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Il lato amaro degli ovetti kinder - dal sito di www.focolaio.it
PANKOTA (Romania) - Nell’ovetto colorato di Joana e Mariana e Krina, il Sol
dell’Avvenire turbo-liberista ha messo una bella sorpresa: la proroga
quotidiana del lavoro se arrivano ciascuna a montare mille pezzi al giorno.
Minimo minimo: 900. Cosa vuol dire, che se non arrivano alla soglia vengono
licenziate in tronco? "Ma no", risponde amabile la kapò: "Chi non ce la fa
non viene mai buttata fuori: se ne va da sola".
Dovreste vederlo, il laboratorio da cui escono gli ovuli di plastica della
Kinder Ferrero coi pinguini, le farfalline e le macchinine che piacciono
tanto ai nostri piccini. Immaginatevi una grande fabbrica sgangherata e
pericolante sulla strada che solca Pankota, un paese agricolo vicino a
Timisoara ammazzato da piani quinquennali capaci di far morire le vigne e
rendere sterili i conigli.
Immaginate: scrostate i muri, incrinate le piastrelle, spaccate un po’ di
vetrate, buttate un mucchio di rifiuti nel cortile e salite al primo piano.
Aprite una porta e sarete in una stanza dove decine di Joana, Mariana e
Krina (i nomi sono inventati: non vorrei si licenziassero da sole)
preparano gomito a gomito scatoloni di sfere da mettere negli ovetti di
cioccolata. Nel loculo accanto, di due metri per due, riscaldate da una
vetusta stufa a legna, lavorano in quattro, a cottimo, a ritmi da far
spavento, manovrando certe macchinette punzonatrici che se ci lasci sotto
un dito, addio. Contente? Ridono: "Tutto bene, paga buona, padroni gentili".
È questo il modello suggerito dagli industriali trevisani che verranno giù
a celebrare l’inizio dell’anno produttivo a Timisoara? Per carità:
competitività raggiunta. Alla grande. Non c’è Cina, India o Gabon che ti
offrano come la Romania gli spazi, le lusinghe fiscali, le operaie disposte
a lavorare a cottimo in topaie come quella di Pankota per 170 mila lire
italiane a un’ora di volo dal Nordest.
È bene però che gli italiani conoscano il prezzo che tutti noi paghiamo, in
immagine, facendo la parte dei colonizzatori. Certo, centinaia di
imprenditori straordinari veneti, lombardi ed emiliani, costretti a portare
qui una parte della produzione per mancanza da noi di terreni ed operai,
rinunciano tutti i giorni ad approfittare fino in fondo della libertà
totale di fissare stipendi e stabilire orari e licenziare gente.
E non c’è dubbio che, piuttosto che la fame o l’emigrazione sui gommoni, le
campagne e le periferie romene vorrebbero dieci, cento, mille ruderi
produttori di ovetti con sorpresa. In cambio, però, stiamo spesso chiedendo
troppo. Cominciano a esser troppi, per ambientalisti quali Dan Jonescu
della facoltà di silvicoltura di Brasow, i cacciatori che vengono a
togliersi sfizi in Italia proibitissimi quali la battuta all’oca (60 mila
lire a capo: niente) o all’orso bruno dei Carpazi (da dieci a venti
milioni: niente).
Troppi gli industriali che rilevano o fanno lavorare quali contoterzisti
laboratori o stabilimenti conciari impegnati in lavorazioni che in Europa
sono vietate. Troppi i nostri mediatori che rifilano bidoni sia agli
italiani sia ai romeni. Troppi i pezzi d’arte "palesemente rubati nelle
chiese o perfino nei cimiteri", come spiega un commerciante lombardo, che
finiscono nelle vetrine dei nostri antiquari. Troppi gli alberi dello
straordinario patrimonio boschivo, il polmone verde più ricco e vitale
dell’Europa meridionale, abbattuti per rifornire le nostre gigantesche
segherie e i nostri mobilifici.
Quattrocento mila ettari di bosco "privato" stanno via via finendo in
trucioli e comò mentre le nostre segherie, come spiega Mario Moretti
Polegato, "si lamentano perché anzi si taglia troppo poco". E altri due
milioni di ettari stanno per essere distribuiti con la privatizzazione
prossima ventura. Auguri. Chi glielo fa fare, agli imprenditori più
aggressivi, di tornare in Italia? Troppe tasse, troppi verdi, troppe regole.
(dal Corriere della Sera - Gian Antonio Stella)
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