e' un solo modo per uscire da questo macabro gioco di parole" (sono
parole della lettera ai giudici di Lorenzo Milani, che qui mi sembra
appropriato evocare): avere il coraggio di dire ai giovani che per lottare
per la pace e la giustizia occorre fare la scelta della nonviolenza, che e'
una scelta esigente, la scelta di opporsi a tutte le violenze e le menzogne,
la scelta di lottare contro tutte le ingiustizie, la scelta di rompere tutte
le complicita' e rinunciare a tutti i privilegi.
La scelta della nonviolenza, necessaria ed urgente, la sola che in questa
distretta possa salvare l'umanita' della catastrofe. L'umanita' intera, ma
anche l'umanita' di ciascuno di noi.
8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 730 del 12 novembre 2003